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Notizie su Israele 298 - 3 giugno 2005

1. Lo stato della situazione in Medio Oriente
2. Gaza, scricchiola la fragile tregua
3. Se proprio dovranno partire
4. Una panoramica sul tema dell'antisemitismo
5. Intervista a Tobia Zevi
6. Università contro il boicottaggio antiebraico
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 43:10-12. I miei testimoni siete voi, dice il Signore, voi, e il mio servo che io ho scelto, affinché voi lo sappiate, mi crediate, e riconosciate che io sono. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me, non ve ne sarà nessuno. Io, io sono il Signore, e fuori di me non c’è salvatore. Io ho annunziato, salvato, predetto, e non un dio straniero in mezzo a voi; voi me ne siete testimoni, dice il Signore; io sono Dio.
1. LO STATO DELLA SITUAZIONE IN MEDIO ORIENTE




E' solo calma apparente tra Israele e Anp

di Rudy Caparrini
    
La visita a Washington di Mahmoud Abbas (detto Abu Mazen), presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha riportato in primo piano il contenzioso della Palestina, che negli ultimi tempi era stato trascurato da giornali e televisioni. I media, infatti, si sono concentrati su materie quali le vicende dell'Iraq e la sorte di Bin Laden, ponendo in secondo piano la questione che, invece, rappresenta la chiave per la stabilità dell'intero Medio Oriente.
    Si potrebbe pensare che la situazione in Palestina, in virtù del fatto che la regione non è oggetto di eccessive attenzioni, sia per il momento piuttosto tranquilla. Da qualche tempo non si leggono i bollettini di guerra cui si era abituati e che registravano quasi ogni giorno un attacco suicida da parte palestinese e una rappresaglia dell'esercito israeliano contro i villaggi nei territori occupati. La spirale di violenza pare essersi arrestata e ciò potrebbe far credere che i leader delle due parti (il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier israeliano Ariel Sharon) siano in grado di controllare gli estremisti dei rispettivi schieramenti.
    In effetti i due governi hanno ottenuto qualche risultato positivo rispettando gli accordi pattuiti al vertice di Sharm el-Sheik, che si è tenuto lo scorso 8 febbraio. In Israele Sharon è sopravvissuto alla fronda dei deputati dell'estrema destra nazionalista e ha ottenuto la maggioranza in parlamento per dare avvio al ritiro da Gaza. Sul versante palestinese il governo di Abbas sta agendo in modo incisivo contro le fazioni armate, tra cui Hamas e Al-Aqsa, contro le quali Yasser Arafat (l'ex rais scomparso il 12 novembre 2004) non aveva mai lottato con convinzione.
    Le due parti hanno compiuto dei progressi e si trovano in condizione di poter centrare traguardi storici. In ogni caso è vietato illudersi, dal momento che si sta vivendo uno stato di calma apparente. Dietro la facciata di un'ingannevole tranquillità si nascondono molti timori che la situazione possa di nuovo esplodere.
    In questo momento Israele e Anp paiono trovarsi in una condizione simile a quella che precedeva il vertice di Camp David del luglio 2000. Quell'evento, che poteva davvero segnare lo spartiacque della storia della Palestina contemporanea, risultò invece essere la causa scatenante della seconda Intifada, esplosa nel settembre 2000.
    In politica internazionale, come in molti altri ambiti, quando si alimentano delle aspettative queste devono essere soddisfatte, per evitare che ciascuno rinfacci all'altro la colpa per l'intesa mancata. Sharon e Abbas si sono molto esposti, coscienti di giocarsi la possibilità di essere per sempre citati nei libri di storia. Adesso nessuno dei due può permettersi di ottenere - agli occhi dell'avversario e dei propri connazionali - meno di quanto promesso in pubblico.
    Qualora Israele non completasse il ritiro da Gaza, provvedendo pure allo smantellamento delle colonie, le fazioni armate palestinesi troverebbero un alibi per giustificare una nuova sollevazione popolare. Reazioni analoghe scaturirebbero in Israele se Hamas si dimostrasse capace di agire indisturbata, lanciando una nuova offensiva con attentati contro i civili israeliani. Di fronte a tale eventualità, gli estremisti d'Israele, oltre che invocare l'immediata reazione dell'esercito, chiederebbero di rimettere in discussione il dispiegamento da Gaza.
    Un periodo di stasi era necessario per consentire ai due leader di consolidare la loro autorità all'interno. Adesso, tuttavia, è necessario smuovere di nuovo le acque. Come abbiamo più volte osservato, le due parti hanno sempre avuto molte difficoltà a concludere negoziati diretti. Non è, perciò, plausibile, pensare che Israele e Anp possano risolvere il contenzioso in virtù di incontri bilaterali. Serve un grande lavoro diplomatico a livello internazionale. Soprattutto, è venuto il momento di agire per la Ue, mediatore ideale in Medio Oriente sotto il profilo politico e geografico.
    
(Pagine di Difesa, 31 maggio 2005)




2. GAZA, SCRICCHIOLA LA FRAGILE TREGUA




Nuova fiammata di violenza nei Territori. Gli integralisti palestinesi pronti a riprendere le ostilità

di Francesco Cerri

GAZA - Scricchiola la già fin troppo fragile tregua di fatto in vigore da tre mesi fra i gruppi armati palestinesi e Israele, dopo una nuova fiammata di violenza a Gaza e nei territori. Domenica notte Israele è tornato a colpire dal cielo a Gaza, per la seconda volta dall'inizio della tregua. Un aereo senza pilota ha esploso tre missili nel campo profughi di Jabaliya, nel nord della Striscia, contro dei miliziani della Jihad Islamica che si accingevano a sparare razzi Qassam contro le colonie ebraiche. L'attacco ha causato il ferimento di due donne palestinesi, che non farebbero parte dei miliziani della Jihad, e la distruzione secondo Israele di due sistemi lancia razzi. Negli ultimi due giorni 7 palestinesi sono stati uccisi, la maggior parte dei quali miliziani colpiti da esplosioni in circostanze non chiare. Tutto sembra confermare che i gruppi armati integralisti palestinesi mantengono un livello alto di preparazione militare, e rimangono pronti a una eventuale ripresa delle ostilità con Israele. Il presidente del consiglio per la sicurezza nazionale israeliano Giora Eiland ha avvertito che una ripresa della spirale di violenza nei territori potrebbe intervenire dopo il ritiro da Gaza, previsto per agosto, o dopo le elezioni politiche palestinesi, per ora in programma a metà luglio. «Hamas si sta preparando a lanciare un nuovo ciclo di violenza dopo il ritiro da Gaza o dopo le elezioni palestinesi» ha ammonito. «La mia personale valutazione, ha aggiunto, è che le possibilità di prevenire un nuovo ciclo di violenza non siano molto alte». Secondo Eiland, Hamas è pericoloso non solo per il fatto di avere una struttura armata indipendente che sfugge al comando dell'Anp, ma anche perchè «non sta combattendo contro quella che definisce l'occupazione israeliana, ma contro la stessa esistenza dello stato di Israele». A Gaza rimane inoltre alta la tensione fra Hamas e Al Fatah sul terreno politico. Il movimento integralista si oppone duramente a un possibile rinvio delle elezioni politiche previste per il 17 luglio e contesta la decisione di ripetere parzialmente le elezioni amministrative di due settimane fa in tre città di Gaza, considerate vinte da Hamas. Il voto dovrebbe essere ripetuto domani, ma per ora Hamas non ha ancora deciso se boicottarle o meno. La ripetizione dello scrutinio è stata decisa dalla giustizia palestinese su ricorso di Fatah, che ha accusato Hamas di brogli. Una delegazione egiziana sta mediando da diversi giorni fra i due principali movimenti politici palestinesi per cercare di delineare un compromesso che faccia calare gli attuali pericolosamente alti livelli di tensione fra di loro. Nei giorni scorsi si sono verificati diversi scontri a fuoco fra miliziani dei due campi. Le recenti amministrative parziali palestinesi hanno confermato che Hamas ha il vento in poppa, e potrebbe insidiare la supremazia storica di Al Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, alle prossime politiche. Diversi esponenti del Fatah si sono pronunciati per un rinvio a dicembre o gennaio delle elezioni, per dare più tempo al governo di varare le riforme e lottare contro la corruzione e l'insicurezza, togliendo cosi argomenti elettorali ai fondamentalisti. Hamas però ha minacciato di rompere la tregua se le elezioni saranno rinviate. La settimana scorsa i miliziani integralisti hanno lanciato in due giorni una settantina di colpi di mortaio e di razzi Qassam contro le colonie ebraiche di Gaza, facendo temere una ripresa generalizzata della violenza. Secondo diversi osservatori si è trattato di un avvertimento al presidente Abu Mazen.

(Gazzetta del Sud, 31 maggio 2005)


* * *


Israele e Palestina : scontri a Gaza, in crisi la tregua

di Mauro Giannini

Responsabili israeliani hanno minacciato oggi di rafforzare le operazioni militari nella striscia di Gaza se i lanci palestinesi contro gli insediamenti israeliani non cesseranno. Vi sono infatti stati scontri ieri a Khan Yunes fra forze palestinesi e militanti di Hamas che miravano con colpi di mortaio alle colonie di Gush Katif.
     I miliziani hanno sparato contro obiettivi israeliani decine di razzi Qassam e colpi di mortaio, secondo fonti militari israeliane, ma un velivolo israeliano ha fatto fuoco sui membri di Hamas colpendone due. Hamas ha fatto sapere che uno dei due uomini e' in condizioni critiche ed era stato ferito mentre conduceva la sua "santa missione".
     I militanti hanno continuato i lanci anche dopo il raid israeliano. Un Israeliano sarebbe stato ferito quando un proiettile di mortaio e' eploso vicino ad una sinagoga nell'insediamento maggiore di Gaza, Neve Dekalim. L'azione di Hamas sembra essere una ritorsione per l'uccisione di un militante il giorno prima presso il campo di rifugiati di Rafah.
    Il fragile cessate il fuoco informale in vigore da febbraio fra Israele e le fazioni armate palestinesi sembra ora in pericolo. Tel Aviv ha reagito dicendo di dover subito "agire in modo piu' aggressivo" di quanto non sia stato fino ad ora fatto".
    Il viceministro della difesa Zeev Boim ha detto alla radio di Stato che Israele ha agito fino ad oggi "con moderazione" poiche' aveva interesse che regnasse la calma durante il periodo precedente il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza previsto meta' agosto, ma che "nessuno avrebbe potuto immaginare che avremmo proceduto all'evacuazione sotto i fuoco".
    Riferendosi ad un impegno di Abu Mazen, che dovrebbe predisporre le forze di sicurezza necessarie a fermare "il terrorismo", il viceministro israeliano ha aggiunto: "Se l'autorita' palestinese non comprende il messaggio, glielo faremo comprendere". Il primo ministro Ariel Sharon dovrebbe convocare oggi una riunione di responsabili militari per studiare eventuali risposte conseguenziali.
    Nel frattempo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si e' espresso sulla situazione mediorientale, affermando che necessita "un nuovo avvio sulle strade della pace". Il Consiglio ha espresso la speranza che "a breve il primo ministro Sharon e il presidente Abbas continuino il dialogo che hanno cominciato a Sharm el-Sheikh" e che entrambe le parti accantonino i dubbi e i sospetti reciproci.
    E' stato rilevato che continuano le costruzioni di stanziamenti israeliani nella striscia di Gaza, contrariamente a quanto richiesto in sede internazionale e dallo stesso presidente Bush nel suo incontro con Sharon, mentre lunedi' la Corte suprema israeliana ha sospeso le limitazioni che aveva posto all'erezione del muro, che si inoltra "profondamente" in territorio palestinese.
    In questi giorni sara' in Israele e Palestina il commissario europeo Peter Mandelson, che sottolineera' la necessita' di stabilita' nella regione.

(www.osservatoriosullalegalita.org, 1 giugno 2005)





3. SE PROPRIO DOVRANNO PARTIRE




I coloni di Gush Katif andranno via «senza sparare»

«Se davvero succederà, se dovremo partire, la cosa più importante é che restiamo insieme, tutta la nostra comunità, a costo di vivere nelle tende»: all'ombra delle palme di Gadid, una delle colonie del sud di Gaza, Ariel Porath, 50 anni, barba brizzolata, si fa violenza per parlare del "dopo", di quando il "ritiro" annunciato dal governo israeliano sarà stato consumato.
    La maggior parte dei circa 8.000 coloni dell'area del Gush Katif, che comprende 18 dei 21 insediamenti della Striscia, preferirebbe fare come se il 15, il 16 o il 17 agosto non dovessero arrivare migliaia di poliziotti e di soldati, incaricati di portarli via di peso, per trasferirli ancora non sanno dove, in Israele.
    Ebreo francese Porath è arrivato qui da Strasburgo 20 anni fa. Allora lo stato ebraico incoraggiava gli ebrei della diaspora desiderosi di tornare sul suolo del Grande Israele a trasferirsi nelle colonie. Molti francesi sono così arrivati al Gush Katif. Porath ha creato una sua azienda agricola, che oggi produce milioni di germogli di verdura ogni settimana. «E ora vogliono mandarci via in qualche settimana» tuona.
    Religioso moderato come la maggior parte degli altri coloni del Gush Katif, Porath rifiuta la violenza, e dice di non credere che alla fine dovrà andarsene. E se i soldati verranno comunque, a metà agosto, «non spareremo!», assicura: «siamo agricoltori, amiamo la terra e la vita». Ma la battaglia con Ariel Sharon, dopo innumerevoli scontri in parlamento, nel teatro della politica, nello stesso partito del premier, il Likud, a molti sembra ormai persa. E anche se tutti o quasi dicono che non si muoveranno fino all'ultimo minuto, il pensiero e l'angoscia del "dopo", attanaglia tutti.
    Un progetto del premier, quello di ricreare una comunità simile, con la maggior parte dei coloni evacuati, a Nitzanim, una splendida riserva naturale di dune a 40 km più a nord, in territorio israeliano, sta mano a mano conquistando simpatie. Perché il posto assomiglia molto al Gush Katif e anche, forse soprattutto, perché la comunità rimarrebbe intatta.
    
(Corriere.com, 25 maggio 2005)





4. UNA PANORAMICA SUL TEMA DELL'ANTISEMITISMO




Segnali per sperare, segnali per non abbassare la guardia

di Federico Steinhaus

Poche settimane fa pareva che una nuova forma di oscurantismo, che aveva assunto le vesti di un antagonismo politico ipocrita e fazioso, incombesse sull’Europa. Oggi vi sono motivi per sperare che così non sia, e che quelle forze di appannamento delle coscienze e del giudizio etico siano state sconfitte.
    Ricordiamo il quadro lugubre che ci si presentava poco tempo fa. In Gran Bretagna, ma anche altrove nel nostro civilissimo occidente, gruppi di accademici avevano deciso di boicottare alcune istituzioni universitarie per il solo fatto di essere israeliane, un crimine orrendo contro l’umanità ai loro occhi puri ed inflessibili. Lo stesso era avvenuto ad alcuni accademici e scienziati israeliani invitati e poi disinvitati da alcune università. In Italia in diverse occasioni e località gruppi di facinorosi avevano potuto impedire l'uso della parola a personalità israeliane, o a docenti sospettati di non essere abbastanza filopalestinesi, che avrebbero dovuto tenere conferenze o cicli di lezioni in ambito universitario.
    Ma non basta. Da tempo si tende ad accomunare tutti gli israeliani, o anche solamente tutti gli ebrei israeliani, in una serie di accuse dettate da una visione politica di parte; vi è anche chi estende, esplicitamente od implicitamente ma con ammiccamenti molto espliciti, a tutti gli ebrei tali accuse.
    Le istituzioni ebraiche e tutte le persone dotate di buon senso hanno denunciato questa nuova forma di antisemitismo, che presenta Israele come l’unico paese al mondo che non rispetta regole morali o princìpi umanitari, ignorando sistematicamente quanto avviene altrove nel mondo.

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    Cosa è successo, dunque, per far sperare in una svolta?
    Innanzi tutto, il prestigioso giornale francese “Le Monde” è stato condannato per incitamento all’odio razziale da un tribunale che ha preso in esame un articolo pubblicato nel giugno del 2002, in cui tre editorialisti avevano scritto che Israele “nazione di fuggiaschi provenienti dal popolo da più lungo tempo perseguitato nella storia dell’umanità, che aveva subito le peggiori umiliazioni ed il peggior disprezzo, sia capace di trasformarsi nello spazio di due generazioni in popolo dominatore e sicuro di sé”… ”Gli ebrei d’Israele, discendenti dalle vittime di un apartheid che si chiamò ghetto, ghettizzano i palestinesi… gli ebrei che furono vittime di un ordine spietato impongono il loro ordine spietato ai Palestinesi…”. La Corte d’Appello francese ha sentenziato che con quelle frasi “si accusa l’insieme degli ebrei d’Israele del fatto preciso di umiliare i Palestinesi e di trarne soddisfazione…” e di “aver accusato gli ebrei nella loro globalità, al di là persino dei soli ebrei d’Israele, di perseguitare i Palestinesi”.
    Di tanto in tanto i tribunali francesi (vedansi le numerose sentenze contro i negazionisti) riprendono in mano i dettami etici dell'età dei Lumi e le belle parole d’ordine della loro Rivoluzione per mettere qualche puntino sulle i. Non è un buon segno dover affidare la moralità, la fratellanza, la tolleranza, l’uguaglianza senza discriminazioni dettate da motivazioni abiette ai tribunali, e sarebbe auspicabile che se ne potesse fare a meno. Ma in mancanza di una acquisizione di tali valori da parte di chi dovrebbe esserne l’alfiere ed invece li calpesta ci accontentiamo anche delle sentenze.
    L’altra buona notizia è che la British Association of University Teachers, che aveva deciso con una deliberazione assunta a grande maggioranza di boicottare due università israeliane (due istituzioni accademiche aperte al dialogo, per inciso) ha revocato quella decisione. Evidentemente le reazioni di violento disgusto manifestate da centinaia di docenti universitari, premi Nobel, politici ed esponenti della cultura ha prevalso, ma non illudiamoci che si tratti di una vittoria definitiva. Esiste un bel detto, in molte regioni italiane, dal quale con varie formulazioni si evince il concetto che la madre degli imbecilli è sempre incinta – e questo vale non solamente per l'imbecillità.
    E in Italia cosa è successo? Il primo colpevole silenzio delle istituzioni accademiche, che aveva tentato goffamente di negare o minimizzare gli “spiacevoli incidenti” , è stato finalmente sostituito da una presa di posizione netta, esplicita, decisa:
    “La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane ribadisce con forza la ferma condanna di qualsiasi fenomeno di antisemitismo e di ogni forma di intolleranza razziale, culturale, sociale, politica e religiosa. Come Rettori degli Atenei italiani riconosciamo e denunciamo l’estrema gravità di alcuni episodi, per altro marginali, verificatisi nei giorni scorsi, da imputare a singole iniziative di piccoli gruppi autonomi , che non rappresentano affatto lo spirito e il sentire comune degli Atenei. L’istituzione universitaria è da quasi un millennio un riferimento etico e culturale per il nostro Paese: la convivenza tra culture e saperi diversi è la principale caratteristica del sistema accademico italiano – così come di qualsiasi comunità scientifica degna di definirsi tale - che vede nella diffusione dei valori di rispetto e tolleranza il presupposto della sua stessa missione. Atteggiamenti di rifiuto e contestazione nei confronti delle diversità e delle minoranze rivelano lo sconcertante trionfo dell’intolleranza, che è di fatto il primo nemico della conoscenza: l’Università non puo’ quindi che respingere e contrastare attivamente, come d’altronde ha sempre fatto, tali insane tendenze, impegnandosi a stroncarle sul nascere. La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, pertanto, esprime totale solidarietà verso la comunità ebraica nella profonda consapevolezza del dramma della Shoàh, impegnandosi profondamente a tutelare e a tramandare la memoria storica alle nuove generazioni. Il ricordo e la comprensione degli orrori del passato costituiscono infatti i più efficaci antidoti contro la superficialità dell’ignoranza, specie in un'epoca dai ritmi frenetici e convulsi come quella in cui viviamo. In quanto comunità intellettuale, l’Università desidera inoltre esprimere e testimoniare la propria ammirazione per gli insostituibili contributi che la tradizione ebraica ha dato e continua a dare alla cultura italiana. E’ speranza comune che tali deprecabili fenomeni non avvengano mai più, ma perché ciò sia possibile è necessario impegnarsi per trasformare questo augurio in impegno attivo e costante. La Conferenza dei Rettori ribadisce la ferma volontà del sistema universitario di farsi soggetto attivo nella lotta all’antisemitismo e nel processo di sostegno e di cooperazione alla pace e allo sviluppo con una parte del mondo da troppo tempo costretta in un clima di guerra e di violenza, ribadendo ancora una volta l’insostituibile ruolo dell’Università per la costruzione di una società libera e democratica”.
Il panorama internazionale non è però tutto positivo, ed esistono nuovi motivi di preoccupazione.
    In particolare è aggredita da una campagna di violento antisemitismo la Turchia, l'unico stato a maggioranza islamica che non sia retto da una forma di governo teocratica, uno stato amico di Israele che aspira a far parte dell'Unione Europea. Organi di stampa in particolare della destra islamista accusano sistematicamente gli ebrei, come popolo, di voler dominare il mondo, di cospirare contro il resto dell’umanità, di essere dominanti del mondo degli affari e dei media, di aver provocato terremoti, di aver inventato la globalizzazione, di non essere cittadini leali, di aver causato il crollo dell’Impero Ottomano. “Mein Kampf”, già pubblicato 45 volte, ed i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, pubblicato un centinaio di volte, sono attualmente i bestseller dell'editoria turca. Noti editorialisti affermano sulla stampa che il mondo non può permettere che a causa degli ebrei rinasca un nuovo Hitler.
    Ed in un sermone di metà maggio di Sheikh Ibrahim Mudeiris trasmesso dalla televisione dell’Autorità Palestinese si afferma, per l'ennesima volta e come ai tempi di Arafat, che gli ebrei sono un virus, Israele è un cancro, e che i musulmani distruggeranno gli ebrei ed Israele ed infine domineranno l’America (http://www.memritv.org/search.asp?ACT=S9&P1=669): “Allah ci ha tormentati con il popolo più ostile ai fedeli, gli ebrei… Allah ha messo in guardia l'amato profeta Maometto dagli ebrei, che avevano ucciso i loro profeti, creato la loro Torah, e disseminato la corruzione in tutta la loro storia… Con la creazione dello stato d’Israele tutta la nazione islamica si è sentita perduta perché Israele è un cancro che si impadronisce di tutta la nazione islamica e perché gli ebrei sono un virus come l’AIDS…”.
    
    La conclusione di questa panoramica sembra indicare che il focolaio del “nuovo” antisemitismo – che in realtà è vecchio di secoli – rimane vivo e fortemente attivo nel mondo arabo-islamico, e tende ad espandersi sotto forma di pregiudizio pseudopolitico nel mondo occidentale, per sua natura sensibile alle cause di ingiustizia e di discriminazione, ma a quanto pare insensibile ad ogni analisi e ad ogni approfondimento critico quando si tratti di Israele.
    
(Informazione Corretta, 1 giugno 2005)





5. INTERVISTA A TOBIA ZEVI




Antisemitismo negli atenei: giovani ebrei per il dialogo

di Domenico Naso

Gli episodi di antisemitismo verificatisi negli ultimi mesi in numerose università italiane ad opera di movimenti studenteschi di estrema sinistra hanno aperto nel paese un allarmato e allarmante dibattito.
    L’ultimo caso, la contestazione e le minacce alla professoressa Santus dell’università di Torino, rea di aver invitato un diplomatico israeliano durante una lezione, ha rappresentato l’eccesso più alto raggiunto in una situazione tuttavia sempre tesa all’interno di molti atenei del nostro Paese. I giovani ebrei italiani sono rappresentati dall’UGEI (Unione Giovani Ebrei d’Italia), un coordinamento apartitico di associazioni giovanili ebraiche, ed è doveroso sentire il loro punto di vista, attraverso il presidente Tobia Zevi.
    Tobia ha 22 anni, vive a Roma e studia Lettere e Filosofia alla Sapienza e già nei giorni scorsi aveva fatto sentire la sua voce in merito agli episodi di antisemitismo di sinistra che infestano gli atenei italiani.
    Come valuti i recenti casi di antisemitismo a Pisa, Firenze e Torino?
Ovviamente, come giovane ebreo, sono impressionato dalla gravità dei fatti, dalla loro frequenza sempre più preoccupante e soprattutto dal clima di paura che abbiamo avvertito specialmente nelle parole della prof. Santus e dei suoi studenti.
    Sei a conoscenza di episodi del genere avvenuti negli atenei romani?
Non ci sono stati episodi simili a Roma. Come ha detto Giorgio Israel recentemente, siamo turbati da questi atti di intolleranza ma fortunatamente la realtà universitaria romana ci risparmia episodi di tale gravità.
    Qualche giorno fa, in una lettera inviata a L’Unità, hai proposto il dialogo ai gruppi di estrema sinistra (i cosiddetti “collettivi) che si sono resi responsabili delle contestazioni antisemite nelle Università. Pensi davvero che sia la strada giusta?
    Assolutamente. Ritengo sia utile incontrarsi e parlarne per cercare di approfondire un argomento delicato e forse poco conosciuto come la situazione mediorientale. E’ sacrosanto il diritto a contestare la politica israeliana però dobbiamo partire da alcuni punti fermi: l'esistenza stessa dello Stato d'Israele non può essere in discussione, non si può aspirare alla “cancellazione” di Israele dalla cartina del Medio Oriente, soprattutto tenendo presente che, si voglia o no, Israele è oggi l’unica democrazia presente in quell’area. Come ho già detto nei giorni scorsi, propongo agli studenti legati ad associazioni filopalestinesi, e soprattutto a chi ha impedito di parlare al viceambasciatore israeliano, di incontrarci e confrontarci su un tema che per la sua complessità non può essere affrontato con leggerezza, tantomeno con rozza intolleranza. Solo attraverso la conoscenza dei fatti si può stimolare la partecipazione alla discussione di una fetta più larga della popolazione studentesca.
    I collettivi responsabili delle contestazioni di cui si parla sono in realtà meno “potenti” politicamente di quanto si possa pensare. Rappresentano più o meno il 5-10% dell’intera popolazione studentesca.
    Se riusciamo a far conoscere la situazione di Israele e della questione palestinese a un numero sempre più vasto di giovani possiamo davvero stimolare un dibattito costruttivo che possa tener conto delle sacrosante differenze d’opinione senza, tuttavia, sfociare in intolleranza antisemita.
    L’Opinione ha lanciato la proposta di tagliare i fondi statali alle università che si “macchiano” di episodi come quello di Torino. Che ne pensi?
    Penso si sia trattato più che altro di una provocazione che mirava, giustamente, a porre l’attenzione su questo tema delicato e allarmante. In concreto, tuttavia, non penso che con misure “punitive” si possa risolvere un problema del genere. Il lavoro da fare è capillare e profondo e riguarda per lo più la promozione di progetti educativi. E’ così che si deve combattere l’ignoranza di chi contesta per partito preso, senza essere a conoscenza della realtà.
    C’è aria di rinnovato antisemitismo nel nostro Paese. La avverti anche tu?
In questo senso è impressionante l’analisi che viene fuori dal libro “I soliti ebrei” di Daniele Scalise. Nemmeno io, giovane ebreo, avrei potuto immaginare una diffusione così capillare, anche se a volte subdola e invisibile, del pregiudizio antisemita. Questo, però, non deve farci deporre le armi del dialogo e del rispetto reciproco.

(L'Opinione.it, 2 giugno 2005)





6. UNIVERSITÀ CONTRO IL BOICOTTAGGIO ANTIEBRAICO




A Gerusalemme pace accademica tra israeliani e palestinesi.

di Giovanna Albertini

La notizia è di quelle tipo “l’uomo che morde il cane”: i rettori dell’Università israeliana di Gerusalemme, Menachem Magidor, e dell’Università palestinese Al-Quds, Sari Nusseibeh, hanno firmato giovedì a Londra una dichiarazione congiunta a favore della cooperazione accademica.
    E questo in evidente replica al boicottaggio di università israeliane deliberato il mese scorso dall’Associazione dei Docenti Universitari Britannici.
La dichiarazione congiunta delle due università di Gerusalemme sostiene la necessità di proseguire e promuovere la cooperazione accademica fra istituti di studio e ricerca israeliani e palestinesi. “Consapevoli della leadership morale che le università sono chiamate a garantire soprattutto in questo già burrascoso contesto politico – si legge nella dichiarazione congiunta – noi rettori delle università Al-Quds ed Ebraica di Gerusalemme concordiamo sulla necessità di insistere affinché si continui a lavorare insieme nella ricerca della conoscenza, a beneficio delle nostre due popolazioni e per la promozione di pace e giustizia in Medio Oriente”. “La nostra posizione - continuano i rettori israeliano e palestinese – si basa sulla convinzione che i nostri comuni obiettivi possano essere conseguiti attraverso la cooperazione fondata sul rispetto reciproco più che attraverso boicottaggi e discriminazioni. Colmare anziché ampliare il divario politico fra le nazioni e gli individui diventa dunque un dovere educativo tanto quanto una necessità pratica, cosa che richiede scambio e dialogo più che antagonismo e scontro. La nostra contrarietà e condanna per ogni atto di boicottaggio accademico e di discriminazione contro studiosi e istituzioni si fonda sui principi di libertà accademica, diritti umani ed eguaglianza fra nazioni e individui”.
    La dichiarazione si chiude con un appello dei rettori delle due università agli accademici del paese e del resto del mondo affinché “si adoperino a sostegno della nostra missione, volta permettere la fine della nostra comune tragedia, anziché il suo prolungamento”. Nel momento che in mezza Europa proliferano esibizionisti accademici e filosofi alla Vattimo che sostengono la necessità di boicottare professori e studenti solo perché israeliani, con luoghi comuni come quello che “oggi gli ebrei fanno ai palestinesi ciò che negli anni ’40 fu fatto loro dai nazisti”, una notizia come questa oltre a fare piacere spiazza tutti i vigliacchetti politically correct italiani ed europei che si voltano dall’altra parte e fingono di non vedere gli episodi di discriminazione anti israeliana in questione.

(L'Opinione.it, 2 giugno 2005)





MUSICA E IMMAGINI




Mitzva Tants




INDIRIZZI INTERNET




Ebrei in Sicilia nel Fascismo

Un Cuore per Israele




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