Notizie su Israele 185 - 14 luglio 2003


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«Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il SIGNORE: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi m’invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi», dice il SIGNORE; «vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglierò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho cacciati», dice il SIGNORE; «vi ricondurrò nel luogo da cui vi ho fatti deportare».

(Geremia 29:11-14)



NUOVI IMMIGRATI IN ISRAELE DAL NORD AMERICA

  
Immigrati ebrei provenienti dal Nord America in arrivo all'aeroporto Ben Gurion

TEL AVIV - Più di 330 nuovi immigrati ebrei sono arrivati mercoledì scorso [9 luglio] dal Nord America a Tel Aviv con un volo speciale. Il gruppo è stato ricevuto dal Primo Ministro Ariel Sharon e dal Ministro delle Finanze Benjamin Netanyahu.
    "Benvenuti a casa", ha detto Sharon salutando gli "Olim Hadashim", come vengono chiamati i nuovi immigrati in Israele. "Abbiamo più che mai bisogno di voi. Israele è il posto in cui gli ebrei possono vivere come ebrei", ha detto ancora il Primo Ministro.
    Gli immigrati sono parte di un gruppo di 700 ebrei nordamericani. Gli altri "Olim Hadashim" arriveranno in "Terra Santa" alla fine di luglio.
    L'anno scorso sono arrivati dal Nord America in Israele oltre 2.040 ebrei.
    Altri 150 immigrati sono attesi, provenienti tra l'altro da Francia e Argentina.
    
(Israelnetz.de, 09.07.2003)



INTERVISTA AL PREMIER ISRAELIANO ARIEL SHARON


«Arafat è contro Abu Mazen. Resti senza potere»

Intervista di Antonio Ferrari


GERUSALEMME - «Sì. Io, Ariel Sharon, voglio aiutare il primo ministro Abu Mazen».

Che oggi è sotto il tiro incrociato degli estremisti palestinesi e dei suoi nemici all'interno del Fatah.


«Lo so. Voglio aiutarlo perché è un uomo che crede che l'unica soluzione per giungere alla pace non è la violenza, non è il terrorismo. E' quella del negoziato».

C'è chi dice, però, che Abu Mazen sia debole.


«Per me conta ciò che fa, non se qualcuno dice che è debole o forte».

E' molto deciso e convinto, il premier israeliano. I risultati, per ora modesti ma tangibili, della tregua di tre mesi proclamata da Hamas, dalla Jihad islamica e dalle Brigate Al Aqsa lo hanno quasi ringiovanito. Invece di insistere con proclami bellicosi, come accadeva in passato, continua a ripetere che «questa è un'opportunità storica per costruire davvero la pace». Sembra abbia tolto la divisa e indossato anche nell'anima il rassicurante abito scuro del politico esperto che vuol diventare lungimirante, che vuol «passare alla storia». E' con questo spirito che, ieri pomeriggio, Sharon ci ha ricevuto nel suo ufficio, dopo una rapida colazione a base di Big Mac, per l'intervista esclusiva al Corriere della Sera .

Signor primo ministro, crede davvero a questa tregua o ha dei dubbi?


«Voglio dire subito che la tregua è stata proclamata dai palestinesi, e non da noi. Certo, stiamo osservandone gli sviluppi e notiamo che c'è stata una diminuzione di episodi di violenza. Ma noi sappiamo che cosa hudna (tregua) significhi, per un arabo: un temporaneo cessate il fuoco per rafforzarsi e poi tornare a colpire. Quel che temiamo, infatti, è che la "pausa" possa consentire agli estremisti, che magari si sentono stanchi o più deboli, di ricostruire le loro infrastrutture. Noi ci aspettiamo che l'Autorità palestinese smantelli le organizzazioni terroristiche, arresti i responsabili, li punisca, sequestri le armi, le consegni a un Paese terzo che provvederà a distruggerle. E' quanto hanno chiesto gli Usa, e chiediamo anche noi. Non bastano le promesse e le dichiarazioni. Servono i fatti, le prove. Il tempo delle parole è finito».

Ammettiamo che la tregua non regga, e vi sia un grave attentato terroristico. Che cosa farà, signor Sharon?


«Quel che chiediamo è un impegno al 100%, e senza sconti, a prevenire e a smantellare i gruppi violenti. Chiediamo la fine dell'incitamento all'odio, che cambi l'educazione dei giovani. La reazione, dunque, viaggerà parallelamente all'impegno che verrà dimostrato. Io comprendo le difficoltà di Abu Mazen...»

Appunto. Come valuta la lotta di potere che si sta combattendo all'interno del Fatah, tra gli uomini di Arafat e i riformisti del premier Abu Mazen?

«E' chiaro a tutti che è Arafat a non volere che Abu Mazen abbia successo. Arafat è il primo responsabile delle sofferenze del suo popolo. La sua ideologia è quella del terrore. E allora si deve fare in modo che ad Arafat venga tolto definitivamente il controllo di due campi fondamentali: le finanze e la sicurezza. Per quanto riguarda le finanze, sono stati compiuti passi importanti e coraggiosi, non altrettanto sulla sicurezza. Personalmente credo che Abu Mazen abbia molto bisogno di aiuto esterno, soprattutto europeo. L'Ue deve capire che soltanto negando i fondi ad Arafat, e sostenendo Abu Mazen, si potranno ottenere dei risultati. L'Italia, con la quale abbiamo un eccellente rapporto, lo ha compreso. Il presidente Berlusconi, quando è venuto in Israele, non ha incontrato Arafat. Altri Paesi si comportano diversamente: mandano leader politici, gli inviano messaggeri e messaggi. E' un grave errore. Vorrei dire ai Paesi europei di seguire l'esempio italiano».

Quali Paesi?


«Molti, quasi tutti».

Ma lei, nove mesi fa, mi aveva detto che è disposto ad accettare che Arafat resti come simbolo.

«Glielo ripeto. Simbolo non so di che cosa, ma come tale lo accetto. L'importante è che gli venga tolto il controllo delle finanze e della sicurezza».

Il suo governo è pronto a liberare 350 prigionieri su un totale di sette-ottomila...


«La interrompo: sono seimila».

Va bene seimila, ma la Jihad islamica minaccia di rompere la tregua se non li libererete tutti. E lo sceicco Ahmed Yassin dice che la loro pazienza ha un limite.

«Lo so, lo so cosa dice Yassin. Per ora abbiamo liberato 280 prigionieri. Altri ne libereremo. Ma non gli assassini, non coloro che hanno le mani sporche di sangue. Lo sa che in 3 anni abbiamo avuto 815 morti e 5600 feriti?»

Certo che lo so, ma anche i palestinesi ne hanno avuti tanti. Molti di più.

«Non l'ho mai negato. Ma la differenza è che i terroristi palestinesi colpiscono soprattutto i civili. Pensi che, considerando i caduti di Israele, e fatte le debite proporzioni demografiche, è come se nell'Ue ci fossero stati 62.000 morti e 420.000 feriti, negli Usa 45.000 morti e 312.000 feriti, nella sola Italia 9.400 morti e 65.000 feriti. Un recente sondaggio rileva che l'82% della popolazione israeliana è contraria alle scarcerazioni. Eppure, noi procediamo, ma non possiamo liberare gli assassini».

Quanti sono questi ultimi?


«Sono tanti, mi creda. Però procederemo a scarcerare quanti più reclusi possibile, ben sapendo che non è una condizione prevista dalla road map . Lo facciamo per questioni umanitarie, e per dare una mano ad Abu Mazen».

Parliamo degli impegni che Israele ha assunto ad Aqaba, davanti a Bush. Quando comincerete davvero a smantellare gli insediamenti, o meglio gli «avamposti non autorizzati», come lei li definisce?


«Ne abbiamo smantellato uno anche oggi (ieri, ndr ). Gli impegni assunti saranno rispettati al 100%. Vede, prima delle ultime elezioni, ho detto chiaramente che ero deciso a fare "concessioni dolorose" per giungere alla pace. So che molti non sono d'accordo, nel mio partito ho avuto una forte opposizione. Però se oggi mi chiedono che cosa sto facendo, rispondo: "Signori, ve l'avevo detto". Piuttosto vorrei che tutti, a cominciare dai palestinesi, capissero che questa è davvero un'opportunità. Che solo io posso fare "concessioni dolorose". Quando uno viene a parlare o a negoziare con me, sa bene che sì vuol dire sì e no vuol dire no».

Che cosa succederà nel 2005, data prevista dalla road map per la nascita dello Stato palestinese? E' una data sacra, o a suo avviso non è vincolante? E' sempre dell'idea che ci vorranno vent'anni per avere uno Stato palestinese con frontiere definite?

«Non è un problema di venti, dieci o cinque anni, ma di impegni rispettati. Io sono convinto che le due parti debbano rispettare al 100% la road map , che prevede alcune tappe prima del 2005. Ora, soltanto se la prima tappa viene realizzata al 100% si passa alla seconda, e così via. L'ho detto con chiarezza al presidente George W.Bush, che ho già incontrato otto volte».

La guerra in Iraq è finita, ma la situazione sul terreno è molto grave. Non pensa che l'Iraq possa diventare un Paese dall'instabilità cronica? Non pensa che gli Usa abbiano commesso qualche errore? Crede ancora che vi siano armi di distruzione di massa?

«C'erano, questo è sicuro, e poi l'Iraq è abbastanza grande per poterle nascondere. Io ritengo che quanto ha fatto il presidente Bush sia giusto e coraggioso. Gli Usa hanno liberato il Paese da un regime oppressivo e terroristico».

Ora si parla dell’Iran. Crede davvero che sia diventato il primo pericolo per Israele?


«Sì, lo credo».

Parliamo della Siria. Visto che il presidente Bashar el Assad continua a dire che vuole riprendere il negoziato con Israele, che cosa è disposto a offrire in cambio di un accordo di pace? Tutto il Golan, come chiede Damasco?

«Ho sempre detto che siamo pronti a negoziare, senza precondizioni. Certo, la Siria è un Paese pericoloso, perché continua a sostenere gruppi terroristici, come l'Hezbollah».

Ho saputo che sta per partire per la Norvegia. Vuole forse respirare l'aria degli accordi di Oslo di 10 anni fa, che furono sottoscritti dal premier Rabin e da Arafat?


«No, vado in Europa per ottenerne il sostegno, per chiedere un atteggiamento più bilanciato sul Medio Oriente. Perché si segua l'esempio italiano e si aiuti davvero la pace».

Non è che lei vorrebbe finire nei libri di storia come il leader di Israele che ha fatto la pace con i palestinesi?


«Sì, lo vorrei. Ma vorrei aggiungere due parole: che pace vuol dire sicurezza per Israele. Le ricordo che sono un generale, un militare che sa che cosa vuol dire guerra. Io la pace la voglio davvero».

(Corriere della Sera, 11 luglio 2003)



TERRORISTI NASCOSTI NELL'UFFICIO DI ARAFAT


Ali Alian, un importante esponente dell'ala militare di Fatah sospettato di coinvolgimento in una serie di attacchi mortali contro cittadini israeliani, ha rivelato ai servizi di sicurezza israeliani d'essere stato nascosto per quasi 18 mesi nel complesso Muqata, a Ramallah, sotto la protezione del presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat.
    Alian, arrestato lo scorso maggio in una casa di Ramallah, e' sospettato d'aver preso parte a varie azioni di cecchini contro automobilisti israeliani nella zona circostante la citta' palestinese e di aver progettato un attentato suicida a Gerusalemme.
    Alian ha detto d'aver lasciato piu' volte l'edificio di Arafat, quando i soldati israeliani allentavano il controllo, per poi farvi ritorno dopo aver compiuto i suoi attentati. Il ministero della difesa israeliano aggiunge che all'interno del complesso Muqata si nascondono tuttora diversi palestinesi ricercati per atti di terrorismo.

(Ha'aretz, 10.07.03, israele.net 11.07.03)



UN ALTRO ASSASSINIO DI UN SUPPOSTO AGENTE ISRAELIANO IN PALESTINA


Il Centro Legislativo Israeliano Shurat HaDin(*) ha condannato il brutale assassinio avvenuto ieri [7 luglio] di un sospetto collaboratore di Israele tenuto in custodia dalla polizia palestinese. Il prigioniero, Qaad Abu Shalbayah, era stato arrestato tre settimane fa con l’accusa di aver collaborato con le Forze Armate Israeliane nell’identificazione e nella localizzazione di terroristi palestinesi ricercati, nell’area di Ramallah.
    Mentre Abu Shalbayah veniva condotto dalla polizia palestinese presso la corte dove si sarebbe deciso il suo rinvio a giudizio, tre assassini mascherati sono apparsi sulla strada e hanno aperto il fuoco. Abu Shalbayah è stato centrato con diversi colpi alla testa. I poliziotti che lo scortavano non hanno fatto alcun tentativo di proteggerlo né hanno cercato di catturare gli assalitori mascherati, fuggiti subito dopo. Inoltre, non sono state aperte indagini su questo delitto avvenuto alla luce del giorno.
    Alcuni testimoni oculari alla sparatoria di Ramallah hanno detto alla Shurat HaDin che il “colpo” su Abu Shalbayah era “evidentemente stato arrangiato dalle guardie che lo custodivano”.
    Sin dalla firma degli accordi di Oslo fra Israele e l’Autorità Palestinese (AP) nel 1993, diverse centinaia di cosiddetti “collaboratori” sono stati assassinati da gruppi terroristici palestinesi. Finora la polizia palestinese non ha mai condotto alcuna indagine sulle uccisioni, non ha mai arrestato dei sospetti né ha emesso alcuna sanzione.
    Negli scorsi mesi, nelle zone sotto il controllo dell’AP, la polizia palestinese ha arrestato centinaia di palestinesi accusati di essere agenti israeliani, tuttora incarcerati senza un processo. Almeno nove di questi prigionieri sono stati condannati a morte dopo

aver ricevuto, da tribunali militari palestinesi, “processi” per direttissima durati meno di un’ora.
    Durante lo scorso anno, uomini armati mascherati della fazione Fatah hanno assassinato tre donne palestinesi, accusate di aver aiutato Israele. Lo scorso agosto Fatah ha ucciso Ikhlas Khouli, 35 anni e madre di sette figli, per le strade di Tulkarm. Tre giorni dopo, un gruppo terrorista ha ucciso Rajah Ibrahim, 18 anni, nella piazza centrale di Tulkarm. Ad ottobre, Fatah ha ucciso con un colpo di pistola Haifa Sultan, 39 anni, su un marciapiede di Nablus.
    Secondo le associazioni per i diritti umanitari che monitorano l’AP, meno della metà di quelli che vengono accusati di essere dei collaboratori, sono in realtà agenti dei servizi segreti israeliani. Molti sono semplicemente vittime di famiglie o clan in lotta con membri delle varie organizzazioni terroristiche, mentre altri hanno prestato somme considerevoli ai loro assalitori, che con l’omicidio trovano un espediente per evitare di pagare i propri debiti.

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Nota:
Il Centro Legale Israeliano Shurat HaDin è un istituto ebraico di diritti legali con sede in Israele, al quale collaborano alcuni dei maggiori procuratori attivisti del paese. Il Centro Legale Israeliano è un’organizzazione indipendente, non affiliata ad alcun partito politico né agenzia governativa.

(Naomi Ragen, 08.07.2003)



COME DOVREBBE ESSERE UNO STATO PALESTINESE?



Lo stato di uno stato palestinese

di Micah D. Halpern

Il popolo palestinese vuole il suo stato. Lotta per averlo. Implora qualsiasi terzo partito interessato alla politica per esso. È disposto ad uccidere per esso. È questo il motivo per cui, proprio in questo momento, alcuni stanno morendo.
    George Bush e gli Stati Uniti sostengono il loro desiderio. Lo stesso fanno Ariel Sharon ed Israele.
    Ma si è mai pensato a come funzionerà questo stato? Quale forma di governo avrà? E le infrastrutture? Come saranno amministrati i servizi? Ci sono dei fondi per un bilancio nazionale?
    I palestinesi non hanno molti esempi a cui ricorrere per capire come bisogna creare uno stato. La nozione di stato moderno per loro è del tutto nuova. Ironicamente, uno dei migliori esempi per loro è uno stato che odierebbero emulare: Israele.
    Le nazioni di quest’area, con l’unica eccezione di Israele, sono tutti stati musulmani. Ad eccezione di Turchia e Libano, sono tutte dittature, dominate potentemente da monarchi e tiranni.
    La dominazione e l’egemonia hanno una lunga storia nel mondo arabo. Ma si tratta di un sistema basato sulla famiglia o sulla tribù, certamente molto lontano dal tipo di governo nazionale dell’occidente.
    Il sistema governativo tribale è basato sull’onore, la giustizia, l’orgoglio, la famiglia e le vendette di sangue. Si tratta di una gerarchia fondata su circoli concentrici che iniziano con hamsa, ovvero cinque in arabo. Il termine hamsa significa cinque generazioni che vivono assieme: dal bisnonno al nipote. L’hamsa si espande nell’ashira, la famiglia allargata, che può comprendere finanche 1.000 persone e poi si va oltre nella kabelah, tribù, che probabilmente può racchiudere decine di migliaia di persone. La kabelah è governata da capi e giudici tribali che prendono le decisioni sulle questioni che sorgono di volta in volta, come hanno fatto da secoli.
    Ogni tribù ha anche dei diplomatici che prendono accordi e interagiscono ufficialmente con altre tribù e forze esterne. Il vincolo tribale è predominante. Dopo di esso possono esserci delle affiliazioni, ma meno vincolanti, con altre famiglie o tribù della regione, con altri arabi che vivono lontani e persino con altri musulmani di tutto il mondo. I governi e le influenze esterne sono state semplicemente tollerate nel mondo arabo e hanno funzionato meglio dove si è mantenuto il controllo tribale e l’autonomia locale.
    Il concetto occidentale di governo in questa parte del mondo ha solo 60 anni. Ha fallito miseramente nel suo tentativo di sostituire la tribù perché non ha la minima importanza nei cuori della gente locale e non ha il potere di influenzare coloro su cui è già forte il potere della paura. Persino il sistema di panarabismo invocato dall’ex primo ministro egiziano Gamal Abdul Nasser è fallito perché esiste poca lealtà nei cuori degli arabi, affinché possano legarsi insieme.
    Per questo la maggior parte dei paesi di questa regione sono dittatoriali.
    Questo spiega anche come mai e perché Yasser Arafat è stato così famoso nell’Autorità Palestinese. Lui è stato il dittatore palestinese.
    Ai dittatori viene attribuita una posizione superiore alle autorità tribali. Governano mediante la paura. Il loro potere è decisivo.
    Quando sorge un problema locale – tribale - lo si risolve a livello locale, ma nelle dispute fra dittatori e tribù, i desideri del dittatore regnano supremi.
    L’attuale amministrazione dell’Autorità Palestinese è diversa. Al contrario del presidente palestinese Arafat e diversamente dalla maggior parte del restante mondo arabo, il primo ministro palestinese Abu Mazen non vuole creare una dittatura. Anche lui, come loro, ha una fondamentale sfiducia per tutto ciò che è occidentale e un odio verso Israele. Ma Abu Mazen si rende conto che non è questo il modo per costruire un paese o per costruire un futuro. Sa che deve usare l’Occidente per raggiungere i suoi scopi, proprio come hanno fatto altri leader arabi di successo negli ultimi 50 anni.
    Ma qualunque forma assumerà il nuovo Stato Palestinese, sarà meglio tener presente la questione dell’affidabilità.

(
Israel's daily newsmagazine, 28 giugno 2003)



COLLEGAMENTI TRA YASSER ARAFAT E SADDAM HUSSEIN


Arafat ha passato informazioni di intelligence sull’opposizione irachena al regime di Saddam

Il quotidiano in lingua araba con sede a Londra Al-Sharq Al-Awsat ha pubblicato un documento confidenziale che attesta un coordinamento di intelligence fra gli alti ufficiali della leadership palestinese, diretti dal Presidente dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat, ed il regime di Saddam Hussein, contro le organizzazioni irachene all’opposizione.
    Il documento, un telegramma in codice inviato il 3 Marzo 2000 dall’ufficio dell’intelligence irachena ad Ammam, in Giordania, al Dipartimento Generale dell’Intelligence di Baghdad, è stato scoperto dall’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), guidata da Jalal Talabani. Secondo il telegramma, Arafat ha avvertito il regime iracheno riguardo agli attacchi alla città irachena di Kirkuk pianificati dall’opposizione irachena. Quella che segue è la traduzione del telegramma insieme ad un riassunto dei commenti del corrispondente di Al-Sharq Al-Awsat, Shirzad Shaikhani:(1)

“Nome in Codice 202 [Jar Allah, Segretario Aggiunto dell’Ambasciata Irachena di Amman] (2) ha annunciato, senza farlo sapere a Nome in Codice 347 [Sabah Yassin, Ambasciatore Iracheno in Giordania], che l’Ambasciatore Palestinese [in Iraq] 'Azzam Al-Ahmad ha chiesto di incontrarsi con il suddetto Nome in Codice [Ambasciatore Iracheno in Giordania] e consegnargli una lettera in codice di Yasser Arafat per Tareq ‘Aziz. Quello che segue è il testo della lettera.”

“Il fratello Abu 'Ammar [Arafat] ha ricevuto una lettera da dei suoi conoscenti in cui si afferma che Jalal Talabani, insieme al Movimento Curdo Islamico, al gruppo di Baqir Al-Hakim (3) e a numerosi funzionari iracheni che sono fuggiti con l’appoggio diretto e l’istigazione dell’Iran, hanno intenzione di attaccare Kirkuk. In preparazione dell’attacco sono stati dispiegati gli aerei, per preparare l’Intifada ‘no-rouz’, in una disposizione simile a una di quelle del 2001 (4), per fare in modo che venisse accompagnato da operazioni di disturbo e [resistenza] nel centro e nel sud [dell’Iraq].”

“La lettera dice che l’attacco di Kirkuk sarebbe stata la reazione irachena alla recente operazione di Mujahideen Khalq (5). Il mittente ha chiesto al fratello Abu ‘Ammar di agire in fretta in cooperazione con l’Iraq per diminuire la tensione con l’Iran e con le forze curde, in modo che queste non rappresentino una minaccia per la regione. Il fratello Abu ‘Ammar mi ha chiesto di consegnarti questa lettera e lui, da parte sua, è pronto ad agire in qualunque modo tu ritenga necessario. Fine. Ricevuto 16:30.”

Secondo il corrispondente di Al-Sharq Al-Awsat, Shirzad Shaikhani, l’apparato di intelligence irachena arruolava abitualmente agenti nelle ambasciate di vari paesi in tutto il mondo per spiare i diplomatici iracheni e dare a questi agenti il potere di coordinare e collaborare con le spie e gli agenti arruolati dal regime iracheno, dietro alle spalle degli ambasciatori.

Shaikani ha detto che l’ufficio dell’intelligence irachena ad Amman, da cui la lettera è stata spedita, era il principale quartier generale per sorvegliare tutte le filiali dell’intelligence irachena in tutte le ambasciate irachene nei paesi arabi. Inoltre, negli anni successivi alla Guerra del Golfo del 1991, l’ufficio di Amman ha agito per assassinare ed arrestare molti membri delle organizzazioni di opposizione irachena situate in Giordania.

Shaikani ha aggiunto che elementi dell’opposizione irachena in passato hanno accusato diversi apparati di sicurezza arabi di aver collaborato con l’intelligence irachena al tentativo del regime iracheno di assassinarli e perseguitarli.

Note:
(1) Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 17 Giugno 2003.
(2) Parentesi quadre del testo originale.
(3) Ayatollah Muhammad Baqir Al-Hakim è un illustre leader sciita, che dirige il filo-iraniano e sciita Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI).
(4) Un riferimento all’attacco curdo a Kirkuk il 21 Marzo 1991, che è il capodanno celebrato dagli sciiti e dai curdi.
(5) Mujahideen Khalq è un’organizzazione terroristica d’opposizione in Iraq, dal cui territorio agisce contro l’Iran.

(Middle East Media Research Institute, 01.07.2003)




GENTILEZZE DI ARABI VERSO EBREI ISRAELIANI


Beduini salvano la vita a un soldato israeliano

Mercoledì 2 luglio alcuni beduini hanno salvato la vita a un soldato israeliano nel Negev. Nel pomeriggio un uomo del kibbuz Mishmar HaNegev, a circa 10 chilometri a nord di Be'er Sheva, ha presentato una denuncia di smarrimento di una persona presso un posto di polizia. Suo figlio, un soldato in licenza, era partito molte ore prima per un'escursione e non era ancora ritornato. Poiché il padre era molto preoccupato, l'ufficio di polizia a cavallo si è messo alla ricerca del diciannovenne.
    Durante la ricerca il comandante del gruppo, il poliziotto di frontiera Yaron Yifrah, ha incontrato un guardiano di bestiame. Il beduino si unito alla ricerca e ha reclutato altri membri della sua tribù. Dopo poco tempo hanno trovato il soldato nei dintorni di Nahal Gerar, a nordovest di Be'er Sheba. Il giovane giaceva privo di sensi su una duna di sabbia ed era evidentemente disidradato.
    I beduini l'hanno coperto con le loro kefieh e hanno incaricato i ragazzi della loro tribù di andare a prendere dell'acqua. Alla fine hanno portato il soldato con un auto al centro di soccorso ambulante nel kibbuz.
     Nelle prossime settimane Yifrah e i beduini riceveranno dalla polizia una decorazione per salvataggio di una vita. (Yedioth Aharonoth)
    
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I beduini, che rappresentano quasi il 10% della popolazione araba musulmana di Israele, appartengono a circa 30 tribù, che in gran parte sono distribuite su un largo territorio al sud del paese. Tradizionalmente nomadi, oggi stanno lentamente trasformandosi dalla vecchia società tribale a una forma di vita stanziale e sempre di più prendono parte alla vita di lavoro in Israele.

(Israelische Botschaft in Berlin, 03.07.2003)


* * *

Ladro di auto osserva la hudna

HEBRON - Mercoledì scorso [9 luglio], nelle vicinanze di Hebron, un ladro di auto palestinese ha aiutato una israeliana a riparare una gomma della sua auto. L'uomo ha detto che la sua inconsueta gentilezza è dovuta alla cessazione del fuoco (hudna) che le diverse organizzazioni terroristiche hanno stabilito qualche settimana fa.
    Il quotidiano "Yediot Aharonot" riferisce che Sishra Shwartz, abitante nella capitale del deserto Be'er Sheba, verso l'una di notte aveva ricevuto una telefonata di allarme. Si trattava di una ditta di cosmetici che si trova nella località ebraica Sham'ah, nelle vicinanze di Hebron, di cui lei è proprietaria. Shwartz si è messa subito in viaggio. Corse notturne di quel tipo appartengono alla sua normale routine.
    Questa volta però, mentre si trovava ancora in territorio israeliano, è stata fermata da una bucatura a una gomma. "Improvvisamente si è fermata un'auto privata vicino a me e ne è sceso un uomo con accento arabo", ha raccontato più tardi. "Mi stavano già assalendo i timori di un rapimento, ma l'uomo si è rivolto a me e ha detto: 'Non si preoccupi, buona donna, non le faccio niente, adesso abbiamo una hudna. Stia tranquilla, l'aiuterò'".
    In effetti l'uomo ha cominciato a riparare la gomma bucata. "Tuttavia sono rimasta in grande tensione per tutto il tempo", ha detto l'israeliana. "Ho deciso, nonostante l'ora tarda, di chiamare il mio amico. Gli ho spiegato che cosa era successo, e lui si è messo in viaggio verso di me con un'arma".
    Nel frattempo il palestinese ha continuato la sua riparazione. A un certo punto Shwartz si è accorta che un finestrino della sua auto era rotto. "Gli ho chiesto che cosa era successo. Mi ha detto che aveva rubato l'auto nel paese vicino e che stava dirigendosi verso il villaggio palestinese Dhahiriya, a sud di Hebron."
    Dopo aver finito il suo lavoro, l'uomo è partito.
    "Devo essergli grata", ha commentato Shwartz pensando alla sua avventura. '"Questa hudna è proprio utile."
    Ha raggiunto senza problemi la sua ditta a Sham'ah e ha accertato che si trattava di un falso allarme.
    
(Israelnetz.de, 10.07.2003)


MUSICA E IMMAGINI



INDIRIZZI INTERNET


Il testo completo della Road Map (in italiano)

Shevet Achim