Notizie su Israele 35 - 18 agosto 2001


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In quel giorno, io renderò i capi di Giuda come un braciere ardente in mezzo alla legna, come una torcia accesa in mezzo ai covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli circostanti; Gerusalemme sarà ancora abitata nel suo proprio luogo, a Gerusalemme.

(Zaccaria 12.6)



Nel primo articolo di questo foglio sono messi in evidenza i collegamenti non molto noti tra la Orient House e Faysal Al-Husseini. Nel secondo si riporta l'interessante e significativa ultima intervista di questo Palestinese recentemente scomparso. Le sue parole confermano la sua figura di intellettuale colto e raffinato che aveva come obiettivo principale quello di gettare a mare gli Ebrei, ma con tenacia e intelligenza, invece che con la semplice e bruta violenza. I suoi sottili distinguo tra obiettivi strategici e compromessi tattici ricordano le argomentazioni politiche di certi marxisti occidentali di qualche anno fa. Ma anche per lui, come per tutti, vale la parola della Scrittura:  "Dio ... sventa i disegni degli astuti, sicché le loro mani non giungono a eseguirli; prende gli abili nella loro astuzia, sicché il consiglio degli scaltri va in rovina" (Giobbe 5.12-13)

M.C.


FAYSAL Al-HUSSEINI, LA ORIENT HOUSE E IL TERRORISMO PALESTINESE



Dal corrispondente di Israelnetz.de Johannes Gerloff (Gerusalemme)


   "Poter chiudere la Orient House è per me un privilegio", ha detto il Ministro per la Sicurezza interna, Uzi Landau, commentando la sua ordinanza. Nelle prime ore del 10 agosto la polizia israeliana ha fatto irruzione in quello che era noto a tutto il mondo come il simbolo della presenza palestinese in Gerusalemme. Si è avuto un breve scontro a fuoco, sette arabi sono stati arrestati e una grande quantità di materiale esplosivo e documenti è stata sequestrata.
   Nello stesso tempo l'esercito israeliano ha occupato altri edifici palestinesi in Abu Dis, davanti alle porte della capitale israeliana, tra cui l'edificio ufficialmente designato come Parlamento dell'Autorità Palestinese. Abu Dis appartiene alla cosiddetta Area B, che è sotto il controllo civile dell'Autorità Palestinese, ma della cui sicurezza sono responsabili gli Israeliani.
   In Ramalla, nell'Area A, in cui l'esercito israeliano non può entrare perché è sotto il totale controllo palestinese, l'aviazione israeliana ha ridotto in macerie gli edifici della polizia.
   Con queste misure Israele ha reagito ad un nuovo livello della controversia con i suoi vicini palestinesi. Il giorno precedente, presso la pizzeria "Sbarro" nel cuore di Gerusalemme, 15 persone erano rimaste uccise e circa un centinaio erano rimaste ferite, tra cui alcune molto gravemente. Il movimento islamista radicale Hamas aveva rivendicato l'attentato.
   Nemmeno una settimana dopo il Ministro israeliano per la Sicurezza interna, Uzi Landau, spiega il comportamento del suo governo di unità nazionale, in cui esistono differenze interne che non sono un segreto. "Ci sono ancora tra noi alcuni che si ostinano a vedere in Arafat un interlocutore per la pace", dice davanti a rappresentanti della stampa di tutto il mondo: "E' un errore tremendo!"
   Il più alto responsabile della polizia israeliana spiega la sua valutazione della controparte facendo riferimento non soltanto al fatto che il capo palestinese parla in inglese, davanti all'opinione pubblica, una lingua diversa da quella che usa in arabo con quelli della sua parte.
   "Lo stesso giorno in cui Arafat, sotto la pressione internazionale, dovette condannare l'attentato alla pizzeria in Gerusaleme, scarcerò dei terroristi di Hamas."
   "Arafat non si è mai attenuto a quanto si era obbligato in Oslo, cioè all'assoluta rinuncia alla violenza!" sottolinea il Ministro israeliano per la Sicurezza interna: "I 30.000 fucili che ha ricevuto nel quadro degli accordi di Oslo per combattere il terrorismo, oggi sono puntati contro di noi, minacciano gli Israeliani e uccidono bambini ebrei."
   Il portavoce parlamentare palestinese Ahmed Qurei ha incitato il mondo arabo a protestare contro l'occupazione della Orient House. "Gli Israeliani hanno iniziato la battaglia per Gerusalemme", ha detto il Palestinese cercando di mobilitare le masse. "La prossima volta occuperanno la moschea Al-Aqsa!"
   I leader radicali della frazione di Yasser Arafat all'interno dell'OLP, Fatah, lo sceicco Hussein e Marwan Barghouti, hanno quindi minacciato di trasferire l'Intifada a Gerusalemme. Jibril Rajoub, capo del Servizio di Sicurezza Preventiva palestinese, ha chiamato immediatamente il Ministro israeliano per le questioni arabe. Salah Tarif, che è un israeliano arabo, si è sentito dire che l'occupazione della Orient House può "incendiare tutto il Medio Oriente".
   Nel frattempo sembra che la direzione palestinese si sia accordata sul seguente slogan, da ripetere soprattutto ai diplomatici occidentali: "Torneremo al tavolo delle trattative quando Israele avrà lasciato la Orient House!" Nelle strade della Cisgiordania si dice ormai che l'occupazione della Orient House significa la definitiva fine del processo di pace in Medio Oriente.

   L'appariscente casa, con il bel frontone di legno, era stata costruita nel 1897 da Ismail al-Husseini. Ancora oggi una gran parte del territorio intorno al podere che si trova vicino all'americano Hotel Colony appartiene agli Husseini, la più grande e rinomata delle vecchie famiglie palestinesi di Gerusalemme.
   Ben presto la casa privata venne trasformata in un Hotel. Più tardi fu presa in affitto dalle Nazioni Unite e dal 1983 dalla Società degli Studi araba. Questa società, fondata e condotta da Faisal Al-Husseini, allestì negli edifici un archivio per documentare la storia della Palestina araba.
   Sotto Faisal Husseini la Orient House diventò il quartier generale dell'OLP in Gerusalemme, il Ministero degli Esteri dell'Autorità Palestinese e il simbolo nazionale delle ambizioni palestinesi sulla città santa. Astutamente il "Ministro per Gerusalemme" di Arafat si circondò di una cerchia di consiglieri in cui erano rappresentate tutte le correnti della società palestinese.
   Non soltanto gli estremisti di sinistra, ma anche i fondamentalisti islamici avevano fiducia nell'uomo il cui leggendario padre, Abd el-Kader, era caduto nella battaglia per la fortezza Castel davanti alle porte di Gerusalemme. Nella società palestinese rappresentava una figura paterna capace di dare consigli non solo in questioni politiche. Anche persone semplici si rivolgevano a lui per dei problemi sociali e lui li aiutava.
   Nel 1991 Faisal Husseini, nato a Bagdad, fece della sua casa familiare la sede principale della delegazione palestinese per i colloqui di pace organizzati da Madrid. Il responsabile della casa per i rapporti con l'esterno, Sharif Al-Husseini, fece conquistare alla Orient House un posto di primo piano sul palcoscenico politico internazionale. Molti ospiti stranieri, tra cui Diplomatici di alto rango e capi di Stato, visitavano i dirigenti di Israele in Gerusalemme Ovest e poi la Orient House in Gerusalemme Est, con grande dispiacere degli Israeliani.
   Per lo stato ebraico questa prassi rappresentava una delle più grandi umiliazioni della sua storia, perché mostrava a tutto il mondo che la pretesa ad una Gerusalemme indivisa come capitale di Israele era rimasta soprattutto una formula propagandistica. Per i Palestinesi le visite diplomatiche erano un enorme successo.
   Khalil Tufakji, responsabile del reparto geografico della Orient House, si occupava di questioni territoriali, non solo nelle zone arabe, ma anche all'interno di Gerusalemme. "Se gli Israeliani avanzano le loro pretese sulla zona di Gerusalemme Est che una volta apparteneva agli Ebrei", aveva detto Faisal Al-Husseini, "perché non dovremmo avanzare anche le nostre pretese sulla zona araba di Gerusalemme Ovest?"
   Oltre ad avanzare richieste di risarcimento per i Palestinesi, la Orient House ha preparato il ritorno nei territori dell'Autonomia di profughi che da decenni risiedono in zone ebraiche. In molti posti di Gerusalemme Ovest l'Autonomia Palestinese ha catalogato nel computer gli attuali proprietari di case di Israeliani e contemporaneamente i proprietari arabi di fondi prima del 1948.
   Molto consapevole del valore dei mass media si è dimostrato l'addetto stampa della Orient House, Nabeh Aweida. Instancabilmente distribuiva carte geografiche in cui era raffigurato il sogno di un futuro Stato palestinese. Questo Stato comprende tutta la Palestina, dal mar Mediterraneo al Giordano. Tutti gli insediamenti israeliani istituiti in questo territorio dal 1948 sono stati cancellati.
   David Beduin, direttore della Israel Resource News Agency, ha seguito criticamente per anni le attività che si svolgevano nella Orient House. L'Ebreo ortodosso e giornalista faceva notare che in quel luogo si incontravano rappresentanti di Tanzim, Fatah-Falken, Hamas, Jihad islamica e altre organizzazioni radicali palestinesi che partecipavano attivamente alla guerra contro Israele.
   Qualche volta avevano perfino mostrato le loro armi. Secondo Beduin questi gruppi si preoccupavano di far valere su Gerusalemme Est le norme del diritto palestinese. Tra queste c'era anche la possibilità di rapire Arabi e portarli nelle prigioni dell'Autonomia Palestinese.
   Quando, alla fine di maggio del 2001, Faisal Al-Husseini è venuto meno per un improvviso attacco di cuore mentre si trovava nel Kuwait, il movimento di liberazione palestinese ha perso un idolo, Yasser Arafat ha perso il suo più serio concorrente e la Orient House ha perso la sua anima.
   Tutti i tentativi dell'Autonomia Palestinese di sollevare le masse arabe sono fino ad ora naufragate. Soltanto nella Bagdad di Saddam Hussein le persone scendono sulle strade e si lasciano trascinare a manifestazioni di odio antiisraeliano. Davanti alla Orient House sono molto pochi quelli che manifestano, e sono soprattutto stranieri e Israeliani, cosa che Uzi Landau commenta ironicamente: "Evidentemente i Palestinesi non hanno abbastanza gente per far conoscere i loro interessi".
   Il motivo principale della chiusura della Orient House è stato, per il Ministro per la Sicurezza interna e Comandante della Polizia israeliana, non la voglia di vendetta, ma l'intenzione di "porre fine alle attività illegali dell'OLP in Gerusalemme". Secondo gli accordi di Oslo, l'Autorità Palestinese avrebbe dovuto compiere le sue attività politiche solo all'interno dei territori di sua esclusiva competenza
   Nei riguardi della Orient House i precedenti governi avevano praticato la politica dello struzzo, e questo il Likud-Hardliner lo sapeva. Durante il suo governo Beniamin Netanyahu avrebbe volentieri chiuso la casa. Ad impedirlo era stata soprattutto una decisione dell'Alta Corte di Giustizia in Israele, ottenuta per opera di Israeliani simpatizzanti per i Palestinesi. Ariel Sharon adesso vuol dimostrare ad Arafat che sul palcoscenico politico con il terrorismo non si ottiene niente.
    Ai giornalisti che chiedevano come andranno avanti le cose Uzi Landau ha spiegato: "Manterremo occupata la casa fino a che con i proprietari non si arriverà ad un accordo che garantisca che la casa non verrà usata per attività illegali." E chiaramente l'Autonomia Palestinese non è un partner adatto per un accordo di questo tipo.
   "Noi non trattiamo!" sottolinea Landau. Quello che si vuole ottenere è che sul territorio israeliano sia rispettato il diritto israeliano. Se i proprietari dell'ente non accettano questo, l'ordine di chiusura può essere ulteriormente prolungato. L'ex campione della diplomazia, Simon Peres, in un primo momento, all'interno del governo, si era dichiarato contrario alla reazione israeliana all'attentato. Ma come Ministro degli Esteri difende la politica del suo governo, e alle critiche che vengono dall'estero risponde: "Che cosa volete? Abbiamo risposto ad un sanguinoso attacco nel cuore di Gerusalemme senza spargere una goccia di sangue palestinese!".
  
(Israelnetz.de, 17.08.2001)




GLI ACCORDI DI OSLO?  UN CAVALLO DI TROIA

 

Mentre si recava in Kuwait, dove è deceduto per un attacco cardiaco, Faysal Al-Husseini ha rilasciato un'intervista – la sua ultima – al quotidiano egiziano "Al-Arabi". Qui di seguito sono riportati ampi stralci dell'intervista con il corrispondente Shafiq Ahmad Ali.


D - Quello che sta accadendo ora, purtroppo, è una conseguenza naturale della sottoscrizione degli Accordi di Oslo da parte di Arafat che non specificavano esplicitamente che gli insediamenti sarebbero stati rimossi, o che la loro costruzione sarebbe stata addirittura bloccata, né delineavano chiaramente il futuro di Gerusalemme e il diritto di ritorno. Tra gli altri errori che lei ha ammesso recentemente vi è affermare esplicitamente che l'AP [Autorità Palestinese] doveva confiscare le armi dei civili palestinesi...

R - Dopo la firma degli Accordi di Oslo ho detto tre cose.
     Primo: dopo un lungo periodo di "gestazione" abbiamo messo al mondo un bambino, gli Accordi di Oslo, che è più piccolo, più debole, più brutto di quanto speravamo. Tuttavia, nonostante tutto, questo è sempre il nostro bambino, e dobbiamo nutrirlo, irrobustirlo e farlo crescere in modo che si regga da solo sulle sue gambe.
     Secondo: noi siamo gli ebrei del XXI secolo. Noi palestinesi saremo gli ebrei degli inizi del secolo prossimo. Loro si sono infiltrati nel nostro Paese usando vari espedienti, con ogni tipo di passaporto, e hanno sofferto molto durante questo processo. Hanno anche dovuto sopportare l'umiliazione, ma hanno fatto tutto ciò per uno scopo: entrare nel nostro Paese e radicarsi prima della nostra espulsione dallo stesso. Ci dobbiamo comportare allo stesso modo. Dobbiamo ritornare nel territorio, insediarci e radicarci nella nostra terra dalla quale siamo stati cacciati, costi quel che costi.
     Terzo: l'antico esercito greco non era in grado di entrare a Troia a causa di dissapori interni e disaccordi tra di essi. Le truppe greche cominciarono ad arretrare una dopo l'altra e il re greco si trovò da solo di fronte alle mura di Troia e anche lui patì le malattie e soffrì per le dispute interne, finendo col guidare un assalto rovinoso alle mura di Troia.
     Dopo questi accadimenti gli abitanti di Troia salirono in cima alle mura della loro città e non trovarono traccia dell'esercito greco se non un gigantesco cavallo di legno. Essi si rallegrarono e festeggiarono, pensando che le truppe greche erano ripartite e, nella ritirata, avevano lasciato un innocuo cavallo di legno come residuo bellico. Così, aprirono le porte della città, portandovi il cavallo di legno. Tutti noi siamo a conoscenza di quello che è accaduto in seguito.
     Se gli Stati Uniti e Israele si fossero resi conto, prima di Oslo, che tutto ciò che era rimasto del movimento Nazionale Palestinese e del movimento Pan-Arabo era un cavallo di legno chiamato Arafat e OLP, essi non avrebbero mai aperto i loro accessi fortificati, né lo avrebbero condotto all'interno delle loro mura.
     Nonostante il fatto che abbiamo attraversato le mura per costruire, non come i Greci che erano entrati per distruggere, adesso dico a tutti voi, a tutti coloro ai quali ho parlato in un incontro segreto durante i giorni di Oslo: "Entrate dentro il cavallo e non chiedetevi di che materiale sia fatto. Entrate dentro il cavallo, e noi trasformeremo il vostro ingresso nell'inizio di un'era di edificazione piuttosto che un tempo di fine della speranza."
     Infatti, quelli che sono entrati all'interno del cavallo adesso sono all'interno del territorio dell'AP, sia che abbiano sostenuto o meno gli Accordi di Oslo.


D - Ma il cavallo ha cominciato a ignorare le critiche del popolo, sia di coloro che appoggiavano Oslo sia di coloro che vi si opponevano. Ha ignorato le critiche sulla vera democrazia che avrebbe dovuto guidare il cavallo e sulla sua corruzione.

R - Le sue parole mi ricordano del famoso incontro che abbiamo avuto con tutte le fazioni palestinesi tre anni dopo il ritorno di Arafat e dell'OLP a Gaza; la discussione riguardava le stesse questioni che lei sta sollevando, ad esempio, la democrazia, la corruzione, ecc..
     Durante quell'incontro, - e coloro che partecipavano sono ancora in vita e possono testimoniarlo – ho chiesto la parola. Mi sono rivolto a tutti, dicendo:
     "Tre anni fa ho detto: "Entrate dentro il cavallo" e tutti sono entrati nel cavallo e il cavallo è entrato nella zona delle mura. Adesso è giunto il momento di dire: "Uscite dal cavallo e cominciate a lavorare. Non rimanete dentro il cavallo e non sprecate tempo ed energie restando dentro il cavallo, ragionando se sia o meno un buon cavallo. Badate, è grazie a questo cavallo che siete potuti entrare dentro le mura della città.
     Quindi, per cominciare, uscite dal cavallo e cominciate a lavorare per l'obiettivo per il quale siete entrati, A mio avviso, la stessa Intifada rappresenta l'uscita dal cavallo. Piuttosto che rimanere ancorati ai vecchi temi, questo sforzo, l'Intifada, avrebbe potuto essere più concreto, più efficace e significativo se avessimo chiarito a noi stessi che l'accordo di Oslo, o qualsiasi altro accordo, è solo un processo temporaneo e null'altro che un passo in avanti verso qualcosa di più grande...
     Grazie ad Allah, ora siamo usciti tutti dal cavallo, coloro che erano con Arafat e coloro che erano contro. Personalmente, non mi sono mai lamentato del fatto che erano entrati nel cavallo, pur essendo contrario. Tuttavia, avrei da ridire se fossero entrati nel cavallo senza mai uscirvi. Ora che tutti noi siamo usciti dal cavallo, chiedo a voi e a tutti i giornalisti di accantonare tutte le analisi degli accadimenti passati, tutte le vecchie dispute e giudicare il popolo sulla base di quanto sta facendo ora; il nostro motto da adesso in poi sarà "l'Intifada è sempre giusta."


D - A quali confini dello Stato palestinese si riferisce e quale Gerusalemme accetterebbe come capitale del suo Stato?

R - Con questa domanda mi costringe a parlare di ciò che riteniamo essere i nostri obiettivi "strategici" e i nostri scopi "politici", o gli obiettivi stabiliti. Gli obiettivi "strategici" sono quelli più importanti, gli "obiettivi a lungo termine", o gli "obiettivi fondamentali," fondati su diritti e principi storici Pan-Arabi. Mentre gli obiettivi "politici" sono quelli stabiliti provvisoriamente, in considerazione dei vincoli dell'attuale sistema internazionale, dell'equilibrio del potere, delle nostre capacità, e di altri aspetti che "mutano" di volta in volta.
     Quando chiediamo a tutte le forze e alle fazioni palestinesi di guardare agli accordi di Oslo e ad altri accordi come processi "temporanei", o obiettivi stabiliti, significa che stiamo tendendo un'imboscata agli israeliani e li stiamo ingannando. La verità è che stiamo facendo esattamente quello che loro stanno facendo. Prova ne è che loro non cercano di nascondere il fatto che non c'è niente altro che li unisca di più al loro territorio che si estende dal Nilo all'Eufrate che le parole riportate nella Torà, che recitano: "Questi sono i confini della grande terra d'Israele".
     Se per qualche ragione hanno dovuto temporaneamente dichiarare la loro sovranità su "una parte" della grande terra d'Israele, questa è la loro strategia "politica", che devono accettare per il momento a causa dei vincoli internazionali. D'altra parte, la loro aspettativa è sempre la "Grande Israele".
     Noi stiamo facendo esattamente come loro. Nel 1947, in conformità con il Piano di Spartizione dell'ONU, essi hanno deciso di dichiarare la sovranità sul 55% del territorio palestinese, che più tardi hanno esteso fino al 78% durante la guerra del 1948, e successivamente incrementato fino al 100% con la guerra del 1967. Malgrado ciò, non hanno mai cercato di mantenere segreto il loro obiettivo a lungo termine, che è "il grande Stato d'Israele", dal Nilo all'Eufrate.
     Parimenti, se noi decidiamo di dichiarare la nostra sovranità su quello che adesso è appena il 22% della Palestina, cioè Gaza e West Bank – il nostro fine ultimo rimane la liberazione della Palestina storica, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, anche se questo significa che il conflitto durerà per altri mille anni o per molte generazioni.
     In breve, noi siamo esattamente come loro. Distinguiamo gli obiettivi strategici, a lungo termine, dagli obiettivi politici "a breve" che siamo tenuti ad accettare temporaneamente a causa delle pressioni internazionali.
     Se mi domanda come nazionalista Pan-Arabo quali sono i confini palestinesi secondo la strategia suprema, le risponderò immediatamente: "dal fiume al mare". La Palestina nella sua interezza è un territorio arabo, la terra della nazione araba, una terra che nessuno può vendere o comprare, ed è impossibile tacere mentre qualcuno ce la sottrae, anche se questo richiede tempo e significa pagare un prezzo molto caro.
     Se mi pone la stessa domanda come uomo che appartiene alla fede islamica, la mia risposta è ancora "dal fiume al mare": l'intera regione è una Waqf islamica che non può essere comprata né venduta, ed è impossibile tacere mentre qualcuno ce la porta via. Se si rivolge a me come cittadino palestinese, di quelli dell'interno o della Diaspora, avrà la stessa risposta senza alcuna esitazione. Comunque, quello che sono in grado di ottenere in questo momento, a causa dei vincoli del sistema internazionale, non è certamente la Palestina "dal fiume al mare". Per realizzare tutti i nostri sogni sulla Palestina, dobbiamo innanzi tutto svegliarci e capire dove siamo. D'altra parte, se continueremo a comportarci come dei sognatori, non troveremo un posto dove mettere piede.
     Come ho detto una volta in passato: i nostri occhi devono continuare a guardare agli obiettivi più importanti. Il vero pericolo è che io possa scordarlo, e mentre cerco di realizzare il mio obiettivo immediato possa perdere di vista il mio obiettivo a lungo termine, che è la liberazione della Palestina dal fiume al mare.

MEMRI
Middle East Media Research Institute


(da "Shalom", mensile ebraico di informazione e cultura, agosto 2001)


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