Notizie su Israele 186 - 19 luglio 2003


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Poiché sul mio monte santo, sull’alto monte d’Israele, dice DIO, il Signore, là tutti quelli della casa d’Israele, tutti coloro che saranno nel paese, mi serviranno; là io mi compiacerò di loro, là io chiederò le vostre offerte e le primizie dei vostri doni in tutto quello che mi consacrerete. Io mi compiacerò di voi come di un profumo di odore soave, quando vi avrò condotti fuori dai popoli e vi avrò radunati dai paesi dove sarete stati dispersi; io sarò santificato in voi davanti alle nazioni; voi conoscerete che io sono il SIGNORE, quando vi avrò condotti nella terra d’Israele, paese che giurai di dare ai vostri padri. Là vi ricorderete della vostra condotta e di tutte le azioni con le quali vi siete contaminati; sarete disgustati di voi stessi, per tutte le malvagità che avete commesse; conoscerete che io sono il SIGNORE, quando avrò agito con voi per amor del mio nome e non secondo la vostra condotta malvagia, né secondo le vostre azioni corrotte, o casa d’Israele! dice DIO, il Signore».

(Ezechiele 20:40-44)



ARAFAT INCITA I BAMBINI AL «MARTIRIO»

  
Bambini palestinesi giocano in un «Campo estivo» a Ramallah


RAMALLAH - Venerdì scorso [11 luglio] il leader palestinese Yasser Arafat, nel suo quartier generale a Ramallah, ha esortato centinaia di bambini di Gerusalemme che prendevano parte ai cosiddetti "Campi estivi", a mettersi a disposizione come "Martiri" (Shadid) della causa palestinese. Il capo dell'OLP ha spronato a seguire l'esempio di Fares Odeh, un ragazzo di 13 anni della striscia di Gaza, che, a quel che si dice, è stato ucciso dall'esercito israeliano dopo aver gettato dei sassi contro un carro armato.
     Odeh si era "opposto" a un carro armato israeliano munito soltanto di una fionda, ed era stato ripreso da un fotografo.
     Secondo dati provenienti dal servizio di informazioni IMRA, la sua fotografia si trova sui calendari, sui muri della striscia di Gaza, in Cisgiordania e perfino sulle pareti degli uffici dell'Autorità Palestinese.
     Molte altre volte Arafat, in discorsi che riguardavano la funzione dei bambini nella resistenza contro le truppe israeliane, aveva lodato il coraggio eroico di Odeh e descritto il suo comportamento esemplare. Quando l'anno scorso il suo quartier generale era circondato da carri armati dell'esercito israeliano, Arafat aveva dichiarato: "Io non sono meglio del martire Fares Odeh, questo coraggioso giovane palestinese che si è opposto al carro armato. Questi carri non mi fanno paura."
     Nel suo discorso di venerdì il capo palestinese ha ripetuto, nel suo discorso, la sua famosa dichiarazione che verrà il giorno in cui un ragazzo palestinese innalzerà la bandiera palestinese sui muri, sui minareti e sulle chiese della Vecchia Gerusalemme.
     Alcuni dei "Campi estivi" organizzati nella striscia di Gaza portano già il nome di Fares Odeh o di altri palestinesi che sono morti negli scontri violenti dopo il 2000. In molti campi della Cisgiordania quest'anno è in programma una visita all'ufficio di Arafat.

(Israelnetz.de, 14.07.2003)



IL GRANDE MANIPOLATORE CONTINUA A CONTROLLARE FATAH E L'OLP


È ancora Arafat il regista dello spettacolo

di Michael D. Evans


Mentre l’attenzione del mondo questa settimana si era momentaneamente concentrata sul primo attacco suicida compiuto da un terrorista della Jihad Islamica, da quando le organizzazioni terroristiche avevano dichiarato il “cessate il fuoco” la settimana prima, la grande speranza dell’amministrazione Bush era di riuscire far dimettere Yasser Arafat dalla sua carica.
     Il Primo Ministro dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, si è dimesso dal Consiglio Centrale della Fatah ed ha minacciato di dimettersi anche dalla carica di premier se non riceverà qualche sostegno da Arafat, sua guida negli ultimi decenni. Il Consiglio della Fatah ha rifiutato di accettare le dimissioni di Abbas, ma è chiaro che Abbas era più interessato a lanciare un messaggio sulla sua crescente frustrazione, piuttosto che a cercarsi un'altra occupazione. Perché mentre Abbas lotta per rimettere in sesto la casa Palestinese, Arafat sta utilizzando tutto il potere che gli rimane per impedirlo.
     Un minaccioso esempio di quanto potere abbia ancora Arafat si è avuto alla fine di questa settimana, quando si è diffusa la notizia che il super manipolatore ha iniziato a restaurare il suo movimento Fatah in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Gli ufficiali dell’AP di Ramallah hanno detto che i cambiamenti hanno lo scopo di “riorganizzare” la Fatah. Ciò che intendono in realtà è che Arafat sta “ripulendo” dalla famiglia tutti quelli che avevano iniziato a mostrare lealtà ad Abbas ed al suo braccio destro, il Ministro per la Sicurezza Statale, Muhammad Dahlan.
     Un passo decisivo in questa manovra staliniana è stata la nomina da parte di Arafat di un veterano del terrorismo, Jibril Rajoub, alla carica di governatore distrettuale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Poiché ogni governatore è responsabile della polizia locale, e quindi delle forze armate palestinesi, Arafat in questo modo ha impedito che Abbas assegnasse a Dahlan il controllo della sicurezza.
     Questo non promette bene, pensando a quello che potrebbe accadere quando scadrà il cessate il fuoco fra tre mesi. I Servizi Segreti della Difesa Israeliana hanno fatto sapere questa settimana che Hamas e la Jihad Islamica stanno utilizzando il cessate il fuoco per riarmarsi e riorganizzarsi, con lo scopo specifico di produrre ed ammassare missili Kassam. Arafat ha appena messo in moto un meccanismo per impedire ad Abbas di combattere il terrorismo.
     Arafat non controlla più le finanze o i negoziati di pace dell’AP, ma continua a controllare Fatah e l’OLP. Quando questi corpi s'incontrano, lui si tira indietro e lascia che i membri critichino Abbas, come hanno fatto la settimana scorsa, al punto che Abbas si è sentito costretto a dimettersi. La critica principale sollevata dai fedelissimi di Arafat è questa: Abbas è troppo flessibile verso Israele. Lo accusano di accettare gli ordini del primo ministro Ariel Sharon e del presidente americano George W. Bush.
     Forse il segnale più evidente di quanto Arafat stia ancora lottando per esercitare il controllo da dietro le quinte è il fatto che il grande mediatore, l’Egitto, è di nuovo intervenuto nel tentativo di risolvere la crisi con Abbas. Il presidente Hosni Mubarak questo fine settimana invierà il suo capo dei servizi segreti, il generale Omar Suleiman, nella Striscia di Gaza per cercare di rappezzare la situazione fra Abbas ed Arafat. Tre mesi fa Suleiman è intervenuto nuovamente per risolvere il contrasto nato dalla scelta dei ministri di Abbas per il suo governo. Chiaramente, Arafat continua a giocare un ruolo distruttivo e ha il potere di farlo.

(WorldNetDaily.com, 12.07.2003)



I PROFUGHI NON VOGLIONO RIENTRARE IN ISRAELE, MA NON POSSONO DIRLO



Circa 200 dimostranti palestinesi hanno preso d'assalto il Palestinian Center for Policy and Survey Research, dopo che il centro aveva diffuso i risultati di un sondaggio dal quale risulterebbe che solo una piccola minoranza dei profughi palestinesi (e loro discendenti) che hanno abbandonato le proprie case durante la prima guerra arabo-israeliana (1947-49) desidera veramente esercitare il cosiddetto "diritto al ritorno" all'interno di Israele (anche dopo la nascita del futuro stato palestinese).
     Solo il 10% dei 4.506 profughi palestinesi intervistati in Cisgiordania, striscia di Gaza, Giordania e Libano dichiara di voler ricostruire la propria casa sotto governo israeliano, un risultato che apparentemente mina alla base una delle principali richieste palestinesi, una di quelle su cui e' naufragato il negoziato di pace negli anni 2000 e 2001. In molte occasioni Yasser Arafat e i delegati palestinesi hanno giustificato il fallimento dei negoziati sostenendo di "non poter andare dai profughi nei campi a dire che non potranno tornare nelle loro case [all'interno di Israele]".
     La conferenza stampa convocata domenica a Ramallah da Khalil Shikaki, capo del centro di ricerche palestinese, per illustrare i risultati dell'indagine, e' stata violentemente interrotta da un folto gruppo di dimostranti palestinesi che ha fatto irruzione nell'ufficio di Shikaki, sfasciando tutto e aggredendo i presenti. "Siamo qui per ribadire il nostro sacro diritto al ritorno", si leggeva in un volantino distribuito dagli aggressori.
     "Il sondaggio riflette il pensiero dei palestinesi - ha dichiarato al Jerusalem Post una fonte interna dell'Autorita' Palestinese - La maggior parte dei palestinesi sa che la soluzione concreta al problema dei profughi sta nei risarcimenti e nel ritorno all'interno del futuro stato palestinese, e non all'interno di Israele. Ma nessuno osa dirlo pubblicamente".

(Jerusalem Post, israele.net, 14.07.2003)




INTERVISTA CON IL CAPO DELLA POLIZIA ISRAELIANA


«Intervista con Shlomo Aharonishki»

di Dimitri Buffa


"Il giorno più drammatico fu la Pasqua ebraica del 2002 a Netanya... 29 morti in un colpo solo, ho pensato che la gente non ce l'avrebbe fatta a sopportare pure questo... e invece il popolo di Israele ce l'ha fatta e da allora abbiamo cominciato poco a poco a credere di potere vincere la nostra incredibile battaglia sul terrorismo, perché la cosa più importante non è solo quella di prevenire o di reprimere i terroristi ma quella di non fare il loro gioco, cioè lasciarsi terrorizzare".

A parlare in esclusiva con "libero" è il capo della polizia israeliana Shlomo Aharonishki, in questi giorni in visita ufficiale in Italia per accordi di settore con il nostro capo della polizia Gianni de Gennaro, per il quale Aharonishki non ha se non parole di elogio: "E' stato un incontro molto proficuo per la lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e al traffico di clandestini, l'Italia può stare al sicuro, è in buone mani".

Anche lei si sente al sicuro in Italia con la protezione della nostra polizia?

"Certo che sì, non ho dubbi in proposito: De Gennaro per voi è proprio la persona che ci voleva per fare il capo della polizia."

Perché questa visita in Italia?

"Sono venuto da voi dopo un invito del vostro simpatico capo della polizia il signor Gianni De Gennaro, che a sua volta era venuto a trovarci in Israele circa un mese fa. Ovviamente le visite non sono solo di cortesia ma riguardano più ampi rapporti di collaborazione reciproca tra i nostri due paesi amici .. parlo non solo della lotta al terrorismo internazionale ma anche di quella ai traffici di droga e clandestini e in genere alla malavita organizzata. Chiaramente questi due incontro sono solo i primi ma non gli ultimi di un proficuo rapporto di collaborazione tra i nostri due paesi che si sta rivelando la chiave per prevenire fenomeni di terrorismo globale e di delinquenza organizzata transnazionale."

Quale è il compito preciso della polizia israeliana nella prevenzione anti terrorismo? Che differenza c'è rispetto ai compiti delle forze armate?

"La polizia è uno dei quattro corpi di forze dell'ordine nazionali con compiti di sicurezza anche in chiave di anti terrorismo. Tra questi quattro corpi ci sono accordi ben precisi sui confini delle competenze reciproche, sull'interdipendenza e sul coordinamento. E' come una macchina in cui ognuno ha compiti di versi ma che poi convergono verso un unico obiettivo."

E quali sono le prerogative della polizia israeliana?

"Facciamo il lavoro sul territorio, e la prima divisione è questa: la polizia tratta il terrorismo all'interno di Israele, mentre l'Israeli defence forces si occupa del terrorismo all'interno dei territori governati dall'Anp, prima dell'eventuale infiltramento di "suicide bombers" in Israele. Quando ci mandano un'informazione che uno di loro è passato entriamo in gioco noi per rintracciarlo prima che si faccia esplodere."

Israele negli ultimi tre anni ha avuto una pressione terroristica che nessuno stato nel mondo ha mai subito nel corso della propria storia. Come capo della polizia e come uomo quali sono i fatti più drammatici che non riesce a dimenticare?

"Premetto che come capo della polizia, il compito più difficile è quello di rimanere freddo di fronte a eventi che possono cambiare la vita e la storia di un paese e quindi bisogna reprimere le emozioni e pensare a tenere i reparti delle forze dell'ordine pronti ed efficienti, perché la vita e la delinquenza continuano anche in tempi di terrorismo globale. Anzi noi diciamo che la polizia deve combattere il terrorismo come se la delinquenza comune non esista e la delinquenza comune come se il terrorismo non ci fosse. Poi c'è la gente, cioè coloro di cui dobbiamo assicurare la sicurezza. negli ultimi tre anni abbiamo subito 1700 attentati che hanno provocato oltre 600 vittime civili , la preoccupazione più grande riguarda il livello di benessere della gente cioè cercare di infondere loro sicurezza nonostante tutto. L'evento più tragico da me vissuto in prima persona e che non potrò mai dimenticare è quando ci fu l'attentato a Netanya il 29 aprile 2002, giorno della Pasqua ebraica (quello dopo il quale Berlusconi non volle più vedere Arafat, ndr), pensavo veramente che stavolta la popolazione non ce l'avrebbe fatta più a sopportare una simile ingiustizia e rimasi stupito invece dalla reazione civile e composta dalla gente..."

Quello che da noi in Italia sembra incredibile è proprio questa compostezza, ogni giorno si vedono immagini di attentati terribili, in Israele c'è una strage di piazza Fontana al giorno eppure la popolazione resiste e le istituzioni democratiche non vengono mai messe in dubbio... ma come fate?

"Lei deve pensare che il terrorismo in Israele esiste da quando è nato il nostro stato. Non è un problema degli ultimi tre anni, la nostra storia patria è stata accompagnata dal terrorismo arabo-palestinese, con questo non voglio dire che siamo assuefatti o abituati, ma temprati sì. La gente resiste, la vita deve continuare, nessuno si barrica in casa, perché per vincere il terrorismo bisogna non lasciarsi terrorizzare... e le persone partecipano alla lotta al terrorismo per l'appunto evitando di farsi coinvolgere dalla paura, per noi questo è il più grande apporto morale che si possa immaginare, e per questo siamo convinti che la nostra battaglia sarà vincente, almeno nel medio lungo periodo."

E la crisi economica di questo periodo?

"E' uno dei problemi più grandi e abbiamo bisogno di tutti i nostri amici italiani ed europei perché vengano a visitare Israele , a fare i turisti da noi. Anche questo aiuterà la lotta al terrore globale."

Lei che li ha conosciuti, si è fatto un'idea del perché questi estremisti islamici vi odino al punto di farsi saltare in aria in mezzo a voi pur di uccidere degli ebrei?

"I profili delle persone da noi catturate prima che portino a compimento un attentato sono i più disparati, qualche giorno fa abbiamo preso un signore di oltre cinquanta anni con moglie e figli, altre volte si trattava di donne o di adolescenti... l'idea che ci siamo fatti è che i loro cervelli siano inquinati dalla propaganda di quei predicatori estremisti che nelle moschee invitano la gente a fare la guerra santa, una parte dell'Islam è purtroppo in guerra con le altre religioni..."

Con le altre polizie europee esiste un coordinamento simile a quello che c'è con l'Italia?

"Adesso sì, perché si separa il lato tecnico della cosa dalla politica dei

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singoli paesi europei verso Israele, anche perché gli ultimi eventi hanno dimostrato che atti di questo terrorismo globale possono accadere in quasi tutti i paesi del mondo e non solo in Israele o negli Usa... Certo per un periodo forse troppo lungo questi rapporti di fatto non c'erano stati perché prevaleva la politica di certi paesi europei, pregiudizievolmente ostile ad Israele".

Adesso che sembra esserci una prospettiva di pace, i palestinesi collaborano con voi nella prevenzione di ulteriori attentati suicidi?

"E' ancora troppo presto per fare bilanci, qualcosa si sta indubbiamente muovendo nel verso giusto e noi siamo sicuri che questa è la strada da battere... dopo la guerra all'Iraq le organizzazioni terroristiche non hanno più quegli appoggi economici e politici che avevano prima e anche stati come Siria e Iran adesso ci pensano due volte perché sanno che quello che è successo a Saddam un domani potrebbe accadere a loro... però è ancora troppo presto per cantare vittoria."

Se la sente di dare un messaggio di ottimismo e di speranza al popolo israeliano? Il terrorismo alla fine sarà vinto?

"Se non avessimo questa speranza e questo ottimismo, cambieremmo mestiere, il terrorismo sarà vinto perché la gente non si farà intimidire, certo il processo sarà lungo ma l'esito per noi è scontato, alla fine i profeti e gli ingegneri del terrorismo globale saranno isolati, il loro potere ridimensionato e la gente da loro strumentalizzata aprirà gli occhi... Ci vorranno altri anni ma il loro destino è segnato, Israele non sarà mai sopraffatta dal terrorismo."

(Libero, 13.07.2003 - ripreso da Informazione Corretta)



«NON CE LA FACCIO A PRENDERMI IN GIRO UN'ALTRA VOLTA»


Un universo parallelo

di Naomi Ragen


Tempo fa ho scritto un articolo, all’inizio dell’Intifada, intitolato “Vivere in un universo parallelo”. Ancora una volta, mi sento in quella situazione, avverto una grande e solida barriera che separa la mia realtà da quella che il resto del mondo sembra abitare.
     Sento il Presidente Bush in Africa parlare della “incondizionata lotta al terrorismo”, mentre la sua amministrazione insiste a chiedere che Israele rilasci dalle sue carceri pericolosi assassini delle peggiori organizzazioni terroristiche. Se Israele fosse una nazione normale in cui si applica la pena di morte, questo non sarebbe possibile. Ma noi non lo siamo. Mettiamo in pericolo la vita della nostra gente più e più volte, per un atteggiamento ridicolo e alquanto fuori moda che può forse funzionare in California, ma che non funziona qui, dove le prigioni hanno porte che si aprono spesso.
     I nostri responsabili – i capi del governo, i capi dell’esercito – danno ai nostri quotidiani dei titoli di pagina del tipo “La diminuzione dell’allarme terroristico, il sequestro delle armi, la riduzione delle agitazioni” ecc., cullando ancora una volta il pubblico israeliano per farlo addormentare nel torpore del “va tutto bene al mondo” – esattamente come fecero con Oslo. Noi, naturalmente, leggiamo gli articoli. Un’intervista con Itamar Marcus, capo del Palestinian Media Watch, ha sottolineato che “lo stesso giorno in cui questa settimana i leader internazionali e i media israeliani stavano lodando i palestinesi per aver cancellato i graffiti da alcuni muri dell’Autorità Palestinese, la televisione dell’AP trasmetteva una cerimonia di consegna di diplomi”.
     Gli studenti della scuola superiore cantavano e ballavano al suono di questo canto:

“Con parole e col fucile canteremo. Da Gerusalemme a Gaza, Ramallah, Al-Bira, Haifa, Giaffa e Ramla. Non c’è alternativa, anche se ci promettessero il Giardino dell’Eden. Si sente il suono degli spari. Vivremo e moriremo solo quando la nostra patria ritornerà a noi. Sono palestinese. Le mie armi sono la pietra e il coltello”.

     Nelle prime 10 settimane in cui Abu Mazen è stato primo ministro ed è stata pubblicata la Road Map, abbiamo avuto un totale di 304 attacchi terroristici arabo-palestinesi o tentati attacchi, in cui 50 persone sono state uccise e 315 ferite. Inoltre, oggi l’hudna viene usata ampiamente dalle organizzazioni terroristiche per rifornire e ricostruire le loro infrastrutture, terribilmente danneggiate dall’esercito israeliano, che stava vincendo la guerra contro il terrorismo prima che il signor Bush e il signor Powell si intromettessero, concedendo l'amnistia ai terroristi. Stanno reclutando bombardieri suicidi, e stanno costruendo altri missili Kassam. Israele infatti sta ancora cercando un membro della Vera IRA [da catturare] che è venuto in Israele da turista e si sospetta che si trovi in territorio palestinese per insegnare ai terroristi a costruire bombe migliori e più grandi.
     Non c’è niente che possa sostituire una guerra contro il terrorismo. Perdonare Abu Mazen per la sua incompetenza, lasciar andare i terroristi e lasciarli ricostruire, ci costerà del sangue quando arriverà il momento inevitabile in cui i palestinesi verranno con richieste così irragionevoli che persino il molle governo israeliano non potrà esaudire (difficile da immaginare una cosa del genere in questi giorni…). Israele verrà accusato, anche se a morire saranno gli israeliani.
     Siamo già stati a questo film. Abbiamo già visto la fine. Non ce la faccio a prendermi in giro un'altra volta, anche se la maggior parte dei miei connazionali sembrano non avere lo stesso problema.
     Non ho risposte. Ma preferisco vedere la realtà e capire almeno dove siamo diretti. Che Dio ci guardi da lassù e ci preservi da noi stessi.

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Naomi Ragen è una scrittrice di best-seller e un’articolista che vive in Israele dal 1971

(Newsletter di Naomi Ragen, 14 luglio 2003)



LA GRANDE SOLITUDINE D'ISRAELE


L'ignobile abbraccio

di Eytan Ellenberg

   

Questa foto mostra Mahmud Al Zhar, uno dei leader di Hamas (a destra nella foto) mentre abbraccia il mediatore egiziano Mustafa al Beheri, a Gaza. Un mediatore per la pace s'intrattiene con uno dei leader di un'organizzazione terrorista.
     Fraternità arabo-musulmana, semplice gesto politico, come interpretare questa fotografia? Quali parole si sono sussurate all'orecchio? Quali confidenze si sono scambiate stringendosi così da vicino? Non ha paura Mustafa al Beheri che il leader di Hamas gli sporchi di sangue il suo magnifico vestito grigio? Che tipo di mediazione vuole attribuirsi l'Egitto? Sicuramente non quella di una pace tra israeliani e palestinesi.
     La hudna è una tregua tra palestinesi, o piuttosto tra musulmani, non riguarda gli ebrei e gli altri infedeli. E' un arrangiamento tra estremisti e posatori di bombe, e non ha niente a che vedere con il processo di pace: è soltanto un fatto strategico.
     La hudna permette di ricostituire le forze, e non di ritrovare la via della pace. Come non vedere in questo abbraccio una grave connivenza tra il rappresentante di un paese con cui Israele ha firmato un accordo di pace e un'impresa terrorista che si è posta come obiettivo l'eliminazione fisica degli ebrei dalla Palestina?
     L'Egitto, che ha combattuto i fratelli musulmani, che Nasser ha dichiarato fuori-legge nel 1957, che ha messo in prigione o ha esiliato i suoi membri - tra cui un certo Yasser Arafat - e li reprime, si congratula con il suo miglior rappresentante a Gaza! Mubarak ha dimenticato i ripetuti tentativi di questo movimento di assassinare la sua propria persona? Certamente no. Allora perché tanta gioia, se non per l'incontro di due persone che hanno lo stesso obiettivo: la distruzione dello Stato ebraico?
     Più guardo questa foto e più avverto la grande solitudine d'Israele. Più vedo questi due uomini così abbracciati e più mi domando se fare la pace con un paese arabo significa coesistenza o semplicemente non-belligeranza. Più vedo questo scambio di sorrisi tra "vecchi amici" e più immagino il traffico d'armi che avviene tra Gaza e il Cairo.
     Questo abbraccio è ignobile. Vi si può vedere un'associazione di malfattori che hanno di mira soltanto gli ebrei e il loro Stato "fantoccio".
     Le sconfitte del 1967 e del 1973 hanno calmato le veemenze egiziane, e l'assillante risposta militare di Tsahal ha interrotto, sicuramente solo per un certo tempo, lo slancio criminale di Hamas. I due protagonisti allora cambiano strategia: la tregua, o la hudna. Si dichiara al mondo intero la propria volontà di cessarre-il-fuoco e si domanda in cambio - come se si dovesse ricompensare un criminale che dice di astenersi dall'uccidere per qualche mese - la liberazione di tutti i prigionieri per poter ricostituire le proprie forze.
     Si deve ingurgitare tutto, senza guardare quello che vogliono farci inghiottire? Questa intesa me ne ricorda un'altra più antica: quella del gran Muftì di Gerusalemme e Hitler. Gli obiettivi non sono cambiati: i nazisti adesso parlano arabo e siedono a Ramallah o a Gaza.

(Guysen Israël News, 15 luglio 2003)



LA QUESTIONE DI GERUSALEMME CAPITALE E GLI AMERICANI


Ancora Gerusalemme

di Ludwig Schneider (Gerusalemme)

Le nuove iniziative messe in moto dagli USA dopo la guerra dell'Iraq per risolvere il problema israelo-palestinese, hanno di nuovo sollevato, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi, la dolorosa questione di Gerusalemme, che gli americani hanno provvisoriamente accantonato come "spinosa". I palestinesi si rifanno a dichiarazioni del governo USA, secondo cui Gerusalemme non è la capitale d'Israele.
     A queste interpretazioni bisogna opporre i seguenti fatti.
     Delle 184 nazioni con cui gli USA intrattengono rapporti diplomatici, Israele è l'unico paese la cui capitale non è stata riconosciuta dal governo americano. L'ambasciata americana si trova, come quasi tutte le altre rappresentanze estere, a Tel Aviv. Gli USA mantengono invece a Gerusalemme Est un consolato che si occupa dei problemi dei palestinesi nei territori amministrati da Israele. Questo consolato di Gerusalemme Est lavora in modo autonomo rispetto all'ambasciata americana a Tel Aviv e dipende direttamente da Washington, più o meno come farebbe un'ambasciata americana a Gerusalemme. La qual cosa comunica ai palestinesi l'impressione che gli USA considerino Gerusalemme la capitale dei palestinesi.
     Questo fatto ha creato una situazione in cui i diplomatici americani da una parte si rifiutano di trattare con gli israeliani nella loro capitale Gerusalemme, perché secondo loro lo status di Gerusalemme capitale non è chiaramente determinato, mentre d'altra parte s'incontrano senza problemi con i palestinesi a Gerusalemme.
     Arrivò poi l'anno 1990 e il Congresso USA in una sua risoluzione dichiarò quanto segue:
     «Gerusalemme è la capitale dello Stato d'Israele e tale deve rimanere» e «Gerusalemme deve rimanere una città indivisa, in cui i diritti di tutti i gruppi etnici e religiosi sono garantiti.»
     Durante la sua campagna presidenziale del 1992 Bill Clinton dichiarò:
     «Riconosco Gerusalemme come indivisa ed eterna capitale di Israele e sono del parere che l'ambasciata americana debba essere trasferita a Gerusalemme.»
     Che si trattasse soltanto di propaganda elettorale per ottenere i voti degli ebrei è dimostrato dal fatto che in seguito Clinton, in qualità di Presidente, non ha mai più ripetuto quella dichiarazione, e secondo la versione ufficiale americana, lo status di Gerusalemme - a dispetto della dichiarazione del Congresso USA - rimaneva ancora in discussione.
     Nel tentativo di cambiare questa situazione, il Congresso USA nel 1995 rilasciò a grande maggioranza la dichiarazione Jerusalem Embassy Act, in cui si afferma che la politica americana riconosce ufficialmente Gerusalemme come indivisa, eterna capitale di Israele e che l'ambasciata americana dovrà essere spostata a Gerusalemme al più tardi entro il maggio 1999.
     La legge conteneva tuttavia una clausola che consentiva al Presidente di ignorare la disposizione se questo fosse stato consigliabile per gli interessi americani. Il Presidente Clinton si rifece a questa clausola e non spostò l'ambasciata americana a Gerusalemme.
     Poi arrivò George W. Bush. Anche lui nella sua campagna presidenziale promise, il 22 maggio 2000, davanti ai delegati della AIPAC-Policy Conference, che uno dei suoi primi atti dopo la sua elezione a Presidente sarebbe stato «l'avvio delle procedure per il trasferimento dell'ambasciata americana nella città che lo Stato d'Israele ha scelto come sua capitale». Ma poi seguì l'esempio di Clinton, appoggiandosi sulla riserva del danno agli interessi USA se si fosse trasferita l'ambasciata a Gerusalemme.
     Oggi il Presidente Bush è del parere che il trasferimento dell'ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme danneggerebbe il processo di pace in Medio Oriente. Gli oppositori di questa opinione sono invece del parere che se gli USA rendessero inequivocabilmente chiara la loro posizione, cioè che Gerusalemme è l'indivisibile capitale d'Israele, i palestinesi ridurrebbero di molto le loro irrealistiche attese riguardo a Gerusalemme, il che alla fine aumenterebbe le chanche di una definitiva soluzione del conflitto.
     Con la vittoria degli USA sull'Iraq, Washington si è ancora di più allontanata dal sua decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele e di trasferire la sua ambasciata a Gerusalemme. Gerusalemme è una pietra pesante [Zaccaria 12:3].

(Israel heute, giugno 2003)
    


BEN GURION, IL PRINCIPIO E LA MOGLIE


Mentre si trovava come ospite in America con sua moglie Paula, a David Ben Gurion fu offerta in dono un'automobile. Ben Gurion si rifiutò di prendere una macchina senza pagarla. La ditta allora gli propose di vendergliela al prezzo simbolico di mezzo dollaro. A queste condizioni Ben Gurion accettò. Diede un dollaro al manager della ditta dicendogli: "Mi dia 50 cent di resto". A questo punto Paula gli sussurrò in un orecchio: "David, invece dei 50 cent, fatti dare un'altra macchina!"

(Israel heute, giugno 2003)



MUSICA E IMMAGINI

«BaShana Haba-ah»


INDIRIZZI INTERNET


Israel's War Against Palestinian Terror

Bless Israel



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