Notizie su Israele 60 - 11 dicembre 2001


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«Ecco, vengono i giorni», dice il SIGNORE, «in cui l'aratore s'incontrerà con il mietitore, e chi pigia l'uva con chi getta il seme; quando i monti stilleranno mosto e tutti i colli si scioglieranno. Io libererò dall'esilio il mio popolo, Israele; essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti. Io li pianterò nella loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro», dice il SIGNORE, il tuo Dio.

(Amos 9.13-15)


EBREI E ARABI UNITI NEL MESSIA


Haifa
HAIFA - 7 dicembre.

Ebrei messianici e arabi cristiani si sono incontrati in questo fine settimana in Haifa. Più di 100 partecipanti provenienti dalle comunità messianiche e arabe si sono iscritti al convegno tenuto nel centro Bet Jedidia sul monte Carmelo. Il tema è: "La nostra unità nel Messia". "Negli ultimi due anni sempre di più gli ebrei messianici e gli arabi cristiani si trovano insieme", ha detto il responsabile di Bet Jedidia, Gidon Shmuel.
    Il pastore arabo e presidente delle 18 comunità battiste in Israele, Philip Saàd, è presente con la sua comunità di Haifa. "Soprattutto in questo tempo è importante che i credenti ebrei e arabi si incontrino e adorino insieme il nostro Padre celeste", ha detto Saàd. "Dobbiamo pregare per la guida del nostro paese e affinché Dio doni sapienza al Capo del Governo di Israele, Ariel Sharon." Da Tel Aviv ha predicato l'anziano di chiesa Noam Hendren. "Se siamo fratelli in Gesù, perché non possiamo stare insieme?", ha detto Hendren. "E' importante che le diverse comunità di popolazione araba ed ebrea si trovino insieme, perché nel Messia Gesù abbiamo l'unica base per una vera unità".

(da "NAI - Stimme aus Jerusalem", 07/12/01)


UNA VOCE DA ISRAELE


5 dicembre 2001

    Esiste un paese al mondo dove e' pericoloso andare a bere un caffe', andare a mangiare una pizza, recarsi al lavoro e al supermercato. Esiste un paese al mondo dove ogni giorno la popolazione civile e' colpita da almeno un attentato.
    Sto parlando di Israele dove ogni mattina ci si sveglia ringraziando D-o di essere ancora vivi.
    Sto parlando di Israele colpito dalla guerra e dal terrorismo da mezzo secolo e che, nonostante tutto, riesce a mantenere chiara e limpida la propria democrazia e sa vivere la tragedia del terrorismo senza lasciarsi andare a manifestazioni di odio contro chi uccide i suoi figli bambini.
    Chi frequenta i forum su internet si rende conto di quanto sia immensa la disinformazione e di quanto sia profondo l'odio contro questo paese pieno di coraggio che non chiede niente, neppure simpatia al resto del mondo ma che soffre, anche se orgogliosamente in silenzio, proprio per la totale assenza di solidarieta' .
    Per un perverso gioco politico il mondo occidentale guarda alle vittime israeliane del terrorismo palestinese con  indifferenza mentre continua a non nascondere la sua  tenera simpatia per l'ideatore del terrorismo internazionale, quel Yasser Arafat che tanti crimini ha commesso anche in Europa , crimini per i  quali nessuno gli chiede il conto. Per essere "politicamente corretta",  l'Europa , riesce a mala pena a nascondere comprensione e spesso appoggio morale  ai  terroristi palestinesi definiti "militanti, leaders, attivisti".
    Questi terroristi palestinesi da 15 mesi mettono a ferro e fuoco le citta' d'Israele, dilaniano i corpi e lo spirito dei cittadini di israele, linciano, uccidono a bruciapelo, e si accaniscono sui nostri figli che nonostante la paura vogliono uscire, vogliono divertirsi, vogliono vivere e questo loro desiderio viene   barbaramente beffeggiato  da gente senza anima, senza cuore, senza coscienza. Terroristi, vigliacchi che ancora e  ingiustamente il mondo occidentale tenta di nobilitare  dando loro una parvenza umana con assurde espressioni del tipo "i palestinesi lottano per l'indipendenza".
    Quale indipendenza?
    Quante volte i palestinesi hanno rifiutato l'indipendenza che gli veniva offerta? E si e' mai chiesto qualcuno "perche? '" Avevano l'Autonomia e l' hanno presa a calci per piombare nel caos nel tentativo di farci sporfondare con loro.
    L'odio dell'Europa per Israele ha radici profonde nel millenario antisemitismo e ha radici recenti nel rifiuto di approfondimento del problema e nell'asservimento al fondamentalismo islamico.
    I palestinesi, comandati da quella creazione egizio-sovietica che e' Arafat, vogliono Israele e ogni giorno sentiamo e leggiamo le loro dichiarazioni. Solo ieri Arafat, dopo aver fatto la sua solita sceneggiata in favore degli occidentali e aver ordinato arresti a centinaia (quanti saranno ancora in galera oggi?) , ha detto che la lotta continuera' fino alla nascita della Palestina con capitale Gerusalemme.
    Niente di nuovo sotto il sole, dunque.  Terrorismo, ancora terrorismo. Arafat, ancora Arafat.    
    E a questo punto cosa deve fare Israele?  Israele deve fare quello che Sharon ha detto, fuori dai denti, a Bush: siamo in guerra e la combatteremo come vogliamo noi. E Bush ha dato carta bianca a Israele.   
    Sabato notte i terroristi di Arafat (uno era un suo uomo) hanno fatto una terribile dichiarazione di guerra a Israele  ammazzando 12 dei suoi figli, il piu' giovane aveva 14 anni, il piu' vecchio ne aveva 20. Tre bombe a Gerusalemme, una di queste,  l'ultima, nel tentativo di colpire anche i soccorritori. Vigliaccheria sulla vigliaccheria, l'abominio totale. E poi, dopo poche ore, Haifa.   
    La guerra , iniziata da Arafat 15 mesi fa, e' arrivata ad una svolta con gli ultimi terribili attentati. Adesso dobbiamo combatterla con forza e decisione e vincerla per non dover piu' morire.
    
Deborah Fait
ISRAELE

(da "Federazione Associazioni Italia-Israele")



EDUCAZIONE ALL'ODIO


La pace con Israele non compare
nei libri di scuola dell'Autorità Palestinese

articolo di Margot Dudkevitch

GERUSALEMME - L'atteggiamento ostile dei Palestinesi verso Israele espresso nei libri di scuola non è cambiato negli ultimi quattro anni, stando ai risultati di un'indagine condotta dal "Center for Monitoring the Impact of Peace" (CMIP).
    Dopo aver esaminato 58 testi scolastici adottati dal sistema scolastico dell'Autorità Palestinese negli anni 2000-2002, il CMIP non ha trovato alcuna menzione di Israele - che è considerato un usurpatore e un occupante - e del suo diritto ad esistere. E neppure si trova alcuna menzione del processo di pace tra Israele e la Palestina, né alcun riferimento  sulle carte geografiche alla terra di Israele, alle sue città o ai suoi villaggi, ha detto il vice chairman del CMIP, Yohanan Manor.
    Il CMIP è stato fondato da Manor e Andre Marcus nel 1998, con il compito di incoraggiare la tolleranza e il mutuo rispetto tra le nazioni e le popolazioni.
    L'organizzazione ha puntato la sua attenzione sui testi scolastici come indicatori dei modi di vedere e dei valori che le società vogliono instillare nei loro giovani e nelle generazioni future.
    Nei suoi risultati, presentati a novembre in una conferenza stampa  tenuta a Gerusalemme, l'organizzazione dichiara che "il concetto di pace con Israele non si trova da nessuna parte nei testi scolastici palestinesi ... lo Stato di Israele non è riconosciuto, ma viene presentato come le terre dentro 'la linea verde', o 'zone interne", o 'le terre del 1948'".
    "I testi scolastici affermano che la Palestina si estende dal fiume Giordano al mare Mediterraneo, e Gerusalemme è presentata come appartenente soltanto ai Palestinesi. Non c'è nessun riferimento ai luoghi sacri per gli Ebrei - i luoghi sacri in Palestina sono esclusivamente musulmani o cristiani, e spesso sono presentati come luoghi sacri musulmani che gli Ebrei hanno tentato di 'giudaizzare'", ha detto Manor.
    La lotta per la liberazione della Palestina è presentata come un fatto militare, e coloro che sono stati arrestati e incarcerati nelle prigioni israeliane sono definiti "prigionieri di guerra".  In aggiunta, i cittadini arabi di Israele sono presentati come "i Palestinesi delle zone interne".
    L'organizzazione ha notato che i Palestinesi hanno cancellato le iscrizioni in ebraico che compaiono sui francobolli, presenti come illustrazioni nei testi scolastici, che risalgono al Mandato di Governo inglese sulla Palestina e che nella loro forma originale avevano iscrizioni in arabo, in ebraico e in inglese.
    Manor ha fatto notare che mentre si trova un minimo di riferimenti agli Ebrei e alle loro connessioni storiche con la Palestina, non c'è nessun tentativo di fornire agli scolari anche le basi minime di conoscenza o di comprensione degli Ebrei e dell'ebraismo. Molti riferimenti agli Ebrei sono presentati in modo negativo: li dipingono come avidi, barbari, imbroglioni, e insinuano che negli accordi e nei contratti non agiscono come i Musulmani.
    La National Education Homework per la7a classe chiede: "Parla dell'atteggiamento dello Stato Ottomano verso le avide ambizioni degli Ebrei sulla Palestina."

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Un altro testo, sempre per la 7a classe, fa notare "i tentativi di giudaizzare alcuni dei luoghi religiosi musulmani come la moschea di Abramo [la grotta di Macpela] e la moschea di Bilal Bin Rabbah."
    Il muro del pianto è nominato come il muro al-Buraq, ed è presentato come "un tentativo degli Ebrei di controllare il muro al-Buraq".
    Nei testi scolastici non si fa nessun riferimento ai trattati e agli accordi internazionali e bilaterali che hanno determinato la spartizione dell'acqua e della terra per mutui accordi tra Israele e Palestina.
    Il testo per l'11a classe, "La società palestinese - Educazione demografica" dice che la Palestina "soffre ... di dannosi e distruttivi problemi come la rapina della terra, distribuita come bottino ai coloni dagli occupanti, come le basi militari ... e il furto di suoli contenenti acqua, che è stata tutta presa salvo poche gocce per l'uso domestico e per l'agricoltura."

(da internet, 23.11.2001)



FINIRA' L'IMBROGLIO?

L'era di Arafat e' al tramonto

Da un articolo di Gerald M. Steinberg
direttore del Program on Conflict Management and Negotiation, Università Bar-Ilan

    Nei mesi scorsi, mentre cresceva il numero delle vittime del terrorismo palestinese, si sono andate erodendo sempre piu' le esitazioni e le cautele che avevano caratterizzato le reazioni del governo israeliano nelle prime fasi della guerra scatenata da Arafat. La continua guerra d'attrito, con il suo bollettino quotidiano di sparatorie e agguati punteggiato da vere e proprie stragi, e' diventata insopportabile e ha vanificato l'assioma per cui senza Arafat sarebbe il caos. Tendono a scomparire i timori che ad Arafat debba succedere una dirigenza estremista fondamentalista o una situazione di anarchia. Persino Peres, con tutta la sua infinita pazienza, non dice piu' queste cose. In effetti, quale che sia la forma che assumera' il dopo-Arafat, l'inferno delle bombe fondamentaliste e' gia' ben presente. Togliere al sedicente presidente Arafat i simboli della presidenza e cio' che gli resta di potere militare non comporterebbe piu', oggi, un gran prezzo. Anzi, potrebbe persino accelerare una transizione verso una dirigenza palestinese piu' pragmatica che, a differenza di Arafat, non sia impantanata nella vecchia ideologia del rifiuto e nelle suggestioni crociate da 1947. Anche l'amministrazione Bush sembra essere giunta a conclusioni simili e incomincia a usare parole simili a quelle israeliane. Il contributo di Egitto ed Arabia Saudita alla coalizione internazionale antiterrorismo si e' rivelato trascurabile e tende a svanire lo sforzo fatto finora di distinguere fra il terrorismo stile Al Qaida e quello stile Arafat. I diplomatici americani hanno iniziato a condannare la politica della 'porta girevole' garantita da Arafat ai terroristi arrestati e le doppiezze della dirigenza palestinese. Saeb Erekat e Hanan Ashrawi possono ben ripetere la vecchia teoria per cui "occupazione" e "insediamenti" spiegherebbero e giustificherebbero il terrorismo e l'odio. Ma stanno perdendo credibilita' persino in Europa e Canada. Dopo che la missione dell'inviato americano Anthony Zinni e' stata rovinata fin dai primi giorni, gli americani riconoscono che una forte risposta da parte delle Forze di Difesa israeliane e' inevitabile e offre l'unica speranza di ripristinare, prima o poi, un po' di stabilita'. Nel contempo stanno svanendo anche i timori, che avevano caratterizzato il governo Barak, di una conflagrazione regionale o di una generalizzata opposizione interna all'uso della forza militare. […]. Le operazioni delle Forze di Difesa israeliane sono motivate dalla fondamentale necessita' di porre fine ai massacri terroristici e proteggere la vita dei propri cittadini. Non hanno come obiettivo la deliberata distruzione di Arafat o dell'istituzione Autorita' Palestinese. Piuttosto l'obiettivo puo' essere quello di ricondurre Arafat al suo status originario di capo di un'organizzazione terroristica, spogliato dei simboli e della sostanza di una sovranita' e di un potere che si era guadagnato imbrogliando le carte ai negoziati di Oslo. Gli elicotteri e l'aeroporto di Arafat sono fuori uso. Per muoversi deve avere il permesso di Israele. Intanto vengono colpite varie forze armate che operano sotto il suo comando e che hanno fornito infrastrutture e supporto per la pianificazione ed esecuzione di attivita' terroristiche e per il contrabbando di esplosivi e di decine di migliaia di armi illegali. In breve, l'era di Arafat sembra essere al tramonto. Puo' andarsene come restare. In ogni caso l'obiettivo deve essere quello di ridurre drasticamente la sua influenza e le sue capacita' militari. Prima o poi emergera' una nuova dirigenza palestinese che potra' scegliere di trattare sul serio con Israele, non per amore ma per necessita' e nell'interesse dello stesso popolo palestinese. Fino ad allora questa guerra, con le sofferenze e i lutti che provoca a entrambe la parti, e' destinata a continuare.

(Jerusalem Post, 5.12.01)


SUL PALCOSCENISCO DI ARAFAT

Abbandonare il vecchio copione

Da un editoriale del Jerusalem Post

    Il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat ha goduto di innumerevoli "ultime occasioni", ma persino lui deve aver notato che sta accadendo qualcosa di nuovo. Uno dei sintomi piu' significativi di questo cambiamento e' la visita lampo che il ministro degli esteri egiziano Ahmed Maher ha fatto in Israele, con tanto di vigorosa stretta di mano con il primo ministro israeliano Ariel Sharon davanti alle telecamere. Una visita che appare in netto contrasto con il fatto che l'Egitto un anno fa richiamava il proprio ambasciatore da Israele.
    Fino a poco tempo fa funzionava il solito schema: piu' Arafat attaccava Israele, piu' gli stati arabi si schieravano al suo fianco e condannavano le reazioni israeliane.
Il ministro Maher
La visita di Maher rappresenta una chiara deviazione da questo schema, e la cosa non riguarda solo l'Egitto. Come sottolineava il Washington Post del 6 dicembre, i leader di Giordania, Egitto e Arabia Saudita "hanno evitato qualunque critica diretta" alle azioni israeliane [dopo gli attentati palestinesi dei primi del mese], azioni che in passato avrebbero generato la convocazione d'urgenza di un summit arabo e altre misure volte a manifestare solidarieta' ad Arafat. Secondo un diplomatico occidentale citato dal Washington Post, questi leader arabi stanno dicendo ad Arafat "piu' o meno le stesse cose che gli dice il segretario di stato americano Colin Powell. Sono terrorizzati - continua il diplomatico - Odiano Sharon, ma Arafat non e' certo senza colpe ed essi sanno che non si puo' piu' recitare secondo il solito copione".
    Come si spiega questo mutato atteggiamento? Non bastano a spiegarlo gli attentati dell'11 settembre. Inizialmente infatti, dopo l'11 settembre, questi stessi leader arabi hanno cercato di aumentare le pressioni degli Stati Uniti su Israele sostenendo la tesi che il terrorismo palestinese non sarebbe terrorismo bensi' "resistenza all'occupazione". Ma vi sono quattro fattori recenti che hanno contribuito a mutare il tono dei paesi arabi.
    Primo, il presidente americano George W. Bush e' andato a parlare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ha respinto totalmente l'idea che alcuni paesi possano appoggiare il terrorismo contro altri, da qualunque parte.
    Secondo, il regime del Talebani e' crollato come un castello di carte, mostrando che gli Stati Uniti fanno sul serio.
    Terzo, Bush ha abbandonato quella equidistanza tra attentati del terrorismo palestinese e azioni israeliane di legittima difesa che aveva contrassegnato la posizione americana fin dall'inizio di questa violenta offensiva palestinese.
    Quarto, Israele, anziché concedere per l'ennesima volta ad Arafat il beneficio di un dubbio che non esiste piu', e' apparso invece deciso a costringerlo a scegliere: dare un vero giro di vite al terrorismo o abbandonare il potere.
    Puo' darsi che Arafat non abbia ancora capito il messaggio. Di certo l'hanno capito gli stati arabi: di fronte alla determinazione di Stati Uniti e Israele, Arafat farebbe molto meglio a porre fine, e subito, al terrorismo.
    Da tutto cio' si puo' trarre un utile insegnamento. Quando Israele esita a difendersi e gli Stati Uniti esitano a difendere Israele, la piazza araba sente aria di vittoria e gli stati arabi pretendono sempre maggiori pressioni su Israele. Quando invece Stati Uniti e Israele mostrano fermezza, la piazza araba si zittisce e i governi arabi si rimettono in riga. Quella "equidistanza" americana, che nelle intenzioni doveva placare il mondo arabo, sortiva esattamente il risultato opposto. Viceversa il chiaro sostegno americano per il diritto d'Israele a difendersi, ben lungi dall'indebolire la coalizione guidata dagli Stati Uniti, ha segnalato ai paesi arabi che era ora di abbandonare il vecchio copione e di premere seriamente su Arafat. [...] Non e' piu' sufficiente che Arafat chiuda per un po' nell'armadio i fondamentalisti di Hamas, pronto a tirarli fuori di nuovo appena gli va di farlo. Dall'11 settembre in poi, questa politica si chiama "dare ospitalita' ai terroristi". E se la guerra contro il terrorismo ha un senso, questo "reato" e' punibile con la rimozione dal potere.

(Jerusalem Post, 7.12.01)


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