Notizie su Israele 159 - 7 marzo 2003


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C'è una folla, una moltitudine, nella valle del Giudizio! Perché il giorno del SIGNORE è vicino, nella valle del Giudizio. Il sole e la luna si oscurano e le stelle perdono il loro splendore. Il SIGNORE ruggirà da Sion, farà sentire la sua voce da Gerusalemme, e i cieli e la terra tremeranno; ma il SIGNORE sarà un rifugio per il suo popolo, una fortezza per i figli d'Israele.

(Gioele 3:14-16)


PARATA MILITARE A BAGDAD IN «VIA PALESTINA»


  
Terroristi palestinesi di Hamas vestiti da assassini-suicidi marciano durante una manifestazione pro-Saddam tenuta il 24 gennaio 2003 nel campo profughi di Rafah, nel sud della striscia di Gaza.
  
   Soldati iracheni esultano e cantano slogan patriottici durante una parata militare tenuta mercoledì 5 marzo 2003 a Bagdad, in una strada che "per caso" si chiama "via Palestina".
"Martiri" volontari iracheni, vestiti da terroristi suicidi, tornano con i loro fucili dalla parata militare tenuta a Bagdad, in via Palestina, il 5 marzo 2003.
   Dopo aver partecipato alla manifesta- zione di Bagdad, in via Palestina, i "martiri" iracheni sono a bordo del pullman che li riporta casa.


IL SERMONE DI BIN LADEN PER LA FESTA DEL SACRIFICIO


Molti siti web islamici (1) hanno pubblicato un sermone tenuto dal leader di Al-Qa'ida Osama Bin Laden nel primo giorno dell'`Id al-Adha, la Festa del Sacrificio, la più importante dell'anno musulmano [l'11 febbraio 2003]. Ecco alcuni estratti del sermone di Bin Laden. Per leggere la versione completa,  visitare http://www.memri.org/binladensermon.


"…Ora ci troviamo a confrontarci ancora una volta con lo spirito dell'accordo Sykes-Picot [sotto altro nome]:  l'accordo Bush-Blair, concluso sotto la stessa bandiera e per lo stesso scopo; la bandiera è quella della croce, lo scopo è la distruzione e il saccheggio della Nazione dell'Amato da Allah [Maometto]…".
 
"I preparativi per la divisione della Terra dei Due Luoghi Santi [cioè l'Arabia Saudita] costituiscono la parte principale del loro piano... L'obiettivo americano nell'area in generale e, specificatamente, la divisione della Terra dei Due Luoghi Santi. non è solo una passeggera nube estiva; è un obiettivo strategico che la menzognera politica americana non ha mai perso di vista...".

"Uno degli obiettivi più importanti del nuovo attacco Crociato è di lastricare la strada e preparare la regione, dopo la sua frammentazione, all'istituzione di quello che è noto come 'il Grande Stato d'Israele', i cui confini comprenderanno aree estese di Iraq ed Egitto, attraverso Siria, Libano, Giordania, tutta la Palestina e larghe parti della Terra dei Due Luoghi Santi…".

"Oh popolo, non temere l'America e il suo esercito. Per Allah, li abbiamo colpiti e sconfitti molte volte. In combattimento essi sono i più codardi. La nostra difesa e la nostra guerra contro il nemico americano hanno mostrato che la capacità bellica [dell'America] è principalmente di natura psicologica, basata sul suo vasto apparato di propaganda. È anche basata su intensi bombardamenti dall'aria, progettati per nascondere la sua debolezza più evidente: la codardia e la mancanza di combattività del soldato americano...".
 
"Più tardi [dopo l'attacco al cacciatorpediniere 'Cole'] i mujahideen hanno visto che la banda di criminali dal cuore nero della Casa Bianca stava travisando l'evento, e che il loro capo, che è uno stupido a cui tutti obbediscono, stava sostenendo che noi siamo invidiosi del loro stile di vita, mentre la verità – che il Faraone della nostra generazione nasconde – è che noi li attacchiamo a causa del modo con cui ci opprimono nel mondo musulmano, specialmente in Palestina e in Iraq, e a causa della loro occupazione della Terra dei Due Luoghi Santi. Quando i combattenti della Jihad hanno visto questo, hanno deciso di agire in segreto e di spostare la battaglia proprio nella sua casa [quella del presidente americano] e nel suo proprio paese".

"Quel martedì benedetto... l'11 settembre 2001.. alcuni giovani che credevano nel loro Signore... hanno compiuto il raid per mezzo di aerei nemici, con un'operazione coraggiosa e splendida, a cui l'umanità non aveva mai prima assistito. Essi hanno frantumato gli idoli americani e danneggiato il vero cuore, il Pentagono. Hanno colpito al cuore l'economia americana, hanno strofinato il naso dell'America nella sua sporcizia e trascinato il suo orgoglio attraverso il fango. Le torri di New York sono crollate, e il loro crollo ha prodotto una débacle anche più grande: il crollo del mito della superpotenza americana e il crollo del mito della democrazia; il popolo ha cominciato a capire che i valori americani potrebbero sprofondare al livello più basso. Il mito della terra della libertà è stato distrutto, il mito della sicurezza nazionale americana è stato infranto e il mito della CIA è crollato, tutto grazie ad Allah…".

"La gente ha scoperto che è possibile colpire l'America, quella potenza oppressiva, e che è possibile umiliarla, portarla in disprezzo e sconfiggerla. Per la prima volta, la maggioranza del popolo americano [ora] comprende la verità della questione palestinese e che il colpo inferto a Manhattan è il risultato della politica oppressiva del suo governo... L'America è una grande potenza dotata di un'enorme forza militare e di un'economia molto diversificata, ma tutto questo è costruito su una fondazione instabile che può essere colpita, specialmente nei suoi evidenti punti deboli. Se essa [l'America] è colpita in un centesimo di quei punti, se Dio vuole, vacillerà, svanirà e abbandonerà la leadership del mondo e la sua oppressione…".
 
"Il nostro contrasto con i governanti non è un disaccordo secondario, dato che stiamo parlando del principio essenziale dell'Islam: la shahada [cioè, la professione di fede musulmana] [che stabilisce che] 'non c'è altro Dio all'infuori di Allah, e Maometto è il suo Profeta'. Quei governanti  hanno violato le basi [di questo principio] alleandosi con infedeli, facendo passare leggi artificiali inventate dall'Uomo e approvando e applicando le leggi infedeli dell'ONU. Per quanto riguarda la legge religiosa, la loro regola è stata a lungo nulla e vuota ed è impossibile rimanere sotto il loro dominio... Non c'è differenza fra il Karzai di Riad e il Karzai di Kabul…".
 
"I governanti che vogliono risolvere i nostri problemi, uno dei più importanti dei quali è la questione palestinese, per mezzo dell'ONU o dei dictat americani, com'è stato il caso dell'iniziativa del Principe Abdallah ibn `Abd al-`Aziz a Beirut...-  questi governanti hanno tradito Allah e il suo Profeta e si sono espulsi dalla comunità musulmana, e hanno tradito la Nazione [musulmana] …".
 
"Spetta a tutti i musulmani rinnegare questi governanti tirannici. È ben noto che rinnegare la tirannia non è solo un atto di meritevole zelo; è invece uno dei due pilastri del monoteismo, senza il quale l'Islam non può affermarsi…".

"Come per il corrotto 'ulama, i lacché di palazzo, i pennivendoli e i loro compari... questi ecclesiastici si sono sicuramente allontanati dalla giusta strada. [Un musulmano] dovrebbe distanziarsi da loro e mettere in guardia gli altri sul loro conto...".
 
"Il più importante dovere religioso - dopo la fede stessa - è di proteggersi e di  combattere il nemico aggressore... La Jihad oggi è obbligatoria per la nazione islamica, che è in uno stato di peccato a meno che non dia dei suoi figli, delle sue proprietà e dei suoi poteri qualunque cosa sia richiesta per continuare la Jihad, che vuole proteggere tutti i musulmani in Palestina e altrove dalla potenza militare degli infedeli... Spetta ai musulmani impegnarsi nella Jihad in modo tale da ristabilire la verità ed eliminare la menzogna - ciascuno secondo le proprie capacità…".
 
"Oggi la partecipazione personale alla Jihad, sebbene sia compito della Nazione [islamica] in generale, riguarda specialmente i giovani, anziché quelli di mezza età e gli anziani. Allo stesso modo, l'obbligo di partecipare finanziariamente alla Jihad riguarda principalmente il ricco. Allah, nella sua grazia, ha aperto il cuore di molti nostri giovani ad impegnarsi nella Jihad per Suo amore e per difendere la Sua religione e i Suoi servitori [i musulmani]]. È compito della Nazione aiutarli, incoraggiarli e agevolarli, in modo che essi possano difenderla e proteggerla da ingiustizia, vergogna e peccato. Bisogna anche continuare l'attuale Jihad e sostenerla in tutta la sua forza, cosa che è molto difficile, come possiamo vedere in Palestina, in Cecenia, Afghanistan, Kashmir, Indonesia, nelle Filippine e in altri territori musulmani. La bandiera della Jihad non rimarrebbe in alto là, di fronte al crudele attacco dei nemici, senza - oltre alla grazia di Allah - l'immenso sacrificio di sofferenza, di sangue e di corpi lacerati, che Allah li accolga come martiri".
 
"Sono lieto di dirvi che la Jihad in Afghanistan sta andando bene, grazie a Dio, e che le cose stanno migliorando a favore dei mujahideen, grazie ad Allah. Siamo ora nel secondo anno di combattimenti, e l'America non è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi... Gli americani sono ora in reale difficoltà: non sono in grado di difendere le loro proprie forze, né possono stabilire uno stato capace di proteggere il proprio presidente - tanto meno chiunque altro... La sconfitta dell'America in Afghanistan sarà, se Dio vuole, l'inizio della sua fine…".
 
"Essa [la nazione islamica] dovrebbe temprarsi e prepararsi per la vera vita, una vita di uccisioni e di guerra, di spari e di combattimenti corpo-a-corpo... Dovrebbe sapere che cercar di uccidere americani ed ebrei ovunque nel mondo è uno dei doveri più grandi [per i musulmani] e la buona azione più preferita da Allah, il Sommo...".
 
"Sono lieto di informare tutti voi – e, in particolare, i nostri fratelli in Palestina - che i vostri fratelli impegnati nella Jihad continuano a perseguire la via della Jihad, a prendere di mira ebrei e americani. L'operazione di Mombasa è solo la prima goccia che preannuncia la pioggia imminente…".

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Nota:
(1) 16 febbraio 2003. www.cambuur.net/cocl (Al-Nida website).

(The Middle East Media Research Institute n.476, 07.03.2003)



LETTERA IMMAGINARIA DI UN TERRORISTA SUICIDA A SUA MADRE


di Itamar Marcus

    Nella rubrica letteraria di questa settimana [27.02.2003] del quotidiano ufficiale palestinese Al Hayat Al Jadida, una poesia, scritta in forma di lettera di un terrorista suicida a sua madre, glorifica e idealizza ogni azione della sua morte assassina e suicida.
    L'Autorità Palestinese promuove così la Shahada (la morte per Allah) in genere e il terrorismo suicida in particolare, alla sua popolazione e in special modo ai bambini, durante questi ultimi anni di conflitto.
    Questa poesia dimostra come la promozione continua, nonostante il recente e tanto pubblicizzato appello al cessate-il-fuoco da parte dell'Autorità Palestinese.
    Il "figlio" che considera la sua morte per uccidere gli Ebrei come una cerimonia nuziale ed esorta sua madre a rallegrarsene sono espressioni usuali e oridnarie della cultura di guerra palestinese degli ultimi due anni e mezzo, pubblicata e trasmessa centinaia di volte in numerosi contesti.
    Quello che segue è il testo della lettera immaginaria del terrorista suicida:


"Lettera di uno Shahid alla sua mamma"


di Abdul Badi Iraq

"Mia cara madre,
... ho avvolto il mio corpo con determinazione, con speranza e bombe.
Ho chiesto di raggiungere Allah e la patria combattente.
La cintura esplosiva mi fa volare, mi incoraggia a fare presto.
Io la calmo, dobbiamo stare fermi, non siamo ancora arrivati.
Comincio a liberarmi; comincio a liberarmi, mi faccio esplodere come la lava che brucia vecchie leggende e vanità,
Comincio a liberare il mio corpo, da tutte le pene e l'oppressione, verso cumuli di bestie...
Comincio a liberarmi, oh madre, libero le catene e i ceppi.

E tu mi hai trovato risorgere e risorgere come una candela illuminata da prezioso olio d'oliva.
E tu mi hai visto mandare un bacio sulle moschee e le chiese, le case e le strade.

Stormi di piccioni volavano sui portici
Al-Aqsa sorrideva e mi dava un segno che noi non dormiremo.

L'alba è vicina, oh madre, e sorgerà dalle armi, dalle rilucenti lance
Sarà illuminata da una ferita sanguinante...
Le nozze sono le nozze della nostra terra.
Risuona un grido di gioia, oh madre, io sono lo sposo..."

(Palestinian Media Watch - livuso, 03.03.2003)



ARAFAT MANDA UN TELEGRAMMA AL «FRATELLO-PRESIDENTE SADDAM HUSSEIN»


Testo del telegramma del capo dell'Olp a Saddam Hussein per la Festa del Sacrificio. Arafat si unisce in preghiera con Saddam affinché Israele venga spazzato via.


A Vostra Eccellenza, fratello-presidente Saddam Hussein,
gli auguri e la benedizione di Allah cadano su di voi.
   
    Mentre la nostra nazione gloriosa celebra la Festa del Sacrificio e della redenzione, desidero inviare a voi e attraverso voi al vostro illustre governo e al vostro popolo, nostro confratello, in nome del popolo palestinese e della sua dirigenza, e da parte mia personale, i più calorosi saluti, le congratulazioni di cuore e sincere, le nostre preghiere più ferventi ad Allah il Glorioso; possa Egli condurre i nostri passi sul cammino della virtù, del successo, possa far progredire i nostri popoli, rafforzare i legami fraterni, la cooperazione e la solidarietà in modo da servire i nostri interessi, i nostri diritti, le nostre nazioni, il futuro delle nostre generazioni, e respingere tutti i pericoli che ora incombono sulla nostra regione.
    In questa occasione benedetta, che noi stiamo celebrando con il nostro popolo palestinese nella Terra Santa di Palestina, la prima delle due Qibla (la direzione verso la quale i musulmani si rivolgono in preghiera), la terra di Al-Israa wa Al-Mi'raj (l'ascesa notturna del profeta Maometto al cielo da Gerusalemme, e il suo ritorno alla terra), mi auguro con fiducia e speranza che i nostri confratelli nella nostra grande nazione ci sostengano ancora di più nella fase difficile e pericolosa che stiamo attraversando, con tutte le sue vecchie e dolorose ferite.
    Ci aiutino a ridurre la sofferenza del nostro popolo paziente e resistente, sostengano la nostra immutata resistenza nell'affrontare la macchina da guerra israeliana, la sua aggressione, i delitti, la distruzione. Ci aiutino a minare i tentativi e i piani con i quali il governo di Israele, la potenza di occupazione, sta cercando di far saltare il processo di pace e le fondamenta istituzionali dell'Autorità palestinese, anche per cambiare con la forza la sua dirigenza regolarmente eletta, per imporci una soluzione israeliana che serva gli interessi di Israele e le sue mire avide sulla Terra Santa, e sulle nostre risorse, per rafforzare i vili insediamenti e l'occupazione della nostra terra. Ogni tipo di sostegno e di assistenza da parte vostra in questi tempi difficili ci permetterà di continuare la nostra resistenza, finché non riusciremo a mettere fine all'occupazione, in tutte le sue forme, della nostra sacra Al-Quds (Gerusalemme) e dei luoghi sacri islamici e cristiani, a esercitare i nostri diritti legali, basati su risoluzioni internazionali, e, ancora più importante, i diritti all'autodeterminazione, al rimpatrio, al ristabilimento del nostro Stato Indipendente, con capitale Al-Quds Al-Sharif (Gerusalemme).
    Vi rinnoviamo i nostri auguri fraterni dal cuore, e a Vostra Eccellenza auguriamo il meglio in salute e felicità, possa Allah il Potente proteggere l'Iraq dai grandi pericoli e dai mali che lo minacciano, e insieme, mano nella mano, marceremo su Al-Quds- Al Sharif.

Yasser Arafat - Ramallah 5 febbraio 2003

(da "Il Foglio")

  
    
NOTA - La «fratellanza» di Arafat con Saddam è talmente stretta che quest'ultimo invia 25.000 dollari ad ogni famiglia di un attentatore suicida palestinese e 10.000 dollari se il terrorista non è un kamikaze. Tra gli atti di "buona volontà" richiesti dall'ONU al presidente iracheno non compare la cessazione di questo sostegno alla strage di israeliani, e neppure ne parlano gli ardenti fautori della "pace". Il fatto che continuino a saltare in aria decine di israeliani non sembra turbare le  loro coscienze,  né la loro visione della "pace". Chi ha il Windows Media Player può vedere il filmato di una cerimonia in cui Hamas consegna fondi provenienti dall'Iraq alle famiglie dei terroristi palestinesi.
cliccare


«IL NO DI CHIRAC ALLA GUERRA E' UN NO FARISAICO»


Intervista di Marc Tobiass a Pilar Rahola, ex deputata della sinistra repubblicana spagnola e ardente militante dei diritti dell'uomo, sulla posizione della Francia e della Spagna sulla guerra in Iraq.


M. Tobiass - Come considera lei il ruolo della Francia nella crisi irachena?
P. Rahola - La Francia, secondo me, fa un gioco di grande perversità. Utilizza dei sentimenti positivi, gli slanci in favore della pace, per servire i suoi interessi particolari. Molto più interventista sulla scena internazionale dei paesi che si mobilitano in vista di un intervento militare in Iraq, la Francia si preoccupa di difendere la posizione provilegiata che ha acquistato in questi paesi: nel 2001 è diventata il primo fornitore dell'Iraq. E poiché è la politica che facilita i contratti commerciali con i regimi totalitari, ogni cambiamento politico a Bagdad rischierebbe di indebolire, o addirittura compromettere la sua posizione su questo mercato. E' la Francia che ha venduto un reattore nucleare all'Iraq, reattore che per fortuna è stato distrutto dall'aviazione israeliana, altrimenti oggi dovremmo fare i conti con un paese già nuclearizzato. E' ancora lei che ha portato il suo sostegno all'Iraq nella sua guerra contro l'Iran. Ed è infine ancora lei che ha recuperato la maggior parte delle concessioni petrolifere in Iraq. Di fatto, il suo "no" alla guerra è un no "farisaico" - senza contare che la sua posizione in questo affare riflette anche la sua ambizione di controbilanciare la politica americana.

M. Tobiass - Che cosa pensa delle rimostranze mosse dal presidente francese agli otto paesi europei che si sono dichiarati in favore dell'alleanza transatlantica, e del suo disprezzo manifestato verso i

paesi dell'Est che devono, in linea di principio, aggiungersi all'Unione Europea?
P. Rahola - Chirac ha utilizzato la vena anti-americana esistente in Europa. E' un errore fondamentale. L'Europa non può fondare così la sua politica estera, così come non dovrebbe riunirsi intorno a una politica fondata su una posizione anti-israeliana. Chirac, facendo questo gioco, non fa che attentare all'Europa stessa. La Francia coltiva la sua leggendaria figura di patria dei Diritti dell'Uomo, ma quando strumentalizza e manipola i sentimenti anti-guerra d'una popolazione acquietata dall'assenza prolungata di conflitti sul suo suolo, il suo atteggiamento è deplorevole proprio dal punto di vista dei diritti dell'uomo. Bisogna anche ricordarsi che la Francia è stata particolarmente attiva contro i diritti dell'uomo in Africa.
    Quanto all'attitudine arrogante del presidente francese verso dei paesi dell'Est - quando afferma che hanno perso un'occasione per stare zitti - questo mi ricorda i padrini della mafia: "Chi non è con me è contro di me". E con me significa contro gli Stati Uniti. L'Europa deve avere la sua propria politica, ma questo non implica che deve avere una politica anti-americana. A questo proposito, l'Europa farebbe meglio a rivedere il suo approccio paternalitistico del conflitto in Medio Oriente, così come il suo atteggiamento generale verso il mondo arabo e l'Iraq. Un atteggiamento che non è soltanto acritico, ma anche profondamente suicida...

M. Tobiass - "Suicida"... potrebbe spiegare?
P. Rahola - L'atteggiamento anti-americano della maggior parte dell'Europa, e particolarmente della maggior parte degli intellettuali, vota il continente a una disfatta e lo trasforma in un semplice club di interessi. Se l'Europa dovesse definire la sua identità a partire da uno spirito sistematico di contraddizione che discende dal suo anti-americanismo, in perfetta armonia con il suo antisemitismo storico, non ci arriverebbe mai. Il processo europeo che consiste nel negare la sua identità ebraica, così come i suoi legami con gli Stati Uniti - due elementi fondamentali della storia europea -, con l'aggiunta del paternalismo acritico di cui ho parlato prima, è in realtà un processo suicida. L'Europa ha dato i natali a due mostri: lo stalinismo e il nazismo. Ha lasciato che si propagassero, li ha trattati con deferenza, e non ha mai fatto autocritica. E i due l'hanno distrutta.
    E' curioso constatare che l'Europa è critica soltanto verso le contraddizione delle sue democrazie, mentre s'innamora facilmente di orribili dittature. Mobilita la sua coscienza soltanto quando vede una stella di Davide o una bandiera americana su un carro armato. Quando i missili di fabbricazione francese, per fare un esempio, o i reattori nucleari o le bombe portano un'altra insegna, l'Europa dimentica che esiste una coscienza. Nella situazione attuale, il paternalismo con cui si considera il pericolo reale ed effettivo del regime di Bagdad è un altro esempio di questo profondo accecamento. Così come spesso si considera il terrorismo palestinese come una conseguenza naturale della politica israeliana; come dire che, in fondo, gli Israeliani sono responsabili della loro propria morte. E' suicida il fatto che la lotta contro il terrorismo non sia trattata in Europa con la severità, il rigore e l'acutezza richiesti. E' suicida allevare nel proprio seno un'ideologia totalitaria che stringe il mondo musulmano in una trappola mortale e che, distruggendo la nostra cultura, distrugge la cultura musulmana.

M. Tobiass - Come considera l'atteggiamento del governo spagnolo nella crisi irachena?
P. Rahola - La mia opinione è ambivalente. Da una parte, capisco che l'obiettivo personale di Aznar è di avere voce in capitolo sulla scena internazionale. Bisogna ricordare che prima che arrivasse al potere i socialisti lo consideravano un leader mediocre, senza statura internazionale. Inoltre è evidente che la Spagna non ha mai avuto peso nelle grandi decisioni mondiali, e che ogni governo intelligente deve saper cogliere l'occasione. D'altra parte, la Spagna, per delle evidenti ragioni, è particolarmente sensibile al problema del terrorismo. Con il suo atteggiamento forte, e soprattutto irremovibile, Aznar è riuscito ad essere presente sulla scena internazionale e ad assicurarsi una coordinazione con gli americani nella sua lotta contro il terrorismo interno. Questi sono gli aspetti più comprensibili del suo atteggiamento.
    Tuttavia, altri fattori spiegano anche il suo atteggiamento. Aznar è un dirigente dall'istinto autoritario, ma senza il legame democratico di un Blair o anche di un Bush. Questo lo porta a disprezzare il Parlamento, l'opposizione e perfino l'opinione pubblica. Adottando un comportamento politico fondato sulla potenza, non si preoccupa di arrivare ad un consenso, per minimo che sia. Inoltre, la Spagna non ha la stazza delle grandi potenze mondiali, non ha un esercito importante, né una grande solidità amministrativa. Di qui una situazione un po' assurda: Aznar va a visitare Bush nel suo ranch, ma si mostra incapace di gestire una catastrofe ecologica nel suo paese: la macchia di petrolio. Se si paragonano gli eserciti inglesi e americani a quello della Spagna, c'è un tale abisso da farci sprofondare nel massimo ridicolo. Insomma, gli USA e la Gran Bretagna possono dare il tono sulla scena mondiale, mentre la Spagna deve ancora assicurarsi che i suoi treni funzionino correttamente. All'occorrenza, non può né deve aspirare a pilotare l'aereo. Del resto, il comportamento bellicoso di Aznar trasforma la Spagna in un obiettivo del terrorismo islamista, mentre non è assolutamente preparata ad affrontre un problema di tale ampiezza. E' per questo che Aznar sfiora l'irresponsabilità.

M. Tobiass - Lei è di sinistra. Tuttavia, nella questione di un intervento in Iraq, lei si trova nello stesso campo del governo di destra di Josè Maria Aznar. Come vive questa apparente contraddizione?
P. Rahola - Il mio impegno si situa nella morale e nell'etica, ciò che evidentemente non è il caso di Aznar, come ho appena detto. Non mi sembra per niente che il suo  atteggiamento sia una lotta contro il terrorismo. Attraverso questa griglia di lettura, tendo a mettere nello stesso cesto sia la bandiera della pace sventolata dalla Francia che l'atteggiamento guerriero della Spagna: si potrebbero scambiare i ruoli se gli interessi economici e politici si invertissero. Ma io penso che ci sono dei pacifismi che uccidono e che un intervento in Iraq rafforzerà la lotta contro il totalitarimo e può prevenire il pericolo di altri focolari di destabilizzazione - in Arabia Saudita e in Siria, in particolare. Sarà inoltre una boccata d'ossigeno offerta alle possibilità di pace tra Palestinesi e Israeliani. Non bisogna dimenticare che la guerra del Golfo nel 1991 ha permesso gli accordi di Oslo, e che solo l'irresponsabilità di un altro tiranno - Arafat - ha condotto al disastro.

M. Tobiass - Milioni di persone sono scese nelle strade in tutta l'Europa per manifestare la loro ostilità alla guerra e il loro attaccamento alla pace.
P. Rahola - Posso capire i motivi positivi delle persone che scendono nelle strade. La pace è un simbolo che può unirci tutti. Ma bisogna anche sapere di che cosa si parla, quando si parla di pace; bisogna chiedersi se tutte quelle persone che hanno sfilato dietro lo stendardo della pace sono realmente dei pacifisti, e se tutti quei pacifisti sono persone per bene. Una buona parte di quelli che sono mobilitati provengono da quella sinistra che non ha mai saputo fare un esame di coscienza in rapporto ai suoi errori del passato. Sono i rappresentanti delle grandi correnti ortodosse della sinistra storica, la maggior parte dei quali si è innamorata di dittatori, tra i quali Saddam Hussein. Sono prigionieri di un pensiero autoritario - quasi totalitario - che si erge contro la guerra perché dall'altra parte ci sono gli Americani. Non si sono mai visti ergersi contro gli orrori perpetrati da Saddam Hussein al tempo della sua guerra contro l'Iran o contro le popolazioni curde, né contro i massacri del regime integralista di Kartum nei riguardi di altri Sudanesi, e neppure contro il terrorismo integralista in Algeria.

M. Tobiass - Non c'erano soltanto dei rappresentanti di questa sinistra nelle manifestazioni...
P. Rahola - Sì, è vero, c'erano anche molti giovani, degli ingenui che non capiscono che ci sono situazioni in cui la guerra è giustificata. Mi domando qualche volta se tutta l'Europa non sia presa dalla sindrome di Chamberlain. Nel 1938, Chamberlain aveva anche lui deciso di non intervenire, aveva preferito firmare l'infame Trattato di Monaco.

M. Tobiass - Non è rimasto sorpreso dal vedere tutti quei pacifisti mobilitarsi contro la guerra senza lanciare appelli alla destituzione di Saddam Hussein? Perché in fondo, se si tiene a regolare pacificamente questa crisi irachena, sarebbe certamente più efficace muoversi nella direzione di affrettare la partenza volontaria del dittatore di Bagdad, come d'altra parte chiedono diversi paesi arabi della regione.
P. Rahola - Questa sinistra tradizionale, raccolta intorno all'anti-americanismo, ha sempre mostrato verso i dirigenti arabi un paternalismo che coltiva l'illusione che ogni paese arabo, quale che sia, è un paese amico. L'indifferenza nei riguardi della dittatura di Saddam e della sorte delle popolazioni che ne sono le prime vittime è effettivamente scandalosa. Tuttavia la caduta di Saddam Hussein e una democratizzazione del mondo arabo favorirebbero la pace tra Israeliani e Palestinesi. Ma l'Europa rifiuta di capire questa possibilità, non vuole prenderla in considerazione, non le accorda alcun valore positivo. Quando si avanza l'idea di un rimodellamento politico del Medio Oriente, gli Europei non vedono altro che l'influenza della lobby ebrea sull'amministrazione americana. Di fatto, le politiche come quelle di Chirac non fanno altro che strumentalizzare i sentimenti pacifisti - in sé positivi - di persone che non sono informate della realtà del regime di Saddam Hussein.

M. Tobiass - Per concludere, che esempio può dare alla giovane generazione per tentare di farle comprendere che cos'è realmente il pacifismo?
P. Rahola - I giovani farebbero meglio a trarre una lezione dal comportamento del Mahatma Gandhi, il più grande leader pacifista della storia. Lui decise di porre una tregua al suo combattimento contro i Britannici quando la Gran Bretagna entrò in guerra contro la Germania nazista. Prese questa decisione perché allora aveva considerato che la guerra contro il nazismo era una priorità. Questo significa che questa figura emblematica non era incondizionatamente contro la guerra. Qualche volta la posizione pacifista  richiede di dover fare la guerra.

(Proche.Orient.info, 04.03.2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it)



IL TERRORISMO IN ISRAELE E LA CECITA' DELL'EUROPA


Una via senza uscita

di Angelo Pezzana

   Mentre il papa chiede al mondo un giorno di digiuno in nome della pace, ecco che arriva, prima ancora che il giorno finisca, la risposta del terrorismo palestinese. L'autobus Egghed n°37 che collega l'università al centro di Haifa salta in aria alle ore locali 14,17. Mentre scriviamo i morti sono 17 e i feriti, tra i quali molti in fin di vita, più di 40. L'ora e il percorso dell'autobus indicano chiaramente qual'era l'obiettivo dell'attentatore. Fare strage di studenti, ucciderne quanti più possibile.
    Sappiamo a memoria quello che leggeremo stamane sui giornali, quante lacrime di coccodrillo verranno sparse su quelle giovani vite spazzate via dall'odio che non conosce alcun dialogo e nessuna volontà di pace. Non digiunano quelli che massacrano innocenti, annullando insieme alle vite di molti anche la loro. Non digiunano perché credono ciecamente che solo distruggendo Israele riusciranno a riscattare il loro misero presente. Non sanno, accecati come sono dall'indottrinamento fanatico a cui sono sottoposti, che la causa delle loro disgrazie non si chiama Israele ma mondo arabo, un mondo fatto di privilegi e sudditanze, di enormi ricchezze in mano a pochi e di miseria comune a tutto un popolo. Sottomessi come sono a una leadership corrotta non capiscono che senza un cambiamento radicale il loro futuro sarà uguale a quello di oggi. Certo, gli attentati continueranno, la vita degli israeliani sarà sempre a rischio come lo è drammaticamente oggi, ma il rifiuto arabo di riconoscere la democrazia come l'unica possibilità consentita per uscire dallo spaventoso medio evo nel quale vivono costerà ancora, non solo agli israeliani, attentati e stragi. Perché è nel rifiuto della democrazia quale sistema nel quale vivere la causa della arretratezza e quindi del fanatismo che contraddistingue gran parte del mondo musulmano. La sola esistenza di Israele è uno scandalo per chi identifica-giustamente- nello stato ebraico la modernità. Non è solo l'antisemitismo, che ha pur segnato profondamente le relazioni fra mondo ebraico e mondo musulmano culminando nella alleanza di quest'ultimo con il regime nazista,che segna l'impossibilità di vivere l'uno accanto all'altro. C'è ben di più. C'è l'esempio troppo confinante di Israele, un paese libero e democratico, nel quale il popolo sceglie da chi essere governato, dove le donne invece di portare il velo governano il paese accanto agli uomini, dove i costumi sessuali sono l'esatto opposto di quanto avviene ancora nella soffocante famiglia autoritaria musulmana, dove il rispetto dei doveri va di pari passo con quello dei diritti. Dove la giustizia giudica in tribunale e non appende per i piedi nelle strade dopo un giudizio sommario.
    Ma la responsabilità di quanto avviene non può essere attribuita solo ad Arafat e alla sua corte, sotto qualunque sigla si presenti il terrorismo palestinese.
    E' la cecità dell'Europa ad essere chiamata in causa, in buona o in cattiva fede poco importa.    Abbiamo il massimo rispetto per chi si richiama ai valori universali della pace. Ma quei valori cessano di essere tali quando la volontà di morte supera il rispetto per la vita. Golda Meir disse che i palestinesi arriveranno ad ottenere la pace quando ameranno più i loro figli di quanto odino gli ebrei.
    Quel tempo non è ancora arrivato. Bisogna aiutare i palestinesi prima che sia troppo tardi, per loro e per le loro vittime. E l'unico modo per farlo è combattere i dittatori sul campo che loro stessi hanno scelto. Senza più esitare. Senza paura.

( Libero, 03.06.2003 - Ripreso da Informazione Corretta)



LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI


Jack Engelgard, autore del bestseller internazionale "Indecent Proposal", ha scritto questa lettera aperta al Presidente Bush.

Caro signor Presidente,

    crede davvero che Arafat abbia dei diritti su Gerusalemme? Le Scritture parlano diversamente: "Sia benedetto da Sion il SIGNORE, che abita in Gerusalemme!" [Salmo 135:21].
    Signor Presidente, lei è un uomo di fede. Lei frequentemente usa il nome dell'Onnipotente nei suoi discorsi, come quando ha detto, citando il Levitico: "La libertà che noi proclamiamo... è dono di Dio all'umanità".
    Ha anche detto, testualmente: "Io sono convinto che la fede aiuta a risolvere i più profondi problemi delle nazioni".
    Quindi è con sopresa e delusione che l'abbiamo sentita appoggiare uno Stato arabo palestinese dentro i confini dell'Israele biblico, secondo il piano originariamente abbozzato della "soluzione dei due Stati",  nel suo discorso del 24 giugno 2001. Attraverso Abraamo, Isacco e Giacobbe, la terra d'Israele è stata data agli Ebrei, in una "soluzione unico Stato".
    "Vi darò la terra d'Israele", Dio l'ha detto a Giacobbe... non a Maometto.
    Ma adesso lei favorisce un "Quartetto" e una "piano di marcia" (road map) che dovrebbe fare a pezzi Israele e creare una patria proprio a quelle popolazioni che Dio aveva ordinato di cacciare, "affinché tu non rimanga preso al laccio" [Deuteronomio 7:25]. Questi Cananei pre-Israele erano adoratori di Moloch, il "dio" che comandava il sacrificio dei figli, un rituale largamente applicato ancora oggi dalle stesse popolazioni, quando legano i loro figli all'esplosivo e li mandano a compiere autosacrificio e assassinio.
    A questi adoratori di Moloch lei assegna uno Stato?
    Lei è una persona che teme Dio, come il re Davide, che segue le sue convinzioni anche contro le agitazioni delle folle. La sua fermezza è una benedizione per quelli di noi che sono fieri di essere Americani, Cristiani e Ebrei. Lei legge i Salmi, quindi certamente sarà incoraggiato dal re Davide, che scrive: "Il Signore rende vano il piano delle nazioni" [Salmo 33:10].
    Contro quelli che combattono slealmente, la sua saggezza biblica le chiede di rispondere così: "Non toccate i miei unti, non fate male ai miei profeti" [Salmo 105:15].
    Chi sono, infatti, questi Palestinesi che chiedono di dividere Israele? I Palestinesi di oggi non sono mai stati una nazione distinta dalle altre e non hano mai avuto una particolare eredità palestinese. Il termine "palestinese" è stato usato per definire un popolo arabo soltanto dopo il 1964. C'è mai stato anche un solo giudice, o un re, o un profeta "palestinese" nella terra d'Israele?
    Ma... dalla conquista di Giosuè in poi, la terra è stata governata da decine di giudici, re e profeti. Da Davide a Sedechia, da Amos a Malachia, erano tutti Ebrei.
    Nessuno di loro era un arabo "palestinese". Con quale legittimità storica, allora, gli Arabi accampano diritti su anche un solo centimetro dell'Eterno Patto di Dio?
    La presenza ebrea nella Terra d'Israele è durata per 4000 anni e resta stabile per tutto il tempo che vale la parola di Dio a Giacobbe: "... e alla tua discendenza daròquesto paese" [Genesi 24:7].
    Sì, Arafat VUOLE Gerusalemme... e io voglio giocare come centrocampista nella squadra del New York Yankees. L'una pretesa ha gli stessi titoli di diritto dell'altra.

Jack Engelgard   

(Israelinsider, 27.02.2003)



«CARI COLLEGHI, QUANTI PREGIUDIZI ANTIEBRAICI»


In "Notizie su Israele - 156" avevamo riportato la vergognosa lettera dei docenti universitari di Bologna aggiungendo nel commento queste parole: "Forse si può soltanto sperare che qualche collega di quei docenti, per mitigare la vergogna che ricade sull'istituzione in cui lavorano e difendere il proprio onore personale, si dissoci pubblicamente da quella posizione". Questo è avvenuto, mediante una lettera inviata a "Repubblica", che qui riportiamo.

    Sentiamo il dovere di intervenire nel merito della "Lettera aperta agli ufficiali, sottufficiali e soldati dell'esercito israeliano", in qualità di colleghi dei numerosi "docenti dell'Università più antica d'Europa" che la firmarono quasi un anno fa (del testo alcuni di noi non vennero allora a conoscenza), lettera che è stata rilanciata nelle ultime settimane. Purtroppo la gravità dei suoi contenuti (l'appello alla diserzione rivolto ai cittadini di un altro Stato) e soprattuto delle sue argomentazioni e del suo linguaggio resta immutata ed è anzi accentuata dal recente moltiplicarsi nel nostro paese di segni di un antiebraismo nuovo che ricorre a una serie di materiali antichi: da taluni interventi nel dibattito sull'ultimo libro di Asor Rosa (e dal libro stesso) all'iniziativa del Dipartimento di studi aurasiatici dell'università Ca' Foscari di Venezia per boicottare i rapporti culturali con Israele. E' di questo antiebraismo che vorremmo pacatamente e seriamente discutere con i nostri colleghi.
    Compaiono nella "Lettera" espressioni come queste: "Abbiamo sempre considerato il popolo ebreo intelligente, sensibile, forte forse più di tanti altri perché selezionato (sic) nella sofferenza, nelle persecuzioni, nelle umiliazioni subite per secoli, nei pogrom, e per ultimo, nei campi di sterminio nazisti... Sentiamo purtroppo che la nostra stima e il nostro affetto per voi, per il popolo ebreo, si sta trasformando in dolorosa rabbia per quello che state facendo al popolo palestinese".
    Che si tratti di stereotipi razzisti e terribili confusioni tra israeliani, loro governo ed ebrei di tutto il mondo, i firmatari della lettera mostrano di non rendersi conto. Una tale inconsapevolezza da parte di docenti universitari di grande autorevolezza è un sintomo molto preoccupante del radicamento e dell'automatismo di questi schemi di pensiero.
    Il corto circuito tra la tragedia del conflitto israeliano-palestinese, le confusioni di cui sopra e l'antica idea che, se gli ebrei sono perseguitati, è perché si sono fatti odiare, si era già prodotto in passato. Ma il contesto odierno lo rende ancora più pericoloso. Assistiamo, da qualche tempo, ad una inquietante accettazione della ridefinizione araba del sionismo. Non possiamo non prendere in considerazione quel che è avvenuto, mesi fa, nella conferenza delle Ong a Durban o le iniziative universitarie inglesi e francesi per rompere la collaborazione con le istituzioni accademiche dello stato d'Israele. Comune a questi ed altri episodi, e diffuso tra europei e italiani colti e progressisti, è il non riuscire a parlare del conflitto israeliano-palestinese senza coinvolgervi la storia delle "sofferenze" degli ebrei, che, finalmente, da vittime sono diventati carnefici. La "Lettera" avverte che sta crescendo tra i palestinesi "un odio immenso". Cerchiamo di non far dilagare quest'odio nella comunità scientifica: fermiamoci e riflettiamo. E' in gioco qualcosa di molto diverso da una divergenza di opinioni.

Seguono diverse firme

(Repubblica, 5 marzo 2003)


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