Notizie su Israele 133 - 25 ottobre 2002


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Così parla il SIGNORE, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: il SIGNORE degli eserciti. «Se quelle leggi verranno a mancare davanti a me», dice il SIGNORE, «allora anche la discendenza d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza». Così parla il SIGNORE: «Se i cieli di sopra possono essere misurati e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch'io rigetterò tutta la discendenza d'Israele per tutto quello che essi hanno fatto», dice il SIGNORE.

(Geremia 31:35-37)




Le notizie riportate su queste pagine sono raccolte per essere lette e diffuse, quindi siamo ben contenti che siano fatte circolare. Siamo ancora più contenti quando viene citata la fonte italiana da cui sono state riprese, anche quando si tratta di notizie tradotte da notiziari esteri. Grazie. M.C.



GIORNATA DI PREGHIERA E SOLIDARIETA' PER ISRAELE


Più di 16.000 chiese e 4,5 milioni di cristiani negli USA si sono impegnati a pregare per Israele domenica 20 ottobre 2002. L'iniziativa è partita da un gruppo di responsabili cristiani che qualche giorno prima hanno diffuso, anche attraverso il sito internet "StandForIsrael.org", la seguente lettera.


Cari amici d'Israele,

    mentre la tensione nel Medio Oriente cresce e i nemici d'Israele continuano la loro campagna di terrore, noi ci rivolgiamo al nostro Padre celeste e a Lui chiediamo aiuto e liberazione. In questo spirito invitiamo voi e la vostra chiesa a unirvi a noi domenica 20 ottobre in una nazionale Giornata di Preghiera e Solidarietà con lo Stato d'Israele.
    La Bibbia ci esorta a "pregare per la pace di Gerusalemme (Salmo 122:6). Ora che la sopravvivenza stessa d'Israele è minacciata, mai per la chiesa degli Stati Uniti è stato più grande il bisogno di sostenere Israele.
    Israele deve affrontare ogni giorno un terrorismo indirizzato contro civili innocenti. Incessantemente continuano a esplodere bombe e i gruppi terroristici che organizzano questi assalti non danno segni di voler smettere. Alcuni militanti anzi annunciano apertamente la prossima bomba e sperano che faccia più vittime civili della precedente. Il prezzo pagato è incalcolabile - continui attacchi, devastazione economica e più di 600 vittime innocenti e migliaia di feriti. In proporzione alla popolazione, è come se l'America avesso avuto 25.000 morti negli attacchi dell'11 settembre.
    E' una delle più gravi crisi che Israele ha conosciuto.
    Per questo vi invitiamo a unirvi a noi in questa Giornata di Preghiera e Solidarietà con Israele domenica 20 ottobre. Cristiani ed Ebrei hanno entrambi il dovere e il compito di sostenere il popolo ebreo nel difendere la sua terra storica - un paese che Dio ha dato a loro come compimento della promessa fatta ad Abraamo. [...]
    Il 20 ottobre milioni di cristiani si uniranno insieme in una storica Giornata di Preghiera.
    La Bibbia ci esorta a pregare per Gerusalemme e dichiara che quelli che benedicono Israele saranno benedetti (Genesi 12:3). [...]

Firmato:

Dr. John Hagee
Tim Lahaye
Dr. Pat Robertson
Rabbi Yechiel Eckstein
Dr. Jerry Falwell
Ralph Reed
Dr. Richard Land
Dr. Jack Graham
Dr. Jack Hayford
Dr. James Merritt


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Ariel Sharon



Il Primo Ministro d'Israele, Ariel Sharon, ha inviato agli organizzatori della giornata di preghiera, attraverso l'ambasciatore Danny Ayalon, il seguente messaggio di saluto.


Membri della fede cristiana

Cari amici,

Shalom.


Vogliate gradire i miei speciali saluti in questo giorno di preghiera. Vi porto queste benedizioni da Gerusalemme, l'eterna capitale del popolo ebreo da 3.000 anni e per sempre capitale unica e indivisibile dello Stato d'Israele.
    Colgo questa occasione per esprimere il mio apprezzamento a voi e alla comunità cristiana negli Stati Uniti che si è riunita in questa giornata nazionale di preghiera per la pace di Gerusalemme e la sicurezza d'Israele.
    Oggi milioni di cristiani come voi sono riuniti in più di 16.000 chiese d'America e pregano per Israele.
    Questa grande manifestazione di solidarietà e sostegno a Israele dei cristiani americani è di grande incoraggiamento per me, per il mio governo e, cosa ancora più importante, per la popolazione israeliana. I vostri programmi e le vostre visite in Israele sono fonte di ispirazione e fiducia per tutti noi in questi tempi difficili.
    Uniti da questo legame di eterna amicizia, vinceremo ogni sfida e trionferemo nella battaglia per portare pace in questa terra e al suo popolo.
    Vi ringraziamo per le vostre perseveranti preghiere, per le vostre azioni e per il sostegno alla nostra nazione, ai nostri civili e ai nostri soldati. Questa terra promessa che è santa per voi, per noi e per altre fedi, è il solo posto al mondo in cui gli Ebrei hanno il diritto e la possibilità di difendersi da soli. E' questo che dobbiamo sempre preservare, se vogliamo avere una pace stabile e duratura.
    Desidero ringraziare Mr. Ralph Reed e Rabbi Yechiel Eckstein, della International Fellowship of Christians and Jews, per la loro amicizia e per aver organizzato questa Giornata di Preghiera con un gruppo così grande e vario di leader cristiani.
    Condividiamo con voi le preghiere e le speranze di scacciare dalle nostre vite le oscure forze del male, della follia e del terrore. E come ha eloquentemente detto la settimana scorsa il Presidente Bush, noi non vivremo nella paura. Con le vostre preghiere e il vostro fermo impegno, e con l'aiuto di Dio, possiamo fare in modo che la libertà e la ricerca della felicità  siano di nuovo evidenti nella nostra antica terra - la terra d'Israele.
    Shalom, e calorosi saluti da Gerusalemme.
    Cordialmente,

    Ariel Sharon

(Fonte: "StandForIsrael.org")



INTERVISTA A YASSER ARAFAT


"Allah, dammi il martirio"

  
Yasser Arafat

Il presidente dell'Autorità Palestinese, Yasser Arafat, ha recentemente concesso un'intervista a Saida Hamad, corrispondente da Ramallah del quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat. Arafat ha fatto un confronto tra il conflitto israelo-palestinese e l'accordo di Al-Hudaybiyya fatto dal profeta Maometto e dalla tribù Quraish della Mecca. Egli ha dichiarato che nessuno può abolire il diritto di ritorno e che il Muro del Pianto non ha alcun collegamento con il Tempio ebraico. Ecco alcuni estratti dell'intervista (1):


Hamad: "E' noto che l'esercito israeliano ha programmato di espellerla dai territori palestinesi, in un'area remota".
Arafat: "In un'area remota! Cioè, nel deserto! Sono benvenuti. 'O montagna! il vento non può scuoterti. Avete dimenticato il mio motto? Non mi prenderanno prigioniero, o espelleranno, ma come un martire, martire, martire. Allah, dammi il martirio. [Il Profeta Maometto disse:] 'Là c'è ancora un gruppo nella mia nazione che preserva la sua religione, batte il suo nemico e non è danneggiato da nessuno che lo attacchi, e il suo popolo è il vincitore, grazie alla forza di Allah'. Fu detto [al Profeta Maometto]: 'Messaggero di Allah, dov'è e chi è [questo popolo]?'. Il Profeta rispose: 'E' a Gerusalemme e nei suoi dintorni, e sarà in prima linea fino al Giorno del Giudizio'".

Hamad: "Durante il periodo in cui lei è stato sotto assedio, il popolo è accorso in suo aiuto e le ha fatto un nuovo giuramento di fedeltà. Inoltre, i sondaggi hanno mostrato che il 60% dei palestinesi voterebbe per lei".
Arafat: "Il sessanta per cento è molto. Mi accontenterei del 55%".

Hamad: "Ma l'80% appoggia la continuazione dell'Intifada e le operazioni armate".
Arafat: "Qualcuno pensa che il nostro popolo si arrenderà a questa occupazione, a questa distruzione e a questo assedio? Noi, come leadership e come popolo aderiamo ancora alla pace dei coraggiosi, che abbiamo firmato con il mio vecchio partner Rabin, che ha pagato per la pace dei coraggiosi [con la sua vita] agli estremisti che oggi [sono] ai vertici dell'attuale regime in Israele. La pace sulla terra della pace e sui luoghi santi non è solo per i palestinesi, ma per il mondo intero, per i nostri e per i loro bambini".

Hamad: "Il primo ministro israeliano Ariel Sharon offre ora una soluzione graduale. E' d'accordo a ripetere l'esperimento di Oslo?".
Arafat: "Ci sono risoluzioni che devono essere applicate. E ci sono accordi che devono essere realizzati".

Hamad: "Accetterebbe ancora un accordo a tappe?".
Arafat: "Queste cose saranno presentate al Consiglio Nazionale palestinese, che deciderà".

Hamad: "Il governo Sharon sta imponendo una politica del fatto compiuto sul territorio, per cambiare la realtà demografica. [Lo sta facendo] annettendo un appezzamento di terreno dopo l'altro, mentre i palestinesi stanno ancora cercando di far applicare le risoluzioni internazionali".
Arafat: "E' la prima volta, questa? Non hanno forse, alle Nazioni Unite, cancellato la Risoluzione 181? Quando Golda Meir venne al Canale di Suez e le fu chiesto del popolo palestinese, non rispose forse 'Non c'è un popolo palestinese'? Questo popolo palestinese è alle prese con questa situazione da Sykes-Picot, e anche prima, dal congresso sionista di Basilea, con questo programma [sionista], difendendo questa terra santa e i suoi luoghi santi".


"Nessuno può abolire il diritto di ritorno"

Hamad: "Sari Nusseibah, incaricato del dicastero di Gerusalemme, ha firmato con elementi della sinistra israeliana un documento, che include l'abolizione del diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi nelle case dalle quali furono espulsi".
Arafat: "Nessuno può abolire il diritto di ritorno. C'è la Risoluzione 194. Gliel'ho detto ufficialmente [nel quadro degli] accordi firmati tra loro e noi, e anche a Sharon e Netanyahu a Wye River".

Hamad: "Il tribunale palestinese ha deciso di liberare il segretario generale del Fronte Popolare Ahmad Sa'dat, e finora la decisione non è stata eseguita. Per quanto tempo rimarrà in prigione?".
Arafat: "Non dimentichiamo come gli hanno assassinato il fratello, senza ragione e in modo violento. Era un brav'uomo, non impegnato nell'attività politica. Il vice [di Sa'dat] Abd Al-Rahim Malouh, membro del Comitato esecutivo [del Fronte Popolare] è in prigione. Sa'dat e [Fuad] Al-Shobaki non sono in prigione; sono sotto tutela americano-europea a Gerico per un po', fino a quando il problema non sarà risolto".

Hamad: "Questo accordo costituisce un precedente per l'intervento straniero in questioni interne palestinesi".
Arafat: "Li ho consegnati agli israeliani?"

Hamad: "Non ha consegnato né Al-Tirawi (2) né Abu 'Awadh (3), [visto che] a quel tempo non c'era un accordo. Pensa che i due accordi [relativi alla crisi della Chiesa della Natività] siano stati un errore?".
Arafat: "In una delle battaglie di Al-Mu'ta (4), [intraprese] agli inizi dell'Islam, il primo, il secondo e il terzo comandante morirono da martiri. Il quarto comandante, Khaled Ibn Al-Walid, decise di ritirarsi. Quando tornò, il popolo era arrabbiato con lui. Ma il Profeta lo nominò [in elogio] 'La Spada Sguainata di Allah'. Non dimentichiamo che in battaglia si prendono decisioni difficili, ma alla fine la cosa più importante è che uno dei nostri ragazzi e una della nostre ragazze facciano sventolare la bandiera della Palestina sulle chiese, sui muri e sulle torri di Gerusalemme. Essi vedono questo come lontano, ma noi lo vediamo in arrivo, e la verità è con noi... 'Essi entreranno nella moschea come vi sono entrati la prima volta' (Corano, Al-Israa, 7)".

Hamad: "Il ministro degli Esteri israeliano, Shimon Peres, ha dichiarato che le riforme interne all'Autorità Palestinese la farebbero crollare".
Arafat: "E' stato lui a decidere sulle riforme, o sono stato io ad annunciarle in un discorso al Consiglio Legislativo [palestinese]? Se le riforme mi fanno cadere, allora sono benvenute; io non sto proponendo riforme per me, ma per la causa santa".

Hamad: "[La questione di] Gerusalemme è quella che ha silurato i colloqui al summit di Camp David. E ora è...".
Arafat: "Non solo Gerusalemme. È vero che loro volevano prendere quello che era sotto l'Haram e che noi avremmo avuto quel che era sopra. Questa era la proposta. E che essi controllerebbero il Quartiere Armeno. Io gli ho detto di non tradire gli Armeni. Inoltre [volevano] controllare la Chiesa di Gethsemani e l'area che la circonda, perché vogliono costruire insediamenti là. Questo, in aggiunta al loro controllo del confine con l'Egitto e di quello con la Giordania. Subito dopo il mio ritorno [da Camp David], io ho convocato il Comitato di Gerusalemme per una riunione e ho presentato questa [proposta], [dicendo] se siete d'accordo, io gli dirò di sì, e se rifiutate, così farò io".


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"Il Tempio non era in Palestina"

Hamad: "Oggi, con il pretesto di rotture nel Muro occidentale dell'Haram, il governo Sharon sta cercando di intervenire negli affari del Waqf".
Arafat: "Questo è molto pericoloso. E non è la prima volta. Per 34 anni hanno scavato tunnel, il più pericoloso dei quali è il grande tunnel. Non hanno trovato una sola pietra che provasse che il Tempio di Solomone era là, perché storicamente il Tempio non era [affatto] in Palestina. Hanno trovato solo resti del sepolcro del romano Erode. Ora hanno impedito al [ministro delle] Istituzioni religiose il controllo del restauro del muro meridionale dell'Haram. Ma noi stiamo seguendo questa questione a livello internazionale, e lei vedrà che l'intero mondo sarà dalla nostra parte...".

Hamad: "I comandanti dell'esercito israeliano si sono vantati di aver sconfitto i palestinesi e hanno aggiunto che vogliono che i palestinesi riconoscano [questa] sconfitta".
Arafat: "Dopo la battaglia di Uhud (5) dissero che il Profeta era stato sconfitto. E che cosa accadde? L'accordo di Al-Hudaybiyya (6), che Omar Ibn Al-Khattab definì umiliante".


L'accordo di Al-Hudaybiyya

Hamad: "L'opinione pubblica palestinese resta offesa quando l'Autorità emette una dichiarazione che condanna le operazioni armate. Dopo tutto, i palestinesi dicono che questa è una risposta naturale alla realtà dell'occupazione nel cuore del loro paese; perché, dunque, lei condanna la resistenza?".
Arafat: "Perché bisogna rispettare le decisioni emesse dalla leadership palestinese. Le ho dato due esempi: la battaglia di Al-Mu'ta e l'accordo di Hudaybiyya. Nessuno ha il diritto di violare le decisioni della leadership".

Hamad: "Ma i palestinesi dicono che è autodifesa".
Arafat: "Siamo noi a decidere, come leadership. In particolare, perché non posso approvare, in nome del mio onore di militare e di religioso islamico, di uccidere una donna nella strada o in un caffè, o un civile o un bambino o [uno studente] all'università...".

Hamad: "Ci sono state anche condanne [palestinesi] quando sono stati uccisi soldati e coloni".
Arafat: "No. Siamo precisi. Non cominci con domande e risposte [senza senso] perché io sarò più furbo di lei. Sono io quello che emette le decisioni, insieme alla dirigenza, e sono io quello che decide chi fa parte della dirigenza.. Quando ero ufficiale nell'esercito egiziano, non ho mai agito per conto mio. Eseguivo gli ordini. Nel 1973, quando tre di noi - egiziani, siriani e palestinesi – presero parte alla guerra, la leadership era nelle mani del comandante dell'esercito egiziano. Io comandavo sulla mia area e su ogni questione agivo in coordinamento con il comandante dei tre eserciti, che era il comandante egiziano. Le darò un altro esempio. Nel 1981 quando si svolse la battaglia nel Libano meridionale e arrivarono le forze internazionali e concordammo il cessate il fuoco, noi smettemmo [di sparare]. Ci sono decisioni che tutti devono rispettare".

Hamad: "E il dialogo con il movimento islamico, in particolare con il movimento [Hamas]?".
Arafat: "Il dialogo continua e ci sono fratelli che stanno seguendo la questione".

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Note:
(1) Al-Hayat (Londra), 5 ottobre 2002.
(2)(Tawfik Al-Tirawi, capo dell'apparato di intelligence palestinese. Insieme ad Arafat, si è nascosto nel quartier generale.
(3) Abu 'Awadh è il comandante di Forza 17. Anche lui si è nascosto nel fortino di Arafat.
(4) La battaglia di Mu'ta si svolse nel 629.
(5) La battaglia di Uhud, nel 625, tra Maometto e i suoi uomini e i politeisti della Mecca, si concluse con la sconfitta degli uomini di Maometto.
(6) L'accordo di Al-Hudaybiyya, nel 628, tra il Profeta e la tribù Quraish della Mecca, fu firmato per un periodo di 10 anni, che divenne, nella tradizione islamica, il limite di tempo per qualsiasi accordo con non-musulmani. L'accordo di Al-Hudaybiyya fu rotto dopo 18 mesi. L'esercito di Maometto conquistò allora la Mecca.

(The Middle East Media Research Institute n.428, 16.10.02)



INTERVISTA A UNA DEPUTATA DEL CONSIGLIO LEGISLATIVO PALESTINESE



La deputata palestinese Rawya Ash-Shawwa vive a Gaza ed è apprezzata per la sua indipendenza di giudizio nei confronti di tutti i movimenti palestinesi. Da Amman, in Giordania, ha concesso una lunga intervista a «Asharq Al Awsat», quotidiano saudita di Londa, di cui vengono qui riportati alcuni stralci. In particolare, descrive l'isolamento dei deputati palestinesi, mai informati, mai consultati. «Negli ultimi tre anni - sottolinea - non c'è stata una sola riunione, neanche per bere il tè»


Domanda - Nonostante tutto quello che è stato detto sul conflitto israelo-palestinese, il mondo esterno non sa molto di quello che succede nelle politiche interne palestinesi. Perché?
Rawya Ash-Shawwa - Il presidente Arafat ha dato l'impressione che solo lui rappresenta la direzione politica palestinese. Per anni ha riassunto così il suo messaggio: trattate con me e non guardate gli altri. Non si è neanche dato la pena di ascoltare i consigli di qualcuno.

Domanda - Ma in certi momenti ha potuto farlo.
R. Shawwa - Sì, perché i poteri arabi con cui Arafat era in rapporto erano tutti amministrati da uomini impregnati della stessa cultura. Anche loro criticano le politiche pluraliste e preferiscono lavorare con una sola persona. E' stata l'epoca degli uomini potenti del mondo arabo. Dopo la conferenza di pace (di Madrid) gli israeliani hanno cominciato a temere la sostituzione. Perché l'arrivo di una nuova direzione palestinese composta da palestinesi provenienti dall'interno avrebbe rivelato al mondo, in particolare agli americani, la realtà vissuta sul terreno. [...]

Domanda -Vuol dire che Arafat non ha consultato il Consiglio Legislativo Palestinese (CLP)?
R. Shawwa - Quando Arafat ha firmato gli accordi di Hebron, noi l'abbiamo saputo da Azmi Bishara (membro arabo della Knesset israeliana). Arafat non ha mai sentito il bisogno di venire a consultarci o a informarci. Tutta la Palestina appartiene soltanto a lui. Ma ogni tanto ci manda un consigliere, come Nabil Chaath o qualche altro, per i baciamani e per inondarci di elogi, per poi sparire. Era previsto che Mahmoud Abbas (Abou Mazen) venisse a informare la commissione politica del CLP di quello che sta avvenendo. Ma negli ultimi tre anni non c'è stata una sola riunione, neppure per bere il tè.

Domanda -Non ce l'avete un po' con Arafat?
R. Shawwa - Dio è testimone. Non è una questione personale. Arafat è imbevuto della medesima cultura di potere, se non di dittatura, degli altri dirigenti arabi. Quello che voglio dire è che questa politica dittatoriale non può portare che alla catastrofe. Nel caso palestinese, noi vediamo la forza militare israeliana, i suoi F-16 e i suoi apache. Ma dobbiamo anche vedere la forza del sistema politico israeliano, e come il suo governo è responsabile davanti al parlamento e davanti agli elettori. La storia ci fa capire quello che gli uni imparano dagli altri.

Domanda -La formazione di un nuovo governo Arafat cambierà qualcosa?
R. Shawwa - Arafat ha chiesto al vecchio governo di dare le dimissioni perché sapeva che non avrebbe ottenuto la fiducia al Consiglio Legislativo Palestinese. Per cinque anni ha rifiutato di firmare la legge fondamentale, il che significa che viviamo nel caos, senza nessun quadro legislativo. Adesso che ha firmato sotto la pressione americana, tenta di ridurre al massimo la sua portata. Arafat crede profondamente che la democrazia non sia che una perdita di tempo e i grandi uomini come lui devono governare il loro popolo. In ogni caso, abbiamo bisogno di nuove elezioni per eleggere un parlamento e un presidente, perché ogni governo nominato da Arafat non può fare altro che gestire gli affari correnti. [...]

Domanda -Si parla spesso di corruzione dell'Autorità Palestinese. Un responsabile europeo ci diceva che è uno dei governi del mondo più corrotti. E' vero?
R. Shawwa - Sì. E voi avete sentito soltanto la metà della verità. Ci sono tra noi persone che erano state private dei loro beni e che qualche hanno fa hanno fatto il loro rientro nell'Autorità, spesso soltanto con una sola camicia. Oggi quelle stesse persone sono milionarie, mostrano con fierezza le loro ville. Milioni di dollari si sono riversati sui Territori dell'Autorità senza che nessuno avesse idea della destinazione finale di queste somme. Il CLP non ha ricevuto alcuna relazione sull'utilizzazione di questi soldi. E' vietato fare uso del proprio diritto di sorveglianza. Gli espropriati di ieri sono diventati i ricchi di oggi. Si possono trovare dei prodotti alimentari donati ai palestinesi che sono venduti a Tel Aviv. L'ossessione dell'Autorità di controllare tutto ha indebolito la società civile. Molte ONG (Organizzazioni Non Governative) attive prima di Oslo oggi sono sparite o sono dei gusci vuoti. La dittatura e la corruzione sono gemelle inseparabili. Mentre gli israeliani ci rubano la nostra terra, noi dirigenti rubiamo al nostro popolo. E' inammissibile.

(Proche-Orient.info, 23.10.02 - trad. dall'arabo Zaher Barakate)



I "SUCCESSI" DELL'INTIFADA


da un articolo di Evelyn Gordon

    Per cosa combattono veramente i palestinesi? Chiunque voglia rispondere onestamente a questa domanda deve analizzare l'elenco dei "successi" dell'intifada fornito da vari esponenti palestinesi in occasione del secondo anniversario del suo inizio, alla fine di settembre.
    Per esempio il dottor Ali Sha'ath, figlio del ministro dell'Autorita' Palestinese Nabil Sha'ath, durante un convegno ad Abu Dabi ha dichiarato che l'intifada puo' vantare tre principali risultati: ha minato la sicurezza d'Israele, ha indebolito l'economia d'Israele e ha indotto degli ebrei a lasciare il paese. Un esponente palestinese anonimo intervistato da Ze'ev Schiff per Ha'aretz ha fornito un analogo elenco di obiettivi raggiunti. Primo, ha detto, i palestinesi sono diventati piu' bravi nell'uccidere israeliani: rispetto ai primi giorni dell'intifada, il rapporto tra vittime dell'una e dell'altra parte e' migliorato a vantaggio dei palestinesi. Secondo, l'immagine di Israele di fronte all'opinione pubblica internazionale e' precipitata.
    Cio' che e' interessante notare in questi e altri simili elenchi di "successi" e' che si tratta piu' di perdite israeliane che di vantaggi per i palestinesi. Chi fa questi elenchi, ad esempio, non afferma che l'intifada ha avvicinato in qualche modo l'obiettivo dichiarato di uno stato palestinese indipendente, cosa che d'altra parte, in tutta onesta', sarebbe molto difficile sostenere. Due anni fa, Israele e gli Stati Uniti insieme avevano proposto uno stato palestinese su tutta la striscia di Gaza e sul 97% della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e il Monte del Tempio. Oggi Israele si rifiuta del tutto di negoziare con questa Autorita' Palestinese e la sola superpotenza del mondo e' sulla stessa linea.
    Ne' sarebbe possibile sostenere che l'intifada ha migliorato le condizioni di vita dei palestinesi. Nei due anni trascorsi, il prodotto interno lordo palestinese e' crollato di piu' della meta', la disoccupazione tocca il 50% e il ritorno delle Forze di Difesa israeliane dentro le citta' palestinesi da cui si erano ritirate sette anni fa ha comportato un fardello di posti di blocco e coprifuoco come non si era mai visto nei 28 anni di amministrazione israeliana precedenti la nascita dell'Autorita' Palestinese.
    Ma nonostante tutto questo, secondo un sondaggio pubblicato ai primi di ottobre dal Jerusalem Media and Communication Center, il 71% dei palestinesi ritiene che i "successi" conseguiti dall'intifada siano abbastanza significativi da giustificare la continuazione delle violenze.
    L'unica conclusione logica che si puo' trarre da questi elementi fa venire i brividi: per i palestinesi, l'obiettivo di creare un proprio stato e' meno importante dell'obiettivo di scalzare lo stato ebraico. Solo cosi' si puo' spiegare come mai gli elenchi di "successi" fatti dagli esponenti palestinesi non hanno nulla a che vedere con il miglioramento delle prospettive per i palestinesi e hanno tutto a che vedere con il peggioramento delle prospettive per gli israeliani: gravi rischi per la loro sicurezza personale, crisi economica, contumelie internazionali. Solo cosi' si puo' spiegare come mai una larga maggioranza dei palestinesi continua ad appoggiare una politica che ha immiserito la loro vita personale e ha allontanato l'obiettivo dell'indipendenza.
    Israeliani, americani ed europei trovano generalmente incomprensibile il sostegno dei palestinesi per il conflitto violento e gli attentati. Innumerevoli volte in questi due anni giornalisti, politici e osservatori comuni si sono posti la stessa domanda: come e' possibile che i palestinesi non capiscano che violenze e attentati danneggiano la loro stessa causa?
    Tuttavia, se la "causa" e' colpire Israele piu' che promuovere il benessere dei palestinesi, allora la radicata dedizione all'intifada diventa del tutto logica. I "successi" citati dai palestinesi sono realistici: il senso di sicurezza personale dei cittadini israeliani e' gravemente compromesso, l'economia del paese soffre della situazione e il suo status a livello internazionale e' seriamente incrinato. Se questo e' cio' che vogliono, intifada e attentati sono un'ottima tattica per ottenerlo.
    L'idea che i palestinesi non siano in grado di capire che le violenze e gli attentati li danneggiano e' incredibilmente paternalistica. Presuppone che un'intera societa' sia troppo stupida per capire cose cosi' evidenti come il fatto che oggi stanno personalmente peggio di come stavano due anni fa, o il fatto che oggi gli israeliani sono molto meno disposti di due anni fa verso uno stato palestinese indipendente collocato letteralmente a un tiro di schioppo dai loro principali centri abitati. Se si preferisce pensare che la societa' palestinese sia stupida e' solo perche' e' troppo inquietante accettare l'altra spiegazione, e cioe' che i palestinesi capiscono benissimo cio' che fanno e che vogliono fare.
    E' ora che gli israeliani e il resto del mondo ascoltino finalmente quello che i palestinesi dicono con le parole e con i fatti: per una grande maggioranza di loro, l'obiettivo di colpire l'economia, la sicurezza e la posizione internazionale di Israele e' tanto importante che vale gli alti costi in termini personali e nazionali che stanno pagando. E finche' le cose stanno cosi', l'idea che uno stato palestinese possa porre fine al conflitto e' una pia illusione: giacche' l'obiettivo non e' uno stato palestinese che prosperi accanto a un prospero Israele, bensi' un Israele moribondo anche a costo di rendere moribonda la societa' palestinese al suo fianco.

(israele.net, 22.10.02 - dalla stampa israeliana)


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