In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, o Sion, le tue mani non s'infiacchiscano!
L'Eterno, il tuo Dio, è in mezzo a te come un Potente che salva;
egli si rallegrerà con gran gioia per te,
si acqueterà nell'amor suo,
esulterà per te con gridi di gioia».
Sofonia 3:16-17

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Dio con noi
    MATTEO 1
  1. Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
  2. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.
  3. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prender con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.
  4. Ed ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.
  5. Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
  6. Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: «Iddio con noi».
    SALMO 145

  1. Io ti esalterò, o mio Dio, mio Re, e benedirò il tuo nome in eterno.
  2. Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome per sempre.
  3. L'Eterno è grande e degno di somma lode, e la sua grandezza non si può investigare.
  4. Un'età dirà all'altra le lodi delle tue opere e farà conoscere le tue gesta.
  5. Io mediterò sul glorioso splendore della tua maestà
    GENESI 2
  1. L’Eterno Iddio formò l'uomo dalla polvere della terra,
  2. gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente
    ISAIA 53
  1. Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice che esce da un arido suolo.
    GIOVANNI 20
  1. Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”.
  2. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.
    PROVERBI 8
  1. Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell'abisso,
  2. quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso,
  3. quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra,
  4. io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto;
  5. mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
    GENESI 2
  1. E udirono la voce dell'Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Iddio fra gli alberi del giardino.
    GIOVANNI 3
  1. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
    1 CORINZI 15
  1. Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante”.
    GENESI 3
  1. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; questa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”.
    ISAIA 7
  1. Perciò il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
    GIOVANNI 12
  1. “Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo, ma, se muore, produce molto frutto" .
    ESODO 3
  1. E l'Eterno disse: “Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; perché conosco i suoi affanni; 
  2. e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani.
    ESODO 29
  1. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te.
  2. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro
    GIOVANNI 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.

Marcello Cicchese
febbraio 2024

Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Israele nel Golan siriano: per la prima volta dal ‘73

Netanyahu: il regime di Assad è finito e così l’armistizio del 1974. “Questo accordo è durato 50 anni e ieri sera è crollato”.

di Rossella Tercatin

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GERUSALEMME – Le immagini diffuse dall’esercito mostrano soldati con pesante equipaggiamento invernale farsi strada in un paesaggio vasto e deserto, con i versanti brulli delle montagne parzialmente ricoperti di neve. Per la prima volta dalla guerra del Kippur nel 1973, Israele è rientrata in territorio siriano, e ha schierato le sue truppe non solo nella zona cuscinetto demilitarizzata ma anche sul lato sotto controllo di Damasco nelle alture del Golan - quello israeliano, annesso dallo Stato ebraico nel 1981 viene considerato territorio occupato da gran parte della comunità internazionale. Il complesso montuoso è considerato strategico perché consente di mantenere la visuale sulla zona circostante.
La mossa israeliana è stata descritta dal primo Ministro Benjamin Netanyahu come necessaria per evitare che “forze ostili si insedino proprio presso il nostro confine”. Netanyahu però ha anche descritto il crollo del regime di Bashar al-Assad come un evento che potrebbe aprire nuove porte per un futuro diverso in Medio Oriente.
“Questa è una giornata storica,” ha sottolineato ieri il premier visitando il confine. “Il crollo del regime di Assad, della tirannia di Damasco, offre grandi opportunità, ma è anche irto di pericoli significativi”.
Netanyahu ha descritto gli eventi in Siria come una diretta conseguenza dell’azione israeliana contro Hezbollah e l’Iran, che avevano sostenuto il dittatore nel corso dei 14 anni di guerra civile. Allo stesso tempo però il primo ministro israeliano ha anche affermato che il collasso del regime segna anche quello dell’armistizio tra i due paesi risalente al 1974. “Questo accordo è durato 50 anni e ieri sera è crollato”, le parole di Netanyahu. “L'esercito siriano ha abbandonato le sue posizioni. Così abbiamo dato all'esercito israeliano l'ordine di prendere il controllo di queste posizioni per garantire che nessuna forza ostile si insedi proprio accanto al confine di Israele. Questa è una posizione difensiva temporanea finché non verrà trovato un accordo adatto”. In seguito ai movimenti delle truppe israeliane, il portavoce dell’Idf in lingua araba ha chiesto agli abitanti di cinque villaggi nelle zone limitrofe, Ofaniya, Quneitra, al-Hamidiyah, Samdaniya al-Gharbiyya and al-Qahtaniyah, di rimanere nelle proprie case fino a nuovo ordine. Israele non si è limitata a blindare il confine, con truppe e nuove trincee.
Nelle ultime 48 ore, l’aviazione ha compiuto ripetuti raid in territorio siriano per distruggere fabbriche e depositi di armi, incluse armi chimiche. L’Idf ha affermato di aver anche aiutato una postazione delle Nazioni Unite a sud della Siria a respingere un attacco di uomini armati non identificati.
Negli ultimi anni, Israele ha effettuato centinaia di raid nel paese, in massima parte senza assumersene ufficialmente la responsabilità, per contrastare le attività di Hezbollah e dell’Iran nella regione, con una sorta di patto di non belligeranza con la Russia, che della Siria ha controllato i cieli dall’inizio della guerra civile, e ha tollerato le attività dell’Idf in cambio dell’assicurazione che le sue forze non venissero in alcun modo coinvolte. Un equilibrio di interessi e attori in campo anche questo sgretolato dalla fine di Assad.
Negli anni più cruenti della guerra siriana, Israele rimase alla finestra e riuscì a evitare scontri tanto con le truppe governative quanto con i ribelli. Addirittura, la stessa Idf si dedicò all’operazione Buon Vicino, mettendo su un ospedale da campo proprio sulle alture del Golan, evacuando pazienti siriani nei propri ospedali al nord e organizzando un servizio di clinica dentistica e pediatrica per i bambini della zona.
Se oggi Israele guarda agli eventi in Siria con cautela, leader e analisti offrono qualche segnale di speranza.“Tendiamo la mano a tutti coloro che sono oltre il nostro confine in Siria: ai drusi, ai curdi, ai cristiani e ai musulmani che vogliono vivere in pace con Israele”, ha affermato Netanyahu. “Seguiremo gli eventi con molta attenzione. Se sarà possibile stabilire relazioni di buon vicinato con le nuove forze emergenti in Siria, questo è il nostro desiderio. Ma se non lo sarà, faremo tutto il necessario per difenderci.”

(la Repubblica, 9 dicembre 2024)

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Katz ordina una zona di sicurezza al confine con la Siria

L'Aeronautica militare israeliana (IAF) ha effettuato diversi attacchi in Siria nella notte di lunedì, distruggendo armi che Gerusalemme teme possano cadere nelle mani delle forze nemiche

di Akiva van Koningsveld e Amelie Botbol

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Truppe dell'unità d'élite Shaldag dell'Aeronautica israeliana sul versante siriano del Monte Hermon, 8 dicembre 2024

Il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di creare una zona di sicurezza al di là della zona cuscinetto con la Siria, priva di “armi strategiche pesanti e infrastrutture terroristiche”, ha annunciato lunedì il Ministero della Difesa.
Katz ha dichiarato di aver ordinato all'IDF di assumere il pieno controllo della zona cuscinetto demilitarizzata sulle alture del Golan, creata dall'accordo di separazione delle forze del 1974 tra Damasco e Gerusalemme che pose fine alla guerra dello Yom Kippur del 1973.
Inoltre, Katz ha ordinato l'ulteriore distruzione di armi strategiche precedentemente detenute dal regime e dalle milizie sostenute dall'Iran per evitare che cadano nelle mani delle forze terroristiche. Secondo il ministero, queste armi includono “missili terra-aria, sistemi di difesa aerea, missili superficie-superficie, missili da crociera, missili a lungo raggio e missili da crociera costieri”.
Katz ha anche incaricato l'esercito di “prevenire e impedire il ripristino della via del contrabbando di armi dall'Iran al Libano attraverso la Siria, sul territorio siriano e ai valichi di frontiera”.
Infine, Katz ha detto di aver chiesto all'esercito di cercare di stabilire contatti con la comunità drusa in Siria e con altre popolazioni locali.
L'ex presidente siriano Bashar al-Assad è fuggito da Damasco domenica dopo che i gruppi di ribelli hanno preso d'assalto la capitale, ponendo fine al governo della sua famiglia durato cinque decenni.
Un portavoce dei ribelli ha dichiarato domenica mattina alla televisione di Stato: “Il tiranno Bashar al-Assad è stato rovesciato”.
In seguito agli eventi in Siria, l'IDF è stato schierato nella zona cuscinetto e in “alcune altre posizioni di difesa necessarie”. L'esercito ha spiegato che questa misura è stata presa a seguito di una valutazione della situazione, al fine di “garantire la sicurezza delle comunità delle Alture del Golan e dei cittadini di Israele”.
I capi dell'intelligence hanno avvertito che il crollo del regime potrebbe portare a un caos che potrebbe sfociare in minacce contro Israele.
L'IDF ha dichiarato nella tarda serata di domenica di continuare a operare lungo la nuova linea di confine con la Siria e di concentrarsi sulla ricognizione e sulla protezione della popolazione israeliana, in particolare sulle alture del Golan.
Il versante siriano del Monte Hermon è stato conquistato domenica dalle forze speciali israeliane, che non hanno incontrato resistenza durante l'operazione.
Tra le altre cose, le forze israeliane starebbero lavorando per portare avanti la costruzione di una barriera fortificata lungo il confine tra i due Paesi, il cosiddetto “Nuovo Oriente”.
Nel frattempo, due “fonti di sicurezza del Medio Oriente” hanno riferito alla Reuters che l'IDF ha attaccato una struttura di ricerca a Damasco che sarebbe stata utilizzata dall'Iran per sviluppare missili di precisione a lungo raggio.
L'IAF ha effettuato diversi attacchi in Siria nella notte di domenica e ha distrutto armi che Gerusalemme teme possano cadere nelle mani delle forze nemiche. Gli attacchi sono stati diretti contro depositi di armi, sistemi di difesa aerea e impianti di produzione di armi.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che domenica ha visitato il confine siriano, ha accolto con favore il crollo del regime di Assad, che ha descritto come un “anello centrale dell'asse del male dell'Iran”, e lo ha definito un “giorno storico nella storia del Medio Oriente”.
Tuttavia, Israele proteggerà innanzitutto i suoi confini. “Quest'area è stata controllata da una zona cuscinetto per quasi 50 anni”, ha detto durante una visita al Monte Bental, un vulcano spento nelle Alture del Golan.
“Ieri ho dato istruzioni all'IDF di prendere il controllo della zona cuscinetto e dei posti di blocco vicini. Non permetteremo alle forze nemiche di insediarsi ai nostri confini”, ha dichiarato il Primo Ministro.
L'ex deputato israeliano e tenente colonnello dell'IDF in pensione Anat Berko ha dichiarato domenica a JNS: “Vediamo chiaramente il conflitto secolare - che risale al VII secolo tra sunniti e sciiti - e gli effetti domino della risposta di Israele dopo il massacro del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas e della Jihad islamica sul suolo israeliano, e dopo l'indebolimento di Hezbollah, che è stato coinvolto nel conflitto siriano per molti anni”.
Sebbene il crollo del governo di Assad potrebbe avvantaggiare Israele nel breve termine, Berko ha affermato che “la Siria potrebbe diventare una terra di nessuno, simile a quella che io chiamo l'era dell'ISIS e del turismo jihadista”. Quando è iniziata la guerra civile, ha osservato Berko, cittadini di oltre 70 Paesi si sono recati in Siria per unirsi allo Stato Islamico, compresi cristiani convertiti all'Islam e arabi israeliani.
“Spero che gli israeliani abbiano imparato la lezione del 7 ottobre”, ha detto l'ex parlamentare del Likud. “Dobbiamo presumere che ci siano tunnel al confine siriano con Israele e dobbiamo essere preparati a questo e analizzare la situazione molto attentamente. Non abbiamo a che fare con il nemico del nostro nemico. Sono entrambi nemici; i sunniti e gli sciiti odiano gli ebrei”.
L'ex ambasciatore Jeremy Issacharoff, che è stato vicedirettore generale del Dipartimento di Stato a Gerusalemme e ha diretto la Divisione Affari Multilaterali e Strategici, ha osservato che mentre ci sono “elementi di pericolo e molta incertezza su ciò che accadrà e su chi prenderà il controllo”, la caduta di Assad è una “opportunità” in quanto “gli eventi attuali portano molti svantaggi ai nemici di Israele”.
“Il popolo siriano è intelligente; si renderà conto che, dopo tanti anni di governo della famiglia Assad, potrebbe esserci l'opportunità di stabilizzare lo Stato, ricostruire le istituzioni e unire il Paese; questo potrebbe essere difficile, poiché molte aree devono essere riunite”, ha detto Issacharoff.
“Stiamo seguendo da vicino e speriamo che in Siria possa emergere una leadership che possa creare maggiori opportunità per Israele”, ha aggiunto.
Allo stesso tempo, secondo l'ex diplomatico israeliano, Gerusalemme “osserva sempre ciò che accade in Siria e siamo sempre preoccupati di come l'Iran stia usando la Siria per trasferire armi a Hezbollah”.
“Penso che oggi ci sia un chiaro incentivo per i siriani a cercare una via di mezzo moderata invece di presentarsi come jihadisti islamici estremi”, ha concluso Issacharoff.

(Israel Heute, 9 dicembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele distrugge le armi chimiche di Assad prima che finiscano in mano dei jihadisti

Decine di attacchi hanno distrutto anche arsenali di armi avanzate, missili e armi pesanti.

di Sarah G. Frankl

Domenica, i caccia dell’aeronautica militare israeliana hanno colpito decine di obiettivi in tutta la Siria, distruggendo armamenti che Israele temeva potessero cadere nelle mani di forze ostili, alla luce della drammatica caduta del regime di Bashar al-Assad.
Sempre domenica, le Forze di difesa israeliane hanno preso il controllo di una zona cuscinetto tra il confine tra Israele e Siria sulle alture del Golan, in quella che hanno descritto come una misura difensiva temporanea.
Decine di aerei dell’IAF hanno colpito numerosi obiettivi, concentrandosi sulla distruzione di “armi strategiche”, hanno riferito fonti della difesa, descrivendo gli attacchi come “molto intensivi”.
Le armi colpite dagli aerei da guerra includevano siti avanzati di stoccaggio di missili, sistemi di difesa aerea e strutture di produzione di armi. Israele ha anche colpito un sito di armi chimiche nella notte tra sabato e domenica.
Il regime di Assad, caduto domenica dopo un’offensiva lampo delle forze ribelli, era alleato del regime iraniano e faceva parte del cosiddetto Asse di resistenza contro Israele.
Per molti anni la Siria è stata utilizzata come passaggio per le armi iraniane, dirette verso gruppi terroristici tra cui Hezbollah in Libano, con cui Israele ha stipulato un traballante cessate il fuoco il mese scorso.
Secondo quanto riferito da fonti della sicurezza regionale, domenica Israele ha colpito almeno sette obiettivi nella Siria sudoccidentale.
Tra queste, la base aerea di Khalkhala a nord della città di Sweida, da cui le truppe dell’esercito siriano si sono ritirate sabato sera. Le fonti regionali hanno affermato che l’esercito ha lasciato dietro di sé un’ampia scorta di missili, batterie di difesa aerea e munizioni, che sono state colpite domenica.
Gli attacchi alla base aerea di Mezzeh a Damasco hanno preso di mira altri depositi di munizioni, hanno riferito le fonti.
Filmati pubblicati sui social media presumibilmente mostrano i grandi attacchi aerei israeliani che hanno preso di mira la base aerea di Mezzeh. I video hanno mostrato un pesante bombardamento della base aerea.
Successivamente, Israele ha condotto un’altra ondata di almeno tre attacchi aerei nella capitale siriana, prendendo di mira un complesso di sicurezza e un centro di ricerca governativo.
Tali attacchi hanno causato ingenti danni alla sede principale della dogana e agli edifici adiacenti agli uffici dell’intelligence militare all’interno del complesso di sicurezza, nel quartiere Kafr Sousa di Damasco, dove Israele aveva precedentemente affermato che gli scienziati iraniani stavano sviluppando missili.
Anche il centro di ricerca è stato danneggiato, ha riferito una fonte.
Una delle fonti regionali ha affermato che gli attacchi hanno colpito le infrastrutture utilizzate per immagazzinare dati militari sensibili, equipaggiamenti e componenti di missili guidati.
Secondo i media locali, sono stati segnalati attacchi anche nei governatorati di Daraa e Suwayda, nella Siria meridionale.

• PROTEGGERE IL CONFINE
  Nel frattempo, l’IDF ha diramato un “avviso urgente” ai residenti di diversi villaggi siriani vicini al confine israeliano, durante le operazioni nella zona cuscinetto tra Israele e Siria.
“I combattimenti nella vostra zona stanno costringendo l’IDF ad agire e non intendiamo farvi del male”, ha detto il colonnello Avichay Adraee, portavoce in lingua araba dell’IDF su X. “Per la vostra sicurezza, dovete restare a casa e non uscire fino a nuovo avviso”.
L’avvertimento è stato lanciato ai residenti di Ofaniya, Quneitra, al-Hamidiyah, Samdaniya al-Gharbiyya e al-Qahtaniyah, tutti vicini al confine israeliano.
Domenica l’IDF ha preso il controllo della zona cuscinetto tra Israele e Siria, sottolineando che si trattava di una misura difensiva e temporanea, dato il caos nel Paese dopo la caduta del regime di Assad.
È la prima volta dalla firma dell’Accordo di disimpegno del 1974, in seguito alla guerra dello Yom Kippur, che le forze israeliane prendono posizione all’interno della zona cuscinetto tra Israele e Siria, sebbene in passato l’IDF sia entrato brevemente nella zona in diverse occasioni.
“Stiamo agendo prima di tutto per proteggere il nostro confine”, ha detto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, in visita alle Alture del Golan. “Quest’area è stata controllata per quasi 50 anni da una zona cuscinetto, concordata nel 1974, l’Accordo di separazione delle forze. Questo accordo è crollato, i soldati siriani hanno abbandonato le loro posizioni”.
Secondo l’esercito, le truppe israeliane sono state dispiegate in specifiche posizioni strategiche nella zona cuscinetto per impedire la presenza di uomini armati non identificati nella zona.
Israele ha informato gli Stati Uniti prima di assumere il controllo della zona, ha riferito Axios domenica sera, dicendo all’amministrazione Biden che si trattava di una mossa temporanea, che sarebbe durata solo pochi giorni o al massimo alcune settimane.
L’IDF ha affermato che lo spiegamento è stato effettuato in coordinamento con la United Nations Disengagement Observer Force (UNDOF), che ha il compito di gestire la zona cuscinetto. I membri dell’UNDOF, fino a domenica, sono rimasti nelle loro posizioni.
L’emittente pubblica Kan ha riferito domenica che il governo stava valutando di estendere ulteriormente l’area sotto il controllo delle IDF nelle alture del Golan, “prima che qualcun altro entri nel vuoto che si è creato”, citando una fonte anonima a conoscenza dell’argomento.
Tra i movimenti in atto nella zona, domenica le truppe dell’unità d’élite Shaldag dell’aeronautica militare israeliana hanno conquistato il versante siriano del monte Hermon, situato a circa 10 chilometri dal confine, senza incontrare alcuna resistenza durante l’operazione.
Un’immagine circolata domenica sui social media e ampiamente pubblicata sui media ebraici mostrava un gruppo di soldati dell’IDF che reggevano una bandiera israeliana sulla cima della montagna.

(Rights Reporter, 9 dicembre 2024)

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Diario minimo (di un conflitto). La casa di carta

di Luciano Assin

È bastata meno di una settimana per far crollare, come un castello di carte, il sanguinoso regime della famiglia Assad, che da oltre 54 anni governava incontrastata la Siria. Anche questa volta, come è accaduto troppe volte in questo recente passato, le maggiori agenzie di Intelligence mondiali non sono state in grado di prevedere un simile collasso. Nonostante i proclami di Abu Muhammed el Julani, il nuovo astro nascente dello scacchiere mediorientale, la prolificazione di etnie, minoranze e correnti sunnite e sciite unite nell’odio contro la dittatura halawita ma profondamente distanti fra di loro su come affrontare il futuro non promette nulla di buono. Paradossalmente in una regione così martoriata come la nostra sono proprio i regimi più sanguinari e crudeli quelli che hanno garantito una discreta “stabilità” politica. Basti pensare a ciò che succede in Iraq e Libia dopo l’eliminazione di due figure chiave come Sadam Hussein e Gheddafi. Gli avvenimenti si sono svolti ad un ritmo così serrato che nessuna analisi è ancora possibile. Questa volta preferisco sottolineare alcuni spunti di riflessione.

• L’INCRINAMENTO DELL’ASSE SCIITA
Questo è sicuramente il risultato più eclatante di questi ultimi avvenimenti. Hezbollah ha siglato, con l’assenso iraniano, una tregua con Israele per riorganizzare le proprie fila. Hamas, lasciato solo al suo destino, cercherà anche lui di arrivare ad un compromesso col quale possa mantenere il suo potere nella striscia di Gaza. Proprio questo indebolimento dei tradizionali alleati degli Ayatollah porterà a mio avviso ad una accelerazione del programma nucleare iraniano. In questo Khamenei punta sulle incertezze europee e sulle dichiarazioni di Trump che preludono ad un graduale distacco dallo scacchiere mediorientale.

• IL MANCATO INTERVENTO RUSSO
   Putin è sempre stato attento a garantire una copertura politica e militare ai suoi alleati. Non aver saputo reagire in tempo reale all’implosione del regime halawita lede enormemente il suo prestigio e i suoi interessi geopolitici. La Russia ha in territorio siriano delle basi navali che rappresentano il suo unico sbocco sul Mediterraneo, è un patrimonio di vitale importanza per lo zar, che farà di tutto per non perderlo.

• L’IMPORTANZA STRATEGICA DEL GOLAN
  Oggi più che mai l’altopiano del Golan ha assunto un’importanza strategica che dopo la guerra del Kippur sembrava definitivamente scomparsa. Nel caso di un attacco sul fronte siriano le alture in questione rappresenterebbero un cuscinetto abbastanza profondo per arrestare un’operazione terrestre in larga scala. Proprio per evitare un simile scenario l’esercito israeliano ha già occupato delle postazioni strategiche nella zona cuscinetto stabilita negli accordi di non belligeranza siglati nel ’74.

• L’ATOMICA DEI POVERI
  Anche i siriani tentarono di realizzare un progetto nucleare che si concluse con la distruzione da parte di Israele nel 2007, di una centrale atomica in costruzione di progettazione nordcoreana. In mancanza della bomba atomica la famiglia Assad sviluppò un programma basato su ordigni chimici e batteriologici, usato con triste “successo” sia dal padre che dal figlio contro il loro stesso popolo. Una minaccia da non prendere assolutamente sottogamba.

• FIDARSI E BENE, NON FIDARSI È MEGLIO
  Anche la Giordania è governata da una minoranza, quella hascemita, non si tratta di una vera e propria dittatura ma esiste indubbiamente un pugno di ferro. Nonostante un’economia malandata e oltre 650mila profughi siriani, fuggiti dalla guerra civile, Re Hussein è riuscito fino a mantenere una buona stabilità politica nel paese, ma tutto è possibile e Israele, nonostante gli accordi di pace, dovrà guardare al vicino orientale con un certo sospetto.
  A proposito di vicini, sulle alture del Golan esistono 4 villaggi drusi che da sempre si considerano parte della Siria. Già stasera, nella piazza principale di Majdal Shams, sventolavano in segno di solidarietà diverse bandiere siriane. Per il momento è da considerarsi più come un fatto di folklore che non come una rivolta civile, a mio avviso la minoranza drusa del Golan ha solo da perdere in tal caso.
  Insomma, per il momento tutti navigano a vista, e nemmeno il capitano più esperto è in grado di prevedere dove soffierà il vento.
  Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe 100 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi.

(Bet Magazine Mosaico, 9 dicembre 2024)

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Il tribunale di Gerusalemme assegna 2,3 milioni di dollari ai “collaboratori” torturati dall’Autorità Palestinese

di Michelle Zarfati

La Corte Distrettuale di Gerusalemme ha ordinato all’Autorità Palestinese di pagare un risarcimento a cinque palestinesi per un totale di circa 8 milioni di shekel (2,3 milioni di dollari) dopo che i civili sono stati torturati dalle forze dell’Autorità Palestinese con l’accusa di “collaborare” con le autorità israeliane. La sentenza è stata riportata per la prima volta domenica dal quotidiano israeliano Maariv.
  Il giudice incaricato Miriam Ilany ha affermato che l’Autorità Palestinese “è responsabile dell’incarcerazione illegale e della tortura dei collaboratori”, aggiungendo che la condotta in corso di Ramallah “costituisce una palese violazione dei diritti umani fondamentali”. Ilany ha anche scritto che “non si tratta solo della perdita della libertà dei querelanti, ma anche di torture fisiche e psicologiche prolungate che lasceranno cicatrici per tutta la vita”.
  Lo studio legale Arbus, Kedem e Tzur con sede a Gerusalemme, che ha rappresentato i palestinesi e le vittime del terrorismo, ha detto che le sentenze della corte inviano “un chiaro messaggio che lo Stato di Israele sosterrà chiunque gli tenda la mano nella sua lotta contro il terrorismo”. “Queste sentenze non riguardano solo il risarcimento, ma anche il ritenere responsabile un’autorità malvagia che perpetua il terrorismo a tutti i livelli”, ha condiviso l’azienda. Lo studio legale di Gerusalemme è attualmente coinvolto in un caso della Corte Suprema che mira ad espandersi, portando della legge israeliana a tutti coloro che hanno collaborato con lo Stato ebraico contro il terrorismo, nel tentativo di fornire un risarcimento aggiuntivo alle vittime della tortura palestinese.
  A settembre, la Corte distrettuale di Gerusalemme ha emesso sentenze che ordinano all’Autorità Palestinese di risarcire tre “collaborazionisti” palestinesi che sono stati torturati per circa 3 milioni di shekel (840.000 dollari). Tra gli altri metodi di tortura, le vittime sarebbero state picchiate su tutto il corpo con fucili, manganelli e cavi elettrici, private del sonno, costrette a bere sapone. Sarebbero stati rotti anche dei denti alle vittime, con minacce e torture ai familiari.
  “Gli atti definiti dai terroristi di ‘tradimento’ avevano lo scopo di prevenire ulteriore terrorismo contro Israele e contro gli israeliani – ha detto il giudice – cosa che l’Autorità Palestinese si era impegnata a prevenire nell’accordo provvisorio [degli Accordi di Oslo]”. Secondo i termini degli accordi di Oslo, che lo Stato ebraico ha firmato con Yasser Arafat negli anni ’90, la neonata Autorità Palestinese aveva il compito di combattere il terrorismo in alcune parti della Giudea e della Samaria.
  Secondo Ilany, l’Autorità Palestinese “ha il diritto di proteggere la propria sicurezza e di agire contro spie e collaboratori, purché ciò non danneggi gli interessi di sicurezza di Israele”. Il 4 settembre, Kedem ha ottenuto un ordine provvisorio che consente a un gruppo di famiglie israeliane, che hanno perso i propri cari a causa del terrorismo, di sequestrare 160 milioni di shekel (42 milioni di dollari) di fondi dell’Autorità Palestinese congelati da Gerusalemme in attesa del procedimento. La causa ha segnato la prima azione intrapresa da quando la Knesset israeliana ha approvato il “Compensation for Terror Victims Bill” a marzo. La legge richiede ai tribunali di concedere danni punitivi di 10 milioni di shekel (2,66 milioni di dollari) per ogni decesso. Per facilitare la riscossione dei risarcimenti punitivi da parte delle vittime e dei loro eredi, le sentenze possono essere eseguite contro “qualsiasi proprietà dell’imputato, comprese le proprietà sequestrate o congelate dallo Stato di Israele”. L’Autorità Palestinese ha una delle più grandi forze di sicurezza pro capite del mondo, addestrata e armata dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali. L’amministrazione Biden aveva avanzato una proposta nei mesi precedenti che vedeva l’Autorità Palestinese al centro, assumendo il controllo della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra contro Hamas, una proposta finora non vista di buon occhio a Gerusalemme.

(Shalom, 9 dicembre 2024)

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La caduta di Assad è una vittoria di Israele

di Ugo Volli

• LA SIRIA PRESA DAI RIBELLI
  Il regime siriano è caduto la notte scorsa. Con un’operazione straordinariamente rapida i ribelli della HTS (Commissione per la salvezza della Siria) hanno conquistato in dieci giorni prima Aleppo, la seconda città del paese, e poi sono avanzati a sud fino a prendere le città della fascia più fertile e popolosa (Hama e poi Homs), fino ad arrivare a Damasco. Nel frattempo crollavano anche i bastioni del regime a sud, al confine con Israele, e a est, verso la Giordania e l’Iraq. Stamattina sono entrati a Damasco; il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha sancito il passaggio del potere politico, il presidente Assad è fuggito in aereo per direzione ignota. Non vi è stata sostanzialmente resistenza militare e anche i protettori del regime (Russia, Iran con i suoi satelliti di Hezbollah e delle milizie sciite dell’Iraq), pur avendo basi e forze militare nel paese, non hanno tentato di resistere.

• UN CAMBIAMENTO STORICO
  È un fatto storico. Il partito Baath controllava il paese dal 1961, la famiglia Assad ne aveva preso le redini nel 1970, prima col generale Hāfiẓ al-Asad, poi dopo la sua morte nel 2000 col figlio ed erede designato, Bashār al-Asad. Sotto la loro guida e quella dei loro predecessori la Siria era stata fra i nemici più pericolosi di Israele, partecipando a tutte le guerre contro lo Stato ebraico. Il suo esercito era temuto, nel ’73 solo l’eroica resistenza di un reparto carrista impedì alle truppe siriane di dilagare dal Golan in Galilea, fino a Haifa. Per un lungo periodo la Siria degli Assad esercitò un potere di fatto anche sul Libano. Poi l’inefficienza e la corruzione del regime e il fatto di essere basato sulla minoranza religiosa degli alawuiti (più simili agli sciiti dell’Iran che alla maggioranza sunnita) produsse una forte resistenza che fra il 2011 e il 2016 divenne rivolta e guerra civile. Questa fu repressa da Assad con atroce violenza, anche con l’uso di gas contro le città ribelli, nonostante la velleitaria opposizione di Obama. Alla fine il regime riuscì a stare il piedi, ma solo grazie all’aiuto militare di Russia, Iran e Hezbollah. Larghe zone del paese restavano fuori controllo, presidiate dai curdi appoggiati dagli americani e dai sunniti sostenuti dalla Turchia.

• IL DOPPIO ROVESCIAMENTO STRATEGICO
  Il regime però era diventato un satellite dell’Iran e la base militare mediterranea della Russia. Per l’Iran, la Siria era l’anello centrale del suo progetto di un “ponte terrestre” fra il territorio persiano e il Mediterraneo e di un “anello di fuoco” mirato a distruggere lo Stato di Israele. Per la Russia era il punto di partenza per conservare e restaurare il potere che l’URSS aveva avuto nel Mediterraneo e nell’Africa. Entrambe queste grandi strategie imperialiste oggi sono crollate, per merito esclusivo di Israele. È stato lo smantellamento di Hezbollah e la distruzione delle difese aeree dell’Iran che hanno permesso ai ribelli di prendere l’iniziativa e di vincere. Gli ayatollah iraniani che pensavano il 7 ottobre del 2023 di dare il via alla distruzione dell’“entità sionista” ora si ritrovano con la liquidazione dei principali satelliti (Hamas e Hezbollah) che avevano addestrato, finanziato, armato e con l’instaurazione di un potere nemico nel paese centrale del loro progetto geopolitico, che avevano pure sostenuto con armi, finanziamenti, soldati. È un fallimento sostanziale, il crollo di un progetto decennale che ha impegnato centinaia di miliardi di dollari, tutto il potere militare e politico degli ayatollah: un crollo che potrebbe avere echi importanti anche dentro l’Iran. La Russia ha subito pure una sconfitta durissima, che mostra il costo enorme della guerra in Ucraina, che ha consumato le sue forze.

• LA PROSPETTIVA DI PACE
  C’è ora una possibilità di pace per il Medio Oriente, condizionata però alla distruzione (negoziata o armata) del progetto nucleare dell’Iran e al problema del panturchismo che diventa improvvisamente di attualità. La vittoria dei ribelli siriani è stata infatti sostenuta logisticamente e politicamente dalla Turchia, che ha ambizioni imperiali neo-ottomane sull’Asia centrale, sul Mediterraneo e sul Medio Oriente, con toni sempre più aggressivi nei confronti di Israele. Bisognerà anche vedere se il nuovo regime siriano manterrà la faccia non aggressiva che ha ostentato finora, in particolare nei confronti di Israele, ma anche dei curdi. Israele si è preparata a tutti i possibili scenari, rafforzando il dispositivo militare nel Golan e occupando anche delle posizioni difensive nella fascia smilitarizzata tra il suo confine e quello siriano. Ma la sconfitta del tentativo imperialista iraniano apre comunque una finestra di pace possibile.

• UNA VITTORIA PER ISRAELE
  Questi sviluppi hanno un grande significato per Israele. È chiaro che la strategia della guerra fino alla vittoria sostenuta dal governo Netanyahu contro il freno dell’amministrazione Biden e anche di importanti forze interne (l’opposizione di sinistra, ma anche parte dell’apparato militare e dei servizi) ha pagato. Israele potrebbe uscire da questa guerra con una vittoria militare che significa un sostanziale ridimensionamento dei suoi nemici, e – nella logica politica mediorientale – la possibilità di consolidare i rapporti con il mondo sunnita, in particolare con l’Arabia Saudita. Per concludere la terribile pagina di storia aperta dal pogrom del 7 ottobre, Israele deve però ottenere la liberazione dei rapiti, eliminare del tutto la struttura militare di Hamas e Hezbollah e soprattutto liquidare la minaccia nucleare iraniana. È probabile che con la presidenza Trump questi obiettivi siano a portata. Sarebbe una vittoria per tutto il mondo libero, ottenuta nonostante la freddezza di buona parte della politica europea e americana, in particolare dei suoi settori che a torto si dicono progressisti.

(Shalom, 8 dicembre 2024)





La caduta di Assad e la saldatura degli anelli

di Niram Ferretti

La rapida avanzata delle fazioni dei ribelli in Siria e la fuga di Assad mette in luce alcuni aspetti di forte rilievo geopolitico sullo scacchiere mediorientale, al centro di una guerra che si protrae da un anno e due mesi tra Israele e Hamas spalleggiato da Hezbollah.
  Il primo è che con la caduta del regime di Assad, il cui esercito si è squagliato come neve al sole, Israele incassa un altro risultato favorevole.
  Dal 2013 ad oggi sono state centinaia le incursioni aeree israeliane sul territorio siriano per colpire le infrastrutture di Hezbollah, oggi che Hezbollah si trova fortemente indebolito, non ha potuto soccorrere il regime fantoccio russo alawita, lasciando di fatto spazio aperto all’avanzata dei ribelli. L’Iran, principale sponsor della formazione sciita libanese, viene così ulteriormente indebolito.
  Negli ultimi mesi ha dovuto incassare l’uccisione del proprio plenipotenziario in Libano, Hassan Nasrallah, la decapitazione dei vertici militari di Hezbollah, e la distruzione di una parte consistente dell’arsenale del proprio principale delegato. Ora perde anche la sponda siriana, mentre a Gaza, quel che resta di Hamas, si avvia all’inevitabile conclusione della sua egemonia politico-militare all’interno della Striscia.
  Tutto ciò mostra con evidenza che la strategia iraniana di accerchiamento di Israele, di un suo strangolamento dentro un cerchio di fuoco che avrebbe dovuto idealmente contemplare anche una sollevazione contro Israele in Cisgiordania, è fallito. Il cerchio è stato spezzato e sembra assai difficile che esso possa ricostruirsi in tempi brevi.
  Il secondo è che la Russia, grande protettrice della Siria, non è in grado di garantire ad Assad il supporto militare necessario. È sicuramente prematuro affermare che con la caduta del regime di Assad, la Russia abbia perso il suo avamposto in Medio Oriente acquisito dopo la rinuncia americana ad avere un ruolo risolutivo nel contesto della guerra civile siriana, ma certo la sua mancanza di determinazione nel fare da argine all’avanzata delle forze anti Assad, denuncia la difficoltà a impegnarsi su un altro fronte che non sia quello ucraino.
  Una Russia debole in Medio Oriente sicuramente non dispiace a Israele, considerando oggettivamente che le alleanze russe sono esplicitamente anti-israeliane come lo sono sempre state dal 1956 ad oggi. Nel dopo Assad, quale che sarà la fisionomia politica che assumerà il paese, se la Russia non si impegnerà a inviare forze per combattere i ribelli, essa perderà progressivamente peso.
  Lo scenario che si inaugura è ancora fluido, ma apre indubbiamente una prospettiva di consolidamento americana e rilancia Israele come la principale potenza regionale. Spetterà dunque alla nuova Amministrazione Trump cogliere l’opportunità che si presenta, consentire a Israele di indebolire ulteriormente l’Iran e congiungere agli anelli già forgiati degli Accordi di Abramo, l’anello più importante, quello saudita.

(L'informale, 8 dicembre 2024)

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Scandalo Wikipedia: un gruppo di editor sta riscrivendo le voci contro Israele

Da enciclopedia libera a megafono di propaganda pro-pal. Smascherata operazione per rimodellare la percezione del conflitto israelo-palestinese: alterati migliaia di articoli.

In tempi recenti, diverse ricerche e analisi hanno dimostrato come Wikipedia, pur essendo nata come un enciclopedia digitale aperta a tutti e con l’obbligo dell’imparzialità, si sia sempre più spesso prestata a riflettere i pregiudizi degli utenti che vi creano e modificano contenuti, rivelando un bias politico sbilanciato a sinistra. Tanto che persino il suo co-fondatore Larry Sanger, intervistato nel luglio 2021 dalla testata online UnHerddisse che la sua creazione non era più affidabile.
  Tale pregiudizio è diventato particolarmente evidente nelle pagine dedicate a Israele e al popolo ebraico: dopo che già nel marzo 2024 una ricerca condotta dall’accademica israeliana Shlomit Aharoni Lir e pubblicata dal World Jewish Congress, dal titolo The Bias Against Israel on Wikipedia, ha rivelato un forte sbilanciamento contro lo Stato ebraico da parte dell’enciclopedia, ulteriore conferma è giunta di recente dal giornalista investigativo americano Ashley Rindsberg, che in una recente inchiesta ha smascherato un’operazione coordinata da parte di un gruppo di utenti di Wikipedia per rimodellare la percezione del conflitto israelo-palestinese.
  Intervistato a inizio dicembre dalla rivista Algemeiner, Rindsberg ha dichiarato che questa campagna telematica ha “cambiato quello che sembra essere il volto non solo del conflitto israelo-palestinese, ma dell’intera giustificazione e legittimità del diritto di Israele a esistere, che è il loro vero obiettivo”.

• PULIZIA IDEOLOGICA
  Nel report, pubblicato ad ottobre dalla testata digitale Pirate Wires, Rindsberg ha messo in luce una coalizione di circa 40 editor di Wikipedia che ha sistematicamente alterato migliaia di articoli per spostare l’opinione pubblica contro Israele. Questi individui, agendo in maniera coordinata, hanno eseguito circa 850.000 modifiche su quasi 10.000 articoli legati al conflitto, spostando sottilmente il fondamento ideologico dei contenuti relativi a Israele, ai palestinesi e più in generale alla geopolitica del Medio Oriente. Nell’inchiesta si legge:
  Questi sforzi hanno un successo notevole. Digita “Sionismo” nella casella di ricerca di Wikipedia e, a parte l’articolo principale sul sionismo (e una pagina di disambiguazione), il riempimento automatico restituisce: “Sionismo come colonialismo dei coloni”, “Sionismo nell’era dei dittatori” (in titolo del libro di un trotskista filo-palestinese), “Sionismo dal punto di vista delle sue vittime” e “Razzismo in Israele”.
  Le modifiche in questione spaziano dalla rimozione dei legami tra la storia ebraica e la terra di Israele all’omissione di riferimenti alle atrocità commesse durante l’attacco condotto da Hamas nel sud di Israele lo scorso 7 ottobre, tra cui, in modo più eclatante, riferimenti a stupri e altri atti di violenza sessuale.
  Gli editor filopalestinesi hanno anche ripulito articoli su personaggi storici controversi, tra cui quelli legati alla Germania nazista, come il Gran Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini, oltre ad aver diluito i riferimenti alle violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano.
  In un articolo sugli “ebrei”, ad esempio, un editor ha rimosso la frase “Terra di Israele” da una frase sull’origine del popolo ebraico, del quale si cerca di negare il legame storico con la terra in cui vivevano prima della distruzione del Secondo Tempio.

• TECH FOR PALESTINE
  L’operazione è stata appoggiata da Tech for Palestine, un gruppo filopalestinese. Secondo l’indagine di Rindsberg, il gruppo lavora in tandem con editor veterani di Wikipedia per eseguire campagne di editing coordinate. Gli editor lavorano quindi in coppia o in trio nel tentativo di non essere smascherati.
  Tech for Palestine ha creato un canale dedicato, Wikipedia Collaboration, allo scopo di semplificare i loro sforzi. L’iniziativa prevedeva il reclutamento di volontari, che andavano guidati attraverso sessioni di orientamento ben strutturate. Il messaggio di benvenuto del canale ha evidenziato il suo intento con questa domanda: “Perché Wikipedia? È una risorsa ampiamente accessibile e il suo contenuto influenza la percezione pubblica”.
  Una editor veterana conosciuta come Ïvana, il cui nome utente presenta come logo un triangolo rosso (simbolo spesso utilizzato dai filopalestinesi per identificare e prendere di mira gli ebrei), è stata nominata esperta di Wikipedia del canale. L’influenza del gruppo si estende oltre gli articoli relativi al conflitto, includendo anche profili di celebrità, con l’obiettivo di amplificare narrazioni vicine alle loro posizioni e di mettere a tacere le critiche verso organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah.

• PERCEZIONE ALTERATA
  Milioni di lettori vengono influenzati da questa campagna. Siccome gli articoli di Wikipedia sono spesso in cima ai risultati dei motori di ricerca, e in particolare di Google, questi cambiamenti dettano di fatto la percezione che l’opinione pubblica mondiale ha del conflitto israelo-palestinese. “Milioni e milioni di persone vengono imbottite di informazioni che sono state essenzialmente prodotte da un gruppo di 40 redattori pro-Palestina che agiscono in modo coordinato”, ha detto Rindsberg ad Algemeiner.
  Gli effetti sono molteplici. Il modello di Wikipedia di editing aperto e guidato da una comunità di utenti si basa sul presupposto della buona fede. Alterando narrazioni storiche e omettendo dettagli chiave, non stanno semplicemente influenzando le opinioni, ma stanno attivamente rimodellando la realtà per un pubblico globale ignaro di queste dinamiche e, in questo caso, come ha detto Rindsberg, “alterando completamente il modo in cui il mondo vede il conflitto e la regione”.
  Dopo la pubblicazione dell’inchiesta del Pirate Wires, l’utente filopalestinese Ïvana ha dichiarato di essere stata “convocata” dal Wikipedia’s Arbitration Committee, e per le sue violazioni rischia un potenziale ban a vita dalla piattaforma. Rindsberg ha affermato che sono state avviate anche altre indagini in seguito alla pubblicazione dell’articolo.

(ATLANTICO, 8 dicembre 2024)

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Sarà restaurato il regno di Israele?

di Michael Vlach

Un passo della Bibbia che conferma l'attesa di una restaurazione del regno d'Israele è Atti 1:6-7.
“Essi dunque, riuniti, lo interrogarono dicendo: ”Signore, è in questo tempo che ricostituirai il regno a Israele? Egli rispose loro: Non spetta a voi conoscere tempi o date che il Padre ha riservato alla propria autorità”.
Questo passo, in cui sono riportate le ultime parole di Gesù agli apostoli prima della sua ascensione, conferma l'idea di una restaurazione del regno d'Israele in un duplice senso. In primo luogo, è chiaro da questi versetti che a questo punto avanzato del ministero terreno di Gesù, gli apostoli stavano ancora facendo i conti con la restaurazione del regno d'Israele. In secondo luogo, Gesù non li rimprovera né li redarguisce per questo. La sua risposta conferma quindi la correttezza della loro comprensione. Per quanto riguarda il primo punto, Atti 1:6 mostra chiaramente che gli apostoli si aspettavano una futura restaurazione del regno di Davide. McLean afferma che:
  “I termini «Israele» e «Israelita» ricorrono 32 volte nel Vangelo di Luca e negli Atti. Ogni volta si riferiscono al popolo di Israele come unità nazionale. Sembra quindi corretto mettere in relazione la domanda dei discepoli in Atti 1:6 con la restaurazione del dominio del popolo d'Israele. Essi volevano sapere da Gesù quando sarebbe avvenuta la restaurazione del regno di Davide, come descritto e definito nell'Antico Testamento”.
  Che questa aspettativa dei discepoli non fosse un'idea sbagliata è evidente per le seguenti due ragioni: in primo luogo, Atti 1:3 dice che Gesù parlò con i suoi discepoli per quaranta giorni dopo la sua risurrezione “delle cose riguardanti il regno di Dio”. È improbabile che i discepoli avessero ancora idee sbagliate sul regno di Dio dopo questi quaranta giorni di istruzione da parte del Signore risorto. Penney afferma: “La domanda dei discepoli (1,6) non può essere interpretata come un malinteso nazionalistico. È modellata sulle parole di Gabriele dei capitoli iniziali del Vangelo (Luca 1:26-32)” .
  In secondo luogo, la mancanza di un rimprovero da parte di Gesù in Atti 1,7 è una conferma che i discepoli avevano ragione nella loro fede nella restaurazione di Israele. Se i discepoli si fossero sbagliati, Gesù avrebbe corretto il loro errore, come ha fatto in altri casi. La mancanza di rimprovero può essere vista come una conferma del loro punto di vista. McLean afferma che:
  “Il ministero di Gesù consisteva, tra le altre cose, nell'indicare i falsi insegnamenti o nel rimproverare i falsi maestri. È quindi notevole che Gesù non abbia corretto la domanda dei suoi discepoli sulla restaurazione del regno di Israele. Data l'insistenza con cui Gesù correggeva i suoi discepoli ogni volta che erano in errore, sembra ragionevole concludere che la loro domanda in Atti 1:6 esprimesse la legittima aspettativa di una futura restaurazione del regno di Israele”.
  Gesù ha rifiutato di parlare dei tempi della restaurazione di questo regno, ma non ha respinto l'idea che ce ne sarà uno. Chance scrive:
  La risposta di Gesù è, in breve, un rifiuto della speranza di un'imminente restaurazione di Israele. Non è, tuttavia, un rifiuto della speranza di una tale restaurazione in sé e per sé”.
  Sebbene i supersessionisti abbiano spesso ammesso che i discepoli nutrissero aspettative nazionalistiche a questo punto, non ritengono che Atti 1:6 sia una prova di una futura restaurazione di Israele come nazione. I supersessionisti offrono due spiegazioni alternative per il significato di Atti 1,6. In primo luogo, alcuni sostengono che i discepoli avevano semplicemente una falsa comprensione del regno di Dio, o che non avevano ancora capito il vero significato del messaggio di Gesù. Secondo Zorn, Atti 1:6 descrive “l'ultimo guizzo della speranza degli apostoli che la nazione di Israele sarebbe tornata a essere una teocrazia politica”.
  In secondo luogo, altri come Robertson sostengono che Israele sarà effettivamente restaurato, ma in un modo che non ha nulla a che fare con l'aspettativa nazionalistica dei discepoli. Egli scrive:
  “Il regno di Dio sarà restaurato in Israele attraverso il regno del Messia, attraverso l'opera dello Spirito Santo nei discepoli di Cristo, che porteranno la loro testimonianza fino alle estremità della terra”.
  Quindi, la restaurazione del regno di Israele consisterebbe nella proclamazione del messaggio del regno di Dio nel mondo, operata dallo Spirito Santo. A sostegno della sua tesi, Robertson collega la domanda dei discepoli in Atti 1,6 con le parole di Gesù , secondo cui i discepoli riceveranno la forza dello Spirito Santo e saranno testimoni di Gesù fino agli estremi confini della terra:
  “Queste parole [in 1,8] non devono essere disgiunte dalla domanda dei discepoli. Esse hanno un riferimento diretto alla restaurazione del regno di Israele”.
  Nonostante questi tentativi di spiegazione, Atti 1,6 è e rimane un'importante prova del punto di vista non supersessionista. Considerando che i discepoli erano stati istruiti sul regno di Dio dal Signore risorto per 40 giorni (cfr. Atti 1,3), è improbabile che avessero un'idea completamente sbagliata sulla natura di questo regno e sulla relazione di Israele con esso. Sebbene Gesù nella sua risposta non confermi esplicitamente la loro speranza, conferma indirettamente la correttezza della loro aspettativa. Mc Knight ha ragione quando dice: “Poiché Gesù era un così buon maestro, abbiamo il diritto di supporre che le speranze impulsive dei suoi ascoltatori fossero giustificate”. Sono quindi d'accordo con l'opinione di Walaskay secondo cui Gesù “non disse nulla che avrebbe smorzato le speranze dei suoi discepoli per un regno nazionale”.
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Estratto da Hat die Gemeinde Israel ersetzt?

(Nachrichten aus Israele, novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)



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Hamas verifica le condizioni degli ostaggi: la mossa in vista di un accordo

La leadership politica di Hamas ha chiesto a vari gruppi nella Striscia di Gaza una verifica delle condizioni degli ostaggi in vista di un possibile accordo che preveda il loro rilascio. Lo scrive il quotidiano arabo Asharq Al-Awsat citando fonti palestinesi secondo le quali appunto Hamas avrebbe chiesto aggiornamenti sugli ostaggi tenuti da altri gruppi a Gaza in quanto prevede possibili sviluppi su un accordo di cessate il fuoco con Israele.
  Israele ritiene che siano 100 gli ostaggi ancora nella Striscia di Gaza, tra vivi e morti. Il Times of Israel riferisce che si ritiene che circa la metà siano vivi.
  Sul fronte dei negoziati per Gaza, ''questa volta c'è la possibilità concreta di raggiungere un accordo sugli ostaggi'' con Hamas, aveva dichiarato il 4 dicembre scorso il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, esprimendo il suo ottimismo durante una visita alla base aerea di Tel Nof e sottolineando che ''riportare a casa gli ostaggi è una priorità per Israele''. Katz aveva quindi spiegato che c'è una ''crescente pressione'' su Hamas affinché accetti l'accordo.
  "La cosa più importante oggi nella guerra è riportare a casa gli ostaggi. Questo è l'obiettivo supremo che ci sta di fronte e stiamo lavorando in ogni modo per far sì che ciò accada", aveva poi affermato Katz in una nota diffusa dal suo ufficio. "L'intensità della pressione su questa mostruosa organizzazione chiamata Hamas sta aumentando e c'è la possibilità che questa volta possiamo davvero arrivare a un accordo sugli ostaggi", aveva aggiunto.

(Adnkronos, 7 dicembre 2024)

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Dopo il 7 ottobre

di Micol Flammini

Le milizie di Hayat Tahrir al Sham (Hts) potrebbero nominare il vescovo latino Hanna Jallouf nuovo governatore provvisorio di Aleppo. Il rumor, inizialmente limitato a qualche account su X, è stato ripreso da Hassan I. Hassan, fondatore e direttore di New Lines Magazine. Hassan si è detto “scettico” che ciò possa accadere, ma se invece fosse tutto vero, “non ne sarei sorpreso: ormai è difficile definire qualcosa come impossibile”. L’eventualità pare inverosimile, tant’è che lo stesso Jallouf ha smentito tutto: “Siamo uomini di Dio, non ci occupiamo di politica”. Ma il punto rilevante della questione è un altro. Ciò che conta è la volontà di Hts di farsi percepire dal mondo come una compagine politica “normale”, senza marchi di sorta: niente legami con il terrorismo, tantomeno con quello islamista che fu di Abu Bakr al Baghdadi.
  Gli uomini di Nasrallah impararono a combattere al fianco dei soldati russi e anche dei mercenari della Wagner. Mentre combattevano, Israele li ha osservati per anni, li ha seguiti, ha tracciato la catena di comando: in Siria Hezbollah è diventato un libro aperto per Israele. Nasrallah nel 2015 non poteva sapere che sarebbe successo il contrario, non sapeva che lui sarebbe stato eliminato a Beirut in un pomeriggio di fine settembre e che proprio la caduta di Hezbollah sarebbe stata tra gli elementi determinanti di un possibile crollo del regime di Assad in Siria.
  Negli ultimi giorni Tsahal ha rafforzato la sua presenza lungo il confine con la Siria, mentre l’avanzata dei ribelli guidati dal gruppo Hayat Tahrir al Sham si spinge verso sud e si avvicina alla frontiera con Israele. Contemporaneamente i soldati israeliani e l’intelligence devono tenere sotto osservazione i jihadisti, che stanno sbaragliando l’esercito di Assad, e Teheran, che da sempre è un alleato prezioso del regime siriano e insieme a Mosca ha contribuito alla fortificazione del dittatore mandando i suoi uomini a fare guerra per mantenerlo al potere. Non ci sono alleati per Israele in questo stravolgimento siriano, c’è una situazione da osservare, ci sono opportunità da cogliere con cautela. Se Teheran ha aiutato Assad a sopravvivere, Assad ha dato a Teheran la possibilità di utilizzare la Siria come un crocevia per rifornire le sue milizie, per armare Hezbollah, renderla sempre più numerosa e dotata di un arsenale potente quanto quello di un esercito regolare. Nel 2015, tuonando nel suo discorso, Nasrallah aveva definito la Siria la “spina dorsale” delle milizie iraniane: intendeva Hezbollah in primo luogo, ma poi dal Libano le armi e il denaro di Teheran si spostavano altrove. L’occhio di Israele sulla Siria è sempre stato presente per contenere Teheran e anche adesso, nel caso doppio di un regime che cade sotto i colpi di gruppi che non saranno mai alleati, lo stato ebraico osserva due variabili: fino a che punto i ribelli jihadisti possono essere una minaccia e quanto la Repubblica islamica intende aiutare Assad a sopravvivere e utilizzare il momento per introdurre uomini e armi, da utilizzare poi contro Israele. Alcune fonti vicine a Teheran hanno raccontato del ritorno in Siria di Javad Ghaffari, comandante delle brigate al Quds, conosciuto come tanti con l’appellativo di “macellaio di Aleppo”, la prima città presa dai ribelli nella loro avanzata è stata distrutta da russi e iraniani con attacchi in aree residenziali prive di interesse militare, il titolo onorifico di “macellaio” è stato diviso da molti generali fra Mosca e Teheran. Ghaffari però non è stato soltanto ad Aleppo, ha combattuto in molte parti della Siria, è uno di campo, e nel 2021 venne richiamato: soltanto alcune fonti israeliane diedero una spiegazione per il suo ritorno a Teheran e dissero che il regime siriano era contrario ad alcune sue azioni contro soldati americani e ne comandò l’espulsione. Ghaffari è un generale incauto, vorace, pronto a tutto, il suo ritorno rappresenta una mossa disperata tanto per Teheran quanto per il regime di Assad e a Israele non è sfuggita.
  La Siria è stata un campo di addestramento per le guerre dei russi e degli iraniani, per Israele è stato un campo di osservazione per studiare il combattimento dei nemici, per seguirne i movimenti e per bloccare i crocevia delle armi che Teheran mandava a Hezbollah proprio attraverso la Siria. Dopo il 7 ottobre, Israele ha fatto una valutazione diversa riguardo alla propria sicurezza: l’Iran ha mosso attorno a Israele una strategia di accerchiamento che contava sul Libano, controllato da Hezbollah, come elemento di maggior prestigio; sulla Striscia di Gaza come punto di destabilizzazione; sulla Siria come punto di rifornimento per il passaggio degli interessi del regime e poi sugli houthi nello Yemen e le milizie sciite in Iraq. Per bloccare Hezbollah e non permettere a Teheran di ricostituire in tutta la sua potenza l’anello di fuoco, Israele ha scelto di togliere le certezze del regime iraniano, ha iniziato a colpire la Siria sempre più in profondità, bloccando le autostrade più usate per il trasporto delle armi, ha minacciato Assad, e in questo contesto si sono inseriti i ribelli, che da tempo preparavano l’avanzata. Non ci sono alleati per Israele in Siria, ma se crolla Assad, Teheran perde la sua “spina dorsale”. Dovrà ricostruire tutta la sua infrastruttura contro Israele.

Il Foglio, 7 dicembre 2024)

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L’Iran in fuga dalla Siria. Assad abbandonato a se stesso

La Forza Quds, elite delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, ha lasciato la Siria venerdì mattina, mentre è fuga generale anche dei diplomatici iraniani. Spariti nel nulla i combattenti sciiti iracheni. Assad è solo

Secondo fonti iraniane, l’Iran ha iniziato venerdì a evacuare i suoi comandanti militari e il personale dalla Siria, a dimostrazione dell’incapacità da parte di Teheran di contribuire a mantenere al potere il presidente Bashar al-Assad.
Tra coloro che sono stati evacuati nei vicini Iraq e Libano c’erano anche i comandanti di alto rango delle potenti Forze Quds, il ramo esterno del Corpo delle Guardie della Rivoluzione.
Questa decisione ha segnato una svolta notevole per Assad, il cui regime è stato sostenuto dall’Iran durante i 13 anni di guerra civile in Siria, e per l’Iran, che ha utilizzato la Siria come rotta chiave per fornire armi a Hezbollah in Libano.
Anche il personale delle Guardie, alcuni membri dello staff diplomatico iraniano, le loro famiglie e civili iraniani sono stati evacuati, tra loro anche i funzionari regionali. Gli iraniani hanno iniziato a lasciare la Siria venerdì mattina.
Sono state ordinate evacuazioni presso l’ambasciata iraniana a Damasco e presso le basi delle Guardie rivoluzionarie. Almeno una parte del personale dell’ambasciata è partita.
Alcuni partono in aereo per Teheran, mentre altri via terra diretti in Libano, Iraq e al porto siriano di Latakia, hanno affermato i funzionari.
“L’Iran sta iniziando a evacuare le sue forze e il suo personale militare perché non possiamo combattere come forza consultiva e di supporto se l’esercito siriano stesso non vuole combattere”, ha affermato in un’intervista telefonica Mehdi Rahmati, un importante analista e consigliere iraniano.
“La conclusione”, ha aggiunto, “è che l’Iran ha capito che non può gestire la situazione in Siria in questo momento con alcuna operazione militare e questa opzione è fuori discussione”.
Insieme alla Russia, l’Iran è stato il più potente sostenitore del governo siriano, inviando consiglieri e comandanti alle basi e in prima linea e sostenendo le milizie.
Ha inoltre schierato decine di migliaia di combattenti volontari, tra cui iraniani, afghani e sciiti pakistani, per difendere il governo e riconquistare il territorio dal gruppo terroristico dello Stato islamico al culmine della guerra civile siriana. Alcune delle forze iraniane, come la brigata afghana Fatemiyoun, erano rimaste in Siria presso basi militari gestite dall’Iran; venerdì, sono state trasferite anche a Damasco e Latakia, una roccaforte del governo di Assad. Un video pubblicato su account affiliati alle Guardie mostrava le Fatemiyoun in uniforme che si rifugiavano nel santuario di Seyed Zainab vicino a Damasco.
L’offensiva a sorpresa di una coalizione ribelle ha cambiato radicalmente il panorama della guerra civile. In poco più di una settimana, i ribelli hanno invaso grandi città come Aleppo e Hama, conquistato fasce di territorio in quattro province e si sono mossi verso la capitale siriana, Damasco.
Fonti iraniane hanno affermato che due generali di alto rango delle forze Quds iraniane, schierate per consigliare l’esercito siriano, sono fuggiti in Iraq mentre venerdì vari gruppi ribelli hanno preso il controllo di Homs e Deir al-Zour.
“La Siria è sull’orlo del collasso e noi la guardiamo con calma”, ha detto Ahmad Naderi, membro del Parlamento iraniano, in un post sui social media venerdì. Ha aggiunto che se Damasco cadesse, l’Iran perderebbe anche la sua influenza in Iraq e Libano, dicendo: “Non capisco il motivo di questa inazione, ma qualunque cosa sia, non è un bene per il nostro Paese”.
L’offensiva dei ribelli è arrivata in un momento di relativa debolezza per tre dei più importanti sostenitori della Siria. La capacità dell’Iran di aiutare è stata ridotta dal suo conflitto con Israele; l’esercito russo è stato indebolito dalla sua invasione dell’Ucraina; e Hezbollah, che in precedenza aveva fornito combattenti per aiutare il governo di Assad nella lotta contro lo Stato islamico, è stato duramente colpito dalla sua stessa guerra con Israele.
La caduta di un ulteriore territorio in mano alle forze ribelli, guidate dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham, potrebbe anche minacciare la capacità dell’Iran di fornire armi e consiglieri al regime di Assad o a Hezbollah.
Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, si è recato a Damasco questa settimana, incontrando Assad e garantendogli il pieno sostegno dell’Iran.
Ma venerdì a Baghdad, è sembrato fare una dichiarazione più ambigua. “Non siamo cartomanti”, ha detto in un’intervista alla televisione irachena. “Qualunque sia la volontà di Dio accadrà, ma la resistenza adempirà al suo dovere”.

(Rights Reporter, 7 dicembre 2024)

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Siria e poi Iran. Chi sfida Israele finisce a pezzi

Non avremmo assistito alla caduta di Aleppo se la forza complessiva dell'Iran non fosse stata devastata dall'annientamento da parte di Israele dei suoi alleati di Hezbollah e dallo schiacciamento delle difese aeree di Teheran

di Edward Luttwak

Dal quinto giorno della guerra in Medio Oriente (12 ottobre 2023, con l'articolo titolato «Che cosa otterrà l'invasione di Gaza da parte di Israele?»), ho cercato di spiegare e persino di prevedere gli eventi in corso, guidato dalla certezza che questa guerra non poteva essere fondamentalmente diversa dalle precedenti guerre di Israele, che risalgono al 1947 e che hanno portato a una vittoria israeliana decisiva attraverso sconfitte iniziali, aspre controversie politiche e molta confusione.
Non avremmo assistito alla caduta di Aleppo se la forza complessiva dell'Iran non fosse stata devastata dall'annientamento da parte di Israele dei suoi alleati di Hezbollah e dallo schiacciamento delle difese aeree di Teheran. Per questo la caduta di Aleppo suggerisce che il regime iraniano stesso potrebbe crollare, se questa guerra dovesse continuare per qualche altro round.
La situazione era molto diversa quando tutto è iniziato il 7 ottobre 2023 con l'attacco a sorpresa di Hamas e il leader iraniano Ayatollah Khamenei che allegramente vaticinava l'imminente distruzione di Israele.
D'altronde, da sempre tutte le guerre di Israele sono state accompagnate da una costante fiducia dei suoi nemici nella imminente vittoria. Tra la prima e l'ultima guerra, quando il presidente egiziano Abdul Gamal Nasser inviò l'esercito egiziano nel Sinai nel maggio 1967 e impose un blocco del Mar Rosso, sapendo che Israele avrebbe combattuto, accolse con favore l'opportunità: «Gli ebrei minacciano la guerra. Noi diciamo loro che siete i benvenuti. Siamo pronti alla guerra». I combattimenti iniziarono il 5 giugno e l'esercito e l'aviazione egiziana crollarono in quattro giorni.
Nell'ultima guerra, il riuscitissimo attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre è stato accolto con reazioni entusiastiche e senza riserve non solo da parte di folle esaltate, ma anche da parte di professori statunitensi di ruolo, come Joseph Massad della Columbia, che l'ha definito «meraviglioso». L'8 ottobre, Hezbollah si è unito con fiducia alla guerra lanciando il primo di migliaia di razzi e missili, ricordando la profezia ottimistica del suo leader Hassan Nasrallah, per cui «Israele non è più forte di una tela di ragno».
Un altro elemento di continuità è che il primo ministro israeliano di turno è sempre visto come il peggior leader possibile per il Paese in tempo di guerra, o forse per qualsiasi Paese in qualsiasi momento. Alla vigilia della guerra del 1967, il premier e ministro della Difesa era Levi Eshkol, un fedele uomo di partito con l'atteggiamento di un contabile stanco, che rispondeva alle fragorose minacce di annientamento dei leader arabi con parole incerte e inficiate da un difetto di pronuncia, finché la popolazione furiosa non costrinse a promuovere a ministro della Difesa il suo principale nemico politico, l'eroe di guerra guercio Moshe Dayan. Quella fu la guerra che si concluse con la totale sconfitta dei nemici di Israele in soli sei giorni di combattimento.
Nella Guerra dello Yom Kippur dell'ottobre 1973 il primo ministro era Golda Meir, alla fine molto celebrata come una delle pioniere del Paese, ma all'epoca aspramente criticata per aver rifiutato l'autorizzazione agli attacchi aerei quando le offensive a sorpresa di Egitto e Siria furono imperdonabilmente rilevate troppo tardi per mobilitare l'esercito. Migliaia di morti, ma la guerra si concluse molto bene, con l'esercito israeliano che attraversava il Canale di Suez sulla strada per il Cairo e con entrambi i Paesi pronti a passare da un cessate il fuoco a una pace duratura.
Nella guerra del Libano del 1982, che spinse l'esercito dell'Olp con carri armati e artiglieria fuori dal Libano, il primo ministro Menachem Begin fu platealmente incapace di controllare il ministro della Difesa ed eroe di guerra Ariel Sharon. Tutti concordarono sul fatto che Begin fosse assolutamente inadatto alla carica, come nel caso del primo ministro Ehud Olmert nella guerra del 2006 contro Hezbollah. Con una formazione da ufficiale inferiore, Olmert permise al Capo di Stato maggiore, appartenente all'aeronautica, di condurre una guerra di bombardamenti che non uccise molti combattenti di Hezbollah, ma scatenò in compenso una guerra di propaganda a livello mondiale, quando i giornalisti libanesi sotto il controllo di Hezbollah presentarono all'opinione pubblica i combattimenti come un massacro di donne e bambini, senza mai menzionare gli uomini armati. Proprio come a Gaza dopo il 7 ottobre.
In questa guerra, Netanyahu è stato pre-condannato politicamente per la sua disponibilità ad accettare due imbarazzanti ultra-estremisti nella sua coalizione di governo, per raggiungere i 61 voti di una maggioranza risicata nel Parlamento israeliano di 120 seggi, e ulteriormente condannato dai «progressisti» israeliani per il suo tentativo di riformare il sistema giudiziario con la nomina di giudici da parte dei ministri della Giustizia, in contrapposizione ai giudici più anziani. Netanyahu è così odiato dai suoi oppositori infinitamente frustrati - le sue continue manovre di coalizione lo hanno tenuto al potere per due decenni - che persino la sua riforma giudiziaria, perfettamente democratica, è stata travisata come un «golpe giudiziario» in innumerevoli manifestazioni. I suoi nemici hanno trovato molti simpatizzanti negli Stati Uniti, ma non in Europa, dove tutti i giudici sono nominati da ministri eletti dal governo e non da giudici più anziani.
Un'ultima accusa che Netanyahu non può negare: avendo formato il suo primo governo di coalizione il 18 giugno 1996, a cui ne sono seguiti altri cinque ma con brevi interruzioni, Netanyahu è stato al comando nei due decenni in cui Israele non ha cercato di fermare Hamas mentre costruiva la sua vasta rete di tunnel da combattimento, né Hezbollah mentre accumulava migliaia di missili da bombardamento sempre più efficaci e decine di migliaia di razzi. L'unico rimedio possibile era quello di prevenire entrambe le minacce prima del 7 ottobre 2023, lanciando offensive massicce sia con le forze di terra sia con quelle aeree, ottenendo la sorpresa di attaccare in un giorno perfettamente tranquillo, senza crisi o provocazioni precedenti. Ma in realtà nessun governo democratico può fare una cosa del genere, tanto meno quello di Netanyahu, ogni decisione del quale viene immediatamente interpretata come del tutto egoistica, oltre che ovviamente del tutto sbagliata.
I critici che continuano a trovare nuovi modi per deplorare i due decenni di vergognoso abbandono, non notano però cos'altro è successo in quei vent'anni. L'economia israeliana ha fatto un balzo in avanti (gli israeliani, un tempo molto più poveri della media europea, sono diventati molto più ricchi), sono stati forniti rifugi antiaerei ben costruiti ovunque, evitando decine di migliaia di vittime solo nella guerra in corso. Con uno sforzo immane, Israele ha anche acquisito affidabilissime difese missilistiche balistiche «spaziali» che nessun altro Paese possiede. I combattimenti a terra hanno inoltre rivelato che i veicoli blindati israeliani sono attualmente i più avanzati al mondo, mentre il raid aereo contro la base iraniana più segreta di Parchim ha dimostrato la capacità di Israele di lanciare attacchi di precisione a lungo raggio anche con i suoi caccia F-16 più vecchi e a corto raggio, grazie ai loro missili balistici lanciati in aria. Completamente surclassati, i leader iraniani sanno ora che qualsiasi altro bombardamento missilistico contro Israele potrebbe evocare il bombardamento della sede di Khamenei a Teheran o, più concretamente, del principale terminale di esportazione del petrolio del Paese.
Niente di tutto ciò è bastato a evitare la terribile sorpresa e le uccisioni di massa del 7 ottobre, ma i due decenni di investimenti in tecnologie militari hanno fatto sì che il numero di vittime israeliane nei successivi 14 mesi di combattimenti urbani - normalmente molto letali anche senza i pericoli aggiunti dei tunnel - sia rimasto molto più basso del previsto. Invece di decine di morti o disabili al giorno, la media è di uno o due.
Nel corso di questi due decenni, ci sono stati anche altri sforzi precauzionali, sia da parte degli agenti segreti sia degli ingegneri, che alla fine hanno permesso la decapitazione in tre fasi dell'intera leadership di Hezbollah. Prima sono riusciti a dissuadere dall'uso degli smartphone in quanto irrimediabilmente insicuri, per suggerire invece l'uso di telefoni casuali se sollecitati da avvisi acustici, con nuove radio da campo come back-up. Poi lo stesso ufficiale della Guardia rivoluzionaria iraniana che ha convinto i leader di Hezbollah a privarsi dei loro smartphone facilmente compromessi, ha suggerito dove sarebbe stato meglio acquistare dei cercapersone su misura e anche delle ricetrasmittenti portatili. Quando entrambi hanno iniziato a esplodere, l'intera linea di comando si è dovuta riunire faccia a faccia nel bunker di comando di Hezbollah, a sud di Beirut, ultra profondo, multilivello e in ferrocemento, che nessuna bomba poteva penetrare. Ma dove il colpo di grazia è arrivato con una sequenza di bombe da 2000 libbre con rivestimento in acciaio che sono cadute verticalmente esattamente nello stesso punto, uccidendo Hassan Nasrallah e tutto il suo alto comando, insieme al loro responsabile e supervisore delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Una mossa che a sua volta ha reso impossibile il bombardamento concentrato di Israele, pianificato da tempo da Hezbollah con migliaia di missili e più di centomila razzi. Al contrario, l'aviazione israeliana ha così potuto distruggere le batterie di missili e razzi con attacchi aerei giorno dopo giorno, fino al cessate il fuoco.
La guerra rivela i veri punti di forza e di debolezza di ogni nazione, inducendo i suoi nemici alla giusta cautela. Il religioso al potere in Iran e i suoi generali della Guardia Rivoluzionaria, rigorosamente non rasati, si sono finora rifiutati di accettare le prove schiaccianti della superiorità militare di Israele su tutta la linea, così come i sostenitori più accesi della vittoria totale dei palestinesi «dal fiume al mare» in tutto il mondo. Poiché non partecipano mai ai combattimenti, gli entusiasti stranieri non possono mai essere dissuasi, anche se incitano i palestinesi che finiscono prigionieri o morti.
I leader iraniani non sono né studenti ingenui né accademici sprovveduti.
Avendo subìto la pesantissima conseguenza di un attacco aereo di un solo giorno da parte di una manciata di aerei, è probabile che si ritirino prudentemente. Se non lo faranno, ciò che è iniziato con la caduta di Aleppo potrebbe continuare fino in fondo e poi proseguire in Iran. Tutti i regimi devono finire, anche quello iraniano.

(il Giornale, 7 dicembre 2024)

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Palermo – Sinagoga nell’ex oratorio, firmato il nuovo protocollo

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Nel 2017, la notizia che l’Arcidiocesi di Palermo aveva deciso di concedere in comodato d’uso gratuito un oratorio di proprietà ecclesiastica per ricavarne una sinagoga fece il giro del mondo. “500 Years After Expulsion, Sicily’s Jews Reclaim a Lost History”, titolò tra gli altri il New York Times, richiamando la valenza anche simbolica dell’atto a oltre cinque secoli dall’espulsione degli ebrei dall’isola. Un nuovo documento siglato in queste ore nel capoluogo siciliano dà ulteriore slancio al progetto di trasformare l’ex Oratorio di S. Maria del Sabato in un luogo di culto e aggregazione ebraico, stabilendo che sia la città a farsi carico di tutte le spese di ristrutturazione previste nel primo accordo. A garantire una svolta in tal senso il protocollo condiviso dal Comune, dall’Arcidiocesi, dall’Ucei e dalla Comunità ebraica di Napoli, con le firme in calce del sindaco Roberto Lagalla, di monsignor Corrado Lorefice, della presidente Ucei Noemi Di Segni e della presidente della Comunità ebraica partenopea Lydia Schapirer.
  «Siamo molto contenti. Per diverso tempo questo “dono” era rimasto in sospeso, in attesa della possibilità di avviare il restauro. Ciò diventa oggi possibile grazie all’intervento del Comune», sottolinea Di Segni. «In raccordo con il rabbinato italiano, si procederà per far sì che questo spazio diventi luogo non solo di culto, ma anche di cultura ebraica. Un polmone che questa città merita di avere, perché non bisogna mai dimenticare che è la cultura a generare convivenza e dialogo».

• IL RICORDO DI EVELYNE AOUATE
  Di Segni dedica questa giornata a Evelyne Aouate, fondatrice dell’Istituto siciliano di studi ebraici e referente della sezione locale della Comunità di Napoli fino alla morte, avvenuta nel 2022. A rappresentarla erano oggi le sue figlie. Anche l’istituto sarà accolto nei locali della sinagoga. «Evelyne è stata la promotrice di tutto quanto, intessendo rapporti fondamentali», riconosce Di Segni. Concorda l’avvocato Giulio Disegni, vicepresidente Ucei: «Evelyne è stata l’anima della riscoperta dell’ebraismo a Palermo». Disegni, riflettendo sulla giornata odierna, parla di «documento importante per rafforzare la cultura del dialogo, a suo modo esemplare perché mette insieme amministrazione comunale, mondo cattolico e mondo ebraico, forse un unicum a livello europeo». Il progetto è a suo modo peculiare anche perché «la storia del Sud ebraico è spesso una storia di sinagoghe trasformate in chiese, mentre in questo caso abbiamo una chiesa che diventerà sinagoga, nel quartiere un tempo ebraico della città». Disegni loda al riguardo la decisione e lo slancio del sindaco Lagalla, ricordando che già al tempo in cui era rettore dell’Università di Palermo «decretò l’installazione a Palazzo Steri di una lapide in ricordo dei docenti ebrei cacciati nel 1938 dal fascismo; tra loro Emilio Segrè, vincitore nel 1959 del Premio Nobel per la Fisica».
  Il protocollo è un nuovo capitolo di una lunga storia di persecuzione, rimozione e oggi riscoperta e prevede che sarà ora il Comune a provvedere «con proprie risorse e mezzi» a dar corso alla ristrutturazione e all’adeguamento funzionale dello spazio. Sempre il Comune consentirà gratuitamente alla sezione ebraica di Palermo «lo svolgimento delle proprie attività di religione e di culto e di quelle ad esse correlate», mentre la Comunità di Napoli, in raccordo con la sua sezione, «assumerà la custodia dell’edificio e di tutte le sue pertinenze e con essa ogni onere e responsabilità». Tutti e tre i soggetti insieme, Comune, Comunità e sezione locale, promuoveranno poi «iniziative culturali e formative in occasione di ricorrenze ebraiche, per la conoscenza della lingua e della cultura ebraica, per la lotta ad ogni forma di antisemitismo e la Memoria». a.s.

(moked, 6 dicembre 2024)

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L'IDF elimina sette terroristi che hanno partecipato all'attacco del 7 ottobre

Le forze di difesa israeliane hanno affermato questo martedì di aver ucciso sette terroristi palestinesi che hanno partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, nelle ultime due settimane nel centro della Striscia di Gaza.
"In attacchi selettivi, le truppe della Brigata 990 hanno eliminato numerosi terroristi, tra cui sette terroristi che hanno partecipato al massacro del 7 ottobre", indicano in un comunicato militare. L'esercito ha identificato i membri di Hamas eliminati come Abd al Razzeq, Marzuk al Hur, Abd Abu Awad Yusri, Omar Abu Abdalah, Ahmed Zahid e Maad Abu Garboua.
Nei loro raid nella zona, le truppe hanno anche smantellato le infrastrutture “terroristiche” di Hamas, come strutture militari, posti di osservazione e postazioni di cecchini.
Il massacro di Hamas, costato la vita a 1.200 persone in territorio israeliano, ha dato origine alla controffensiva delle truppe israeliane contro la Striscia di Gaza che dura da più di un anno e che secondo Israele permette che le infrastrutture militari di Hamas e della Jihad islamica vengano distrutte.
Netanyahu ha anche giustificato la sua offensiva a Gaza garantendolo. Solo così potranno salvare le quasi cento persone – 35 le vittime accertate – che sono ancora sequestrate da Hamas, nonostante i parenti degli ostaggi gli chiedano da mesi di privilegiare i canali diplomatici.
Per ora, Hamas e il partito laico Fatah, antagonista da decenni, hanno concordato al Cairo i dettagli del comitato di professionisti indipendenti che governerà Gaza una volta finita la guerra, hanno confermato fonti palestinesi.
Durante i negoziati sull'accordo di cessate il fuoco a Gaza, Israele ha chiesto che Hamas non facesse parte del futuro governo dell'enclave dopo la guerra.

(Aurora Israel, 6 dicembre 2024)

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Tzahal allerta chi ha combattuto a Gaza

Dopo la decisione della Corte penale, viaggiare all’estero può essere rischioso

di Ludovica Iacovacci

Chi ha prestato servizio a Gaza dovrà scegliere le mete per la villeggiatura con più attenzione rispetto al passato. L’esercito israeliano ha detto di mettere in guardia decine di soldati dal viaggiare all’estero per potenziali accuse di crimini di guerra, in seguito al mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della Difesa Yoav Gallant.
Le forze di difesa hanno scoperto che gruppi anti-israeliani hanno presentato denunce contro circa 30 soldati che hanno prestato servizio nella Striscia di Gaza per presunti crimini di guerra. A 8 soldati che hanno viaggiato all’estero è stato immediatamente detto di tornare in patria per paura di essere arrestati o interrogati dal Paese che stavano visitando, riferisce il sito di notizie Ynet. I soldati avevano viaggiato a Cipro, in Slovenia e nei Paesi Bassi.
L’esercito israeliano non ha vietato ai soldati di viaggiare all’estero, ma conduce “valutazioni di rischio” su quanto sia sicuro che chi ha prestato servizio a Gaza si rechi in un determinato Paese. Per questo è consigliato ai riservisti che hanno recentemente combattuto di verificare mediante il Ministero degli Esteri il livello di pericolo di qualsiasi Stato desiderino visitare.
I funzionari sono preoccupati che alcuni alti ufficiali potrebbero affrontare un’azione penale presso la Corte penale internazionale, che il mese scorso ha emesso mandati di arresto per il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Yoav Gallant per presunti crimini di guerra. A rafforzare l’allerta ci sono video e foto pubblicati dai soldati sulle piattaforme social che potrebbero essere usate come prova contro loro stessi. Tale contenuto online è servito da materiale per gruppi filo-palestinesi nel compilare “liste nere” di soldati. Gli attivisti anti-Israele stanno monitorando attentamente gli account sui social media dei soldati poiché nel caso in cui condividano anche immagini dei loro viaggi all’estero prevedono di presentare accuse locali contro di loro: è per questo si consiglia ai soldati che stanno pianificando di recarsi all’estero di non pubblicare immagini che rivelino la loro posizione.
Nonostante gli esperti legali di Tzahal hanno valutato che la Corte penale internazionale non ricercherà gli ufficiali e i soldati di rango inferiore che stavano eseguendo gli ordini della leadership politica, i funzionari sono preoccupati che i comandanti anziani come i Capi di Comando nord e sud, o il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, possano essere presi di mira dalla CPI, ha detto il rapporto pubblicato mercoledì. Sebbene finora da parte della Corte non sono state monitorate tali azioni, il potenziale rischio è considerato una minaccia significativa.
“I procedimenti individuali contro soldati e ufficiali minori che viaggiano all’estero potrebbero essere basati su sentenze della CPI”, ha detto Tzahal. “A qualsiasi soldato o ufficiale, se viene arrestato, convocato per l’interrogatorio o sente di essere seguito o fotografato mentre è all’estero, Israele fornirà assistenza legale immediata attraverso la sua ambasciata locale o la stanza della situazione del Ministero degli Esteri”.
Un fattore chiave nella valutazione è vedere quali Paesi dicono che sosterranno i mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant. Ad esempio in Sudafrica, un soldato dell’esercito israeliano in possesso della cittadinanza sudafricana sarebbe probabilmente detenuto per essere interrogato dato che il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha detto che i soldati di Tzahal in possesso della doppia cittadinanza israeliano-sudafricana saranno soggetti a arresto immediato. Bisognerà monitorare nei vari Paesi i cambiamenti nella legislazione e nella giurisprudenza relativi ai funzionari israeliani e al personale militare: per questo Israele ha assunto esperti legali locali in dozzine di Stati.

(Bet Magazine Mosaico, 6 dicembre 2024)

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Conosciamo Abu Mohammed al-Golani, il Jihadista che sta conquistando la Siria

In qualità di comandante della divisione di al-Qaeda nella guerra civile siriana, Abu Mohammed al-Golani era una figura oscura che si è tenuta lontana dagli occhi dell’opinione pubblica, anche quando il suo gruppo è diventato la fazione più potente che combatteva il presidente Bashar al-Assad.
Oggi è il ribelle più noto della Siria, salito gradualmente alla ribalta dopo aver reciso i legami con al-Qaeda nel 2016, rilanciando il suo gruppo e affermandosi di fatto come il capo della Siria nordoccidentale controllata dai ribelli.
La trasformazione è stata messa in mostra da quando i ribelli guidati da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) di Golani, precedentemente noti come Fronte al-Nusra, hanno conquistato Aleppo la scorsa settimana, con Golani in primo piano e che ha inviato messaggi volti a rassicurare le minoranze siriane che da tempo temono i jihadisti.
Mentre i ribelli entravano ad Aleppo, la città più grande della Siria prima della guerra, un video lo mostrava in tenuta militare mentre impartiva ordini al telefono, ricordando ai combattenti le direttive per proteggere la popolazione e vietando loro di entrare nelle case.
Mercoledì ha visitato la cittadella di Aleppo, accompagnato da un combattente che sventolava una bandiera della rivoluzione siriana, un tempo evitata da Nusra in quanto simbolo di apostasia, ma recentemente adottata da Golani, in omaggio all’opposizione più tradizionale in Siria.
Fin dall’inizio dell’offensiva, ha rilasciato dichiarazioni utilizzando il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa.
“Golani è stato più intelligente di Assad. Si è riorganizzato, si è rimodellato, ha trovato nuovi alleati e ha lanciato la sua offensiva di fascino” verso le minoranze, ha affermato Joshua Landis, esperto di Siria e direttore del Center for Middle East Studies presso l’Università dell’Oklahoma.
Aron Lund, membro del think-tank Century International, ha affermato che Golani e HTS sono chiaramente cambiati, pur sottolineando che sono rimasti “piuttosto intransigenti”.
“È presto, ma il fatto che si stiano impegnando in questo sforzo dimostra che non sono più rigidi come una volta. La vecchia scuola di al Qaeda o lo Stato islamico non lo avrebbero mai fatto”, ha detto.
Golani e il Fronte al-Nusra sono emersi come le più potenti tra le numerose fazioni ribelli nate nei primi giorni dell’insurrezione contro Assad, più di un decennio fa.
Prima di fondare il Fronte al-Nusra, Golani aveva combattuto per al-Qaeda in Iraq, dove aveva trascorso cinque anni in una prigione statunitense. Tornò in Siria una volta iniziata la rivolta, inviato dal leader del gruppo dello Stato islamico in Iraq all’epoca – Abu Omar al-Baghdadi – per rafforzare la presenza di al-Qaeda.
Gli Stati Uniti hanno definito Golani un terrorista nel 2013, affermando che al Qaeda in Iraq gli aveva affidato l’incarico di rovesciare il regime di Assad e di stabilire la legge islamica della sharia in Siria, e che Nusra aveva compiuto attacchi suicidi che avevano ucciso civili e sposato una violenta visione settaria.
La Turchia, principale sostenitore straniero dell’opposizione siriana, ha definito HTS un gruppo terroristico, pur sostenendo alcune delle altre fazioni che combattono nel nord-ovest

• RAPIDA ESPANSIONE
  Golani ha rilasciato la sua prima intervista ai media nel 2013, con il volto avvolto in una sciarpa scura e mostrando solo le spalle alla telecamera. Parlando ad Al Jazeera, ha chiesto che la Siria fosse governata secondo la legge della sharia.
Circa otto anni dopo, si è seduto per un’intervista nel programma FRONTLINE dell’emittente pubblica statunitense, rivolto verso la telecamera e indossando una camicia e una giacca.
Golani ha affermato che la definizione di terrorista era ingiusta e che si opponeva all’uccisione di persone innocenti.
Ha raccontato nei dettagli come il Fronte al-Nusra sia cresciuto, passando dai sei uomini che lo avevano accompagnato dall’Iraq a 5.000 nel giro di un anno.
Ma ha detto che il suo gruppo non ha mai rappresentato una minaccia per l’Occidente. “Ripeto: il nostro coinvolgimento con al Qaeda è terminato, e anche quando eravamo con al Qaeda eravamo contrari a svolgere operazioni al di fuori della Siria, ed è completamente contro la nostra politica svolgere azioni esterne”.
Ha combattuto una guerra sanguinosa contro il suo vecchio alleato Baghdadi dopo che lo Stato islamico ha cercato di assorbire unilateralmente il Fronte al-Nusra nel 2013. Nonostante i suoi legami con al-Qaeda, il Fronte al-Nusra era considerato più tollerante e meno duro nei suoi rapporti con i civili e altri gruppi ribelli rispetto allo Stato islamico.
Successivamente, lo Stato Islamico è stato sconfitto nei territori che controllava sia in Siria che in Iraq da una serie di avversari, tra cui un’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti.
Mentre lo Stato Islamico stava crollando, Golani stava consolidando la presa di HTS nella provincia nordoccidentale siriana di Idlib, istituendo un’amministrazione civile chiamata Governo della Salvezza.
Il governo di Assad considera HTS un gruppo terrorista, insieme al resto dei ribelli insorti contro Damasco.
Con i ribelli musulmani sunniti ora in marcia, l’amministrazione HTS ha rilasciato diverse dichiarazioni volte a rassicurare gli alawiti sciiti e altre minoranze siriane. Una dichiarazione ha esortato gli alawiti a staccarsi dal governo di Assad e a far parte di una futura Siria che “non riconosce il settarismo”.
In un messaggio inviato mercoledì ai residenti di una città cristiana a sud di Aleppo, Golani ha affermato che saranno protetti e che le loro proprietà saranno salvaguardate, esortandoli a rimanere nelle loro case e a respingere la “guerra psicologica” del governo siriano.
“È davvero importante. Il principale leader ribelle in Siria, l’islamista più potente”, ha detto Lund.
“Hanno adottato i simboli della più ampia rivolta siriana…, che ora usano e cercano di rivendicare l’eredità rivoluzionaria: ‘noi siamo parte del movimento del 2011, il popolo che si è ribellato ad Assad, e siamo anche islamisti'”.

(Rights Reporter, 6 dicembre 2024)

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Trito canovaccio

Il decino di credibilità di una organizzazione come Amnesty International, dura inarrestabile da anni e non mostra neanche lontanamente di volersi fermare, come attesta il suo recente report, per altro contestato dalla sua stessa filiale israeliana, secondo cui Israele starebbe perpetrando a Gaza un genocidio.
Ormai, l’accusa di genocidio è diventata una boutade, e riesce difficile capire come, dopo più di un anno, le genocide forze israeliane, con i mezzi di cui pur dispongono, non siano state in grado di eliminare nemmeno l’un per cento della popolazione della Striscia, (approssimativamente tra i due milioni e duecento mila abitanti), nulla a che vedere con la efficacissima macchina nazista, e ai nazisti, si sa, gli israeliani vengono paragonati dai loro demonizzatori dalla fine degli anni Sessanta.
Quando questa guerra sarà finita e la spessa coltre della propaganda contro Israele si sarà dissolta, i fatti appariranno nella loro evidenza, come accadde nel 2008 dopo l’Operazione Piombo Fuso a Gaza, quando, come da copione, Israele venne accusato di crimini contro l’umanità, venne istituita all’ONU (e dove, se no?), una apposita commissione che alla fine dei suoi lavori condannò lo Stato ebraico per crimini di guerra, per poi essere ricusata clamorosamente qualche anno dopo, dallo stesso giudice che l’aveva presieduta, o come era accaduto precedentemente con “l’assedio di Jenin” nel 2002, quando i soldati israeliani vennero accusati di avere ucciso migliaia di civili e i numeri veri rivelarono che si era trattato di non più di cinquanta morti.
Attendiamo fiduciosi.
Da anni Amnesty International confeziona requisitorie contro Israele fondate su dati forniti in loco da ONG di estrema sinistra finanziate da governi stranieri o da testimoni collusi con l’Autorità Palestinese, https://www.linformale.eu/la-esibita-parzialita-di-amnesty-international/.
Terzomondismo e antioccidentalismo sono i suoi traini ideologici principali. Tenendo alti i loro stendardi, un paese come Israele, visto come avamposto americano e imperialista in Medio Oriente, secondo la vulgata confezionata a Mosca e sempre attuale, ha un posto fisso nel banco degli imputati.
Non c’è da preoccuparsi troppo, fa tutto parte dell’offensiva propagandistica contro lo Stato ebraico iniziata subito dopo il 7 ottobre, e che ha mobilitato come mai prima d’ora, piazze, media, istituzioni sovranazionali, chiese, tribunali, il mondo glamour degli attori e dei registi “impegnati” e quello degli artisti e degli intellettuali più accorati per la difesa dei diritti umani selettivamente scelti.
Non c’è da preoccuparsi nel senso che alla fine, Israele, come sta facendo, e come si impegnerà a fare con ancora più lena dopo la vittoria di Donald Trump, sta vincendo questa guerra. Ha rotto l’anello di fuoco iraniano, colpendo Hezbollah gravemente e riducendo Hamas al fantasma di se stesso, mettendo l’Iran sul chi vive e contribuendo a fare crollare il suo argine siriano.
Non siamo ancora all’epilogo, ma i risultati iniziano a palesarsi chiari. Un antico proverbio arabo recita, “I cani abbaiano, la carovana prosegue il suo tragitto”.

(L'informale, 6 dicembre 2024)

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Gerusalemme, scoperta la più antica iscrizione cinese sul Monte Sion

di Jacqueline Sermoneta

“Per sempre custodiremo l’eterna primavera”. È quanto riportato sulla base di un frammento di una ciotola in porcellana cinese, risalente a 500 anni fa e rinvenuta durante uno scavo sul Monte Sion, a Gerusalemme. Si tratta della più antica iscrizione in lingua cinese conosciuta in Israele, nonché la prima prova archeologica del legame storico tra la Terra d’Israele e la Cina.
  Il reperto è stato scoperto nell’ambito di un progetto, guidato dal Prof. Dieter Vieweger e coordinato dall’Autorità Israeliana per le Antichità (IAA) e dall’Istituto Protestante Tedesco di Archeologia (GPIA).
  In Israele erano già stati rinvenuti antichi oggetti in porcellana cinese, ma questo è il primo a recare un’iscrizione. La maggior parte dei manufatti scoperti risalgono al periodo bizantino o, anche prima, al periodo del Secondo Tempio, ben oltre 1.500 anni fa. Tuttavia, secondo il ricercatore dell’Università ebraica di Gerusalemme, Jingchao Chen, questo frammento di vaso con l’iscrizione, da lui stesso decifrata, è più recente: è datato tra il 1520 e il 1570 e risale al periodo della dinastia Ming.
  Alcuni documenti dimostrano, infatti, le strette relazioni commerciali fra l’Impero cinese e l’Impero ottomano, che governava in Terra d’Israele nel XVI secolo. Ciò spiega come il vaso cinese sia giunto a Gerusalemme. Tra il XV e il XVII secolo, secondo quanto riportato dagli annali della dinastia Ming, venti delegazioni ottomane visitarono la corte imperiale di Pechino. I rapporti commerciali tra questi due imperi sono descritti anche nei libri di viaggio dei mercanti di quel periodo. Per l’appunto, gli scritti dello studioso cinese Ma Li del 1541 raccontano la presenza di colonie di mercanti cinesi a Beirut e a Tripoli e citano anche altre importanti città come Gerusalemme, Il Cairo e Aleppo.
  “Nella ricerca archeologica sono note testimonianze di relazioni di commercio, per esempio, di varie spezie, tra i mercanti della Terra d’Israele e l’Estremo Oriente già in epoche precedenti. – ha affermato il direttore dell’IAA, Eli Escusido, – Ma è affascinante incontrare prove di queste relazioni anche sotto forma di una vera e propria iscrizione, scritta in lingua cinese, e in un luogo inaspettato, sul Monte Sion a Gerusalemme”.

(Shalom, 6 dicembre 2024)

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Ricercatori israeliani scoprono il legame genetico tra la mutazione negli ebrei ashkenaziti e l'autismo

Un gruppo di scienziati del Rambam Medical Center di Haifa, guidati da Sharon Bratman-Morag e Karin Weiss, ha identificato una mutazione genetica nel gene TBCB (Tubulin Folding Cofactor B), molto comune negli ebrei azkenazi, che ha un legame con un tipo di disturbo dello spettro autistico (ASD). 
  Lo stesso studio ha rivelato che 1 ebreo ashkenazita su 80 è portatore della mutazione del gene TBCB e, se entrambi i genitori sono portatori, c'è una probabilità del 25% che il loro figlio o figlia erediti la mutazione e presenti i sintomi correlati.
  La scoperta apre nuove possibilità per la diagnosi precoce e la gestione di questa condizione genetica. Sulla base di ciò, a novembre il Ministero della Salute israeliano ha incluso un test per individuare questa mutazione nel paniere sanitario nazionale, rendendolo accessibile a tutte le coppie che intendono avere figli.
  Oltre ai sintomi dell’ASD, le persone con questa mutazione possono sviluppare paraparesi spastica ereditaria, un disturbo motorio che causa rigidità muscolare e rende difficile camminare e mantenere l’equilibrio.

(Aurora Israel, 5 dicembre 2024)

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Israele inizia a riaprire i parchi nazionali del nord

La graduale riapertura è un barlume di speranza per il nord, ma le cicatrici della guerra restano visibili.

L'Autorità israeliana per la natura e i parchi ha annunciato martedì la prima fase della riapertura dei parchi nazionali e delle riserve naturali nel nord di Israele, con la riapertura dei primi parchi prevista per mercoledì. La decisione arriva dopo mesi di chiusura a causa del conflitto in corso con il gruppo terroristico Hezbollah in Libano.
Il ministro della Protezione ambientale Idit Silman ha salutato la riapertura come un “momento emozionante e pieno di speranza” dopo un anno di combattimenti che hanno devastato il nord di Israele.
L'opportunità di tornare a visitare i magnifici paesaggi del nord è un barlume di speranza per ricongiungerci alla nostra natura, alla nostra terra e al nostro patrimonio”, ha dichiarato.
Nella prima fase saranno riaperte sette aree:

Tuttavia, sei aree rimangono chiuse per la riabilitazione, tra cui la Riserva Naturale di Ein Afek e la Riserva Naturale di Nahal Hermon (Banias).
Raya Shoraki, amministratore delegato dell'Autorità israeliana per la natura e i parchi, ha dichiarato: 

    “Siamo lieti di riaprire al pubblico le aree settentrionali, alcune delle quali sono rimaste chiuse per più di un anno dall'inizio del conflitto. Il personale dell'Autorità sta lavorando diligentemente per preparare e allestire tutti i siti per dare il benvenuto ai visitatori negli amati luoghi che tutti abbiamo perso”.

FOTO
Cavalli selvaggi pascolano all'alba sulla Valle di Hula, vicino alla Strada 978 nelle Alture del Golan israeliano, 27 novembre 2024

Sebbene questa riapertura porti un senso di rinnovamento, le cicatrici del conflitto nel nord di Israele sono ancora chiaramente visibili. Gli attacchi di Hezbollah hanno devastato il paesaggio della regione, bruciando oltre 57.000 ettari di terreno. Gli incendi non solo hanno distrutto gli habitat naturali, ma rappresentano anche una sfida importante per le comunità locali e la fauna selvatica. Le foreste e i campi di Israele nel nord del Paese portano le cicatrici di numerosi incendi. La terra annerita e gli alberi carbonizzati ricordano il conflitto in corso. Il direttore esecutivo del Keren Kayemeth LeYisrael - Fondo Nazionale Ebraico Regione Nord, Shali Ben Yishai, ha descritto la guerra all'inizio di quest'anno come “il più grande disastro naturale dalla fondazione di Israele, e ci vorranno anni per rimediare”.
In risposta a queste sfide, a settembre il KKL-JNF si è impegnato a sostenere il nord di Israele con circa 5 milioni di dollari (4,7 milioni di euro). Questi fondi saranno utilizzati per rafforzare la capacità della regione di combattere gli incendi e proteggere le sue risorse naturali. (JNS)

(Israel Heute, 5 dicembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Roma, 120 anni del Tempio Maggiore

Fadlun: "Fieri di essere italiani ed ebrei"

"La vicinanza del presidente, oggi di nuovo, è per noi fonte di grande importanza, perché ci fa sentire solidarietà e chiarezza della nostra nazione. Siamo fieri di essere italiani e di essere ebrei, in un momento in cui antisemitismo e antisionismo si fondono. Perché l'antisionismo è questo, una forma di antisemitismo. La presenza del presidente ci rafforza nella nostra fede e nella certezza della nostra democrazia", lo ha detto Victor Fadlun, presidente della comunità ebraica di Roma, a margine delle celebrazioni per i 120 anni del Tempio Maggiore alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
In merito a quanto sta accadendo in Medio Oriente, Fadlun risponde: "Oggi purtroppo si parla addirittura in termini di ipotetico genocidio, ma sono termini che respingiamo e che sono fuori luogo. Il genocidio è quello che cercarono di compire i nazisti. La definizione di genocidio fu fatta dopo il nazismo, nelle conferenze in cui si cercava di capire cosa fosse il crimine commesso. Oggi Israele sta combattendo una guerra di sopravvivenza contro l'Iran e i proxy, che hanno come dichiarato intento la distruzione dello stato di Israele e il martirio di tutti gli ebrei. Quindi è una guerra di resistenza, in cui dovrebbe essere unito tutto l'occidente, di cui Israele è il baluardo nel mondo orientale".
Infine, anche un commento per i 100 ostaggi ancora nelle mani di Hamas dopo il 7 ottobre: "Questi 100 ostaggi sono rinchiusi in zone terribili perché sono ebrei. Questo è chiaramente antisemitismo puro e razzismo", conclude.

(LaPresse, 5 dicembre 2024)


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"Hamas in ebraico vuol dire violenza", il messaggio di Di Segni a Mattarella

"Con una sinistra evocazione, la parola violenza traduce il termine ebraico biblico che è hamàs, sì proprio hamàs". Lo ha detto il Rabbino Capo Riccardo Di Segni al Tempio Maggiore di Roma per la cerimonia di celebrazione dei 120 anni della Sinagoga.

IL TESTO INTEGRALE DEL MESSAGGIO DI SALUTO A MATTARELLA
"Siamo qui a celebrare i primi 120 anni di questa Sinagoga. La prima volta che compare nella Bibbia il numero 120, proprio collegato agli anni, è al sesto capitolo della Genesi in cui si formula un giudizio severo per l’uomo che si sta comportando male e si annuncia che i suoi giorni saranno 120 anni. Per qualche interprete sarebbe l’annuncio che da quel momento la durata della vita dell’uomo non avrebbe superato i 120 anni, ma per la maggioranza degli interpreti è l’annuncio di una proroga concessa all’umanità; non vi state comportando bene, sappiate che per questo rischiate l’estinzione, vi dò 120 anni per ravvedervi. L’annuncio non fu preso sul serio e alla fine arrivò il diluvio. In base a questi racconti, quale è la lezione e quale è la sfida per noi una volta arrivati al traguardo dei 120 anni? Coloro che edificarono questo Tempio non ebbero una proroga tanto lunga.
Le loro certezze e le loro speranze si infransero molto prima davanti alle tragedie che colpirono l’Europa e si accanirono contro questa comunità. Ma non ci furono solo eventi tristi. Ci furono gioie collettive come la liberazione, la Costituzione repubblicana, la nascita dello Stato d’Israele e le sue vittorie, la creazione di nuovi rapporti con la cristianità segnata dalle visite di tre pontefici. E insieme a questo le gioie dei singoli e delle famiglie, che festeggiano qui i figli che crescono, celebrano matrimoni e festeggiano persino le nozze di diamante. Sembra che dai tempi lontani del diluvio la dinamica non sia più quella della fine del mondo, preannunciata, e totale, ma che tutto avvenga in una dimensione più locale fatta di gioie e dolori ai quali dobbiamo prepararci. Resistere, sperare e costruire. La storia di questo edificio e della comunità che rappresenta serve a dimostrare che ce la possiamo fare, che non c’è limite alla misericordia divina ma che c’è da parte nostra il dovere di comportarci bene. Il diluvio arrivò perché, dice la Bibbia 'la terra si era corrotta e si era riempita di violenza' (Genesi 6:11 e 13). Con una sinistra evocazione, la parola violenza traduce il termine ebraico biblico che è hamàs, sì proprio hamàs. La sopravvivenza della nostra società sta nella convivenza pacifica di cittadini che rispettano le leggi e che condividono il dovere di costruire insieme un mondo migliore. E tutto questo non riguarda tempi eccezionali ma è l’obbligo della quotidianità.
Il rabbino Spagnoletto nel suo intervento spiegherà alcuni simboli di questo edificio che tra l’altro conserva la memoria della Sicilia da cui arrivarono gli esuli del 1492. Ogni dettaglio di questo Tempio tramanda una storia, che spesso è storia di sofferenze, ma anche di tenacia, di volontà di sopravvivere e vivere, di trasformare l’umiliazione in bellezza.
Dopo le turbolenze del secolo scorso basate su ideologie e nazionalismi, il primo quarto di questo secolo sta conoscendo altre forme di turbolenze sanguinose. Il mondo occidentale sembra quasi impotente a fronteggiare le nuove sfide. La piccola grande storia della nostra comunità e del Tempio che la rappresenta può dare un contributo positivo. Perché è un monito contro le derive violente, le espulsioni, le emarginazioni -il ghetto di Roma era proprio qui-, la privazione dei diritti. Ma è l’esempio virtuoso di come una comunità può rimanere fedele alle sue tradizioni e al contempo integrarsi virtuosamente, rappresentando una ricchezza per Roma e l’Italia.
Ogni società anche quella più solida, è a rischio, se non avverte i sintomi della crisi e non vi pone riparo per tempo. I nostri valori fondanti, che sono quelli stabiliti dalla Costituzione, vanno difesi e promossi. La costituzione, la carta fondamentale scritta dopo la fine della barbarie nazifascista, - aggiunge Di Segni - il documento che afferma il principio di uguaglianza dei cittadini, e che tra l’altro, porta la firma di un ebreo, Umberto Terracini. Per questo, Signor Presidente, in tempi difficili come questi, la nostra comunità guarda a Lei come il primo garante di quel testo e della stabilità del nostro Paese.
Anche se la storia e la attualità concentrano la nostra attenzione, non dobbiamo dimenticare il senso essenziale questo edificio. Quando il re Salomone costruì il primo Tempio di Gerusalemme si pose una domanda, parlando al Signore: 'Il cielo e la terra non Ti possono contenere e che cosa può pretendere questo edificio', benché grandioso? (1 Re 8:27). La risposta sta già nelle parole dell’Esodo, con cui il Signore ordina la costruzione del tabernacolo: 'mi faranno un santuario e abiterò in mezzo a loro' (Es. 25:8). Si nota subito che non è detto che abiterò nel santuario', ma abiterò in mezzo a loro. Ogni sinagoga è un piccolo santuario. Serve a portare il sacro in mezzo a noi, e ad avvicinare noi al sacro. Ad ognuno di noi, noi tutti, che siano per questo disponibili. E sacro, nell’ebraismo, è ciò che innalza l’umanità, che gli dà dignità, che riconosce l’immagine divina in ogni essere umano. Di questo abbiamo bisogno, tanto più in momenti come questi. Grazie signor Presidente".

(Adnkronos, 5 dicembre 2024)

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Hamas e gli ostaggi: sei uccisi nei tunnel, recuperato un corpo e le rivelazioni sulle direttive degli assassini

di Luca Spizzichino

A tre mesi dal ritrovamento dei corpi a Khan Younis, l’IDF ha confermato che sei ex ostaggi israeliani sono stati probabilmente giustiziati dai loro carcerieri durante un bombardamento aereo su un tunnel di Hamas avvenuto lo scorso febbraio.
  Le vittime — Alex Dancyg (75 anni), Yagev Buchshtav (35 anni), Chaim Peri (79 anni), Yoram Metzger (80 anni), Nadav Popplewell (51 anni) e Avraham Munder (78 anni) — erano state rapite durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. I loro corpi sono stati recuperati dall’esercito israeliano il 20 agosto 2024 in un tunnel situato nel complesso residenziale di Hamad Town a Khan Younis.
  Secondo l’indagine presentata alle famiglie delle vittime, gli ostaggi sono stati uccisi poco dopo un bombardamento aereo israeliano del 14 febbraio, che aveva colpito una rete di tunnel utilizzata da Hamas. Gli ostaggi erano trattenuti in condizioni estremamente precarie: un passaggio stretto lungo appena 100 metri, sigillato da sacchi di sabbia e da una porta metallica, senza alcuna possibilità di sopravvivenza a lungo termine. Il portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha descritto il tunnel come “inadatto alla sopravvivenza umana” per le sue dimensioni anguste e l’assenza di condizioni vivibili.
  Sempre ieri, l’IDF e lo Shin Bet hanno annunciato il recupero del corpo di Itay Svirsky, un ostaggio israeliano rapito il 7 ottobre 2024 da Hamas e assassinato durante la prigionia. Il corpo è stato recuperato nella Striscia di Gaza, a 14 mesi dalla cattura e quasi un anno dalla sua uccisione. Durante una conferenza stampa, Hagari ha spiegato che il recupero è avvenuto durante un’operazione “i cui dettagli non possono essere divulgati per motivi di sicurezza operativa.”
  Svirsky, rapito durante l’attacco di Hamas nell’ottobre 2024, sarebbe stato assassinato circa quattro mesi dopo. Durante la prigionia, era stato detenuto insieme a Yossi Sharabi e Noa Argamani. L’IDF ha respinto la versione di Hamas, secondo cui Svirsky sarebbe morto in un bombardamento, confermando invece che l’uccisione è avvenuta giorni dopo l’attacco in cui perse la vita Sharabi.
  Secondo quanto riportato da Reuters sempre nella giornata di ieri, i leader di Hamas hanno ordinato ai propri operativi di “neutralizzare gli ostaggi” in caso di operazioni di salvataggio da parte di Israele. L’informazione proviene da un presunto “documento interno” che dà le istruzioni sulla custodia degli ostaggi israeliani. Il documento, datato 22 novembre, sostiene che Hamas avrebbe ricevuto informazioni su un possibile piano israeliano per un’operazione di salvataggio, simile a quella condotta a giugno nel campo di Nuseirat, in cui furono liberati quattro ostaggi israeliani. Nonostante non vi siano indicazioni precise su quando potrebbe avvenire questa operazione o se Israele abbia informazioni sul luogo di detenzione degli ostaggi, il documento raccomanda agli operativi di “non considerare le possibili conseguenze” nell’eseguire gli ordini.

(Shalom, 5 dicembre 2024)

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Onu: decisa con la maggioranza una conferenza internazionale a giugno 2025 per creare lo Stato palestinese

di Ludovica Iacovacci

L’Assemblea Generale dell’Onu ha deciso che dal 2 al 4 giugno 2025 a New York sarà convocata una conferenza internazionale per cercare di dare il via a una soluzione a due Stati, preceduta da una riunione preparatoria che si terrà a maggio 2025.
Rivolgendosi ai 193 membri dell’Assemblea, il Presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, il 77enne camerunense Philémon Yang, ha ribadito l’importanza della soluzione dei due Stati definendola “l’unica via per una pace duratura”. Yang ha aggiunto che tale soluzione, concepita per la prima volta nella risoluzione 181 del 1947 dell’Assemblea generale adottata 77 anni fa, resta ancora fuori portata e si è concentrato sulla “negazione dello Stato palestinese”. Preme precisare che 77 anni fa come oggi, è stata soltanto la parte araba a non aver mai accettato l’esistenza di una controparte.
La “Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica del Medio Oriente e l’attuazione della soluzione dei due Stati” sarà co-presieduta da Francia e Arabia Saudita. “Nei prossimi mesi, insieme moltiplicheremo e combineremo le nostre iniziative diplomatiche per portare tutti su questo percorso”, ha detto Macron citando l’AFP.
La risoluzione ( A/79/L.23 ) è stata approvata con 157 voti favorevoli e 8 contrari (Argentina, Ungheria, Israele, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea e Stati Uniti), con 7 astensioni (Camerun, Repubblica Ceca, Ecuador, Georgia, Paraguay, Ucraina e Uruguay). L’Italia ha votato a favore.
La risoluzione ha anche chiesto la fine dell’”occupazione israeliana iniziata nel 1967”, inclusa “Gerusalemme Est”. L’Assemblea ha detto che i due Stati dovrebbero “vivere fianco a fianco in pace e sicurezza all’interno di confini riconosciuti, sulla base dei confini pre-1967”.
Su questo punto, l’Australia per la prima volta dal 2001 ha cambiato il suo posizionamento politico votando a favore della misura che chiede a Israele di ritirarsi dalla Giudea e Samaria e da Gaza. Canberra ha rotto con la sua consolidata opposizione adottata per due decenni. Peter Dutton, leader dell’opposizione australiana, ha criticato il cambiamento di politica del governo accusando il primo ministro Anthony Albanese di aver “venduto” la comunità ebraica del Paese per conquistare i cuori degli elettori progressisti. Dopo il 7 ottobre, gli attacchi antiebraici in Australia sono quadruplicati, secondo il Consiglio esecutivo dell’ebraismo australiano (ECAJ) in un rapporto pubblicato domenica. Un totale di 2.062 incidenti sono stati registrati tra ottobre 2023 e settembre 2024, molto più dei 495 incidenti rilevati un anno prima. Il totale non include le dichiarazioni antisemite fatte sui social media.
Infine, il testo della risoluzione invita le parti ad “agire in modo responsabile” per invertire “le tendenze negative, comprese tutte le misure adottate sul campo che contravvengono al diritto internazionale”. Più specificamente, l’Assemblea chiede ancora una volta che “i diritti inalienabili del popolo palestinese, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione e il diritto a creare uno Stato indipendente, siano realizzati”. Tolto Israele, solo 7 Stati su 193 sono contrari alla creazione dello Stato palestinese.
Parallelamente ai vertici internazionali, si muovono anche i tavoli della diplomazia palestinese per il futuro della Striscia, luogo del mondo dove la gran parte dei gazawi non vede Israele come una forza liberatrice, bensì come un nemico da combattere ad ogni costo. Hamas e Fatah, il partito del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, hanno concordato di formare un comitato per l’amministrazione della Striscia di Gaza dopo la guerra: Hamas si riconferma, in tal modo, espressione di larghe fasce del popolo palestinese.
Inoltre, nella stessa giornata l’Assemblea Generale ha votato per altre due risoluzioni. La prima è intitolata “Divisione del Segretariato per i diritti dei palestinesi ” (documento A/79/L.24). La votazione registrata ha avuto 101 voti a favore, 27 contrari e 42 astensioni. L’Assemblea ha chiesto al Segretario generale di continuare a fornire risorse e chiede di garantire che la Divisione continui a svolgere efficacemente il suo lavoro.
La seconda risoluzione, adottata dall’Assemblea con 97 voti a favore, 8 contrari (Australia, Canada, Israele, Stati Federati di Micronesia, Palau, Papua Nuova Guinea, Regno Unito, Stati Uniti) e 64 astensioni, riguarda “Il Golan siriano” (documento A/79/L.19). Il documento dichiara che Israele non ha rispettato la risoluzione 497 (1981) del Consiglio di Sicurezza e stabilisce che la decisione di imporre la propria giurisdizione sul “Golan siriano occupato” è nulla e non valida. Si invita inoltre lo Stato ebraico a riprendere i colloqui sui binari siriani e libanesi e a ritirarsi da tutto il “Golan siriano occupato”.
Insomma, una giornata di festa per Hamas e Bashar al-Assad nel rispetto del cosiddetto “diritto internazionale”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 dicembre 2024)

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Il conflitto in Siria e la crisi della strategia iraniana

di Ugo Volli

• L’AVANZATA DEI RIBELLI FILOTURCHI
  La situazione in Siria sembra essersi provvisoriamente stabilizzata. Le varie forze sunnite filoturche ma legate anche all’eredità dell’Isis e di Al Qaida, oggi riunite sotto la sigla HTS (Commissione per la salvezza della Siria), controllano un’ampia zona nel nord-ovest del paese, dai confini turchi alla seconda città del paese, Aleppo, a Idlib, fino a Hama, a metà strada con Damasco. Hanno conquistato aeroporti con aerei e elicotteri, fabbriche d’armi, impianti antimissile, grandi centri abitati, industrie; procedendo in direzione sud hanno anche tagliato i collegamenti terrestri est ovest fra il centro del paese e la costa, isolando le basi navali russe. Se raggiungeranno la prossima città del loro percorso, Homs, a meno di 50 km dalle posizioni attuali, bloccheranno l’imbocco orientale della valle della Bekaa, il principale accesso al Libano (e a Hezbollah) per l’Iran. Sono stati segnalati anche vari episodi di appoggio all’HTS nel sud del paese, nella capitale Damasco e ai confini con la Giordania. L’annunciata controffensiva delle forze governative, come l’intervento di reparti sciiti dall’Iraq e addirittura dell’esercito iraniano, per ora non si sono realizzate. Le forze curde, sostenute dagli Stati Uniti, si sono ritirate dalle zone di contatto. A contrastarli per ora sono solo i bombardamenti dell’aviazione russa. Il rallentamento della loro avanzata, all’inizio travolgente, deriva dalla necessità di consolidare le linee di rifornimento e di difesa, che si sono molto estese, e forse dalla pressione di Usa e Russia sulla Turchia.

• IL SIGNIFICATO STRATEGICO
  L’irruzione dell’HTS costituisce uno sviluppo strategico importantissimo per tutto il Medio Oriente. L’incapacità del governo siriano, pur appoggiato dalla Russia e dall’Iran, di tenere la parte più ricca e popolosa del paese, mostra non solo il fallimento della sanguinaria dittatura di Assad, ma quello della grande strategia imperialista dell’Iran, concepita quindici anni fa dal generale Qasem Soleimani, cioè la realizzazione di un “ponte terrestre” fra l’altopiano persiano e il Mediterraneo, attraverso Iraq, Siria e Libano, e la conseguente accensione di un “anello di fuoco” intorno a Israele, capace di isolare e distruggere lo Stato ebraico. Proprio il tentativo di iniziare a sfruttare questo “anello” con il pogrom del 7 ottobre e gli attacchi missilistici di Hezbollah, con la conseguente reazione israeliana che ha decimato la forza dei terroristi libanesi, ha provocato le difficoltà attuali del regime siriano. Erano stati infatti proprio i mercenari di Hezbollah a evitare la caduta di Assad. La loro debolezza attuale lo mette di nuovo a rischio.

• I PRECEDENTI
  La situazione attuale in Siria non è infatti una novità assoluta. Il regime di Assad non si era mai del tutto ripreso dalle conseguenze delle agitazioni del 2011 (che la stampa occidentale aveva descritto col nome molto inappropriato di “primavere arabe”). La rivolta integralista dei Fratelli Musulmani sunniti contro il regime alawita protetto dagli sciiti iraniani era stata repressa da Assad in maniera crudelissima, soprattutto perché Obama non aveva fatto rispettare la “linea rossa” da lui stesso proclamata contro le armi chimiche; si era affermato poi in parte della Siria lo “Stato Islamico” (ISIS). Dopo la sua sconfitta si era formato un equilibrio complicato: il governo controllava i grandi deserti al confine sudorientale con l’Iraq e la Giordania, il confine con Israele, la striscia fra Damasco e Aleppo fino alla costa; i curdi tenevano una zona a nordest, fra l’Iraq e la Turchia; i ribelli che oggi avanzano avevano già un loro territorio a Nordovest vicino al confine turco; c’erano basi russe sulla costa e anche sul Golan, dove erano insediate pure truppe di Hezbollah. Gli americani avevano una base a sudest, vicino alla Giordania. La spinta dell’Hts ha più che raddoppiato il loro territorio e rischia di far saltare questi precari equilibri.

• GLI INTERESSI DI ISRAELE
  A Israele naturalmente la crisi della strategia imperialistica degli ayatollah e soprattutto il blocco delle vie di rifornimento delle armi iraniane a Hezbollah non possono che far piacere; anche le difficoltà di un nemico permanente come Assad non dispiace – anche se certi media hanno rilanciato la voce poco plausibile che il dittatore siriano avrebbe chiesto aiuto proprio allo Stato ebraico che in linea di principio non lo avrebbe rifiutato. Ma non vi è dubbio che i jihadisti dell’Hts con la loro ideologia integralista e i loro metodi terroristi siano dei nemici pericolosi per cui Israele non ha alcuna simpatia. Averli al confine del Golan aumenterebbe il rischio di avere un nuovo fronte attivo di offensiva terroristica. Del resto il loro grande protettore Erdogan non ha mancato occasione negli ultimi anni per esprimere odio per lo Stato ebraico e solidarietà per il terrorismo di Hamas. A Israele può dunque convenire che l’azione dei ribelli si estenda fino a Homs, rendendo più difficile l’accesso dell’Iran al Libano, ma non è auspicabile la loro conquista di Damasco e tantomeno del Golan siriano.

• LE PROSPETTIVE
  È impossibile prevedere come si evolverà la situazione. Iran e Russia hanno certamente i mezzi per bloccare i ribelli, ma non è detto che si sentano di usarli, impegnati come sono su altri fronti. Gli Usa non sembrano avere deciso un intervento. Né il regime siriano né Hezbollah sembrano in grado da soli di respingere Hts; potrebbero intervenire milizie irachene, ma della loro capacità bellica si sa poco. La Turchia potrebbe negoziare su diversi fronti (Russia, Iran, la stessa Siria) dei vantaggi politici come prezzo per fermare i suoi protetti, che però sono divisi in gruppi autonomi, non tutti facilmente controllabili. E vi sono molti in Siria che attendono una vendetta per le stragi di massa di cui Assad si è reso responsabile nell’ultimo decennio. Insomma la situazione è aperta e incerta e potrebbe degenerare in una grande guerra. Ma dato che non è possibile attribuirne la responsabilità a Israele, pochi vi badano.

(Shalom, 4 dicembre 2024)

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La paura di Israele: jihadisti con i gas di Assad

Gerusalemme teme che, nel caos partito da Aleppo, le armi chimiche del regime possano finire nelle mani degli estremisti filo iraniani o filo turchi. Ribelli alle porte di Hama, la capitale degli alawiti, la componente religiosa più vicina al leader. 

di Stefano Piazza

Prosegue senza sosta la marcia dei jihadisti siriani che ieri hanno conquistato quattro nuove città - Halfaya, Taybat Al Imam, Maardis e Soran. che si aggiungono alle altre sedici già sotto il loro controllo. La notizia della conquista di queste città è stata riferita dall'amministrazione delle operazioni militari dei jihadisti ed è stata confermata dall'Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh), con sede nel Regno Unito. I ribelli hanno anche dichiarato di aver eliminato 50 soldati governativi durante le operazioni militari di ieri. Questo sviluppo rappresenta un'importante vittoria per il fronte anti-Assad, guidato dal gruppo jihadista salafita Hayat Tahrir Al Sham e dalle forze dell'opposizione sostenute dalla Turchia. Attualmente, i ribelli si trovano a meno di 10 chilometri da Hama, la quarta città più popolosa della Siria ed è evidente che tutto quanto accade in questi giorni ha avuto una minuziosa pianificazione durata mesi. 
  Hama è una città strategica nella Siria centrale, sulla strada che collega Aleppo alla capitale Damasco (obiettivo finale dei jihadisti) e secondo RamiAbdel Rahman, direttore dell'Osdh «l'avanzata dei ribelli su Hama minaccia la base popolare del regime», dato che i dintorni della città sono popolati da alawiti, la comunità da cui proviene il presidente Bashar Al Assad. Secondo quanto riportato dall'Osdh, «scontri violenti si stanno verificando nel Nord della provincia di Hama, mentre aerei russi e siriani stanno conducendo decine di raid sulle posizioni occupate dai ribelli», ma la sensazione è che anche Hama possa cadere nelle mani dei jihadisti. Nelle ultime ore il conflitto siriano ha visto una riaccensione del fronte orientale, dove si affrontano forze filo-Usa e filo-iraniane, ciascuna a sostegno di fazioni armate locali. Fonti sul terreno, in linea con quanto riportato dall'Osdh, indicano che le forze filo-Usa, composte dal Pkk curdo e da tribù arabe alleate con Washington, stanno tentando di prendere il controllo di sette località situate a Est del fiume Eufrate, attualmente occupate da milizie filoiraniane e da clan tribali affiliati a Teheran. I media siriani segnalano che gli insorti filo-turchi hanno preso il controllo di cinque aeroporti strategici attorno alla città di Aleppo, privando il governo centrale siriano, insieme ai suoi alleati Russia e Iran, di importanti infrastrutture militari e civili. Oltre all'aeroporto civile, gli insorti controllano ora anche quattro aeroporti militari: Nayrab, Kuw e iris, Menagh e Abu Dhuhur. Questi scali, considerati risorse strategiche di primaria importanza, erano utilizzati dal governo di Damasco e dai suoi alleati per operazioni militari e logistiche. In particolare, l'Iran si avvaleva degli aeroporti di Aleppo per rifornire regolarmente le linee degli Hezbollah libanesi, sfruttando il corridoio di Homs che collega la Siria centrale alla valle libanese di Bekaa. Mentre scriviamo gli scontri tra le due fazioni sono ancora in corso. Il gruppo armato iracheno Kataeb Hezbollah, alleato dell'Iran, ha sollecitato Baghdad a inviare truppe in Siria per sostenere il governo di Damasco. Un portavoce di Kataeb Hezbollah, parte dell’«asse della resistenza» sostenuto dall'Iran, ha dichiarato che il gruppo non ha ancora deciso di mobilitare i propri combattenti, ma ha invitato il governo iracheno ad agire. Kataeb Hezbollah ha già partecipato al conflitto siriano al fianco delle forze fedeli al presidente Assad. In Iraq, il gruppo è parte integrante di Hashed Al Shaabi, una coalizione di ex forze paramilitari ora integrate nelle forze armate regolari. Nel frattempo, Baghdad ha confermato di aver inviato veicoli blindati per rafforzare la sicurezza lungo il confine di 600 chilometri con la Siria. 
  E l'Iran principale sostenitore del regime siriano? Secondo alcune indiscrezioni potrebbe inviare truppe a combattere, tuttavia, alcuni analisti ritengono che «potrebbe non bastare arrivati a questo punto». In ogni caso il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, in un estratto da un'intervista pubblicata sul suo canale ufficiale Telegram ha affermato: «Se il governo siriano ci chiede di inviare forze in Siria, studieremo la loro richiesta». Iran che ieri ha attaccato Ankara con le parole di Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida suprema iraniana Khamenei: «Non avremmo mai immaginato che la Turchia, con una lunga storia islamica, potesse cadere in una trappola tesa dagli Stati Uniti e dai sionisti. Gli Stati Uniti, i sionisti e i Paesi della regione, sia arabi che non arabi, dovrebbero tenere a mente che la Repubblica islamica dell'Iran sosterrà il governo della Siria fino alla fine». Recep Tayyip Erdogan non ha commentato ma ha affermato che il governo di Assad «deve impegnarsi in un genuino processo politico per impedire che la situazione peggiori» che sembra un modo elegante per dire al presidente siriano di andarsene. 
  Israele segue con grande preoccupazione quanto accade in Siria e il timore principale è che i jihadisti di Hts o le milizie filoiraniane possano prendere il controllo dei laboratori militari dove sono custodite le armi chimiche siriane che verrebbero poi usate contro lo Stato ebraico. In tal senso secondo fonti della tv saudita Al Hadath ieri mattina gli israeliani hanno ucciso in un attacco sulla strada per l'aeroporto di Damasco Salman Jumaa, responsabile del collegamento tra Hezbollah e l'esercito siriano. Meglio prevenire che curare.

(La Verità, 4 dicembre 2024)

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Trump avverte Hamas che “ci sarà da pagare un inferno” per gli ostaggi di Gaza

Il Presidente entrante promette un'azione decisiva se gli ostaggi rimarranno prigionieri oltre il giorno dell'inaugurazione.

Lunedì il presidente eletto Donald Trump ha lanciato un severo avvertimento ad Hamas, chiedendo l'immediato rilascio di tutti gli ostaggi detenuti a Gaza. Scrivendo sulla sua piattaforma Truth Social, Trump ha dichiarato che se gli ostaggi non saranno liberati entro il suo insediamento, il 20 gennaio 2025, i responsabili dovranno affrontare conseguenze senza precedenti.
“Vi prego di lasciare che questa VERITÀ serva a far capire che se gli ostaggi non saranno liberati prima del 20 gennaio 2025, data in cui assumerò con orgoglio l'incarico di Presidente degli Stati Uniti, ci sarà TUTTO L'INFERNO DA PAGARE in Medio Oriente”, ha scritto Trump. Ha promesso che i responsabili “saranno colpiti più duramente di quanto sia mai stato fatto nella lunga e storica storia degli Stati Uniti d'America”.
La dichiarazione di Trump arriva sulla scia dell'attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele, durante il quale il soldato dell'IDF di origine statunitense, il capitano Omer Maxim Neutra, è stato ucciso e il suo corpo è stato portato a Gaza. Inoltre, un video di propaganda pubblicato sabato ha mostrato l'ostaggio americano Eden Alexander in cattività, intensificando ulteriormente gli appelli all'azione.
Domenica Sara Netanyahu, moglie del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha incontrato Trump al suo Mar-a-Lago Golf Club in Florida. Durante la cena, Sara Netanyahu ha sottolineato la situazione degli ostaggi e l'importanza di combattere quello che ha definito “l'asse del male”.
La promessa di Trump di ritenere Hamas responsabile sottolinea l'importanza degli ostaggi negli sforzi globali in corso per stabilizzare la regione. La sua dichiarazione amplifica l'urgenza del loro rilascio come condizione fondamentale per la sicurezza del Medio Oriente e segna un punto centrale per la sua imminente presidenza.
Mentre la crisi degli ostaggi continua, la dichiarazione di Trump segnala un approccio duro nei confronti di Hamas e dei suoi sostenitori.

(Israfan, 4 dicembre 2024)

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Germania: cancellata lezione del noto storico israeliano Benny Morris all’Università di Lipsia

L’Università di Lipsia ha annullato una lezione prevista per la giornata di giovedì, che vedeva la presenza del famoso storico israeliano Benny Morris. In una dichiarazione, Gert Pickel e Yemima Hadad, docenti dell’ateneo, hanno detto che la cancellazione è dovuta alle proteste degli studenti per le considerazioni dello studioso (senza però specificare quali) “che potrebbero essere interpretate come offensive e persino razziste”. A riportare la notizia è il Jewish News Syndicate
Inoltre, hanno aggiunto che le proteste erano “comprensibili, ma di natura spaventosa”. Quindi l’annullamento dell’intervento di Morris sarebbe dovuto anche a problemi di sicurezza. Noto per essere un esperto del conflitto arabo-israeliano, nella sua lezione avrebbe dovuto trattare “Il 1948 e la Jihad” all’interno di una serie di conferenze sull’antisemitismo.
In seguito, i docenti avrebbero aggiunto: “Vogliamo esprimere la nostra preoccupazione per il doppio standard che viene applicato agli studiosi israeliani, che sono sempre più emarginati ed esclusi dagli eventi con il pretesto di divergenze di opinione politica, mentre ad altre voci viene dato libero accesso all’università”.
Dopo l’accaduto il think tank MENA di Vienna ha condannato la decisione dell’università, mettendo in chiaro il ben noto curriculum di Morris, già definito dallo stesso The Guardian come “un radicale che ha costretto il suo Paese a confrontarsi con il suo ruolo nello sfollamento di centinaia di migliaia di palestinesi”. Morris è risaputo essere un oppositore dichiarato del controllo israeliano sulle zone della Giudea e della Samaria. Un oppositore le cui scoperte spesso non erano in linea con le affermazioni di diversi gruppi sostenitori di Israele.
A maggior ragione, MENA ha scritto che l’opposizione a Morris “non fa che evidenziare ulteriormente il comportamento patetico dell’Università di Lipsia, che può essere giustamente considerato un grande successo da parte di coloro che odiano Israele”.
Tra i vari gruppi che ne hanno chiesto l’annullamento compariva quello degli Studenti per la Palestina di Lipsia. In seguito, Morris, 75 anni, ha dichiarato al quotidiano israeliano Haaretz che la decisione di annullare la lezione è stato un gesto codardo: “vergognosa, soprattutto perché è il risultato della paura di una potenziale violenza da parte degli studenti.

(Bet Magazine Mosaico, 4 dicembre 2024)

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Il cuore della Sicilia che batte per Israele

di Angelica Calò Livnè

Dopo più di 400 giorni di guerra, con un’Israele ferita, sanguinante, divisa, che lotta strenuamente per mantenere il suo spirito e per continuare a sopravvivere siamo arrivati a Palermo. «Ti abbiamo sentita alla radio, parlavi di pace e di speranza mentre suonavano le sirene, mentre arrivavano i missili di Hezbollah sulla tua casa al confine con il Libano e abbiamo subito pensato che dovevi essere una delle premiate in ricordo di padre Pino Puglisi, il prete che combatté contro la mafia con coraggio e dedizione verso i suoi ragazzi, per dare dignità, amore e futuro alla gente del suo quartiere, Brancaccio a Palermo. Saremmo onorati se volessi accettare il nostro invito». Il primo pensiero è stato «Mi ani ki elech el paro’ – Chi sono io per andare dal Faraone?», poi di istinto, con gioia e profonda gratitudine, ho detto sì, certamente. «Sono io che devo ringraziarvi per la vostra fiducia e per il vostro coraggio di andare contro corrente in questo momento buio di solitudine per il mio Paese!».
  Nel primo giorno del cessate il fuoco, immediatamente la speranza si è fatta largo tra la gente, si è insinuata nei cuori, ha accarezzato le spalle curve dal dolore e dal peso di una guerra senza fine, benedicendo le fronti.
  Cosi è Israele: si abbarbica a ogni piccolo raggio di positività e ricomincia la sua lotta per la ricostruzione, per riempirsi dell’energia così urgente per non soccombere. E questo è stato il nostro viaggio in una Palermo effervescente, dove il profumo del pistacchio si mescola ai colori delle danze di strada per denunciare la violenza contro le donne, dove l’oro di Monreale brilla e ispira al Bene preti, vescovi e associazioni di periferia per strappare giovani e non dalla povertà, dalla droga, dall’ingiustizia e dalla disperazione. Gente nobile, che dedica la propria vita e si batte per una Sicilia sana, regina delle bellezze che ha ricevuto dalla natura e da tradizioni antiche.

• UN’ACCOGLIENZA CHE SCALDA IL CUORE
  Sono partita con dolori in tutto il corpo, accompagnata da Yehuda, mio angelo custode, con una paura profonda di imbattermi in sorprese spiacevoli da parte di chi si alimenta delle notizie dei media. Ero preoccupata dall’antisemitismo dilagante, devastante che non lascia respiro. Avevo il cuore pesante per i nostri soldati che cadono ogni giorno a Gaza e nel sud del Libano, per i 101 ostaggi in procinto di affrontare un altro inverno in condizioni disastrose, e per il nostro kibbutz abbandonato.
  L’accoglienza dei fedeli nella Chiesa diroccata di padre Antonio Garau di Borgo Nuovo direttamente dall’aeroporto Falcone e Borsellino è stata un diluvio di affetto, di empatia profonda verso le nostre storie dolorose del 7 ottobre, sulle donne stuprate, i bambini che hanno assistito all’assassinio dei loro genitori, le famiglie bruciate. Gemma Ocello – di nome e di fatto, un vero diamante grezzo, che splende e illumina al suo passaggio – mi scriveva ormai da mesi per prepararmi alla cerimonia. Saremmo stati in sette: padre Alex Zanotelli, sacerdote comboniano, Gino Cecchettin che con straordinaria forza interiore ha trasformato il dolore per la tragica perdita della figlia Giulia in un esempio luminoso di amore. Andrea Rinaldo, scienziato di fama mondiale e vincitore dello Stockholm Water Prize. Francesco Zavatteri, che ha trasformato il dolore per la perdita del figlio Giulio in un impegno concreto contro le dipendenze, Zenaida Boaventura che con La Casa di tutte le genti ha dato un’opportunità a tante mamme lavoratrici e ai loro figli, creando un luogo di accoglienza e integrazione. E io, messaggera di pace e di speranza in piena guerra.
  «La presenza di personalità di tutto il mondo», ha commentato padre Garau, «che vivono la loro vita testimoniando il senso del rispetto e della dignità dell’uomo sono la nostra forza nel credere che le cose possano cambiare, come diceva padre Pino Puglisi».
  Nel corso della settimana trascorsa sotto la protezione affettuosa di Gemma e della sua famiglia, ci sono stati momenti di grazia senza fine, di rispetto profondo per il nostro essere ebrei, israeliani e fratelli maggiori. Abbiamo ricevuto manifestazioni di affetto nel Liceo Mamiani di Palermo dove abbiamo presentato uno dei nostri laboratori di Educazione al dialogo attraverso le arti da palcoscenico per 120 ragazzi: «Voi siete la testimonianza vivente di ciò che accade veramente in Medio Oriente dovete raccontare a tutti la verità dietro le immagini che mostrano in televisione!», ha sottolineato Giovanni, professore di storia e filosofia. Uno dei carabinieri che ci ha accompagnato ci ha confidato la sua frustrazione, durante le manifestazioni propal, per chi prova a sostituire la bandiera italiana con quella palestinese. In più, quando affrontano il caos, le forze dell’ordine vengono demonizzate.

• CON UN GIOVANE LIBANESE A PALERMO
  Concluderò con uno dei momenti più toccanti di questo viaggio: un testo scritto da Germana Porcasi che ha partecipato a un altro dei laboratori presentati in questi giorni a Palermo:
  «Oggi abbiamo partecipato alla lezione di Angelica alla fondazione Fscire.
  Angelica esordisce raccontando brevemente del suo kibbutz, degli sfollati, dei missili… A un certo punto prende la parola un ragazzo, si presenta “sono libanese” dice “di Beirut”… tutti trattengono il respiro, abbiamo anche pensato… speriamo non nasca una discussione. Angelica, pronta come sempre, con massima gioia e accoglienza. “Non sai quanto sono felice ed emozionata… il mio kibbutz è proprio davanti al confine con il Libano…”. Lui trattiene a fatica le lacrime raccontando con tanto dolore la paura e la sofferenza che continuano a infliggere ai libanesi. “Abbiamo paura, abbiamo paura… non possiamo dire nulla, ci chiamano sionisti… traditori, ci minacciano… siamo stanchi non ne possiamo più, noi siamo brave persone, non vogliamo il male di nessuno… ma loro… loro ci hanno catapultato 40 anni indietro”. E allora Angelica gli chiede: “Ma questi –«loro»– chi intendi Hezbollah?”. “Si”, dice lui “Hezbollah” e ancora trattiene le lacrime, la voce spezzata, un nodo in gola… Molti dei presenti si asciugano le lacrime che scendono irrefrenabili. Incredibile davvero questo incontro e lo sfogo liberatorio di questo ragazzo, consegnato proprio al cuore di Israele».
  E con questo spirito, con queste immagini negli occhi, nell’anima e nel cuore torniamo a casa. Proprio a casa, e dopo più di un anno torniamo a dormire nella nostra stanza da letto con la sua finestra sul Monte Hermon. Ora non ci resta che aspettare con fiducia 60 giorni per rivedere il kibbutz pieno di bambini e Amen, gli abbracci delle madri e le famiglie da tutta Israele che accolgono i loro figli che tornano dall’inferno dei tunnel. Siamo nati per la luce e per la luce combatteremo fino in fondo!

(moked, 2 dicembre 2024)

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Il presidente della Siria chiede aiuto a Israele!

Questo è il titolo del sito ortodosso Kikar Hashabbat, e sembra semplicemente fantastico. Io dico la mia opinione apertamente e senza mezzi termini. Secondo il quotidiano saudita Elaph, il presidente siriano Bashar al-Assad ha chiesto aiuto a Israele per respingere i ribelli sunniti che negli ultimi giorni hanno conquistato ampie zone del nord-ovest della Siria. Israele non ha immediatamente respinto la richiesta, ma ha posto delle condizioni. Fonti ufficiali non hanno ancora confermato la notizia. Per il portale ortodosso Kikar questo è un segno dell'arrivo del Messia. Il capo di Stato siriano chiede aiuto allo Stato di Israele? È qualcosa di anomalo nella politica regionale in cui viviamo. Ma l'intera regione è in una nuova fase che può esplodere o aprire nuove possibilità. Stiamo vivendo un periodo anomalo in cui ci saranno sicuramente molte sorprese. A.S.

di Aviel Schneider

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Ribelli siriani strappano un ritratto del presidente siriano Bashar al-Assad nel centro di Aleppo, Siria, 30 novembre 2024.

GERUSALEMME - Elaph ha rivelato ieri che il Presidente Assad ha inviato un messaggio a un'agenzia di sicurezza israeliana attraverso uno dei suoi consiglieri in Europa. In questo messaggio, Assad avrebbe chiesto aiuto militare per sostenere il suo regime a Damasco contro i ribelli sunniti. Secondo il giornale saudita, Israele ha risposto ad Assad che gli sviluppi in Siria non rappresentano una minaccia immediata per Israele. Tuttavia, Israele non ha rifiutato categoricamente la richiesta. L’apparato di sicurezza israeliano aveva chiarito ad Assad che le milizie iraniane avrebbero dovuto lasciare la Siria prima che Israele potesse considerare una risposta positiva alla richiesta.
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Il presidente siriano Bashar Al-Assad (R) parla con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (L), a Damasco, in Siria, il 1° dicembre 2024

Se questo rapporto è vero, cosa che ritengo abbastanza possibile, allora dimostra che il regime siriano di Assad è ai ferri corti con il regime degli ayatollah in Iran. Assad chiede aiuto al regime sionista di Gerusalemme? Il regime sionista di Gerusalemme è il diavolo che deve sparire dalla faccia della terra per i suoi alleati iraniani. C'è qualcosa di sbagliato in questa teoria, oppure spiega gran parte del successo delle eliminazioni di Israele in Libano, Iran e Siria. Da tempo circola la voce che Assad abbia aiutato Israele a eliminare una figura chiave dopo l'altra dall'asse del terrore sciita. Non è una novità nel mondo arabo in cui viviamo. Dietro le quinte, i governi arabi hanno spesso chiesto aiuto al loro nemico sionista a Gerusalemme. Il padre dell'attuale re giordano, re Hussein, durante il suo mandato ricevette da Israele la promessa che l'aviazione israeliana sarebbe intervenuta se la Siria avesse continuato a sognare una Grande Siria e avesse voluto conquistare parti della Giordania. All'epoca, il padre di Bashar al-Assad , Hafez al-Assad, governava la Siria. Non è quindi una novità che gli arcinemici di Israele chiedano aiuto.
D'altra parte, ci sono anche notizie secondo cui Assad avrebbe chiesto aiuto all'Iran, il che ovviamente suona molto più logico. “È probabile che Assad riceva decine di migliaia di soldati iraniani per aiutarlo a combattere i ribelli, che negli ultimi giorni hanno fatto qualche passo avanti”. Commentando i combattimenti in Siria, il professor Eyal Zisser, esperto di Medio Oriente e Siria, ha dichiarato:

    "La cosa davvero sorprendente di questo evento è stato il rapido crollo dell'esercito siriano di fronte ai ribelli. Questo dimostra quanto l'esercito sia davvero debole e che non può sopravvivere senza il sostegno dei suoi amici e alleati. Da quando Iran e Russia sono intervenuti, la guerra in Siria è rimasta a un livello basso e Assad ha avuto il tempo di ricostruire e rafforzare il suo esercito. Si tratta di decine di migliaia di soldati e di attrezzature russe e iraniane. Questo esercito avrebbe dovuto essere molto più forte dei ribelli. Ma l'esercito siriano è semplicemente fuggito - non c'è stata nemmeno una battaglia”.

Il sito web saudita ha citato l'esperto israeliano di Medio Oriente Mordechai Kedar e lo ha ritratto mentre descriveva i ribelli siriani come “amici di Israele”. Kedar aveva detto che si sarebbe potuta aprire un'ambasciata israeliana a Damasco se i ribelli avessero preso il controllo della Siria e rovesciato il regime di Assad. Tuttavia, questo resoconto non corrisponde alle sue reali dichiarazioni. In un video clip, Kedar ha detto:

    "Oggi sono a favore dei ribelli. Domani non lo so! Ma oggi i ribelli vogliono combattere le milizie sciite in Siria e liberarsi del regime di Assad. Oggi dovete sostenere i ribelli. Domani non lo so. Oggi combattono contro le milizie sciite e contro il regime di Assad. Se saranno amichevoli nei nostri confronti, continueremo a sostenerli. Se non lo saranno, non lo faremo”.

L'Iran è fortemente coinvolto negli sviluppi strategici in Siria perché vuole creare una “autostrada d'attacco” sciita da Teheran alle alture del Golan. Per il regime degli ayatollah, la Siria è solo un mezzo per raggiungere il fine di distruggere Israele. La conquista da parte dei ribelli sunniti vanifica questo piano e danneggia gli interessi nazionali dell'Iran, il che non preoccupa particolarmente Israele. Tuttavia, Israele teme che gruppi terroristici estremisti possano sfruttare il vuoto di potere nelle aree incontrollate del nord-ovest della Siria. È molto probabile che Assad capisca meglio l'intera situazione e veda la vera salvezza negli ebrei piuttosto che nei suoi soliti alleati. Ecco perché ci si chiede cosa stia accadendo intorno a noi, soprattutto nell'ultimo anno. Viviamo davvero in tempi messianici? Israele è stato colto di sorpresa il 7 ottobre 2023. Da allora c'è stata guerra. E ora, dopo che Israele ha eliminato alcuni dei suoi nemici più potenti, il presidente siriano Assad chiede aiuto? Fantastico!

(Israel Heute, 3 dicembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


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Israele in allerta per arrivo Guardie Rivoluzionarie in Siria

In Israele temono che l'Iran approfitti della crisi in Siria per far entrare un elevato numero di Guardie Rivoluzionarie in Siria e minacciare così lo Stato Ebraico

di Haamid B. al-Mu’tasim

GERUSALEMME - Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tenuto domenica sera una consultazione di sicurezza ad alto livello sugli sviluppi in Siria, in seguito all’attacco a sorpresa dei ribelli nella zona di Aleppo e Idlib.
  Alti funzionari della sicurezza a Gerusalemme affermano che Israele teme che il presidente siriano Bashar Assad permetta all’Iran di introdurre forze delle Guardie Rivoluzionarie nel territorio siriano per aiutare l’esercito di Damasco a difendere il suo regime, e che tale mossa avvicinerà le Guardie Rivoluzionarie al confine con Israele.
  Secondo le stesse fonti, Hezbollah avrebbe già inviato forze dal Libano nel nord della Siria per proteggere i beni dell’organizzazione e dell’Iran dai gruppi terroristici jihadisti.
  Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è arrivato ieri a Damasco e ha incontrato il presidente Assad per coordinare le mosse tra Iran e Siria, con l’obiettivo di proteggere il regime siriano.
  Secondo la stampa araba, l’Iran sta già pensando di inviare forze militari in Siria. Ieri sera ha messo in guardia gli Stati Uniti dall’approfittare della situazione in Siria e ha lanciato segnali sulla possibilità di inviare forze “consultive” delle “Guardie rivoluzionarie” nella città di Aleppo in Siria se gli sviluppi sul terreno lo richiedessero.
  Fonti di stampa hanno riferito che il deputato iraniano Ismail Kavehtri, responsabile per gli affari militari presso la commissione per la sicurezza nazionale del parlamento, ha affermato ieri sera che esiste la possibilità che l’Iran invii forze “consultive” in Siria, ma secondo lui , “questo dipende dagli sviluppi sul terreno e dalle decisioni della leadership israeliana”.
  Kavehtri ha affermato infatti che gli attacchi dei ribelli ad Aleppo avevano lo scopo di impedire gli aiuti iraniani a Hezbollah durante il cessate il fuoco di 60 giorni, secondo un piano americano-israeliano. Ha sottolineato che il numero dei consiglieri iraniani in Siria non è molto elevato e, se il loro numero fosse elevato, agirebbero immediatamente. Ha stimato che “il fronte della resistenza interverrà con forza in Siria per impedire il ritorno delle fazioni armate, al fine di contrastare il piano americano-israeliano”.
  Le stesse fonti sostengono anche che il generale Hossein Dakiki, consigliere del comandante delle “Guardie rivoluzionarie”, ha affermato che “il nemico israeliano sta complottando in Siria e in Libano, ma in Siria gli verrà tagliata la mano in modo tale da passare2 per sempre alla storia.”
  Secondo quanto riferisce la rete Farda in lingua persiana, migliaia di combattenti delle milizie sciite in Iraq si stanno dirigendo verso la città di Aleppo in Siria per partecipare ai combattimenti.
  Israele sta monitorando attentamente ciò che sta accadendo in Siria, e fonti politiche dicono che Israele agirà se le forze iraniane o le milizie filo-iraniane tentano di avvicinarsi al confine con Israele, e che “Israele è pronto per qualsiasi scenario”.

(Rights Reporter, 2 dicembre 2024)


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Caos Siria, opportunità e rischi per Israele

Gli sviluppi in Siria, con i ribelli jihadisti filoturchi che hanno preso il controllo della città di Aleppo otto anni dopo la sua riconquista da parte dell’esercito siriano, stanno destando preoccupazione in Israele. Il regime di Bashar al-Assad, sostenuto da Iran, Russia e Hezbollah, appare sempre più debole nel nord, e il consolidamento di forze jihadiste sunnite vicino al confine israeliano rappresenta un rischio crescente per lo stato ebraico. Il premier Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione straordinaria per discutere l’impatto di questi eventi: le autorità di sicurezza temono che armi pericolose – come quelle chimiche già usate da Assad in passato – cadano nelle mani dei ribelli. Anche l’aiuto di Teheran ad Assad è sotto osservazione. «Stiamo seguendo da vicino ciò che sta accadendo in Siria, abbiamo visto che il regime iraniano sta inviando rinforzi. Lavoreremo per impedire il contrabbando di armi verso il Libano e Hezbollah attraverso il territorio siriano», ha dichiarato il portavoce dell’esercito Daniel Hagari in un’intervista a Sky News.
  L’attacco su Aleppo è stato guidato da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), evoluzione di Jabhat al-Nusra, precedentemente affiliato ad al-Qaeda in Siria. A differenza dell’inizio della guerra civile nel 2011, quando il movimento ribelle era rappresentato dall’Esercito siriano libero, con posizioni anche laiche, oggi il conflitto vede protagoniste fazioni jihadiste. «Non è lo Stato Islamico, ma non è nemmeno così diverso,» spiega all’emittente N12 Carmit Valensi, ricercatrice senior dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (INSS). «I prossimi giorni saranno cruciali per comprendere la portata di questo evento» aggiunge Valensi. «Se i ribelli jihadisti riusciranno a conquistare il potere in Siria, la loro ostilità verso Israele non sarà inferiore a quella di Assad e soprattutto degli iraniani che lo sostengono. Ma se nella rivolta la corrente più moderata riuscirà a integrarsi, prendere il controllo e tradurre i successi militari di Hayat Tahrir al-Sham in un cambiamento politico significativo, allora per noi potrebbe essere una notizia positiva».
  L’emittente Kan ha raggiunto alcune delle voci più moderate di chi ad Aleppo e Idlib guida l’avanzata anti-Assad. «Ci accusano di collaborare con voi [Israele] perché siamo stati molto contenti quando avete attaccato Hezbollah e siamo felici che abbiate avuto successo», ha affermato un residente di Idlib alla radio israeliana. Secondo lui, molti siriani non considerano Israele un nemico «perché non è ostile verso chi non lo è nei suoi confronti. Non vi odiamo. Anzi». Kan ha raccolto un’altra testimonianza simile. «Il popolo siriano non era così felice da molto tempo. È la prima volta che proviamo un senso di gioia e vittoria, e con l’aiuto di Allah ci libereremo di Bashar al-Assad e dell’Iran», ha affermato un residente dell’area di Aleppo. «Forse non vi piacciamo e non ci volete liberi, ma noi vogliamo liberare il nostro paese. Non abbiamo problemi con nessuno stato vicino, con nessuno. Abbiamo solo un problema con l’Iran e il regime, questi criminali assassini».
  Per Israel Shammai, analista del sito Makkor Rishon, la posizione d’Israele sul conflitto in corso in Siria ricorda quella di Menachem Begin sulla guerra tra Iran e Iraq del 1988. Quando gli fu chiesto per chi parteggiasse, Begin rispose: «Auguro successo a entrambe le parti».
  Per Shammai in questa fase il conflitto interno in Siria sta giocando a favore di Gerusalemme. Tsahal continuerà a colpire i convogli di munizioni ed equipaggiamenti che l’Iran trasferisce a Hezbollah attraverso il corridoio siriano. «Le guerre interne renderanno molto difficile per Assad aprire un fronte contro Israele», scrive Shammai. Tuttavia, nel lungo termine, le organizzazioni islamiste più radicali, sottolinea l’analista, «possono rappresentare un pericolo maggiore del presidente siriano, nonostante i suoi ben noti difetti. Quindi, dopo aver augurato successo a entrambe le parti, speriamo che non siano proprio questi ribelli a uscirne vincitori». d.r.

(moked, 2 dicembre 2024)

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Israele, il primo impianto che produce energia dal movimento delle onde a Jaffa

di Jacqueline Sermoneta

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Sarà inaugurato giovedì nel porto di Jaffa, in Israele, il primo impianto che sfrutta il movimento delle onde per produrre energia elettrica pulita. Il progetto, che coniuga innovazione e sostenibilità, è promosso congiuntamente dal comune di Tel Aviv-Yafo, dalla società municipale “Atarim”, dalla startup israeliana Eco Wave Power e da EDF Renewables Israel.
  ‘Una tecnologia pioneristica’, l’ha definita il Ministero dell’Energia e delle Infrastrutture israeliano, quella sviluppata da Eco Wave Power, che sfrutta dispositivi galleggianti istallati su moli, frangiflutti e pontili. “Questi galleggianti si alzano e si abbassano in base al movimento ascendente e discendente delle onde, alimentando un motore idraulico e un generatore, situati sulla terraferma. Inoltre, un sistema di automazione intelligente controlla e monitora l’intero processo, sollevando i galleggianti dall’acqua durante le tempeste per evitare danni”.
  Attualmente l’azienda sta costruendo stazioni energetiche anche in altri Paesi: una nel porto di Los Angeles, in California, e un primo impianto elettrico su scala commerciale è in fase di progettazione finale in Portogallo.
  La fondatrice e CEO di EcoWave Power, Inna Braverman, ha partecipato al programma “Donne per il clima”, una delle iniziative ambientali e di sostenibilità del comune di Tel Aviv-Yaffo, che permette alle “donne selezionate di ricevere una guida professionale e gli strumenti per portare avanti progetti innovativi che fanno progredire la sostenibilità urbana e affrontano il cambiamento climatico”.
  Eco Wave Power ha ricevuto finanziamenti dal Fondo di sviluppo regionale dell’Unione europea, da Innovate UK e dal programma quadro Horizon 2020 della Commissione europea ed è stata insignita del Global Climate Action Award dalle Nazioni Unite.

(Shalom, 3 dicembre 2024)

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Antisemitismo neonazista a Vienna

Aggredito ultraortodosso mentre andava in sinagoga

di Roberto Zadik

Come ogni Shabbat stava recandosi alla preghiera pomeridiana, quando a Vienna il 30 novembre, un gruppo di neonazisti l’ha aggredito “rubandogli” il suo Shtreimel copricapo in pelliccia tipicamente Est Europeo e la kippà con cui era coperto il capo
  Secondo i siti Ynetnews nell’articolo firmato da Itamar Eichner, il religioso si era imbattuto casualmente nella manifestazione a sostegno del partito di estrema destra, FPO, che lo scorso 29 settembre ha trionfato alle elezioni entrando nel governo austriaco  ottenendo il ventinove percento dei voti, quando è stato attaccato da ignoti.
  Ma chi può essere stato a compiere questo gesto così brutale e cosa è successo? Il presidio si preannunciava da giorni estremamente pericoloso tanto che l’FPO aveva fatto affiggere per le vie della capitale viennese dei cartelli che dicevano di “stare moto attenti perché nel centro di Vienna inizierà verso mezzogiorno un presidio neonazista a Heidenplatz”.
  Attualmente la polizia viennese sta indagando sui possibili responsabili dell’aggressione al malcapitato ortodosso sessantaseienne e a questo proposito il Jerusalem Post fornisce alcuni interessanti dettagli sull’accaduto. Stando all’articolo, l’uomo è stato assalito nello storico quartiere ebraico viennese di Leopolstadt “famoso per il suo valore storico e culturale” come ha evidenziato il testo, mentre recandosi per la preghiera di Minchà, verso le 15.45 ha incrociato la manifestazione nel centro della città.
  Secondo le prime ricostruzioni gli  aggressori, membri del gruppo neonazista Vienna Dance Brigade gli hanno rubato lo Shtreimel per poi indossarlo come scherno sfilando per le strade. Successivamente però un testimone è riuscito a ritrovare il copricapo in un negozio di vestiti usati riportandolo al proprietario. A quanto pare i presunti colpevoli sarebbero due adolescenti, uno dei quali, un diciassettenne austriaco identificato come ideatore del gesto e accusato di “disturbo della quiete pubblica”. La polizia ha confermato che anche le unità antiterrorismo stanno indagando sul caso, come ha assicurato il portavoce delle forze dell’ordine viennesi Markus Dittrich “siamo decisi a andare fino in fondo su questo incidente con ulteriori investigazioni”.

(Bet Magazine Mosaico, 3 dicembre 2024)

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Joe Biden grazia il figlio. Ai buoni tutto è concesso

di Daniele Capezzone. 

«La salita dell’inflazione? E' transitoria». «Il confine con il Messico? E' sicuro». «Grazierò mio figlio? No». Sono tre - scelte a caso tra le decine possibili - delle bugie raccontate negli ultimi anni da Joe Biden.
  Balle spettacolari, paragonabili solo a quelle - ancora più vertiginose - dette su di lui da amici, collaboratori, sostenitori e media embedded: «Biden è lucidissimo», «Biden non sarà sostituito», e via mentendo e inseguendo le menzogne con nuove bugie ancora più luccicanti e fantasiose.
  Provate a immaginare se il portavoce di Trump e Trump stesso, alla presidenza, avessero reiteratamente negato l’intenzione di graziare il figlio, e se poi invece la grazia fosse arrivata dopo una campagna elettorale, quindi alle spalle dei votanti.
  Da ieri sui social circola una formidabile compilation di filmati, di clippini (tutti veri, ahinoi) in cui Biden sembrava escludere categoricamente questa eventualità («Non ci sono re in America, nessuno è al di sopra della legge»). E più volte il presidente uscente aveva inflitto agli americani discorsetti retorici sul suo assoluto rispetto della giustizia che gli avrebbe impedito di usare i poteri presidenziali per favorire il figlio.
  « La sua portavoce, Karine Jean-Pierre, era apparsa addirittura sprezzante e infastidita verso i giornalisti che osavano ripetere la domanda («Ho già risposto», «Ho detto no», «$ ancora un no»).

• SOTTO ATTACCO
   Ma si sa, gli autoproclamati “buoni” possono fare tutto. Vale anche per media e social. Oggi X di proprietà di Elon Musk è selvaggiamente sotto attacco (un paio di giorni fa è arrivata anche la reprimenda di padre Paolo Benanti, ascoltato pure a destra come un guru), nonostante che Musk abbia da tempo reso più trasparente l’algoritmo, con ciò aprendo una inedita pagina di chiarezza.
  Quando invece, con la proprietà pre-Musk, negli ultimi giorni della campagna per le presidenziali 2020, il vecchio Twitter fece sparire la storia del laptop di Hunter Biden, arrivando perfino a bannare il profilo del giornale che l’aveva tirata fuori, il New York Post. Di fatto divenne impossibile condividere il link all’inchiesta, e furono pure limitati e bloccati sia il profilo dell’allora portavoce della Casa Bianca sia quello della campagna Trump.
  Tutto questo accadde a un paio di settimane dal voto del 2020, e ovviamente va ricordato che il famigerato laptop del figlio di Biden custodiva informazioni scottanti sui suoi rapporti economici con società di paesi stranieri (Cina inclusa). Ecco, provate a immaginare se la metà di queste cose le avessero fatte Trump e Musk.
  Curioso, eh? I detrattori di Donald Trump gli hanno spesso rimproverato (talora, ammettiamolo, a ragione), una propensione alla post-verità, a una post-truth manipolata e ricostruita a posteriori in base a esigenze di riadattamento propagandistico delle cose.
  Peccato però che loro (i “buoni e giusti”) siano i campioni incontrastati della pre-truth, cioè di una verità preconfezionata a tavolino, in cui i torti e le ragioni non dipendono da ciò che si fa ma da ciò che si è. E se – per tua fortuna – sei nel perimetro del pensiero accettato, delle opinioni ammesse dal sinedrio progressista, allora puoi fare qualunque cosa. Se invece sei nel girone infernale dei reietti, fai orrore a prescindere.
  Questi signori - i “buoni” hanno calcolato tutto. Gli è però sfuggito un “dettaglio”, chiamiamolo così, e cioè i cuori e le menti delle persone comuni.
  E' la common people che ha scoperto il gioco, che ha smascherato l’inganno, e che ora non crede più ai trucchi e ai mediocri illusionismi di chi l’aveva fatta franca per troppo tempo.

Libero, 3 dicembre 2024)
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«Si sa, gli autoproclamati “buoni” possono fare tutto.» Questo è l’Occidente. Questo è il mondo dei buoni. Questo è l’impero americano. L’impero della menzogna, così l’ha definito una volta Putin, che si sa è un cattivo, quindi non può  arrivare a capire il livello di bontà in cui si muovono i buoni. Sia chiaro, tutti i politici mentono, anche Putin, e Putin lo sa. Una volta però ha umilmente ammesso che nessuno può superare l’America in quella suprema arte della menzogna che è la propaganda. A che serve infatti la verità in politica? Al massimo può essere usata come una clava in testa all’avversario  caduto davvero in un grave, innegabile peccato. Però, anche in questo caso, se a cadere è un “buono”, nell’impero dei buoni interverrà sempre un altro ancora più buono a rialzarlo, nel nome di un superiore livello di bontà presentata come misericordiosa virtù morale, corrispondente a un più elevato livello di menzogna. Viva l’America! M.C.

Libero, 3 dicembre 2024)

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Turismo e solidarietà: Israele non si ferma

Un piano da milioni di shekel per rinnovare le strutture ricettive e sostenere la comunità in tempi di crisi.

In un momento di profonda sfida, l’industria turistica israeliana si distingue per la sua straordinaria capacità di adattamento e resilienza. Negli ultimi mesi, oltre 90.000 sfollati sono stati accolti in strutture ricettive di ogni tipo, dagli hotel alle pensioni, fino alle case vacanza. Questo impegno collettivo sottolinea il ruolo cruciale del turismo non solo come forza trainante dell’economia, ma anche come elemento di coesione sociale, dimostrando una profonda sensibilità verso le esigenze della comunità.
Per garantire una ripresa solida e sostenibile, il Ministero del Turismo, guidato da Haim Katz, ha presentato un piano di ristrutturazione completo, che si configura come una svolta strategica per il settore. Il programma prevede lo stanziamento di 175 milioni di shekel (ILS) destinati alla riabilitazione delle strutture ricettive. Gli operatori turistici, infatti, riceveranno supporto economico per migliorare le loro infrastrutture e renderle pronte a soddisfare le aspettative di un turismo moderno e internazionale. Parallelamente, ulteriori 10 milioni di shekel sono stati stanziati per promuovere il turismo domestico, incoraggiando i cittadini israeliani a riscoprire le meraviglie del proprio paese e sostenendo così l’intero ecosistema del settore.
Il Ministro Haim Katz ha ribadito l’impegno del governo in questa direzione, sottolineando come gli hotel abbiano svolto un ruolo fondamentale nel fornire rifugio a migliaia di persone, trasformandosi temporaneamente in veri e propri centri di accoglienza. Ora, il compito è quello di restituire a queste strutture la loro vocazione originaria, preparandole a riaccogliere turisti da ogni parte del mondo. Questo approccio integrato, che combina il ripristino delle infrastrutture con la promozione del turismo interno, mira non solo a rilanciare il settore, ma anche a creare un impulso economico diffuso in grado di beneficiare tutta la nazione.
Il piano del Ministero del Turismo riflette un impegno costante per l’innovazione e il rinnovamento, elementi indispensabili per mantenere il paese competitivo nel panorama globale del turismo. L’obiettivo è chiaro: garantire un’esperienza di ospitalità di altissimo livello, che sappia attrarre visitatori sia nazionali che internazionali, mostrando al mondo un Israele capace di trasformare le sfide in opportunità.

(AdvTraining, 2 dicembre 2024)

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Israele spera nel nuovo capo della politica estera dell'UE

Con Kaja Kallas, l'Unione Europea ha un nuovo rappresentante per gli affari esteri. Israele ritiene che le relazioni con l'associazione di Stati possano migliorare in qualche modo. Ma i dubbi sono giustificati.

di Sandro Serafin

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La premier estone Kaja Kallas

Quando è stato annunciato che il capo del governo estone avrebbe sostituito lo spagnolo Josep Borrell come capo della politica estera dell'UE, i media israeliani si sono sentiti sollevati: “È una buona notizia per Israele”, ha detto ad esempio il quotidiano “Israel Hayom”. La gioia si spiega probabilmente più con il sollievo per la partenza di un feroce critico di Israele che con una reale conoscenza delle posizioni di Kallas sullo Stato ebraico. Perché finora non se ne sa molto.
  Kallas, che è nata a Tallinn nel 1977 e ha studiato legge, ha già una notevole carriera politica. La figlia dell'ex primo ministro estone e commissario europeo Siim Kallas è diventata leader di un partito liberale co-fondato dal padre nel 2018. Meno di tre anni dopo, si è ritrovata nel ruolo di Primo Ministro dell'Estonia.

• IL GOVERNO KALLAS HA VOTATO A FAVORE DELLA “PALESTINA”
  In questo ruolo, Kallas ha dovuto anche rispondere all'attacco dei terroristi palestinesi al sud di Israele il 7 ottobre 2023. Si è comportata come molti suoi omologhi: poco dopo l'attacco, ha dichiarato che il suo Paese era “fermamente dalla parte di Israele”. Tuttavia, ha presto accompagnato la sua solidarietà con parole di avvertimento per Gerusalemme: “Israele ha il pieno diritto di difendersi. Ma deve farlo in modo da proteggere vite innocenti e rispettare le norme del diritto internazionale”.
  Il suo governo ha agito chiaramente contro gli interessi di Israele nel maggio 2024: alle Nazioni Unite, l'Estonia ha votato a favore di una risoluzione che estendeva i diritti dello “Stato di Palestina” all'interno dell'ONU e raccomandava al Consiglio di Sicurezza di ammettere la “Palestina” come membro a pieno titolo. Israele ha descritto la risoluzione come una “decisione assurda” che ha rivelato ancora una volta la “strutturale unilateralità” delle Nazioni Unite nei confronti di Israele. Altri membri dell'UE, tra cui la Germania, si sono astenuti.

• “PRONTI A SACRIFICARE GLI INTERESSI DI SICUREZZA DI ISRAELE”
  Il governo estone ha giustificato il suo comportamento di voto con la “situazione geopolitica intorno a noi”, che è cambiata: “È importante che il sostegno globale all'Ucraina aumenti e che non siamo accusati di usare due pesi e due misure”. L'Estonia alludeva al fatto che molti Paesi del Sud globale accusano i Paesi che sostengono sia Israele che l'Ucraina di applicare due pesi e due misure: vedono Israele nello stesso ruolo della Russia di Putin.
  Kallas è ora un feroce critico della Russia. La formazione di un fronte anti-russo è per lei una priorità assoluta. “Per attirare l'attenzione del mondo sulla Russia, l'Estonia è pronta a sacrificare gli interessi di sicurezza di Israele”, ha criticato il giornalista conservatore israeliano Eldad Beck in un articolo per il portale ‘Mida’. Strano il comportamento di voto: Già nel novembre 2022, il ministro degli Esteri Kallas aveva dichiarato che in futuro avrebbe votato meno a favore delle risoluzioni critiche nei confronti di Israele all'ONU e si sarebbe allineato maggiormente ai voti degli Stati Uniti.

• KALLAS PROMETTE UNA “STRATEGIA GLOBALE PER IL MEDIO ORIENTE”
  Ciò che Kallas ha formulato finora sul tema del Medio Oriente in vista dell'assunzione della carica di Commissario agli Affari Esteri non è andato oltre i luoghi comuni: in un questionario di ottobre, ha dichiarato il suo sostegno alla “soluzione dei due Stati”. Inoltre, ha promesso di concentrare “tutti i miei sforzi” sulla promozione di una “strategia globale dell'UE per il Medio Oriente”.
  In definitiva, anche quando entrerà in carica, è improbabile che il capo della politica estera dell'UE cambi radicalmente la sua posizione su Israele. Non dovrebbe essere difficile per lei apparire meno ossessiva nei confronti di Israele rispetto al suo predecessore. Ma anche se Kallas dovesse avere una posizione più filoisraeliana di Borrell, le cariche politiche spesso plasmano le opinioni individuali del politico che le ricopre. Non solo Borrell, ma anche i suoi predecessori erano fortemente critici nei confronti di Israele.

(Israel Heute, 2 dicembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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"Diventa un miliziano di Hamas". Un videogioco omaggia la strage del 7 ottobre

Bandito in Germania e Regno Unito, lo sparatutto "Fursan al-Aqsa: The Knights of the Al-Aqsa Mosque" è ancora disponibile in diversi Paesi

di Massimo Balsamo

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Si rimpolpa l’elenco dei Paesi che hanno deciso di bandire “Fursan al-Aqsa: The Knights of the Al-Aqsa Mosque”, videogioco dal retrogusto antisemita. Già vietato in Australia e in Germania, il videogame è stato rimosso dalla piattaforma Steam anche in Gran Bretagna su richiesta dell’unità speciale antiterrorismo che si occupa di monitorare i contenuti estremisti su internet (la Counter Terrorism Internet Referral Unit, ndr). Rilasciato nel 2022, il videogioco consente ai giocatori di vestire i panni di un membro di Hamas che può sparare tra le strade di Gerusalemme al grido di “Allahu Akbar”. Ma non solo.
Grazie all’aggiornamento dell’esperto brasiliano Nidal Nijm “Operation al-Aqsa Flood”, il videogame consente ai giocatori di rivivere la strage di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023. Nei panni di un miliziano con la fascia verde sul braccio, il giocatore approda nei pressi di una base israeliana in paracadute: l’obiettivo è sparare a distanza ravvicinata ai soldati israeliani disarmati. Sembrerebbe quasi una clip di propaganda dell’organizzazione terrorista, in realtà è semplicemente il trailer del videogioco.
Le immagini che circolano in rete mostrano i soldati di Hamas mentre uccidono i militari israeliani in modo cruento. Gli sviluppatori hanno respinto le accuse di antisemitismo e di estremismo, sottolineando che sulle piattaforme di videogame sono presenti contenuti molto simili.“È triste sentirlo perché, come tutti sappiamo, il mio gioco non è troppo diverso da qualsiasi altro gioco sparatutto su Steam, come Call of Duty, per esempio”normal la versione del già citato Nijm riportata da Wired.
Nonostante ciò, "Fursan al-Aqsa: The Knights of the Al-Aqsa Mosque" resta disponibile senza restrizioni nella maggior parte dei Paesi del mondo, inclusa la Francia. Secondo il sito web SteamDB, le vendite sono stimate tra 7.000 e 36.000 copie. Il numero dei giocatori rimane molto basso: il picco è stato raggiunto il 19 febbraio con solo 16 giocatori contemporaneamente.

(il Giornale, 2 dicembre 2024)

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Israele in allerta per arrivo Guardie Rivoluzionarie in Siria

In Israele temono che l'Iran approfitti della crisi in Siria per far entrare un elevato numero di Guardie Rivoluzionarie in Siria e minacciare così lo Stato Ebraico

di Haamid B. al-Mu’tasim

Gerusalemme, Israele (Rights Reporter) Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tenuto ieri sera una consultazione di sicurezza ad alto livello sugli sviluppi in Siria, in seguito all’attacco a sorpresa dei ribelli nella zona di Aleppo e Idlib.
Alti funzionari della sicurezza a Gerusalemme affermano che Israele teme che il presidente siriano Bashar Assad permetta all’Iran di introdurre forze delle Guardie Rivoluzionarie nel territorio siriano per aiutare l’esercito di Damasco a difendere il suo regime, e che tale mossa avvicinerà le Guardie Rivoluzionarie al confine con Israele.
Secondo le stesse fonti, Hezbollah avrebbe già inviato forze dal Libano nel nord della Siria per proteggere i beni dell’organizzazione e dell’Iran dai gruppi terroristici jihadisti.
Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è arrivato ieri a Damasco e ha incontrato il presidente Assad per coordinare le mosse tra Iran e Siria, con l’obiettivo di proteggere il regime siriano.
Secondo la stampa araba, l’Iran sta già pensando di inviare forze militari in Siria. Ieri sera ha messo in guardia gli Stati Uniti dall’approfittare della situazione in Siria e ha lanciato segnali sulla possibilità di inviare forze “consultive” delle “Guardie rivoluzionarie” nella città di Aleppo in Siria se gli sviluppi sul terreno lo richiedessero.
Fonti di stampa hanno riferito che il deputato iraniano Ismail Kavehtri, responsabile per gli affari militari presso la commissione per la sicurezza nazionale del parlamento, ha affermato ieri sera che esiste la possibilità che l’Iran invii forze “consultive” in Siria, ma secondo lui , “questo dipende dagli sviluppi sul terreno e dalle decisioni della leadership israeliana”.
Kavehtri ha affermato infatti che gli attacchi dei ribelli ad Aleppo avevano lo scopo di impedire gli aiuti iraniani a Hezbollah durante il cessate il fuoco di 60 giorni, secondo un piano americano-israeliano. Ha sottolineato che il numero dei consiglieri iraniani in Siria non è molto elevato e, se il loro numero fosse elevato, agirebbero immediatamente. Ha stimato che “il fronte della resistenza interverrà con forza in Siria per impedire il ritorno delle fazioni armate, al fine di contrastare il piano americano-israeliano”.
Le stesse fonti sostengono anche che il generale Hossein Dakiki, consigliere del comandante delle “Guardie rivoluzionarie”, ha affermato che “il nemico israeliano sta complottando in Siria e in Libano, ma in Siria gli verrà tagliata la mano in modo tale da passare per sempre alla storia.”
Secondo quanto riferisce la rete Farda in lingua persiana, migliaia di combattenti delle milizie sciite in Iraq si stanno dirigendo verso la città di Aleppo in Siria per partecipare ai combattimenti.
Israele sta monitorando attentamente ciò che sta accadendo in Siria, e fonti politiche dicono che Israele agirà se le forze iraniane o le milizie filo-iraniane tentano di avvicinarsi al confine con Israele, e che “Israele è pronto per qualsiasi scenario”.

(Rights Reporter, 2 dicembre 2024)

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Il 90° anniversario della Marina di Israele a Santa Marinella

di Nicole Nahum

C’è una storia poco conosciuta che lega un angolo di Italia, Santa Marinella, in provincia di Roma, alla nascita della Marina di Israele. Una storia che iniziò nel 1934, quando un gruppo di giovani ebrei, in fuga dalle persecuzioni naziste, arrivò in questo piccolo borgo del litorale laziale, per frequentare la Scuola Marittima di Civitavecchia. Lì, in quel luogo simbolico di speranza, questi ragazzi intrapresero un percorso che li avrebbe condotti a diventare i pionieri della futura Forza Navale israeliana. In occasione del 90° anniversario di questa nascita, il sindaco di Santa Marinella, Pietro Tidei, ha voluto rendere omaggio a tale evento, organizzando una celebrazione speciale, durante la quale il professor Livio Spinelli, da sempre legato a questa terra, ha tracciato il percorso di memoria che ha portato alla fondazione della Marina israeliana.
  Santa Marinella, già conosciuta per le sue proprietà terapeutiche, aveva attirato in passato l’attenzione della famiglia reale, che l’aveva scelta come luogo di cura per la figlia del re, affetta da una grave malattia polmonare. Fu proprio il dottor Guido Aronne Mendes a fare di Santa Marinella un punto di riferimento per il trattamento delle malattie polmonari.
  Nel contesto in cui in Europa si profilavano le tragiche ombre del nazismo e delle persecuzioni contro gli ebrei, nel 1934, su richiesta di Vladimir Ze’ev Jabotinsky, capo del movimento sionista Bethar, il dottor Mendes si impegnò ad aiutare un gruppo di giovani ebrei provenienti da vari paesi europei, offrendo loro un’opportunità di istruzione e formazione. “Il generale e dottore Mendes, insieme all’aiuto dell’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, ministro della Marina Italiana, si misero d’accordo per accogliere un primo gruppo di questi giovani”, racconta il professor Spinelli in un’intervista rilasciata a Shalom. Nasce così la Sezione Ebraica della Scuola Marittima di Civitavecchia, dove, il 28 novembre dello stesso anno, 28 cadetti provenienti da Polonia, Cecoslovacchia, Lituania, Lettonia, Austria e Italia intrapresero il loro percorso di formazione navale, segnando l’inizio della futura Marina israeliana.
  Il simbolo di quel primo corso di formazione fu il veliero “Sara I”, un’imbarcazione a quattro alberi che, al termine del corso, venne regalata agli allievi. La cerimonia di consegna, che si svolse nel porto di Civitavecchia, rimase nel cuore di chi vi partecipò, come testimoniato nelle parole del professor Spinelli durante una video intervista con la signora Bonfiglioli, l’ultima testimone vivente di quell’evento.
  Nel corso dei successivi anni, tra il 1934 e il 1938, la Sezione Ebraica formò oltre 300 cadetti, che avrebbero dato vita alla Marina Militare, Mercantile e Peschereccia di Israele. Questi giovani, spiega Spinelli, mostravano grande devozione, come testimonia un episodio emblematico: “Una volta misero accanto alla bandiera italiana quella con la stella di David. Il generale Fusco, impressionato e allo stesso tempo impaurito, disse loro di lasciarla, sperando che nessuno sollevasse obiezioni. Fu forse una delle prime volte nella storia che la bandiera italiana venne posta accanto a quella con la stella di David”. Durante questi anni, i giovani cadetti navigarono per tutto il Mediterraneo, toccando porti in Francia, Tunisia e Palestina. Utilizzando motopescherecci come Necha e Leah, i ragazzi praticavano la pesca al largo di Santa Marinella, vendendo il pescato al negoziante locale, il signor Varchetta.
  Tuttavia, il clima politico dell’epoca stava volgendo al peggio per le sorti degli ebrei. Nel maggio del 1938, una visita congiunta di Mussolini, Hitler e del Re d’Italia Vittorio Emanuele III a Santa Marinella segnalò l’inizio della fine per la Sezione Ebraica della Scuola Marittima. Il regime fascista, influenzato dalle leggi razziali e dalla crescente pressione del nazismo, ordinò la chiusura della scuola, ponendo fine a un’esperienza che aveva dato speranza a molti giovani ebrei.
  Un’altra testimonianza significativa legata a questo periodo e a questo luogo – spiega il prof. Spinelli – è quella di Franco Modigliani, economista e premio Nobel. Modigliani ricordò con affetto il gioco della “Repubblica di Caccia Riserva”, inventato durante le estati trascorse a Santa Marinella. Il gioco venne, purtroppo, interrotto dalla milizia fascista, che non tollerava l’uso del nome “Repubblica”.
  Il 90° anniversario della nascita della Marina di Israele, celebrato a Santa Marinella, è un’occasione che va oltre la semplice commemorazione storica. È un momento per guardare indietro e riflettere su come un piccolo angolo d’Italia sia stato testimone di speranza e coraggio in un periodo buio della storia. In quel luogo, giovani ebrei, costretti a fuggire dalle persecuzioni naziste, hanno trovato un’opportunità per costruire un futuro che sembrava lontano e impossibile e che, nonostante tutto, continua a riguardarci. Guardando oggi a quelle storie, non possiamo fare a meno di sentirne l’umanità: il desiderio di riscatto, la forza di volontà, ma anche la bellezza di sogni condivisi che hanno trovato il loro porto sicuro proprio a Santa Marinella.

(Shalom, 2 dicembre 2024)

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Il sesto comandamento: Dio protegge la vita

di Marcello Cicchese
    «Non uccidere (Esodo 20: 13). 

Questo è forse l'unico comandamento di Dio contro il quale non sono sollevate obiezioni, neppure da parte di chi non crede né in Dio né nella validità della sua legge. In una forma o nell'altra, tutte le legislazioni civili contengono questo divieto. I motivi sono fin troppo evidenti: in una società in cui l'omicidio non costituisse un reato, ben presto ogni forma di umana convivenza diventerebbe impossibile.
  Ma i motivi per cui Dio vieta di uccidere sono diversi dai nostri. Noi siamo interessati soprattutto a noi stessi, alla nostra tranquillità; vorremmo poter continuare a vivere facendo gli affari nostri senza correre mai il pericolo di incontrare qualcuno che ci tolga la vita: per questo accettiamo volentieri il divieto dell'omicidio. Se fosse possibile, anzi, estenderemmo questo divieto anche a Colui che ha il potere di pronunciare l'ultima e definitiva sentenza di morte. E così ci sentiamo più buoni di Dio: se noi rifiutiamo l'omicidio e condanniamo chi lo compie, perché allora Dio, che dovrebbe essere migliore di tutti noi, non si oppone alla morte delle sue creature?
  Ma è proprio qui che viene fuori la differenza tra Dio e noi. La vita e la morte di ogni uomo sono nelle mani di Dio: la vita esprime il suo amore e la morte esprime il suo giudizio; a Lui, come creatore, compete il diritto di far morire e far vivere.

    «L'Eterno fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire» (I Samuele 2:6).

Nel giardino d'Eden Dio aveva solennemente avvertito Adamo:

    «... del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai» (Genesi 2:7).

Adamo disubbidì e la parola di Dio andò ad effetto: l'uomo, tratto dalla terra, tornò alla terra:

    «... mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da dove fosti tratto; perché sei polvere, e in polvere ritornerai» (Genesi 3:19).

Dio, dunque, uccide. L'Iddio creatore è anche l'Iddio giudice della sua creatura caduta nel peccato. E proprio per il fatto che la morte dell'uomo esprime il giudizio insindacabile '' di Dio sull'uomo disubbidiente, tu, uomo, non hai alcun diritto di uccidere il tuo fratello. L'uccisione di un uomo costituisce un giudizio definitivo dato su quell'uomo, e tu, uomo, non hai alcun diritto di ergerti a giudice del tuo fratello. Il giudizio deve essere lasciato a Colui che può uccidere te e il tuo fratello, perché entrambi peccatori davanti a Lui.
  Ogni uomo che vive si trova, per il solo fatto che vive, sotto la misericordia di Dio. Certamente è un peccatore; forse è un mio nemico; forse mi ha offeso e colpito in modo grave; forse sono tentato di castigarlo con la morte. Ma molto più che offendere me, egli ha offeso il suo Creatore; e tuttavia Egli manifesta pazienza verso di lui, lasciandolo ancora in vita. Mi ribellerò io alla bontà di Dio e usurperò il diritto di giudizio che gli compete, colpendo a morte il mio fratello contro il volere di Dio che lo lascia in vita per la sua misericordia?
  Chi uccide un uomo fa risaltare la natura profonda del peccato, che consiste nel voler essere «come Dio» (Genesi 3:5). L'omicidio è dunque una sfida a Dio, un tentativo di scalzarlo dalla sua posizione di giudice.
  Consideriamo infatti il primo omicidio avvenuto sulla faccia della terra: quello di Caino. E chiediamoci: quale fu il movente? Certamente non fu un contrasto tra i due fratelli: Abele e Caino non avevano litigato fra loro per questioni di pecore o di terreni. Il motivo dell'uccisione fu il giudizio di Dio su di loro. Caino non accettò né il giudizio su di sé, né quello su Abele, ma anzi «ne fu molto irritato, e il suo viso ne fu abbattuto» (Genesi 4:6). L'Eterno non aveva gradito l'offerta di Caino e aveva invece espresso un giudizio favorevole su Abele e la sua offerta. A questo giudizio di Dio Caino sovrappose il suo, e giudicò il fratello degno di morte.
  In Caino posso ritrovare gli elementi fondamentali che mi spingono all'omicidio: il rifiuto del giudizio di Dio su di me e il rifiuto della sua misericordia verso l'altro.
  Però, a voler essere sinceri, dobbiamo ammettere che Caino non manca di suscitare in noi una certa comprensione. In generale, bisogna dire che gli eletti di Dio ci appaiono spesso meno simpatici degli esclusi. Che cosa avevano di particolare figure come Abele, Giacobbe, Giuseppe rispetto alle altre persone che non furono scelte da Dio? Ma è proprio qui, in questo movimento di simpatia verso gli esclusi, che si manifesta la nostra tendenza a ribellarci ai giudizi di Dio. Noi vogliamo che Dio ci renda conto di quello che fa; vogliamo poter misurare il grado di giustizia delle sue azioni prima di decidere se è il caso di accettarle. E la nostra ribellione ai suoi giudizi trova sfogo nell'aggressività verso i nostri simili, proprio come nel caso di quegli impiegati che, non potendo esprimere il risentimento verso il capoufficio, si sfogano a casa con i familiari.
  Ma se non sempre riusciamo a capire le ragioni dell'agire di Dio, ciò non significa che tali ragioni non ci siano. Dio non ci abbandona, anche quando ci giudica, e noi dobbiamo ascoltare le sue parole con cui ci invita a « non irritarci» e a «non abbatterci», a «rialzare il nostro volto facendo il bene» e a «dominare il peccato che sta spiandoci alla porta» (Genesi 4:7).
  Dopo quanto detto, dovrebbe essere chiaro che il sesto comandamento non è un principio astratto e universale, per cui ogni forma di vita dovrebbe esser sempre e in ogni caso difesa. Il comandamento sottolinea piuttosto che tutte le questioni riguardanti la vita e la morte dell'uomo sono di competenza diretta di Dio. Dopo il peccato, Dio ha messo nelle mani degli uomini la vita di tutti gli animali della terra, del cielo e del mare (Genesi 9:1-4), ma ha solennemente avvertito che « chiederà conto della vita dell'uomo alla mano dell'uomo» (Genesi 9:5). E ha aggiunto:

    «Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto l'uomo a immagine sua» (Genesi 9:6).

Non c'è quindi da sorprendersi né da scandalizzarsi se la stessa legge che contiene il divieto di uccidere ordina poco dopo di mettere a morte l'omicida (Esodo 21:12). Chi uccide un uomo si scaglia contro l'immagine di Dio, e Dio ha il potere di eseguire quella sentenza di morte che è già stata pronunciata su ogni uomo peccatore. L'Iddio che dà la vita all'uomo e ne fa una sua immagine in mezzo al creato non può restare indifferente davanti al sangue sparso dall'uomo. L'uomo è stato tratto dalla terra e alla terra ritornerà a motivo del giudizio di Dio. Ma se la vita dell'uomo torna alla terra nella forma del sangue sparso da un altro uomo, allora la terra resta contaminata, e « la voce del sangue grida a Dio dalla terra» (Genesi 4:10). Secondo la legge di Mosè, nessun pagamento di riscatto poteva sostituire la morte di colui che aveva ucciso un uomo: la terra profanata dal sangue dell'ucciso poteva essere purificata soltanto dal sangue dell'uccisore:

    « Non contaminerete il paese dove sarete, perché il sangue contamina il paese; e non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di colui che l'avrà sparso» (Numeri 35:33).

Il divieto di uccidere dunque non si estende a Dio, che attraverso gli uomini può punire con la morte il peccato di altri uomini. La «spada» che i magistrati civili portano, in qualità di autorità stabilite da Dio (Romani 13:4), fa capire che questo fatto resta valido anche nel Nuovo Patto. Non è qui il caso di discutere se sia opportuno o no, in una legislazione moderna, avere tra le pene anche la pena capitale; quello che si può dire è che non ci si può appellare al sesto comandamento per escluderla. Una conferma si può trovare anche nel verbo usato nel testo, che nell'originale ha un significato molto più limitato del nostro «uccidere», e sarebbe meglio tradotto con «assassinare».
  Cadono invece tra le infrazioni al sesto comandamento l'aborto, l'eutanasia e il suicidio. E sono proprio queste particolari forme di uccisione che ci fanno capire la differenza che c'è tra i nostri motivi contro l'omicidio e quelli di Dio. Perché il suicidio non è un reato per la legge civile? Perché l'aborto e l'eutanasia possono essere, se non del tutto liberalizzati, almeno regolamentati, e quindi ammessi nella società? Il motivo è chiaro: questi fatti non sembrano disturbare la convivenza umana; anzi, si direbbe che in certi casi servano addirittura ad attenuare la gravità di alcuni problemi sociali. Perché dunque condannarli? Non è forse vero che con questi interventi si riesce a porre rimedio a molte sofferenze umane?
  Ancora una volta, non è il caso di esaminare qui questi problemi nella loro dimensione sociale. Ma chi crede nel Dio della Bibbia non può lasciarsi guidare soltanto dal desiderio di raggiungere il piacere o di evitare la sofferenza. Quello che veramente conta è la volontà di Dio. E Dio riserva a sé il diritto di giudicare quando una vita è giunta al suo termine. Il comandamento deve porre fine alle nostre speculazioni: dobbiamo smettere di argomentare intorno a ciò che può essere più o meno conveniente per noi. Se ci sembra che il rispetto del comandamento di Dio porti ad accrescere le sofferenze umane sulla terra, dobbiamo ricordare che le sofferenze dell'uomo sono una conseguenza del peccato, e non un deplorevole incidente a cui porre rimedio in tutti i modi possibili. Il vero nemico dell'uomo non è la sofferenza, ma il peccato. Voler sempre e a tutti i costi ridurre le sofferenze conduce l'uomo a irrigidirsi nella sua rivolta contro Dio, e non garantisce affatto che, alla lunga, le sofferenze umane possano essere veramente diminuite. Chi trasgredisce gli ordini di Dio per evitare il dolore cade poi in preda a quelle sottili e indefinibili angosce da cui non ci si può difendere perché non si capisce da dove provengano, mentre in realtà sappiamo che provengono da quel mondo di tenebre che si oppone all' azione di salvezza di Dio. L'uomo che soffre può certamente cercare di lenire le sue sofferenze, ma deve ricordare che in questo ha dei limiti. La vita dell'uomo è uno di questi limiti. Ed è un limite che non si può superare senza trovarsi a fare i conti con Dio, perché «Dio chiederà conto della vita dell'uomo alla mano dell'uomo ... perché Dio ha fatto l'uomo a immagine sua» (Genesi 9:5-6).
  Certo, non si può negare che qualche volta l'uomo può venire a trovarsi in circostanze angosciose in cui, pur volendo fare la volontà di Dio, si sente quasi costretto a scegliere tra due delitti. Tuttavia, l'esistenza di tali situazioni-limite non deve invogliare a discussioni teoriche o alla formazione di casistiche da cui possa dedursi che «in certi casi» all'uomo sia lecito uccidere. Non esistono «casi»: esistono solo specifiche, uniche situazioni nelle quali si deve appassionatamente ricercare la volontà di Dio, tenendo comunque sempre conto del fatto che il potere «di far morire e di far vivere» spetta soltanto a Dio. E se, per un qualunque motivo, a qualcuno dovesse capitare di togliere la vita ad un altro uomo, quali che siano le circostanze che hanno portato a quel fatto, chi ha ucciso non potrebbe che sentirsi obbligato a richiedere il perdono di Dio e a invocare la sua misericordia. Ma è bene vegliare e pregare il Signore di non condurci mai in simili situazioni di smarrimento e turbamento della coscienza.
  Dal Nuovo Testamento sappiamo poi che Gesù ha radicalizzato anche il sesto comandamento, dicendo che non soltanto colui che uccide sarà giudicato, ma anche chi si adira contro il fratello e gli rivolge parole ingiuriose cadrà sotto il giudizio di Dio (Matteo 5:21-27). Con queste parole Gesù non sposta indebitamente l'attenzione dal fatto concreto dell'omicidio a quello psicologico dei moti dell'animo. Gesù continua a parlare dell'omicidio, anzi va alla radice di esso, sottolineando il fatto che, davanti a Dio, questo reato si compie molto prima di quando gli uomini sono in grado di riconoscerlo. «È dal di dentro, è dal cuore degli uomini - dice Gesù - che escono... gli omicidi» (Marco 7:21). E Giovanni aggiunge, con parole lapidarie:

    «Chiunque odia il suo fratello è omicida» (1 Giovanni 3:15).

L'odio ha a che fare con la morte, come l'amore ha a che fare con la vita. L'amore genera vita e l'odio genera morte. Quindi chi odia si trova già sulla china che conduce all'omicidio.
  Giacomo è anche capace di indicare uno strumento con cui si può dare la morte: la lingua. Non sempre ci pensiamo, ma il sesto comandamento può essere infranto anche con la lingua, che sembra essere un mezzo capace di procurare la morte per avvelenamento:

    « ... ma la lingua, nessun uomo la può domare; è un male continuo, è piena di veleno mortale» (Giacomo 3:8).

I movimenti che conducono all'omicidio possono dunque essere ordinati in questo modo: l'odio, l'ira, la parola che offende, l'azione che uccide. Se vogliamo rispettare il sesto comandamento dobbiamo esercitarci a contrastare questi movimenti seguendo un ordine inverso a quello indicato. Se sono capace di controllare le mie azioni e sono riuscito a «non colpire a morte» un uomo, allora devo imparare a non colpirlo con la lingua, a non demolirlo con giudizi offensivi, a non deturpare la sua immagine diffamandolo presso i suoi simili. Se ho imparato a controllare le mie parole, allora devo imparare a controllare i sentimenti di irritazione e di ira, perché con la mia ira vorrei imitare la giusta ira di Dio contro l'uomo peccatore; ma io non sono Dio, anzi, sono io stesso un peccatore che si trova sotto l'ira del Dio tre volte santo, e solo in Gesù Cristo posso essere perdonato e accolto.

    «... che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira; perché l'ira dell'uomo non compie la giustizia di Dio» (Giacomo 1:19-20).

L'unica forma d'ira che devo avere non è contro il mio fratello, ma contro il male che tiene asserviti me e il mio fratello. E questo tipo di ira non si alimenta con l'odio e la violenza, ma con l'umiliazione e la preghiera.
  Se poi ho imparato a tenere sotto controllo anche i sentimenti di ira, allora ho liberato l'anima mia da molti spiriti cattivi e la mia casa, come dice Gesù, è diventata «spazzata e adorna» (Luca 11:25). Se allora voglio evitare che altri spiriti cattivi, peggiori dei primi, tornino ad abitare in me e rendano la mia condizione «peggiore di prima» (Luca 11:26), l'unica cosa da fare è riempire l'anima di quell'amore che Gesù ha sparso nei nostri cuori e che tende a traboccare verso gli altri. L'odio che dà la morte viene sconfitto soltanto dall'amore che dà la vita. Non è possibile limitarsi a non uccidere e a non odiare; non ci sono zone intermedie: se non si vuole cadere nelle mani dell'odio bisogna consegnarsi interamente all'amore di Dio e diventare strumenti del suo amore verso tutti gli uomini.

    «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli» (1 Giovanni 3: 16).




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999 Gaza: Trump vuole un accordo prima del suo insediamento

Il senatore Lindsey Graham è stato particolarmente duro con l'estrema destra israeliana

Il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham, che questa settimana si è recato in Israele e ha incontrato alti funzionari tra cui il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha dichiarato venerdì che il Presidente eletto Donald Trump vuole vedere un accordo per il cessate il fuoco a Gaza prima di rientrare alla Casa Bianca a gennaio.
Ha parlato mentre una delegazione di Hamas dovrebbe arrivare al Cairo sabato per colloqui con funzionari egiziani su un possibile cessate il fuoco.
“Trump è più che mai determinato a far rilasciare gli ostaggi e sostiene un cessate il fuoco che, appunto, includa un accordo sugli ostaggi. Vuole che ciò avvenga subito”, ha dichiarato Graham, persona molto vicina al presidente entrante, al sito di notizie Axios.
“Voglio che le persone in Israele e nella regione sappiano che Trump è concentrato sulla questione degli ostaggi. Vuole che le uccisioni si fermino e che i combattimenti finiscano”, ha detto. “Spero che il Presidente Trump e l’amministrazione Biden lavorino insieme durante il periodo di transizione per far rilasciare gli ostaggi e ottenere un cessate il fuoco”.
Con il nuovo cessate il fuoco in Libano questa settimana, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha spostato l’attenzione su Gaza, lanciando una nuova spinta per porre fine ai 14 mesi di combattimenti con un accordo che preveda la restituzione di 101 ostaggi ancora trattenuti dai terroristi.
I commenti di Graham sono in linea con quelli fatti da Trump a Netanyahu pochi giorni prima delle elezioni americane.
Trump ha confermato di aver detto a Netanyahu che vuole che Israele vinca la guerra rapidamente, anche se non ha fornito pubblicamente una tempistica.
A complicare le cose, la coalizione di Netanyahu comprende elementi di estrema destra che si sono opposti alle proposte di accordo sugli ostaggi condizionate a un cessate il fuoco permanente a Gaza e che hanno espresso il desiderio di rioccupare la Striscia in modo permanente e di ricostruire gli insediamenti ebraici.
Graham ha respinto i commenti del ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich, secondo cui la vittoria elettorale di Trump offre l’opportunità di incoraggiare quella che ha definito “l’emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza, in modo da incoraggiare la metà dei 2,2 milioni di residenti della Striscia ad andarsene entro due anni.
“Penso che dovrebbe parlare con Trump e sentire cosa vuole. Se non ha parlato con lui, non gli metterei le parole in bocca”, ha detto Graham, che ha anche espresso la sua opposizione alle richieste dell’estrema destra di occupare Gaza a tempo indeterminato.
Il senatore statunitense ha anche incontrato il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman durante la sua recente visita in Medio Oriente e ha toccato il tema della normalizzazione con Israele, che secondo lui dovrebbe includere una “componente palestinese”.
“La migliore polizza assicurativa contro Hamas non è una rioccupazione israeliana di Gaza, ma una riforma della società palestinese. Gli unici che possono farlo sono i Paesi arabi”, ha detto Graham.
Il New York Times ha riferito giovedì che Hamas sta mostrando una maggiore flessibilità nei colloqui, da tempo bloccati, per un accordo e potrebbe accettare che le Forze di Difesa Israeliane rimangano temporaneamente al confine dell’enclave con l’Egitto.
Citando anonimi funzionari statunitensi, il report ha affermato che il gruppo terroristico potrebbe rinunciare alle richieste principali e accettare un accordo di cessate il fuoco che Israele potrebbe sostenere.
Secondo il quotidiano, anche prima che venisse raggiunto un cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele questa settimana, funzionari palestinesi e statunitensi avevano detto di ritenere che Hamas fosse pronto a rinunciare alla strategia professata dal leader ucciso Yahya Sinwar e a muoversi verso un accordo.
Citando due persone che hanno familiarità con il gruppo terroristico, il rapporto ha affermato che i leader del gruppo terroristico hanno discusso di permettere a Israele di mantenere una presenza temporanea nel Corridoio di Filadelfia, l’area strategica di confine tra Egitto e Gaza da cui la leadership di Israele si è impegnata a non ritirarsi.
Gerusalemme ha insistito sul fatto che le truppe rimangano a Gaza per impedire il contrabbando di armi dall’Egitto e afferma di essere disposta solo a un arresto temporaneo della sua campagna per distruggere Hamas.
Giovedì Netanyahu ha dichiarato in un’intervista che sarebbe d’accordo con una pausa nei combattimenti a Gaza “quando pensiamo di poter ottenere il rilascio degli ostaggi”, ma non accetterebbe la fine della guerra.
Secondo il New York Times, “la realtà ha iniziato ad affondare” per Hamas dopo la morte di Sinwar in ottobre, quando è diventato chiaro che l’Iran non intendeva aprire un conflitto diretto con Israele e che Hezbollah era stato duramente colpito dall’IDF. Hamas sperava che i suoi alleati nell’asse iraniano sarebbero rimasti in lotta e avrebbero costretto Israele ad accettare un cessate il fuoco alle condizioni di Hamas.
Secondo il giornale, i leader di Hamas sono divisi sul ruolo che dovrebbe avere dopo la guerra e sui compromessi che dovrebbe accettare per raggiungere un cessate il fuoco.
Secondo un articolo del Wall Street Journal di giovedì, i funzionari egiziani sono stati in contatto con lo staff di Trump per valutare se potesse fare progressi nell’ammorbidire le posizioni di Israele nei negoziati, in particolare per quanto riguarda il controllo del confine tra Gaza ed Egitto e la creazione di una zona cuscinetto tra Israele e la Striscia.
Anche i funzionari egiziani hanno apparentemente cercato di ammorbidire la posizione di Hamas, ha riferito il giornale, comunicando al gruppo che la sua posizione negoziale si è indebolita dopo essere stata “isolata” dal cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano. Secondo il rapporto, i funzionari hanno detto al gruppo che difficilmente potrà continuare a insistere su un ritiro completo di Israele.
I colloqui indiretti finalizzati a un accordo per la liberazione dei 101 ostaggi detenuti a Gaza e per porre fine a circa 14 mesi di combattimenti si sono arenati dall’estate, dopo che diversi cicli di negoziati mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar non sono riusciti a far convergere le parti.
Hamas ha chiesto che qualsiasi accordo ponga fine alla guerra a Gaza e che Israele si ritiri completamente dall’enclave. Chiede inoltre il rilascio di un gran numero di prigionieri palestinesi in cambio degli ostaggi.

(Rights Reporter, 30 novembre 2024)

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La pace a tavola, Palestina e Israele unite in Italia dal potere della cucina

di Alessandro Zoppo

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La fortezza di Castel del Monte

La pace è possibile tra Palestina e Israele, almeno seduti a un tavolo in cucina. Succede in Italia, a Castel del Monte, dove sei cuochi palestinesi e israeliani si ritrovano per l’evento La pace a tavola, un convivio unico nel suo genere: in una situazione di sangue, morte e sofferenza, lanciare un messaggio di luce, speranza e riconciliazione attraverso il cibo.

• PALESTINA E ISRAELE: LA PACE È A TAVOLA
  I sei chef sono Sarkis Yacoubian, Itshak Alhav, Ahmad Jaber, Amal Hana, Nisan Hai e Yousef Arbis. I cuochi portano ad Andria le loro storie, le loro ricette e il messaggio universale della cucina come ponte tra culture, come linguaggio in grado di superare e distruggere le barriere politiche e religiose. Proprio perché non c’è il minimo accordo tra i due governi, i maestri di cucina sono insieme in questo momento.
  La scelta di Castel del Monte non è casuale. Fatta costruire nel 1240 dall’imperatore Federico II di Svevia, la fortezza è un capolavoro dell’architettura militare medievale e patrimonio dell’umanità Unesco. “Federico II fu l’unico a risolvere una crociata senza spargimenti di sangue, riunendo i popoli a tavola – spiega Vittorio Cavaliere, presidente dell’associazione promotrice, l’accademia Ricerca e Qualità –. Da quell’esperienza, trasse ispirazione per la creazione di Castel del Monte. Non poteva esserci luogo più simbolico per celebrare la possibilità di un mondo senza conflitti”.
  “Federico II è stato un pioniere della tolleranza, unendo ebrei, cristiani e musulmani sotto il suo regno – aggiunge Giovanna Bruno, la sindaca di Andria. Oggi più che mai, dobbiamo guardare a quel modello con urgenza e speranza, dimostrando che le differenze non sono un ostacolo ma una ricchezza”. Yacoubian e i colleghi sono protagonisti di una serie di iniziative benefiche e solidali al centro di La pace a tavola.
  “I coltelli non sono solo strumenti di guerra, ma possono diventare strumenti di pace – dice lo chef armeno di nascita e rifugiato in Israele, fondatore e presidente di Taste of Peace a Giaffa –. Intorno alla tavola, le persone imparano a rispettarsi e a dialogare con amore e gioia”. Taste of Peace è un team culinario multietnico fermamente convinto che la pace inizi nello stomaco.

• LA PACE A TAVOLA: ANDRIA CENTRO DEL MONDO
  Oltre a mescolare sapori e ingredienti, i sei cuochi uniscono anche le loro culture e tradizioni nella speranza di costruire un futuro diverso. “La guerra non costruisce nulla, mentre la diplomazia è l’unica arma che può unire i popoli – sottolinea Cesareo Troia, assessore alle Radici di Andria –. Attraverso questo evento, vogliamo dimostrare che convivere è possibile. L’esempio dei cuochi israeliani e palestinesi che lavorano fianco a fianco è un monito per il mondo intero”.
  “La cucina non ha confini – conclude Domenico Maggi, ambasciatore della World Chef Federation per una pace tutta da assaporare –. È un linguaggio che rispetta tutte le culture e unisce i popoli. Questo evento dimostra quanto il cibo possa essere un veicolo di pace e comprensione”.

(Leonardo.it, 30 novembre 2024)

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Scoperto al largo delle coste di Israele uno dei relitti più antichi del mondo

Il relitto è lungo tra i 12 e i 14 metri ed è stato affondato da una tempesta o da un attacco di pirati

di Paolo Ponga

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Uno dei relitti più antichi del mondo è stato scoperto nel Mar Mediterraneo, a circa 90 chilometri dalla costa di Israele. Il rinvenimento è straordinario anche perché la nave contiene ancora centinaia di anfore intatte. Il relitto è stato trovato a 1.800 metri di profondità dalla compagnia petrolifera Energean durante un’indagine esplorativa condotta con un ROV nel 2023.
Dopo la scoperta la società ha contattato l’Autorità per le antichità israeliana (IAA), spiegando di aver avvistato “un grande mucchio di brocche ammucchiate sul fondale marino”. Gli archeologi marini dell’IAA hanno così costituito con Energean un team di ricerca, che ha effettuato nel corso del 2024 diverse campagne di studio confermando la presenza di un grosso quantitativo di anfore di un’età compresa tra i 3.300 e i 3.400 anni.
Le anfore sono state identificate come vasi di contenimento della tarda età del bronzo, risalenti al periodo cananeo, appartenenti ad un’antica civiltà che fiorì tra il 3.500 e il 1.150 a.C. in quelli che oggi sono i territori di Israele, Palestina, Libano, Giordania e Siria. La scoperta è notevole non solo per il rinvenimento dei reperti ma anche per la posizione del relitto, così lontano dalla terraferma, dove non c’è alcuna linea di vista della costa che possa aiutare nell’antica navigazione a vela.
Il suo ritrovamento è stato davvero un colpo di fortuna senza eguali. Il relitto è lungo tra i 12 e i 14 metri ed è stato affondato da una tempesta o da un attacco di pirati, due eventi molto comuni all’epoca. Due anfore sono state sollevate dal fondo e recuperate utilizzando attrezzature appositamente progettate per farlo, ma sotto il sedimento limoso del fondale devono essere centinaia quelle presenti, insieme addirittura a resti del legno della struttura della nave.
“Si tratta di una scoperta – ha affermato Jacob Sharvit, responsabile dell’unità marina dell’IAA – di livello mondiale che cambierà la storia e che ci rivela le capacità di navigazione degli antichi marinai. Da questo punto geografico solo l’orizzonte è visibile tutt’intorno. Per navigare usavano probabilmente i corpi celesti, osservando le posizioni del sole e delle stelle. Il tipo di imbarcazione identificato dal carico – ha continuato l’archeologo – era il mezzo più efficiente dell’epoca per trasportare prodotti relativamente economici come olio, vino e generi agricoli come la frutta. Il ritrovamento di una così grande quantità di anfore a bordo di un’unica nave testimonia gli importanti legami commerciali lungo le terre del Vicino Oriente che si affacciavano sulla costa del Mediterraneo”.
Fino a questa scoperta gli archeologi avevano ipotizzato che le navi mercantili di quest’epoca così antica navigassero da un porto all’altro rimanendo in vista della costa ma il ritrovamento avvenuto così al largo implica che la capacità di navigazione degli antichi popoli marinari sia stata finora ampiamente sottovalutata. “La scoperta di questa barca – ha concluso Sharvit – cambia ora la nostra intera comprensione delle abilità degli antichi marinai. È la prima in assoluto ad essere stata trovata a una distanza così grande, senza alcuna linea di vista verso alcuna massa terrestre. Qui c’è un potenziale enorme per la ricerca. La nave si trova a una profondità così grande che per essa il tempo si è fermato al momento dell’affondamento. La sua struttura e il carico non sono stati disturbati da mani umane, né influenzati da onde e correnti che colpiscono i relitti in acque meno profonde”.

(Daily Nautica, 30 novembre 2024)

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Liliana Segre: «Perché non si può parlare di genocidio a Gaza, ma di crimini di guerra e contro l'umanità»

di Liliana Segre

Le parole, a volte, diventano clave. Negli ultimi mesi ho fatto appelli per il cessate il fuoco, ho condannato le violenze, ho espresso la più profonda partecipazione al dramma delle vittime innocenti palestinesi e israeliane, ho invocato un rispetto sacrale verso i bambini di ogni nazionalità, di ogni credo, di ogni religione, ho manifestato ripulsa verso lo spirito di vendetta. Eppure, o ti adegui e ti unisci alla campagna che tende ad imporre l’uso del termine «genocidio» per descrivere l’operato di Israele nella guerra in corso nella Striscia di Gaza, o finisci subito nel mirino come «agente sionista». Le cose in realtà sono più complesse e colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto, del linguaggio sorvegliato che si fa carico di tutte le suscettibilità fin nelle nicchie più minute.
  Nella drammatica situazione di Gaza non ricorre nessuno dei due caratteri tipici dei principali genocidi generalmente riconosciuti come tali — il Medz Yeghern degli armeni, l’Holodomor dei kulaki ucraini, la Shoah degli ebrei, il Porrajmos dei rom e sinti, la strage della borghesia cambogiana, lo sterminio dei tutsi in Ruanda — mentre sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas e dalla Jihad, sia dall’esercito israeliano. I caratteri tipici dei genocidi sono essenzialmente due, uno è la pianificazione della eliminazione, almeno nelle intenzioni completa, dell’etnia o del gruppo sociale oggetto della campagna genocidaria, l’altro è l’assenza di un rapporto funzionale con una guerra. Anche i genocidi commessi durante le due guerre mondiali (armeni, ebrei, rom e sinti) non ebbero la guerra né come causa né come scopo, anzi furono eseguiti sottraendo uomini e mezzi allo sforzo bellico.
  D’altronde, anche di fronte ad operazioni militari volte intenzionalmente a produrre vittime civili e che hanno causato morti innocenti nell’ordine di decine di migliaia (Dresda) o centinaia di migliaia in pochi giorni (Hiroshima e Nagasaki) o addirittura un milione (assedio di Leningrado), non si è mai parlato di genocidi. L’abuso della parola genocidio dovrebbe essere evitato con estrema cura per più di una ragione. In primo luogo, solo coprendosi occhi e orecchie si può evitare di percepire il compiacimento, la libidine con cui troppi sembrano cogliere un’opportunità per sbattere in faccia agli ebrei l’accusa di fare ad altri quello che è stato fatto a loro. Un complesso di colpa collettivo prodotto dalla storia si scioglie in un rabbioso sfregio liberatorio verso lo Stato ebraico di Israele, non solo equiparandolo ai nazisti ma rinfocolando tutti i più vieti stereotipi sugli ebrei vendicativi, suprematisti, assetati del sangue dei bambini non ebrei. L’impennata delle manifestazioni di antisemitismo nel mondo, a livelli mai visti da decenni, dimostra l’effetto devastante delle tossine che sono tornate in circolo.
  In secondo luogo, l’accusa strumentale del genocidio proietta sull’intero Stato di Israele e su tutto il popolo israeliano — non solo sul pessimo governo in carica — l’immagine del male assoluto. Una demonizzazione ingiusta, ma anche controproducente per le prospettive di pace e convivenza. Ogni riduzione dell’altro a mostro, ogni cancellazione manichea delle sue ragioni — vale per i sostenitori acritici dei palestinesi, ma vale specularmente anche per i sostenitori acritici del governo israeliano — serve solo a perpetuare la guerra, a rinsaldare la trappola dell’odio e ad allontanare il giorno in cui potrà, dovrà sorgere uno Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele.
  In terzo luogo, la cultura antifascista e antitotalitaria ha avvertito da sempre le implicazioni velenose delle operazioni di negazionismo, riduzionismo, relativizzazione, distorsione o banalizzazione dei genocidi. Di lì passano inesorabilmente le rivalutazioni delle peggiori dittature e le campagne nostalgiche. Da lì parte il sistematico abbassamento degli anticorpi che sorreggono la coscienza democratica dei cittadini. Inquieta che anche alcuni di coloro che meritoriamente si dedicano alla tutela e alla trasmissione della Memoria sembrino non capire che lasciar passare oggi l’abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine. E se crolla quell’argine, domani, potrà passare ben altro.

(Corriere della Sera, 29 novembre 2024)
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Commento di Emanuel Segre Amar.
Moltissime sono state le reazioni all’articolo, a firma di Liliana Segre, oramai divenuta un’icona in Italia e che, quindi, non a caso, il quotidiano di proprietà di Cairo, proprietario anche di La7, il canale più anti israeliano di tutti, ha ospitato con gioia.
Chissà se la Senatrice a vita ha mai saputo che Leone Ginzburg, che dai fascisti fu trucidato, ripeteva sempre, nella cella che condivideva con mio Padre: “l’antifascismo non esiste, perché esiste il socialismo, il comunismo, il liberalismo”. Quella parola restò così bandita dal vocabolario di mio Padre per l’insegnamento ricevuto dal suo amico di tutta la gioventù. Spero che qualcuno glielo riferisca, potrebbe farne buon uso.
Ma andiamo per ordine nella lettura di questo articolo.
La Senatrice certamente è fulminata dai numeri e dalle scene che ogni giorno media e social pubblicano in quantità, ma è parimenti informata delle notizie pubblicate da un governo democratico, e che quindi dovrebbero avere maggior peso di quelle partite da un’organizzazione riconosciuta essere terrorista? Ha mai visto l’insegnamento all’uso delle armi impartito a bambini nella più tenera età? Ha mai visto la preparazione, in set cinematografici, di tante scene Pallywood che poi fanno il giro del mondo? 
Si preoccupa, Liliana Segre, di essere etichettata come “agente sionista”; ma si ricorda che il Presidente Napolitano affermò che “l’anti-sionismo nega le ragioni della nascita, ieri, e della sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano alla guida di Israele”? E allora perché teme tale etichettatura?
Teme la Senatrice di cadere nell’accusa del “politicamente corretto”, e non si accorge di essere proprio lei “politicamente corretta” in questo Occidente che sta tradendo tutti i suoi valori?
Nega, per carità di patria, l’accusa di genocidio rivolta a Israele, ma perché non accusa di volontà genocidiaria Hamas, che aveva nel suo Statuto l’obbligo di uccidere tutti gli israeliani (volontà che aveva già Nasser, ma nel ‘67 lei non se ne interessava), e Hezbollah, il cui capo, Nasrallah, ringraziava l’esistenza dello Stato di Israele perché permetteva di uccidere tutti gli ebrei in una volta sola?
Non si accorge che proprio con questo articolo proprio lei aumenta “l’impennata delle manifestazioni di antisemitismo nel mondo”?
Quali informazioni di prima mano ha la Senatrice per parlare di “pessimo governo in carica”, definito anche “controproducente per le prospettive di pace”? Ha mai letto le delibere del governo israeliano che sole contano, ben al di là delle parole del singolo ministro?
E ho volutamente lasciato per ultime le sue parole di “evidenti crimini di guerra e contro l’umanità”. Lo sa la Senatrice Liliana Segre che tutti i militari israeliani (solo quelli israeliani nel mondo), dai generali all’ultimo soldato di leva, hanno sempre, sul casco, una telecamera che registra tutte le loro azioni e tutte le loro parole, e che, se commettono degli sbagli, questi vengono immediatamente sanzionati dagli avvocati di un’inflessibile Corte Suprema che tutto controlla?


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Segre, ti venero. Ma su Israele stai sbagliando

Il "pessimo governo" di Israele, come lo chiama senza spiegare la Senatrice, che come si vede invece cerca subito la tregua, come ha fatto in Libano, appena può, ha cercato solo di salvare il proprio popolo.

di Fiamma Nirenstein

Non so farmi una ragione dell'articolo della senatrice Liliana Segre, che amo come ebrea e venero come sopravvissuta della Shoah, se non immaginando che nella sofferenza dell'attuale ondata di antisemitismo e di Israele in guerra, spinta dal desiderio di aiutare il mondo ebraico, sia inciampata in un suo legittimo sogno di pace e di equidistanza. Tuttavia, a mio parere, gli ebrei e il mondo civile in generale, non possono abbandonarsi a questo sogno: la verità è l'unica arma per vincere una battaglia, quando essa è per la vita. E questa lo è. L'intenzione della Senatrice è buona: quella di smontare l'accusa di genocidio. Ma nel farlo, Liliana Segre lascia aperto il campo all'accusa di crimini di guerra: tuttavia facendo questo, non fa un buon servizio alla verità fondamentale del diritto all'autodifesa da una forza invece razzista, genocida, e potentissima. Quella dell'Iran e dei suoi proxy, Hamas, Hezbollah, e altri. La Senatrice mette in campo la sua conoscenza giuridica e morale e anche la sua esperienza personale, per individuare giustamente il rovesciamento dell'accusa di nazismo sugli ebrei come pilastro dell'attuale antisemitismo: Robert Wistrich ci ha scritto dei volumi, e così è oggi.
 Ma già dal primo incipit della sua riflessione, le carte che mostra sono quelle di una scelta di campo, quella del «cessate il fuoco» e dell'equiparazione delle forze in campo, palestinesi e israeliani. Ma non c'è equipollenza qui: si tratta di scegliere fra il bene e il male, la violenza e la pace, la dittatura e la democrazia. Non è virtuosa di per sé la preferenza per il «cessate il fuoco», quando la guerra è nata da un assalto senza precedenti da parte di una forza assassina che doveva e deve essere necessariamente fermata perché non prosegua o ripeta, forte della sua ideologia nazista, i mostruosi crimini compiuti. Di questo vive Hamas, mentre Israele vive di pace, come ogni democrazia, e va in guerra solo se è obbligata sin dal 1948. Allora, però, c'è un tempo per la pace e uno per la guerra: ed è sbagliato supporre in Israele, aggredita, un supposto spirito di vendetta. Non l'ho visto. Ho visto il sacrificio di una società stupefatta, eroica che è corsa a salvare la gente aggredita e poi a smontare il regime jihadista che ha ordinato di uccidere donne e bambini. Il «pessimo governo» di Israele, come lo chiama senza spiegare la Senatrice, che come si vede invece cerca subito la tregua, come ha fatto in Libano, appena può, ha cercato solo di salvare il proprio popolo.
 Sono certa che la maggior parte degli ebrei del mondo è orgogliosa, certo offesa e furiosa per l'ondata di antisemitismo, condivide la guerra di salvezza di Israele, vede chiara la follia dei cortei che quando urlano «Intifada» tengono per un culto della morte in cui dissidenti, omosessuali, donne sono esclusi dalla civile convivenza. Non c'è stato crimine, né vendetta, ma una guerra combattuta sopra gallerie che per 800 chilometri hanno ospitato solo i miliziani di Hamas, gli scudi umani di Hamas, unico responsabile dei suoi cittadini, spesso volenterosa parte della nazificazione che ha nascosto in casa, nelle scuole e negli ospedali le armi e i terroristi. Israele dal primo giorno ha fornito cibo e acqua e elettricità, ha cercato con schiere di avvocati di definire la legittimità degli obiettivi, ha sparso milioni di volantini e telefonate per spostare la gente, mentre Hamas bloccava gli aiuti alimentari e gli scudi umani con i kalachnikov, perché si accusasse Israele di crimini contro l'umanità. Questo anche quando i numeri , anche quelli forniti dal fantomatico governo di Gaza, danno una percentuale di un caduto civile per un caduto «militare»; la più bassa di ogni conflitto dal 1945. Israele non ha compiuto crimini di guerra, ne ha solo subiti; le accuse delle corti di giustizia nell'Onu e sono l'emanazione della maggioranza automatica che copre lo Stato Ebraico di odio e si associa a quel mondo in cui non c'è né diritto né giustizia, ma solo lo scopo di distruggere gli ebrei, Israele, l'Occidente.
 Il «pessimo governo» di Netanyahu è l'unico governo democratico mai stato giudicato colpevole; i ragazzi di Israele e i capifamiglia che lasciano tutto per andare nelle riserve, non hanno mai compiuto nessuna crudeltà paragonabile al 7 di ottobre. Questa è una guerra di sopravvivenza del popolo ebraico, una faticosa virtù che salva il mondo.

(il Giornale, 30 novembre 2024)


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Scandalosa equiparazione

Sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas e dalla Jihad, sia dall’esercito israeliano”. Così si presenta l'equiparazione di crimini fatta dalla  senatrice a vita Liliana Segre nell’articolo sopra commentato. Hamas può esserne soddisfatto: essere accusato di crimine contro l’umanità da un ebreo è un vanto: vuol dire che è riuscito a colpire nel segno, e la reazione del colpito glielo conferma. Ma per un ebreo è accettabile dire che l’esercito dello Stato ebraico commette un crimine contro l’umanità perché si difende da chi vuole distruggerlo? Forse si dovrebbe cominciare a capire che l’incenso profuso dai media sull’icona della senatrice sopravvissuta alla Shoah può ottenebrare la vista e fare il gioco dei nemici di Israele. Come tante volte è avvenuto nella storia, gli odiatori degli ebrei cercano sempre di coinvolgere altri ebrei nel loro odio, per poter dire che quello loro non è odio, ma amore. Amore per qualcosaltro: la vera religione, la pura razza, la sacra patria, e di poter dire che anche altri ebrei sono della loro opinione. Oggi l’oggetto dell’amore è la santa democrazia:  il bene eterno a cui si contrappone il male assoluto del fascismo in ogni sua manifestazione.
  Hamas sa bene che il suo sentimento verso gli ebrei è odio, e non se ne vergogna; gli antifascisti invece pensano, o fanno finta di pensare, che il loro è un sentimento d’amore che va oltre gli ebrei: amore per la democrazia, dentro la quale anche gli ebrei possono partecipare insieme agli altri. Ma è un’illusione. Hamas ha espresso chiaramente, nei fatti e nelle parole, che il suo odio per gli ebrei ha come motivo il semplice fatto che gli ebrei vivono su quella terra e pretendono di esserne i legittimi abitatori e sovrani. Per Hamas dunque è perfettamente legittimo, anzi doveroso, dare pieno corso a questo odio, in qualsiasi forma si presenti possibile.
  E’ bene ripeterlo: è odio. Puro sentimento di odio che si diffonde intorno e  si propaga con estrema facilità. E contagia. Ma poiché sia il popolo, sia la nazione, sia la terra su cui Israele è destinato a vivere  sono espressione diretta ed esplicita della volontà del Dio di Israele, che è l’unico vero Dio  creatore del cielo e della terra, il proposito ricercato o soltanto desiderato di contrapporsi a questo progetto è destinato a fallire. E se non ora, un giorno sarà considerato un “crimine contro la divinità”. M.C.

(Notizie su Israele, 30 novembre 2024)

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Israele: resoconto delle operazioni IDF in Libano durante la guerra

Le Forze di difesa Israeliane o IDF hanno pubblicato un riassunto delle loro attività contro Hezbollah negli ultimi 14 mesi, mentre il cessate il fuoco tra Israele e il gruppo terroristico sembra reggere.
Secondo l’esercito, sono stati colpiti oltre 12.500 obiettivi di Hezbollah, tra cui 1.600 centri di comando e 1.000 depositi di armi.
Durante l’offensiva terrestre, hanno partecipato 14 task force a livello di brigata delle IDF e, separatamente, furono svolte oltre 100 operazioni speciali.
Le IDF affermano di aver confermato con elevato grado di sicurezza la morte di 2.500 militanti di Hezbollah, anche se stimano che il numero si aggiri intorno ai 3.500.
Tra le vittime ci sono l’ex leader storico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e 13 membri del vertice del gruppo terroristico.
Tra i morti ci sono anche quattro comandanti di Hezbollah a livello di divisione, 24 comandanti di brigata, 27 comandanti di battaglione, 63 comandanti di compagnia e 22 comandanti di plotone.
Le IDF affermano di aver sequestrato circa 12.000 dispositivi esplosivi e droni; 13.000 razzi, lanciatori e sistemi missilistici anticarro e antiaerei; e 121.000 apparecchiature di comunicazione e computer.

(Rights Reporter, 29 novembre 2024)

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Cessate il fuoco israelo-libanese: successo diplomatico o errore tattico?

L'accordo è davvero un punto di svolta o è un altro tentativo di preservare il fragile status quo?

di Itamar Eichner*

L'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Libano, firmato nel novembre 2024, ha fatto seguito a settimane di intensi combattimenti sul confine settentrionale innescati dal costante armamento di Hezbollah e dai suoi tentativi di sfidare la capacità di deterrenza di Israele. L'obiettivo dell'accordo, che si basa sulla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, era quello di ripristinare la stabilità nella regione e prevenire un'escalation verso una guerra totale.

• PUNTI CHIAVE DELL'ACCORDO
  L'accordo di cessate il fuoco comprende diversi punti chiave volti ad affrontare le minacce alla sicurezza nella regione. Tra questi

  • Il ridispiegamento dell'esercito libanese nel sud:
    In base all'accordo, circa 10.000 soldati libanesi sono stati dispiegati per conquistare le posizioni di Hezbollah lungo il confine e distruggere le loro infrastrutture fino al confine con il Litani. Queste forze hanno ricevuto il sostegno occidentale per fermare il contrabbando di armi e rimuovere le infrastrutture illegali. Israele ha dato il via libera agli Stati occidentali per armare l'esercito libanese in modo che potesse far rispettare l'accordo.
  • Ruolo delle truppe UNIFIL:
    L'accordo rafforza il ruolo delle forze ONU nel monitoraggio del confine e introduce nuovi meccanismi di controllo internazionale guidati dagli Stati Uniti con la partecipazione di Regno Unito, Germania e Francia. A differenza della Risoluzione 1701, questa volta ci sarà una presenza fisica degli Stati Uniti per intervenire contro le violazioni. Un generale statunitense del comando CENTCOM è già arrivato in Israele per istituire il meccanismo di controllo. Gli americani hanno annunciato che, pur non essendoci soldati statunitensi sul terreno, ci sarà un intervento attivo americano in collaborazione con l'esercito libanese e l'UNIFIL per garantire che le violazioni siano affrontate in modo rapido ed efficace.
  • Impegno a disarmare le armi illegali:
    Il Libano dovrà imporre il disarmo dei depositi di armi e delle infrastrutture militari di Hezbollah nel sud del Paese e, in caso contrario, saranno minacciate sanzioni.
  • Salvaguardia della libertà d'azione di Israele:
    Israele si riserva il diritto di intervenire militarmente se Hezbollah violerà l'accordo e sottolinea che non permetterà il rafforzamento dell'organizzazione sul confine. Già il primo giorno dell'accordo si sono verificate significative violazioni quando i residenti del Libano meridionale sono tornati nei loro villaggi, sebbene l'accordo vieti il ritorno nei primi 60 giorni.

L'accordo prevede una nuova linea di confine - la cosiddetta “linea rossa” - alla quale i residenti non possono tornare durante questa fase. Ma i libanesi non hanno aspettato e hanno cercato di tornare alle loro case. Israele ha reagito prontamente e ha sparato colpi di avvertimento per respingere i residenti. Un drone israeliano ha sparato colpi di avvertimento contro un veicolo entrato nell'area riservata; per errore, gli occupanti sono rimasti feriti, anche se non c'era l'intenzione di colpirli. L'incidente più grave è stato il lancio di un missile da parte di un aereo da guerra israeliano contro una casa in cui erano entrati combattenti Hezbollah.
A prima vista, l'accordo sembra pieno di buchi come un formaggio svizzero, ma a differenza della seconda guerra del Libano, quando Israele ignorò il contrabbando di armi fin dal primo giorno, questa volta Israele sembra aver imparato la lezione e ha stabilito nuove regole del gioco: Israele risponderà duramente a qualsiasi violazione dell'accordo, che si tratti di una minaccia imminente o della ricostruzione di infrastrutture terroristiche e del contrabbando di armi.
A Gerusalemme si è riconosciuto che solo la forza e il fuoco possono ripristinare la deterrenza che si è completamente affievolita 18 anni dopo la Seconda guerra del Libano. Israele ha chiarito a Hezbollah che reagirà duramente a qualsiasi offesa e non tollererà alcuna provocazione da parte di Hezbollah.
Partecipazione internazionale. A differenza degli accordi precedenti, questa volta la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, è attivamente coinvolta nel monitoraggio e nell'applicazione dell'accordo.
Rafforzamento dell'esercito libanese:le forze armate libanesi hanno ricevuto sostegno finanziario e militare dall'Occidente, che potrebbe migliorare la loro capacità di agire contro Hezbollah. Israele vede in questo un'opportunità per il Libano di liberarsi dalle catene iraniane.

• PUNTI DEBOLI DELL'ACCORDO

  • Capacità del Libano di affermarsi:
    L'esercito libanese è ancora debole nonostante l'ampliamento dei suoi poteri e Hezbollah è stato in grado di manipolare il sistema in passato.
  • Provocazioni di Hezbollah: i primi rapporti indicano che Hezbollah continua a costruire nuove infrastrutture e a ignorare le richieste di disarmo.
  • Dipendenza dall'impegno internazionale:
    Il successo di Israele dipende dal sostegno degli Stati occidentali, che può variare a seconda degli interessi regionali.

• ISRAELE HA IMPARATO DAGLI EVENTI DEL 2006?
  L'accordo attuale è simile per molti aspetti agli accordi presi all'epoca, ma contiene anche differenze significative:

  • Israele chiede meccanismi di controllo più completi e un maggiore coinvolgimento militare del Libano nel sud.
  • La libertà d'azione di Israele sarà preservata in misura maggiore, il che impedirà a Hezbollah di usare la calma per riarmarsi.

• SUCCESSO O FALLIMENTO?
  Dipende dall'analisi degli obiettivi a breve e a lungo termine. Nel breve termine, l'accordo previene ulteriori conflitti al confine e consente a Israele di mostrare un risultato diplomatico positivo. A lungo termine, tuttavia, il successo dipende dall'applicazione delle clausole sul disarmo di Hezbollah e dalla capacità del Libano di affrontare le sfide interne.
La storia della regione dimostra che i cessate il fuoco sono spesso solo pause temporanee. Se l'accordo attuale regge, potrebbe creare un nuovo quadro di stabilità sul confine settentrionale. In caso contrario, Israele e Libano si ritroveranno ancora una volta nello stesso ciclo di conflitti, facendo precipitare la regione in una prolungata instabilità.

• LA POLITICA ISRAELIANA
  Sembra che la base politica di Netanyahu abbia difficoltà ad accettare l'accordo. Dopo aver giurato per oltre un anno che Israele non si sarebbe accontentato di nulla di meno di una “vittoria completa”, la destra israeliana si è svegliata e ha capito che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu è sceso a compromessi e ha raggiunto un accordo diplomatico.
Nella cerchia di Netanyahu, sono tre le ragioni per cui ha deciso a favore dell'accordo:

  1. Evitare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Israele vuole evitare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sia a nord che a sud senza il veto americano. Nei due mesi rimanenti di governo provvisorio negli Stati Uniti, Israele è consapevole della complessità e della delicatezza della situazione e vuole evitarla.
  2. Ripresa militare: la carenza di munizioni e la mancanza di attrezzature, come i 130 bulldozer trattenuti dagli Stati Uniti, rappresentano una sfida. Queste misure salvano la vita dei soldati. Inoltre, le truppe, soprattutto i riservisti che da più di un anno viaggiano tra il Libano e Gaza, devono essere ricostituite.
  3. Separazione dei teatri di guerra: Il cessate il fuoco taglia il collegamento tra Gaza e il Libano, cosa che Hamas non vuole. Questa separazione indebolisce Hamas, soprattutto a causa della maggiore pressione militare. Questo potrebbe anche aumentare le possibilità di liberazione degli ostaggi.

L'accordo in sé è solo un pezzo di carta. La cosa più importante per il primo ministro è assicurarsi un documento con il sostegno americano che dia a Israele la legittimità di agire quando necessario, Netanyahu:

    Se vengono intraprese azioni contro di noi, se vengono costruite infrastrutture terroristiche, se vengono trasportati razzi e così via. E se vediamo qualcosa del genere, abbiamo il diritto di aprire il fuoco e rispondere a Hezbollah e al Libano, anche in una situazione in cui avanzano a sud del fiume Litani - apriremo il fuoco.
    Se ci sono tentativi di trasferire armi dalla Siria al Libano, apriremo il fuoco. E se sarà necessario, anche contro obiettivi del regime di Assad, come abbiamo già fatto diverse volte, apriremo il fuoco.
    L'importante è essere assertivi, e noi lo siamo. Il cessate il fuoco sarà verificato sul campo. Se il cessate il fuoco mantiene ciò che promette, la situazione rimarrà così com'è. Se non ci sarà il cessate il fuoco, attaccheremo Hezbollah.
    Va detto che il nostro interesse è quello di superare almeno i prossimi due mesi fino a quando non inizieremo a ricevere forniture di armi, poiché ci aspettiamo che l'amministrazione Trump elimini l'embargo e ci permetta maggiori forniture di armi e una maggiore legittimazione per le operazioni in Libano, qualora fosse necessario. Al momento, siamo limitati in alcuni modi e quindi preferiamo un cessate il fuoco. Allo stesso tempo, va detto che Hezbollah sarà un'organizzazione completamente diversa dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco rispetto al 6 ottobre.
    Abbiamo eliminato l'intera leadership di Hezbollah, compreso Nasrallah, che il Primo Ministro definisce “l'asse dell'asse”. Nasrallah non era solo uno strumento dell'Iran, ma talvolta l'Iran stesso. La sua influenza nel mondo religioso sciita era così grande che la sua rimozione ha conseguenze drammatiche.
    Abbiamo distrutto il 70% della capacità missilistica di Hezbollah. Abbiamo distrutto in gran parte le infrastrutture e i tunnel di Hezbollah. La distruzione degli edifici nel quartiere di Dahiya è superiore a quella della Seconda guerra del Libano.
    Abbiamo eliminato 3.500 militanti terroristi. Abbiamo eliminato la minaccia delle forze di Radwan al confine e abbiamo respinto Hezbollah a nord.
    Tutto questo, insieme all'opportunità e alla legittimità che abbiamo ricevuto dagli Stati Uniti per far rispettare il cessate il fuoco in Libano, rappresenta un cambiamento drammatico, almeno per ora. È importante sottolineare che si tratta di un cessate il fuoco e non della fine della guerra.
    Secondo l'accordo, ci saranno aggiustamenti di confine a favore di Israele. Non ci sarà la restituzione dei prigionieri di Hezbollah. L'accordo non lo prevede.
    Per quanto riguarda i residenti del nord, non chiediamo loro di tornare. Comprendiamo la complessità della situazione e la sua delicatezza. Così come non abbiamo chiesto ai residenti del sud di tornare, abbiamo dato tempo per determinare la realtà. Il fatto che la maggior parte dei meridionali sia tornata nonostante il nostro silenzio parla da sé. Ci aspettiamo che i nostri residenti tornino alle loro case con il tempo. Non abbiamo posto fine alla guerra, quindi diciamo che continueremo a sostenere la popolazione del Nord finché non potrà tornare a casa in sicurezza. Non ci arrenderemo con nessuno. Comprendiamo la situazione. Comprendiamo che questo cessate il fuoco potrebbe essere fragile e dichiariamo anche che non significa la fine della guerra ed è per questo che siamo molto cauti sul ritorno dei residenti. Anche dopo i 60 giorni, non chiederemo loro di tornare. Lasceremo che siano il tempo e la situazione sul campo a decidere. Siamo impegnati a continuare ad agire contro Hezbollah e contro qualsiasi minaccia.

• REAZIONI DAL NORD
  I leader delle comunità del nord hanno attaccato aspramente Netanyahu, accusandolo di averli abbandonati. Netanyahu sa di avere un problema con la sua base di destra. In questa situazione, cerca il sostegno dei media di cui si fida, come Canale 14.
In un'intervista, Netanyahu ha cercato di presentare l'accordo come un successo e ha sottolineato che il pericolo di un'offensiva di terra è stato scongiurato. Ha assicurato che i residenti del nord non vivranno un nuovo scenario da “7 ottobre”.
Netanyahu ha spiegato che l'IDF è pronto a una guerra intensiva nel caso di una massiccia violazione dell'accordo. Tuttavia, il cessate il fuoco rimane fragile e dipende dagli sviluppi sul campo. La stabilità a lungo termine dipende dal rispetto e dall'attuazione degli accordi.
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* Itamar Eichner è un importante giornalista e commentatore dei media israeliani

(Israel Heute, 29 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L’israeliana Nofar Energy firma un accordo da 182 milioni per lo stoccaggio energetico nel Regno Unito

di David Fiorentini

L’azienda israeliana Nofar Energy ha annunciato di aver raggiunto un accordo di finanziamento da 152 milioni di sterline (182 milioni di euro) per lo sviluppo di uno dei maggiori progetti di stoccaggio energetico nel Regno Unito.
Fondata nel 2012 e con sede a Kfar Saba, Nofar si è affermata come uno dei principali investitori mondiali nel settore delle energie rinnovabili, aprendo filiali in 10 paesi e assumendo oltre 200 dipendenti.
 Nello specifico, l’investimento multimilionario sarà destinato alla crescita dell’impianto di immagazzinamento Cellarhead, situato nei pressi della cittadina inglese di Stoke-on-Trent. Attualmente in costruzione, avrà una capacità di 624 megawattora e sarà gestito tramite Atlantic Green, la piattaforma di stoccaggio di Nofar nello UK.
“Continuiamo a portare avanti il nostro piano di lavoro pluriennale”, ha annunciato il CEO Nadav Tenne, sottolineando i grandi passi in avanti dell’azienda per consolidare la sua leadership nei progetti di stoccaggio energetico rinnovabile in Europa.
Con una capacità totale di circa 10 GWh distribuita tra Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Italia, Polonia, Romania e Israele, di recente Nofar Energy ha annunciato il collegamento alla rete e l’operatività commerciale di un altro impianto, Buxton, anch’esso a Stoke-on-Trent, con una capacità di 60 MWh.
“Siamo orgogliosi di annunciare un’altra importante linea di finanziamento, che porta a circa 4,2 miliardi di NIS il totale delle chiusure finanziarie firmate in Europa negli ultimi due anni”, ha continuato Tenne.
 Una grande soddisfazione, condivisa anche dall’ambasciatore UK in Israele, Simon Walters, secondo cui l’investimento “rafforza il solido rapporto commerciale bilaterale tra Regno Unito e Israele e si allinea con l’obiettivo britannico di decarbonizzare il proprio settore energetico entro il 2030”.

(Bet Magazine Mosaico, 29 novembre 2024)

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Israele, scoperto un amuleto egizio a forma di scarabeo di 3.500 anni fa

di Jacqueline Sermoneta 

Stava facendo un’escursione con i genitori nel sito archeologico di Tel Qana, a Hod Hasharon, in Israele, quando il suo sguardo si è imbattuto su qualcosa che somigliava a una pietra. In realtà, Dafna Filshteiner, 12 anni, con non poco stupore, ha trovato un piccolo amuleto egizio di 3.500 anni fa.
Il reperto, portato negli Archivi di Stato ospitati nel Jay and Jeanie Schottenstein National Campus for the Archaeology of Israel, è stato esaminato dagli esperti dell’Israel Antiquites Autority (IAA), che ne hanno accertato l’autenticità.
Secondo gli studiosi, l’antico oggetto risale al periodo del Nuovo Regno d’Egitto, quando l’impero si era diffuso in quelli che oggi sono Israele, Siria e Libano. Sull’amuleto sono incisi due scorpioni, in posizione opposta, uno di testa l’altro di coda. “Il simbolo dello scorpione rappresentava la dea egizia Serket, che, fra l’altro, era considerata responsabile della protezione delle madri incinte. – ha spiegato Yitzhak Paz, esperto dell’Età del Bronzo presso l’IAA – Un’altra decorazione sull’amuleto è il simbolo ‘nefer’, che significa ‘buono’ o ‘scelto’. C’è anche un altro simbolo che sembra un bastone reale”.
  “L’amuleto è a forma di scarabeo stercorario che allora era “considerato sacro”, “un simbolo di nuova vita” e “l’incarnazione del creatore divino. – hanno spiegato gli studiosi dell’IAA – Gli amuleti di questa forma rinvenuti in Israele, a volte usati come sigillo, sono la prova del dominio egizio nella nostra regione circa 3.500 anni fa e della sua influenza culturale”. L’amuleto “potrebbe essere stato lasciato cadere da una figura importante e autorevole di passaggio nella zona, oppure deliberatamente seppellito. Dal momento che il ritrovamento è avvenuto in superficie, è difficile conoscerne l’esatto contesto”, ha affermato Paz.
  Tel Qana è un sito archeologico di grande importanza storica. Secondo Amit Dagan, ricercatore del Dipartimento di Studi e Archeologia della Terra d’Israele Martin (Szusz) della Bar-Ilan University, e Ayelet Dayan dell’IAA, “questa scoperta è emozionante quanto significativa. Lo scarabeo e le sue caratteristiche uniche, insieme ad altri reperti scoperti a Tel Qana con motivi simili, forniscono nuove intuizioni sulla natura dell’influenza egizia nella regione in generale e nell’area di Yarkon in particolare”.

(Shalom, 29 novembre 2024)

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Toledòt. Un accordo di pace vera

di Ishai Richetti

Nella Parashà di Toledot, in un episodio sorprendentemente simile a un evento accaduto ai tempi di Avraham, Yitzchak viene avvicinato da Avimelech, re dei Filistei, allo scopo di contrarre un patto di non belligeranza. Dopo aver organizzato una festa celebrativa, Yitzchak apparentemente accetta il patto e i due si separano in pace. Come possiamo spiegare il comportamento di Yitzchak? Confrontato con la richiesta di un trattato di pace con i Filistei, interrompe bruscamente la conversazione e organizza una festa che dura tutta la notte. Perché i Chachamim sono apertamente critici nei confronti del trattato di Avraham con Avimelech, ma stranamente silenziosi quando si tratta dell’accordo di Yitzchak con lo stesso re? È possibile che questi due episodi, che sembrano così simili, in realtà differiscano in modo significativo?
Una lettura attenta del testo porta alla luce un dialogo subliminale tra Yitzchak e Avimelech, un dialogo che spiega il comportamento apparentemente strano di Yitzchak e ha una rilevanza enorme per i nostri tempi. Non appena Yitzchak vede Avimelech e il suo entourage avvicinarsi, solleva la seguente obiezione: “Perché siete venuti da me? [È ovvio che] mi odiate, poiché mi avete esiliato da voi” (Bereshit 26:27) Avimelech risponde insistendo sul fatto che è venuto per contrarre un patto: “Che non ci farete del male, proprio come noi non vi abbiamo fatto del male, e come abbiamo fatto solo del bene a voi, perché vi abbiamo lasciato andare in pace“..Rabbenu Bechaye analizza questo strano colloquio. Tramite le sue domande Yitzchak ricorda ad Avimelech e al suo capo di stato maggiore tre questioni. 1) “perché venite da me?” Si riferisce alla distanza tra Gherar e Beer Sheva dove ora viveva. 2) “Mi odiate”, invidiosi a causa del mio successo e del vasto numero di bovini e pecore che possiedo. 3) Mi avete scacciato via.” Si riferisce a Gherar dove si era stabilito in precedenza e Avimelech gli aveva detto “vattene via da noi perché sei troppo potente per noi” (Bereshit 26,16). Avimelech risponde a tutte e tre le domande: Per quanto riguarda la domanda sul perché fosse venuto, riconosce: “Abbiamo visto molto chiaramente che D-o è con voi”, sottintendendo così che il successo di Yitzchak nel portare un raccolto abbondante, e il fatto che trovava sempre acqua, erano una prova sufficiente che D-o era dalla sua parte. Come risultato di questa tardiva realizzazione, erano venuti per stipulare un patto con lui. Onkelos traduce la parola giuramento in modo da sottintendere che l’intenzione di Avimelech era di confermare un obbligo esistente ancora ai tempi di Avraham.
È importante notare che non c’è disaccordo tra Yitzchak e Avimelech sui fatti. Entrambi riconoscono che durante la loro precedente interazione Yitzchak fu esiliato dal territorio dei Filistei. Ciò su cui non sono d’accordo è, in effetti, una questione molto più profonda. Stanno discutendo sulla definizione che danno al termine “pace”. Per parafrasare il dialogo che si svolge tra il patriarca e il re: Yitzchak apre la conversazione con la seguente obiezione: Come puoi suggerire anche solo la possibilità di poter promulgare un trattato di pace? Le tue intenzioni finora sono state tutt’altro che pacifiche. Non mi hai forse insultato ed esiliato dalla tua terra? Avimelech risponde: Come puoi dire che ti odiamo? Se ti odiassimo, ti avremmo ucciso. Le nostre intenzioni erano ovviamente pacifiche perché in definitiva tutto ciò che abbiamo fatto è stato mandarti via. Yitzchak e Avimelech vivono, in effetti, in due mondi diversi. Per Yitzchak la vera “pace” consiste in qualcosa di molto di più profondo. Perché esista una vera pace, devono esserci sia assenza di ostilità che uno sforzo verso la cooperazione. Tutto il resto potrebbe essere definito come coesistenza reciproca, ma non può essere considerato vera pace.
Il comportamento assunto da Yitzchak a seguito di questo colloquio appare altrettanto strano. Invece di rispondere all’interpretazione di Avimelech, Yitzchak interrompe bruscamente la conversazione. Senza dire altro, all’improvviso, Yitzchak “ha organizzato per loro una festa, e hanno mangiato e bevuto” (Bereshit 26:30). Il Radak commenta che Yitzchak “per preservare l’atmosfera amichevole preparò per loro un banchetto e mangiarono e bevvero insieme”. Rav Reggio commenta lo stesso pasuk scrivendo che Yitzchak accetta in qualche modo le parole di Avimelech, anche eventualmente solo di facciata, e non serba rancore.
Basandoci su questi commenti possiamo arrivare a capire il comportamento di Yitzchak in questo episodio e perché i Chachamim non abbiano da commentare su questo patto rispetto al patto stipulato da Avraham anni prima. Yitzchak organizza subitaneamente il banchetto a celebrazione del trattato di pace con Avimelech perché riconosce che un’ulteriore conversazione con Avimelech sarebbe stata inutile. Si può negoziare con qualcuno quando ci si trova in una realtà anche parzialmente condivisa e quando i termini usati sono reciprocamente compresi. Yitzchak e Avimelech sono separati da un abisso incolmabile. Quando parlano di “pace”, stanno parlando di due concetti molto diversi. Se non c’è accordo sulla definizione di pace, non è certamente possibile stipulare un trattato di pace. Per porre fine ad una conversazione che non porterebbe alcun frutto e che potenzialmente poteva durare all’infinito, Yitzchak non ha altro metodo che organizzare una festa celebrativa che dura tutta la notte.La mattina dopo, Yitzchak e Avimelech si scambiano promesse. Il testo, tuttavia, non menziona in modo evidente un berit, “patto”. A differenza di suo padre Avraham, Yitzchak non stipula un trattato completo con i Filistei. Riconosce che è possibile siglare solamente accordi temporanei con Avimelech, ma non è possibile stipulare un patto duraturo. Con estrema acutezza, infine, la Torà nota riporta il comportamento di Yitchak nel commiato con Avimelech: “Egli [Yitzchak] li mandò via; e se ne andarono da lui in pace” (Bereshit 26:31). Yitzchak in questo frangente riesce a capovolgere la situazione nel suo rapporto con Avimelech. Tramite le sue azioni afferma: Io mi comporterò con te in accordo con la tua definizione di pace. Proprio come tu mi hai mandato via “in pace” dal tuo territorio, ora ti mando via da dove risiedo “in pace”.
Ma Yitchak fa di più. Il Radak commenta che il pasuk “si alzarono presto e prestarono giuramento l’uno con l’altro e lui li congedò e se ne andarono da lui in pace” (Bereshit 26:31)” sottintende che Yitzchak congedò Avimelech e il suo seguito dopo averli accompagnati per il tragitto previsto. Tramite il suo comportamento , facendo credere ad Avimelech di volerlo accompagnare come segno di non belligeranza e di onore nei suoi confronti, Yitchak vuole essere sicuro di stabilire una distanza consona, distanza stabilita sulla carta tramite il trattato stipulato con Avimelech, e fisicamente, tramite l’accompagnamento di Avimelech ad una certa distanza da dove risiedeva. Yitchak in questo modo dimostra di avere imparato dagli errori di suo padre. Mentre Avraham era a suo agio nel contrarre un patto completo con Avimelech e continuò a vivere nel territorio dei Filistei “per molti giorni”, Yitzchak comprende i pericoli di un tale accordo e insiste sulla separazione fisica. I Chachamim non criticano questo patto perché frutto e riconoscimento delle lezioni ben apprese da Yitchak, frutto appunto delle proprie esperienze e delle esperienze vissute da suo padre.
Ancora una volta, il testo della Torà ci parla in modo inquietantemente rilevante e ci porta a riconoscere come l’esperienza umana non sia cambiata molto nel corso dei secoli. La definizione di pace, che era al centro dello scambio di Yitzchak con Avimelech, continua ad essere in discussione oggi mentre lo Stato di Israele lotta per vivere in armonia con i suoi vicini. In molte parti del mondo, Israele compreso, ci si riempie la bocca con la parola pace, che viene perlopiù intesa come assenza di belligeranza o sconfitta definitiva del nemico. Ma la vera pace, la pace completa, il shalom che deriva dalla parola shalem, completo, è tutt’altro e sembra essere oggi molto lontano dall’essere raggiunto. La vera pace, il connubio tra assenza di belligeranza e di cooperazione, dovrebbe essere la linea guida e la stella polare per tutti. Questa stella è offuscata da supposti interessi nazionali che sono spesso in realtà interessi personali o di piccole élite.
Se la distanza dal shalom shalem, la vera pace, sembra essere oggi molto lontana è importante sapere che un ebreo si contraddistingue perché non si arrende e continua ad operare e a pregare per il vero shalom.

(Kolòt, 29 novembre 2024)
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Parashà della settimana: Toledot (Generazioni)

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Gli italkim e la tregua: “Un sollievo, ma è molto fragile”

di Daniel Reichel

Ci sono emozioni contrastanti tra gli italiani d’Israele, gli italkim, residenti nel nord del paese. Da un lato si tira un sospiro di sollievo per la tregua appena iniziata: due mesi di pausa nella guerra contro Hezbollah. Dall’altro nessuno si fa illusioni sulla fragilità del cessate il fuoco. «Siamo esausti, stremati mentalmente e fisicamente», spiega a Pagine Ebraiche Cesare Funaro, chef del kibbutz Sasa. Da un anno divide la sua vita tra il lavoro e il servizio di sicurezza del kibbutz. «Per metà della giornata sono in divisa da chef, per l’altra metà indosso il giubbotto antiproiettili».
  Prima dell’intervista ha svolto un incontro con il team del servizio di sicurezza. «Abbiamo fatto una perlustrazione per tutto il kibbutz per vedere se non ci sono pezzi di missili o altro materiale bellico in giro. C’è una certa euforia per la tregua. Da padre di famiglia non posso che sperare in due mesi di tranquillità e pace». Uno dei suoi tre figli è appena tornato dal Libano in congedo. Il più piccolo invece è ancora in Libano. «Ha passato mesi a Gaza, poi è stato mandato al nord. Il 7 ottobre ha partecipato ai combattimenti al kibbutz Kfar Aza, dove è sopravvissuto per miracolo. Non è una vita facile, né per lui né per noi che lo aspettiamo». La speranza è che questa tregua regga e permetta al figlio e a tutti di rifiatare.

• DUE MESI PER HEZBOLLAH PER RIARMARSI
  «Per la pace purtroppo bisognerà aspettare a lungo», commenta Guido Sasson, residente a Mitspe Netofa, a poca distanza dal lago di Tiberiade. «Non ci si può fidare dell’altra parte e non c’è molta fiducia nemmeno nel nostro governo. Uno dei miei figli è nell’esercito, lui non si pone molte domande, ma dice che in molti dentro Tsahal spingono per andare avanti con la guerra a Hezbollah». Un altro dei figli di Sasson è stato evacuato ormai più di un anno fa dal kibbutz Baram, 500 metri dal confine con il Libano, insieme alla moglie e i quattro figli. «Non credo ci tornerà più. Magari mi sbaglio, ma finché la sicurezza non sarà garantita al nord, non lo vedo ritornare. E ci vorranno anni per farlo».
  Il problema, aggiunge a riguardo Luciano Assin, guida turistica e membro del kibbutz Sasa, è che «nessuno, a livello internazionale, vuole veramente prendersi la briga di fermare fisicamente Hezbollah. Fino ad allora rimarranno sempre una minaccia. Non sappiamo quanto durerà questa tregua, ma sappiamo che Hezbollah nel mentre cercherà di riorganizzarsi e riarmarsi con il sostegno dell’Iran». Assin analizza il contesto geopolitico della regione: «Il Libano è un paese costruito su basi artificiali, con equilibri vecchi di 50 anni che non esistono più. Oggi, con gli sciiti molto più influenti rispetto al passato, e una minoranza cristiana ridotta, finché non ci saranno regimi più stabili, la situazione resterà critica. Questa tregua è solo una questione di tempo, perché l’area è profondamente instabile». Dall’altro lato anche lui non nasconde di aver accolto positivamente la notizia del cessate il fuoco. «Ognuno di noi ha qualcuno impegnato al fronte per cui non si può non essere felici di una pausa nei combattimenti». Dei circa 400 residenti kibbutz, aggiunge Assin, circa una sessantina è rimasto a viverci nel periodo del conflitto. «Oggi però la mensa è strapiena, ci saranno almeno cento persone». Un segnale di un ritorno? «Non saprei. Nessuno si illude che sia finita. Io stesso non me la sento di dire a mia figlia, che viveva qui con i suoi bambini: ”Torna, è tutto tranquillo”. La qualità della vita nel kibbutz è alta, ma ogni famiglia deve fare i suoi conti, soprattutto con bambini piccoli. Alla fine, nemmeno Haifa è sicura: ha ricevuto più bombardamenti di noi».

• GLI OSTAGGI E IL RAPPORTO CON I VICINI ARABI
  Il pensiero di tutti va però anche agli ostaggi. «Noi siamo stremati, ma chissà cosa stanno passando loro. Se sono ancora vivi» , commenta con amarezza Funaro. A Sasa, lo chef coordina un team eterogeneo, composto da ebrei, musulmani, cattolici e drusi. «Non ci sono attriti. Spieghiamo sempre ai nuovi lavoratori di non portare la politica sul lavoro. Qui siamo una famiglia: vogliamo tornare a casa sereni e lavorare in armonia. Anche durante la guerra, è stato così. Anzi devo dire che i miei collaboratori si sono tutti preoccupati per me e per i miei figli chiedendomi come stessero, di avvisarli se tornavano dall’esercito. C’è stata molta empatia». Racconta poi un episodio. «Una mia cuoca cattolica mi ha fatto vedere un video di alcuni soldati israeliani che hanno fatto delle cose stupide in una chiesa in Libano. Era molto offesa. Le ho spiegato che ha ragione, quel comportamento era totalmente sbagliato e sicuramente l’esercito l’avrebbe punito. Tsahal prende molto seriamente questi episodi e li condanna con severità».
  Anche Assin conferma il clima pacifico con le comunità arabe circostanti. «Non ci sono mai stati problemi, nemmeno nei periodi più tesi, come durante la seconda Intifada. Qui ci si aiuta reciprocamente, e nel kibbutz, dalla raccolta nei campi alla cucina, lavorano molti arabi. Certo c’è un tacito accordo: non si parla di politica. È un gentlemen agreement che mantiene l’armonia».

• IL DESTINO DELLA GUERRA A GAZA
  Se la tregua al nord possa portare a un accordo anche a Gaza è una domanda a cui nessuno sa rispondere. «Non mi pare al momento ci siano i presupposti», sottolinea Sasson. «Per siglare un’intesa devi avere un interlocutore, con chi parli ora a Gaza?». Per Assin anche a Gerusalemme c’è chi non ha interesse a chiudere il capitolo conflitto. «Un accordo significherebbe una resa dei conti politica in Israele. Sarebbe infatti istituita finalmente una commissione indipendente sui fallimenti del 7 ottobre. Ma nessuno al governo vuole affrontare le responsabilità per la débâcle. È tutto intrecciato, ed è difficile essere ottimisti».

(moked, 28 novembre 2024)

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Nel ventre molle d’Europa: paese mio, che cosa farai per me? E se non ora, quando?

Le misure da prendere. Le pressioni da attuare. Le strategie da rivedere. Come fermare l’escalation antiebraica, come agire dopo i fatti di Amsterdam? Gli ebrei di Francia e Germania, Belgio e Austria, Svizzera e Scandinavia si interrogano. I leader delle varie comunità ebraiche d’Europa dicono la loro.

di Marina Gersony

Che cosa è cambiato in Europa dopo i fatti di Amsterdam? Come hanno reagito le comunità ebraiche dopo la caccia all’uomo avvenuta nella notte del 8-9 novembre? Ricordiamo brevemente i fatti: quella che doveva essere una semplice partita di Europa League tra Ajax e Maccabi Tel Aviv si è trasformata in una notte da incubo. Parole pesanti, inseguimenti e insulti sono degenerati in risse e aggressioni mirate contro i tifosi israeliani. Le indagini hanno rivelato che gli attacchi provenivano da manifestanti filopalestinesi e simpatizzanti a volto coperto e sebbene siano state segnalate provocazioni iniziali da parte di qualche tifoso del Maccabi, nulla poteva giustificare simili attacchi sproporzionati e brutali. Secondo fonti accreditate, gli assalti di Amsterdam non sono stati episodi isolati, ma atti premeditati e coordinati, avvenuti proprio un giorno prima dell’anniversario della Notte dei Cristalli, il 9 e 10 novembre 1938. Come riporta la Jüdische Allgemeine, dalle chat esaminate dal britannico Telegraph, emerge che la violenza è stata pianificata. In un gruppo chiamato “Buurthuis” (centro comunitario di quartiere), i partecipanti si sono organizzati per avviare una vera “caccia agli ebrei”.
Ma quali i numeri oggi di una preoccupante escalation? In Francia, gli episodi antisemiti sono triplicati; in Austria, quadruplicati; nei Paesi Bassi, sono otto volte più numerosi rispetto all’anno scorso. Stanchi di dover sempre chiedere protezione, i leader delle comunità ebraiche di tutta Europa alzano la voce: non bastano polizia e telecamere. Serve cambiare il linguaggio, spezzare la catena di ignoranza e pregiudizi che alimenta questo clima. «L’antisemitismo non si combatte solo con la sicurezza. Va combattuto nelle scuole, nelle famiglie, nei media -, ha detto un portavoce della comunità ebraica parigina. – Non possiamo accettare tutto questo in silenzio».
L’Unione Europea nel frattempo ha capito l’urgenza. Lo scorso 14 ottobre, la Commissione ha pubblicato la prima relazione sullo stato di avanzamento della strategia Ue 2021-2030 per la lotta all’antisemitismo e la promozione della vita ebraica. Quasi tutti gli Stati membri hanno avviato piani d’azione specifici e 23 Paesi hanno già una strategia nazionale. Ma per chi vive questa realtà ogni giorno, non è abbastanza. Servono fatti, non solo progetti e parole.
Mentre gli scontri scatenano proteste internazionali e rischiano di intensificare ulteriormente la polarizzazione tra comunità, sorgono domande cruciali: l’Europa può davvero proteggere le sue comunità ebraiche? C’è la volontà di intervenire concretamente? E come reagire all’apparato messo in piedi dagli antisemiti? Di seguito, i commenti, le riflessioni e le reazioni dei vari organismi ebraici nei Paesi dell’Europa occidentale e continentale agli eventi drammatici di Amsterdam (fa eccezione il Regno Unito, a cui dedicheremo un approfondimento più avanti).

• OLANDA: clima di paura
  «I miei genitori sono terrorizzati, io sono terrorizzato – ha urlato un uomo in olandese –. Ho una figlia piccola, cosa si farà, accidenti?». Un anziano ebreo avvolto in un cappotto invernale ha risposto con tono deciso: «Niente, assolutamente niente. Dal massacro del 7 ottobre in Israele, niente». Questi scambi, avvenuti dopo una notte da incubo, riflettono il clima di paura che ha pervaso la comunità ebraica di Amsterdam. Il venerdì successivo alla partita, i membri di questa comunità (che conta circa 15.000 iscritti) si sono confrontati con il vicesindaco della città, chiedendo risposte per non aver impedito i violenti attacchi ai tifosi israeliani.
Nel frattempo, la Dutch Organization for Central Jewish Consultation (CJO) ha sollecitato l’adozione di misure urgenti per garantire la sicurezza degli ebrei nei Paesi Bassi e in tutta Europa. Hans Weijel, vicepresidente della CJO, ha affermato che «la comunità ebraica non può essere ritenuta responsabile per le azioni di Israele» e ha sottolineato come la guerra in Medio Oriente stia alimentando la crescente tensione ad Amsterdam, dove, fino all’escalation recente, le comunità ebraica e musulmana vivevano in relativa armonia. «La gente sta diventando sempre più spaventata, altre persone stanno diventando più aggressive e antimusulmane – ha affermato Weijel –. Il governo ha addirittura inviato più polizia nelle sinagoghe e nelle scuole ebraiche, perché la gente ha paura».
Secondo un rapporto della Anti-Defamation League (ADL), tra ottobre e dicembre 2023 gli atti di antisemitismo nei Paesi Bassi sono aumentati dell’818% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando una preoccupante tendenza globale.
Come riportato da Euronews, Daniella Coronel, una volontaria ebrea olandese presso l’associazione sportiva ebraica Maccabi, ha espresso il suo timore per il crescente antisemitismo nel Paese: «È la prima volta nella mia vita che, come ebrei, sentiamo il bisogno di nascondere la nostra identità». Coronel, che è anche figlia di un membro storico del consiglio di amministrazione dell’Ajax Amsterdam, ha descritto la sua esperienza nell’aiutare i tifosi del Maccabi a trovare rifugio in centri e alberghi prima del loro ritorno in Israele. Tuttavia, non tutti sono d’accordo con l’uso del termine “pogrom” per descrivere gli attacchi. Jair Stranders, membro del consiglio di amministrazione dell’Associazione ebraica progressista di Amsterdam e consigliere comunale, ha osservato che tale terminologia è stata strumentalizzata da alcuni leader per polarizzare ulteriormente le comunità. «La polarizzazione fa parte della democrazia – , ha dichiarato Stranders, – ma i problemi sorgono quando diventa un’arma».

• BELGIO: incitamento all’odio
  «C’è un aumento importante dell’odio, dell’incitamento alla violenza e della violenza stessa. Un rischio che va preso molto sul serio perché nella società si sta sviluppando una polarizzazione estrema, con un’attività indefessa degli ambienti islamisti, che sono estremamente presenti, sempre più violenti, e che possono passare all’azione. E il fattore dell’emulazione non è da sottovalutare». Queste le parole rilasciate da Yves Oschinsky, presidente del CCOJB (Comitato di coordinamento Organizzazioni ebraiche del Belgio), Paese “cugino” dei Paesi Bassi, con cui confina, e nazione dove la grande presenza di musulmani estremisti è da anni al centro dell’attualità: basta ricordare che Mohammed Salah, uno degli attentatori del 13 novembre 2015 a Parigi, proveniva da Mollenbeek, comune della città di Bruxelles a maggioranza musulmana, e lì era stato trovato nascosto in casa di amici dopo mesi di ricerche.
Non è un caso, del resto, che subito dopo i fatti di Amsterdam ad Anversa siano state arrestate cinque persone accusate di stare organizzando sui social una “caccia all’ebreo” come quella nei Paesi Bassi. «Ma anche a Bruxelles la situazione non è affatto tranquilla – ha spiegato Oschinsky in un’intervista a Radio Judaica (la radio ebraica del Belgio) -: qui l ’università Popolare, creata all’interno dell’ Università ULB l’anno scorso, ha pubblicato un comunicato di solidarietà ai loro ‘compagni’ olandesi in cui si dice che i sionisti non sono i benvenuti nelle strade di tutta l’Europa e proclamano il loro impegno nella mondializzazione dell’intifada e della Palestina “dal fiume al mare” (e non c’è alcun dubbio di cosa questo significhi detto da loro: l’eliminazione di Israele). E terminano con una frase choc: “no ai sionisti nei nostri quartieri, nessun quartiere per i sionisti”. Spero vivamente che verranno prese delle misure severe, sia dalla polizia che dalle stesse autorità accademiche, perché si tratta di volere riproporre a Bruxelles attacchi e linciaggi contro gli ebrei, a imitazione di Amsterdam».

• FRANCIA: ansia alle stelle
  All’indomani dell’attacco ad Amsterdam ai tifosi israeliani e la caccia all’ebreo, Yonathan Arfi, il Presidente del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, ha denunciato il “linciaggio di massa”, ma anche espresso la sua “preoccupazione” per l’incontro di calcio a Parigi, la partita fra Francia e Israele disputata a metà novembre: un evento che ha visto la vendita ridotta di 20.000 posti allo stadio (sugli 80.000 disponibili) e che si è svolto in una città blindata, con 4.000 poliziotti dispiegati e quartieri della città bloccati.
«Per principio rifiuto di cedere ai violenti – aveva dichiarato Arfi -. Che esempio daremmo se la partita fosse spostata o annullata? Ciò che conta è prevedere i dispositivi di sicurezza necessaria, anche nelle strade di Parigi. Il linciaggio di Amsterdam non è avvenuto solo davanti allo stadio, ma anche negli alberghi dei tifosi israeliani, che sono stati anche umiliati con dei video davvero biechi. Vengono presi di mira non solo per il conflitto a Gaza, ma anche perché sono ebrei. È l’antisemitismo più triviale che riemerge e che richiama alla mente altre immagini».
La preoccupazione del mondo ebraico in Francia è alle stelle, dopo che l’antisemitismo è esploso dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023: nei primi sei mesi del 2024, sono stati registrati 887 atti antisemiti, pari ad un aumento del 192% rispetto allo stesso periodo del 2023. Stando ad una nota di ottobre della DNRT, la Direzione nazionale dei servizi di intelligence regionali, che era stata consultata da Le Figaro, il 2024 sarà “un anno record”. La stessa nota conferma che la tendenza “sembra inscriversi sul lungo termine”. Un’inchiesta di Le Monde a settembre aveva a sua volta rivelato che, malgrado la guerra, 1.660 ebrei francesi hanno deciso di fare l’aliyah, tra il 7 ottobre 2023 e il 30 agosto 2024: il 50% in più rispetto allo stesso periodo del 2022-23. Ma anche che sono sempre di più coloro che auspicano di partire: a fine agosto, 5.700 persone avevano aperto la pratica presso l’Agenzia ebraica in Francia, ovvero il 338% in più rispetto al 2023. Mentre al Salone dell’Alyah di Parigi del 17 novembre di quest’anno si sono registrate 2500 iscrizioni: un numero record, motivato dall’esplosione dell’antisemitismo in Europa e in Francia in particolare.

• GERMANIA: allarme violenza antisemita
  “La folla araba dà la caccia ai tifosi di calcio ad Amsterdam”; “Consiglio centrale inorridito dalle rivolte”; “È scoppiata di nuovo la caccia agli ebrei”: questi alcuni dei titoli comparsi sulle principali testate tedesche all’indomani delle rivolte antisemite nella capitale olandese. Da Charlotte Knobloch, presidente onoraria del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, a numerosi rabbini, intellettuali, opinionisti e scrittori ebrei tedeschi, non si contano le dichiarazioni preoccupate nonché l’indignazione per la crescente intolleranza e violenza contro gli ebrei.
La Germania, un Paese che ha affrontato a lungo il peso della sua Storia legata alla Shoah, teme un ritorno dell’antisemitismo, soprattutto tra le nuove generazioni. Il Zentralrat der Juden in Deutschland – il Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, che opera a livello nazionale per promuovere il dialogo con il governo e garantire i diritti e la sicurezza della comunità ebraica – ha espresso il proprio sgomento per gli attacchi subiti dai tifosi israeliani ad Amsterdam.
Il presidente del Consiglio, Josef Schuster, ha definito gli eventi “immagini da incubo” in una dichiarazione rilasciata sulla piattaforma X. Ha sottolineato che non si trattava di semplici disordini tra tifoserie, ma di una vera e propria “caccia agli ebrei”. Inoltre, ha avvertito che la violenza antisemita in Europa, soprattutto in occasione di eventi sportivi, sta raggiungendo livelli allarmanti. Schuster ha quindi esortato a prendere molto seriamente questo fenomeno, sottolineando come tutto sia accaduto proprio a ridosso del 9 novembre, anniversario della Kristallnacht (Notte dei Cristalli), giornata in cui si commemorano le violenze antiebraiche avvenute in Germania.
A sua volta l’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha descritto gli attacchi di Amsterdam come «un terribile pogrom contro ebrei e israeliani». In una dichiarazione rilasciata su X ha sottolineato come i fatti non fossero incidenti isolati ma parte di un’escalation di violenza. Prosor ha aggiunto che «in gran numero, le persone sul suolo europeo vengono violentemente attaccate dai rivoltosi musulmani e palestinesi semplicemente perché sono ebrei». Ha inoltre elogiato il Bundestag tedesco per la recente risoluzione contro l’antisemitismo, definendola un «impegno risoluto» per affrontare un «fenomeno disgustoso e preoccupante» e ribadendo che è giunto il momento per tutti i governi e parlamenti europei di assumere posizioni altrettanto ferme garantendo che il “Mai più!” sia «adesso!».

• AUSTRIA: in aumento le minacce online
  In Austria, attacchi antisemiti come ad Amsterdam non si sono ancora fortunatamente verificati. Tuttavia il clima sta cambiando. Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, il numero di incidenti antiebraici è aumentato, riportando alla luce un risentimento che in Austria ha radici profonde nella Storia. Un risentimento che, sommato all’odio di matrice islamica, crea alleanze pericolose e un’atmosfera di crescente tensione. La Israelitische Kultusgemeinde Wien (IKG), principale organizzazione ebraica austriaca, ha lanciato un grido d’allarme: «La rabbia contro gli ebrei non è più un fenomeno di nicchia, ma sta permeando la società», avverte Benjamin Nägele, segretario generale. Il fenomeno più diffuso? L’antisemitismo legato a Israele, che Nägele definisce «disinibito».
Le cifre parlano chiaro: nei primi sei mesi del 2024, gli attacchi fisici segnalati sono passati da 6 a 16, le minacce da 4 a 22. I danni a beni di proprietà ebraica sono raddoppiati, toccando quota 92. Soprattutto, le minacce online sono in costante aumento. Un’escalation che le autorità, pur avendo inasprito la legislazione contro i crimini d’odio, non sembrano riuscire a contenere.
L’atmosfera è pesante: nei luoghi pubblici, nelle scuole e nei campus universitari gli episodi di antisemitismo si moltiplicano, creando un clima di paura, specie tra i giovani. Oskar Deutsch, presidente dell’IKG, lancia un monito: «Non possiamo permettere che l’antisemitismo diventi normalità. L’effetto di assuefazione è il pericolo più grande». E la percezione non mente. Uno sportello per le segnalazioni di atti antisemiti ha registrato un aumento di cinque volte rispetto al passato, mentre i discorsi d’odio si moltiplicano. Nel frattempo, un sondaggio IFES e Demox Research rivela che il 60% dei giovani austriaci condanna l’attacco di Hamas come «un atto di terrorismo spregevole», ma solo un terzo giudica giustificata la reazione di Israele.
Come se non bastasse, tra negazionisti e banalizzatori, il solito refrain si fa strada: «Non è antisemitismo, è colpa degli israeliani». Una narrazione tossica che alimenta ulteriormente il ciclo dell’odio.

• SVIZZERA: polarizzazione pericolosa
  Anche la Svizzera, a lungo considerata un rifugio sicuro per le comunità ebraiche europee, non è più immune dall’onda crescente di antisemitismo che attraversa l’Europa. «La confusione tra antisemitismo e critiche alla politica israeliana è ormai un problema comune a molti paesi», aveva già sottolineato Micaela Goren Monti, presidente di una fondazione ebraica di Lugano. Narrazioni mediatiche sbilanciate, che spesso ignorano le sofferenze israeliane, stanno alimentando una polarizzazione pericolosa.
Jonathan Kreutner, segretario generale della Federazione delle Comunità Israelite Svizzere (FCSI), ha dichiarato che anche in Svizzera si è registrato un aumento di aggressioni e minacce, seppur meno intense rispetto a episodi come quelli nei Paesi Bassi. «Le sinagoghe e le scuole sono sotto stretto controllo delle forze di polizia, ma il clima di paura nella comunità è palpabile», ha affermato un portavoce della FCSI. Secondo un rapporto della Federazione, gli attacchi antisemiti nel Paese sono aumentati significativamente, con un picco di 150 casi al mese dopo ottobre. Episodi gravi, come le vetrate infrante della sinagoga di La Chaux-de-Fonds o minacce dirette a istituzioni ebraiche, hanno costretto il governo a rafforzare la sicurezza, specialmente nelle grandi città come Zurigo e Ginevra.
Tuttavia, il fenomeno non è solo fisico. La crescente ostilità online preoccupa profondamente: sui social media, messaggi di odio si diffondono senza controllo, contribuendo a un clima sempre più avvelenato. Secondo il Coordinamento intercomunitario contro l’antisemitismo, eventi come quelli di Amsterdam creano un effetto domino: l’odio si propaga e colpisce le comunità, ovunque si trovino.
  Anche le comunità ebraiche della Scandinavia – Danimarca, Svezia e Norvegia – sono sempre più preoccupate per l’inasprirsi dell’antisemitismo nell’era post-Amsterdam. Sebbene non siano emerse dichiarazioni ufficiali specifiche da parte delle autorità ebraiche, le reazioni generali evidenziano un clima di crescente allarme. L’antisemitismo sembra aver raggiunto livelli mai visti dalla Seconda guerra mondiale. I dati successivi al 7 ottobre 2023, aggravati dagli scontri di Amsterdam, dipingono un quadro fosco: la retorica antisemita si mescola con le tensioni geopolitiche del Medio Oriente, creando un terreno fertile per l’odio. Le comunità ebraiche hanno chiesto misure di sicurezza più rigide e un impegno politico più deciso per distinguere tra critica legittima a Israele e antisemitismo, evitando che i due ambiti vengano confusi.
In Scandinavia vivono circa 30.000 ebrei, una minoranza esigua rispetto alla popolazione musulmana, che supera i 1,3 milioni. In Svezia, con 14.900 ebrei e circa 810.000 musulmani, il rapporto è di uno a 54; in Danimarca, dove gli ebrei sono 6.400 e i musulmani 320.000, uno a 50; in Norvegia, la seconda comunità ebraica più piccola della Scandinavia dopo l’Islanda, con circa 1.200 membri e 180.000 musulmani, il rapporto è uno a 150. Sebbene questi numeri non riflettano conflitti diretti, il quadro demografico evidenzia una coesistenza che nasconde tensioni profonde. Secondo stime di fonti come il Pew Research Center e l’European Jewish Congress, la relativa esiguità della popolazione ebraica, rispetto alla più ampia presenza musulmana nei tre Paesi, contribuisce a questa dinamica di tensione.
In Norvegia, l’antisemitismo si manifesta principalmente in modo episodico, ma l’aumento dell’antisionismo ha spinto la comunità ebraica di Oslo a rafforzare la sicurezza, con sinagoghe protette e vigilanza costante. Il governo norvegese ha promesso maggiori fondi per combattere l’antisemitismo, inclusi finanziamenti per centri culturali ebraici e l’addestramento della polizia.
In Svezia, episodi di antisemitismo sono frequenti, specialmente a Malmö, dove la comunità ebraica locale, già in declino, ha messo in guardia sul rischio di estinzione senza misure adeguate. È urgente garantire protezioni più forti e adottare azioni governative concrete per fermare la crescente ostilità.
In Danimarca, personalità di spicco della comunità, come Martin Krasnik, direttore del quotidiano Weekendavisen, hanno denunciato la normalizzazione delle misure di protezione, come il filo spinato attorno a scuole e sinagoghe, come sintomo di un malessere sociale più profondo. Nonostante l’aumento della presenza della polizia, persiste la preoccupazione che l’odio stia diventando parte integrante della società.

(Bet Magazine Mosaico, 28 novembre 2024)

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“Noi veniamo al Quirinale, lei c’è?”: Mattarella sorprende gli alunni della “Vittorio Polacco”

di Luca Spizzichino

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Quella che doveva essere una normale visita al Quirinale si è trasformata in un incontro speciale con il Presidente della Repubblica. Tutto è iniziato con Samuel, un alunno di Quinta della Scuola Ebraica Elementare “Vittorio Polacco”, che ha deciso, pochi giorni prima della visita, di scrivere direttamente al Presidente Sergio Mattarella tramite il sito ufficiale del Quirinale. “Gli ho scritto che il 27 saremmo andati al Quirinale con la classe e mi avrebbe fatto tanto piacere incontrarlo” ha raccontato Samuel. Inizialmente il bambino non pensava che avrebbe ricevuto risposta, ma non si è scoraggiato e, saputo che il Presidente era rientrato da un viaggio ufficiale in Cina, gli ha scritto nuovamente.
  “Sapevamo che Samuel, di sua sponte, aveva scritto al Capo dello Stato. Non pensavamo realmente che avremmo avuto riscontro e invece poco prima della visita è arrivata la telefonata del Quirinale, in cui ci hanno detto che il Presidente ci avrebbe ricevuto” ha raccontato Roberta Spizzichino, direttrice della scuola.
  “Ci hanno chiesto di posticipare l’orario della gita perché il Presidente aveva letto le email di Samuel e voleva incontrarlo” ha spiegato la morà Giordana Terracina, madre di Samuel e referente scolastica per le uscite. “Non ce lo aspettavamo. È stata una sorpresa meravigliosa”.
  I bambini, ignari di tutto, hanno scoperto solo pochi minuti prima che avrebbero incontrato il Presidente in persona. “Non volevamo dirglielo subito, nel caso ci fossero stati imprevisti i bambini sarebbero rimasti delusi” ha aggiunto Roberta Spizzichino. Durante la visita, mentre percorrevano le magnifiche sale del Quirinale, la guida ha iniziato a ricevere aggiornamenti sul momento tanto atteso. Infine, i bambini sono stati fatti entrare in una lunga sala, disposti in fila e preparati all’arrivo del Presidente.
  Quando Mattarella è entrato, si è subito rivolto a Samuel, riconoscendolo come l’autore delle email. “Sei tu Samuel che mi ha scritto la mail?”, gli ha chiesto stringendogli la mano. Dopo aver salutato tutti i bambini, Mattarella ha chiesto loro quali fossero le parti del Quirinale che avevano apprezzato di più. Alcuni hanno menzionato la Sala degli Specchi, altri la Sala del Ballo o i maestosi lampadari. Il Presidente ha poi posato per una foto di gruppo, regalando un ricordo che difficilmente dimenticheranno. Nonostante la brevità dell’incontro, il calore e la semplicità di Mattarella hanno conquistato tutti, bambini e adulti.
  “È stato un momento molto bello. – ha commentato la direttrice – Il Presidente Mattarella ha stretto la mano a tutti, uno per uno, e ha parlato con loro. Li ha fatti sentire importanti, perché lo sono”. “È stato bellissimo vedere i bambini così emozionati e composti, questa esperienza la ricorderanno per sempre”.
  Samuel, intanto, conserva gelosamente il ricordo del suo incontro: “Il Presidente mi ha stretto la mano e io questa mano non la lavo più!” ha detto con entusiasmo.

(Shalom, 28 novembre 2024)

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Dopo la tregua ipotesi immunità per Bibi. E Israele annuncia: ricorso contro la Cpi

Per Tajani l'ordine "inapplicabile" finché è in carica. Le indiscrezioni su uno scambio di favori con Parigi.

di Francesco De Remigis 

Scattata la tregua sul campo, al tacer delle armi si scatena la giurisprudenza. E fioccano i distinguo sul «caso Bibi». Il premier israeliano colpito da mandato d'arresto internazionale emesso dalla Corte penale dell'Aia per presunti crimini di guerra a Gaza ieri è passato al contrattacco. «Emissione priva di qualsiasi base fattuale o legale», fa sapere il suo ufficio politico, annunciando sul filo di lana il ricorso per confutare sia il provvedimento che prende di mira il ministro della Difesa Gallant sia quello relativo al premier stesso.
  Almeno finché è in carica, sostiene il ministro degli Esteri Tajani, per Netanyahu il mandato d'arresto è inapplicabile. Ieri al question time Tajani ha infatti chiarito che il governo italiano sta esaminando «in dettaglio» le motivazioni della sentenza. Pur riconoscendo l'autorità della Cpi, parla di «approfondimenti giuridici» in corso in relazione alla prevalenza del diritto internazionale generale sulle immunità. Uno stand-by di fatto che congela le certezze di chi in Europa avrebbe forse voluto vedere il leader israeliano già con le manette ai polsi, a partire dall'Alto rappresentante Ue Borrell, per cui ottemperare al mandato d'arresto «non è qualcosa che si può scegliere»; almeno non nei 124 Paesi che riconoscono l'autorità della Cpi.
  Invece anche la Francia ieri ha rispedito al mittente il messaggio del «governo» uscente dell'Ue. Ricalibrando le iniziali aperture all'arresto, il ministro degli Esteri transalpino Barrot ha spiegato che ci sono «immunità» previste dal diritto internazionale riguardo a Stati «che non fanno parte della Corte». E visto che Israele non ha ratificato lo Statuto (come neppure gli Usa) «Bibi» potrebbe essere dunque esentato dall'esecuzione del provvedimento. Parigi coopera con la Cpi, ha detto Barrot, ma «per certi leader» la decisione spetta all'autorità giudiziaria nazionale.
  Giravolta d'Oltralpe, che svela l'esito del confronto al G7 Esteri: a Fiuggi, su input italiano, è emerso che una cosa è onorare il Trattato di Roma, altro è dare la stura a odiatori e toghe che mettono sullo stesso piano la leadership terrorista di Hamas con quella democraticamente eletta di Israele. Tassello non secondario nel domino mediorientale è stata però la decisione di Netanyahu di accettare una tregua con Hezbollah e il graduale ritiro dal Libano del sud. Un passaggio che ha fatto girare la ruota della politica, in attesa che quella della giustizia faccia il suo corso. Per il quotidiano Haaretz, Israele avrebbe infatti condizionato il coinvolgimento della Francia nell'accordo di cessate il fuoco nel Paese dei Cedri proprio all'annuncio pubblico di Parigi sul salvacondotto per Bibi.
  Pragmatismo e realpolitik, a cui si aggrappa anche Berlino. La richiesta di manette per Netanyahu, riassume Tajani, rischia di restare solamente «un messaggio politico», perché in un momento di estrema tensione a Gaza e in Libano «occorre perseguire obiettivi realistici che favoriscano dialogo e de-escalation».
  L'enigma Bibi si innesta così in un puzzle in cui ogni nazione mette in campo sfaccettature diplomatiche per non essere spettatrice; con Parigi alla disperata ricerca di centralità, in una fase che dovrebbe congelare il conflitto tra Tel Aviv e i miliziani filo-iraniani fino all'insediamento di Trump alla Casa Bianca. Per la premier Meloni, che invita a lavorare alla stabilizzazione del confine israelo-libanese, la tregua è infatti solo «un punto di partenza».

(il Giornale, 28 novembre 2024)

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Il jihad giudiziale della CPI

di  Davide Cavaliere

La Corte penale internazionale (CPI), una delle tante istituzioni multinazionali che compongono «l’ordine internazionale basato sulle regole», ha emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, nonché per un leader di Hamas eliminato a luglio.
  Questo atto di «solidarietà» verso la Palestina ci dimostra, ancora una volta, che l’idealismo inetto delle istituzioni «sovranazionali» dell’Occidente ha raggiunto la piena bancarotta morale e intellettuale.
  La CPI esiste in virtù di un trattato multinazionale e ha giurisdizione solo sui rappresentanti degli Stati che vi partecipano. Pertanto, come fanno i membri di Hamas, un’organizzazione terroristica a cui Israele ha consegnato la Striscia di Gaza nel 2005, a rientrare nella giurisdizione della CPI o su uno Stato che non ha ratificato lo Statuto di Roma come Israele?
  Inoltre, la CPI ha avviato il suo procedimento per conto di uno Stato inventato dalla Corte stessa, il cosiddetto «Stato di Palestina». Come spiega il Wall Street Journal, questo fatto implica che essa «ritiene che i confini dello Stato includano Gaza», che dal 2007 non è sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’unico organismo di autogoverno palestinese ufficialmente riconosciuto.
  Poi, i crimini denunciati dalla Corte sono inesistenti. Israele non sta infliggendo un genocidio agli arabi-palestinesi, si tratta di una spudorata bugia, come non è credibile l’accusa secondo cui l’IDF starebbe «intenzionalmente dirigendo attacchi contro una popolazione civile». Nessun esercito nella storia, che combatta una guerriglia in una zona così densamente popolata, ha mai mostrato tanta preoccupazione per le vite dei civili come quello israeliano. Anzi, gli scrupoli umanitari dello Stato ebraico hanno rallentato le operazioni belliche.
  Come ha sottolineato sempre il WSJ, a marzo, «Israele non ha bisogno di essere sollecitato a fornire aiuti umanitari o ad agire con cautela. Secondo il colonnello britannico in pensione Richard Kemp, il rapporto medio di morti tra combattenti e civili a Gaza è di circa 1 a 1,5. Ciò è sorprendente poiché, secondo le Nazioni Unite, il rapporto medio di morti tra combattenti e civili nella guerra urbana è stato di 1 a 9».
  La CPI, come l’ONU e le sue numerose agenzie, è uno degli strumenti del jihad giuridico contro Israele, che abusa della sua giurisdizione per delegittimare e demonizzare lo Stato ebraico, tentando di porlo in una condizione di «apartheid» internazionale.
  Un’altra sfacciata menzogna della Corte riguarda l’accusa secondo cui Israele stia deliberatamente usando la fame come arma. Un’accusa assurda. Israele ha facilitato il passaggio di oltre 57.000 camion per oltre 1,1 milioni di tonnellate di aiuti alimentari. Il tutto, nonostante i massicci furti operati da Hamas. I blocchi e i rallentamenti sono stati necessari per evitare che i terroristi si rifornissero mediante tali furti. Il diritto internazionale non prevede che un belligerante fornisca sostentamento all’altro.
  Il mandato di cattura emesso contro Netanyahu e Gallant rappresenta però l’ultimo rantolo di un’istituzione moribonda. Con l’insediamento di Donald Trump, la CPI dovrà affrontare sanzioni ancora più punitive di quelle del 2020, annullate quasi immediatamente da Biden. L’idea è quella di tagliare fuori dal sistema bancario statunitense i funzionari della Corte. Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha parlato di «sanzioni infernali».
  Lo spregevole jihad giudiziale della CPI contro Israele dimostra, ancora una volta, il fallimento del magico «ordine internazionale basato sulle regole», che privilegia trattati, accordi, leggi, patti, diplomazia e trattati multinazionali, e i sogni febbrili dei globalisti che pretendono d’incarnarlo.
  La politica estera ossessionata da «norme» e «regole» non solo non è stata in grado, come nel caso del conflitto russo-ucraino, di arrestare l’uso della forza da parte di coloro che non si fanno scrupoli a impiegarla, ma è diventata uno strumento in mano a organizzazioni terroristiche e Stati canaglia per ostacolare le democrazie in lotta per la loro sopravvivenza.
  I tutori del «diritto internazionale» non trovano mai il tempo per indagare sui crimini e le violazioni compiute dalla Russia o dalla Turchia, dall’Iran o dalla Cina, preferendo concentrarsi ossessivamente su Israele e, talvolta, sugli Stati Uniti.
  La convinzione che ci sia una «armonia di interessi» globale, una sorta di partecipazione collettiva a principi universali, che possano costituire la base per un solido diritto internazionale è, nella migliore delle ipotesi, ingenua, nella peggiore, demenziale. La politica interna ed estera è guidata da obiettivi politici, interessi nazionali e di sicurezza di ogni singolo Paese.
  La giustizia, quindi, raramente se non mai, è un fattore determinante, nell’elaborazione delle politiche o delle sentenze, che funzionano come camuffamento per perseguire interessi particolari. La CPI non fa eccezione. Come ha scritto Robert Bork, ex Avvocato generale degli Stati Uniti, «il diritto internazionale non è diritto ma politica».
  Istituzioni come la CPI illustrano il punto sottolineato da Bork. Il loro scopo non è garantire una qualche forma di giustizia, ma servire il «nuovo ordine mondiale» globalista che disprezza le nazioni gelose della loro sovranità come gli Stati Uniti, Israele o la Polonia, oltreché promuovere il revanscismo dei popoli arabo-musulmani contro l’Occidente.
  È arrivato il momento di ripensare l’attuale ordinamento internazionale, con le sue Corti e le sue agenzie manipolate da fiancheggiatori del terrorismo. Imporre loro «sanzioni infernali» sarebbe già un buon punto di partenza.

(L'informale, 28 novembre 2024)

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La rabbia di Hamas per l’accordo tra Israele e Hezbollah

Irritati perché Hezbollah ha reciso il collegamento con la guerra a Gaza. Ma anche loro cercano un accordo.

di Sarah G. Frankl

I superstiti della leadership di Hamas nella Striscia di Gaza esprimono rabbia nei confronti di Hezbollah, che ha accettato di recidere il collegamento tra il fronte settentrionale e il fronte della Striscia di Gaza.
Residenti nella Striscia di Gaza che hanno parlato con elementi di Hamas riportano di aver sentito che l’organizzazione è delusa dalla posizione di Sheikh Naim Qassem, segretario generale di Hezbollah e che – secondo Hamas – se Hassan Nasrallah fosse rimasto in vita, non avrebbe mai accettato la rottura del collegamento tra il Libano e la Striscia di Gaza.
Un funzionario di Hamas ha detto ieri sera al quotidiano del Qatar “Al Arabi” che l’organizzazione rifiuta qualsiasi accordo che non includa le condizioni poste dalla resistenza, e che l’organizzazione non cederà alle pressioni per legittimare l’occupazione israeliana. Ha detto che l’accordo di cessate il fuoco in Libano non cambierà la posizione di Hamas, né la farà allontanare dalle condizioni fissate in passato.
Il giornale ha anche riferito che una delegazione della sicurezza egiziana si recherà in Israele per discutere la liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, nonché proposte per il “giorno dopo” la guerra nella Striscia di Gaza.
L’agenzia francese AFP ha citato una fonte importante di Hamas che ha affermato: “Siamo pronti per un accordo a Gaza dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah”.

(Rights Reporter, 27 novembre 2024)

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L’accordo di tregua in Libano, le sue ragioni e le sue conseguenze

di Ugo Volli

• IL CESSATE IL FUOCO
  Dopo un ultimo scambio di missili di Hezbollah contro il territorio israeliano e di bombardamenti israeliani sulle forze terroriste, è iniziata stamattina alle 4 la tregua sul fronte settentrionale della guerra, negoziata fra Israele e Libano con la mediazione (di più: la forte pressione) del governo americano. I termini del cessate il fuoco sono chiari: la tregua vale per 60 giorni, ma potrebbe essere rinnovata: Hezbollah ritirerà le armi e i combattenti che le restano al di là del fiume Litani, una dozzina di chilometri al nord del confine, già raggiunto dalle forze armate israeliane, con la proibizione di riportarle oltre il fiume; nello spazio fra questa linea e il confine internazionale l’esercito israeliano si ritirerà progressivamente e sarà sostituito da quello libanese e da Unifil (le forze dell’Onu) che avranno il mandato esplicito di impedire il ritorno dei terroristi e la ricostruzione delle strutture per l’attacco a Israele che vi avevano eretto; gli abitanti del nord di Israele e del sud del Libano, che erano stati costretti a sfollare torneranno alle loro case; in caso di violazione dell’accordo Israele avrà diritto all’autodifesa sul territorio libanese.

• I LIMITI DELL’ACCORDO
  Sono clausole che soddisfano le richieste iniziali di Israele, cioè la cessazione degli attacchi missilistici di Hezbollah iniziati l’8 ottobre dell’anno scorso; l’applicazione della risoluzione Onu 1701 del 2006, che imponeva appunto lo sgombero dei terroristi fino alla linea del Litani; e il diritto israeliano di intervento in caso di violazione. Non comprendono però la distruzione totale di Hezbollah, che senza dubbio utilizzerà la tregua per riorganizzarsi dopo i durissimi colpi subiti. Per questa ragione gli accordi, almeno stando ai sondaggi, lasciano insoddisfatta la maggioranza degli israeliani, timorosa che prima o poi si riapra la possibilità di un attacco terrorista al nord. La deliberazione governativa svoltasi ieri notte sull’accettazione della tregua porta traccia di questo dissenso, perché in maniera inusuale non è stato unanime ma è finito 12 a 1 con il voto contrario di Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza ed esponente della destra.

• IL DISCORSO DI NETANYAHU
  Con un energico discorso televisivo tenuto subito prima di questa votazione, il primo ministro Netanyahu ha rivendicato la decisione, dicendo che essa è un passo per la vittoria, che non conclude la guerra sugli altri fronti, che è una scelta giusta per Israele, che la sua realizzazione concreta dipende da quel che accade sul terreno: “Se Hezbollah cercherà di attaccarci, se si arma e ricostruisce infrastrutture vicino al confine, noi attaccheremo, se lanciano missili e scavano tunnel, noi attaccheremo” ha detto. Netanyahu ha presentato tre ragioni sul “perché della tregua” in Libano. La prima è di potersi “concentrare contro la minaccia iraniana”, che è la “testa della piovra” terrorista, che va tagliata impedendo l’armamento nucleare del regime degli ayatollah. La seconda è la necessità di “rinnovare” e “riarmare” le le formazioni militari, spiegando che “non è un segreto” che vi sono stati “grandi ritardi” nelle forniture di armi. “Presto – ha aggiunto – disporremo di armi sofisticate che ci aiuteranno a proteggere i nostri soldati e ci daranno ancora maggiore forza per completare la nostra missione”. Terza ragione, quella di isolare Hamas, rompendo il nesso fra Gaza e Libano che era il punto essenziale della guerra al nord: “Hamas contava su Hezbollah per combattere insieme ed una volta che Hezbollah è eliminato, Hamas resta solo. La nostra pressione su Hamas crescerà e questo ci aiuterà a portare a casa gli ostaggi”. Netanyahu ha ringraziato Biden per il suo “coinvolgimento” nell’accordo. Biden stesso è intervenuto dalla Casa Bianca vantando come un suo successo le “ buone notizie per il Medio Oriente” costituito dall’accordo “designato per essere una permanente cessazione delle ostilità”.

• LE PRESSIONI AMERICANE
  E’ vero che questo accordo è un successo dell’amministrazione americana, che l’ha spinta in tutti i modi. Bisogna sottolineare che i 60 giorni di tregua coincidono con la durata rimanente dell’amministrazione democratica. Come ha spiegato in maniera più esplicita di tutti un altro ministro israeliano di destra, Bezalel Smotrich, si tratta di un periodo estremamente delicato, in cui Biden e i suoi uomini hanno ancora tutti i poteri ma in sostanza non devono rispondere all’elettorato delle loro azioni e possono essere tentati di compiere dei gesti pericolosi per Israele, come fece l’amministrazione Obama sconfitta dalla prima affermazione di Trump, lasciando passare all’Onu una mozione molto negativa per Israele. I primi punti della dichiarazione di Netanyahu corrispondono esattamente a questo problema: da qualche tempo il governo americano non permetteva più il rifornimento di armi e munizioni necessarie per la guerra e non aveva consentito al piano israeliano di eliminare le istallazioni nucleari iraniane. Vi è anche il fatto che l’Iran continua a minacciare Israele di una nuova ondata missilistico negli scambi di rappresaglie con Israele e, per minimizzare il pericolo sulla popolazione civile di Israele, la presenza di forze americane è molto importante; ma nelle ultime settimane, per la prima volta dall’inizio della guerra, gli Usa avevano tolto ogni portaerei con la relativa flotta dalle acque del Medio Oriente. E infine vi sono le votazioni al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove il governo israeliano temeva che Biden lasciasse passare senza veto una risoluzione che imponesse la fine della guerra anche a Gaza, senza la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi.

• UNA VITTORIA E LE SUE CONSEGUENZE
  Insomma la decisione della tregua col Libano è stata presa tenendo conto dei rapporti con gli Usa, oltre che della situazione sul terreno; l’allontanamento di Hezbollah dal confine, l’impegno a non sparare più su Israele a pena della ripresa della guerra e la fine del legame fra fronte del Libano e fronte di Gaza sono senza dubbio una vittoria: questi erano gli impegni che i suoi dirigenti avevano rifiutato per tutta la durata della guerra e che Israele ha ottenuto non per regalo americano ma conquistandoli sul terreno, “grazie all’eroismo dei soldati e alla resistenza del fronte interno”, come ha detto Netanyahu. Ma soprattutto in questa maniera Israele ha acquistato il tempo necessario a entrare in posizione di vantaggio nel nuovo quadro strategico che sarà determinato dalla presidenza Trump. Ancora una volta Netanyahu ha mostrato di essere il solo leader israeliano capace di andare dove crede giusto per il paese, se è il caso contro la volontà degli americani (come nel caso dell’ingresso a Rafah) ma anche contro l’opinione prevalente nel suo elettorato, come questa volta, rischiando dunque il suo consenso personale per il bene di Israele. Ora restano da liberare i rapiti, da eliminare i residui di Hamas, ma resta soprattutto il problema dell’Iran, che ha perso i suoi principali appoggi contro Israele e vede in prospettiva minacciato il suo armamento atomico. Gli ayatollah prenderanno atto di aver perso la guerra o proveranno a intervenire direttamente?

(Shalom, 27 novembre 2024)


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Tregua fragile in attesa di Trump

La tregua raggiunta tra Israele e Hezbollah, entrata in vigore oggi e fortemente voluta dall’uscente Amministrazione Biden, in base alla quale le forze di Hezbollah si ritireranno completamente dal confine con Israele oltre il fiume Litani, consentendo ai sessantamila sfollati costretti a lasciare le loro abitazioni all’inizio della guerra, il 7 ottobre 2023, di ritornarvi progressivamente, fa perno su una garanzia fondamentale.
La garanzia consiste nella possibilità da parte di Israele di riprendere il conflitto qualora Hezbollah violi i termini della tregua, garanzia fornita dagli Stati Uniti, e senza la quale Netanyahu non avrebbe accettato alcuna tregua.
Come tutte le tregue, anche questa indica che il conflitto non è risolto ma solo momentaneamente sospeso, e la sua sospensione giunge in un momento in cui Israele si trova fortemente in vantaggio sul delegato iraniano in Libano a cui ha assestato una serie di colpi micidiali depotenziando drasticamente la sua capacità offensiva e decapitandone la leadership, eliminando soprattutto quello che per anni è stato il suo simbolo indiscusso, Hassan Nasrallah.
L’obiettivo di Israele non è mai stato, fin dal principio, quello di sradicare Hezbollah dal Libano, al contrario di ciò che si propone di fare a Gaza con Hamas, ma di diminuirne in modo drastico la minaccia, ovvero fiaccare in modo consistente uno dei tentacoli della piovra iraniana.
La tregua prevede che entro sessanta giorni l’esercito israeliano lasci la parte meridionale libanese e che Hezbollah, sotto la supervisione del governo in carica, ottemperi alla Risoluzione 1701, cosa che non ha mai fatto dal 2006 ad oggi.
È chiaro che si tratta di una tregua fragile, la quale, al momento, avvantaggia Hezbollah essendo quest ultimo, tra i due attori bellici, quello che ha sofferto maggiormente, ma ciò nonostante, due mesi sono un arco di tempo troppo breve per riparare anche minimamente ai danni provocati da Israele. Tra due mesi, inoltre, alla Casa Bianca si insedierà di nuovo Donald Trump e con la nuova amministrazione americana Netanyahu sa di potere avere le spalle molto più coperte. È infatti questo il motivo principale per il quale ha accttato la tregua, fare in modo che nel cosiddetto periodo dell'”anatra zoppa”, l’uscente amministrazione non gli assesti un colpo micidiale come fece Obama nel dicembre del 2016 quando non pose il veto americano alla Risoluzione 2334, una della più punitive contro lo Stato ebraico mai licenziate in sede ONU.

(L'informale, 27 novembre 2024)


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Forse Israele sta commettendo un altro errore

Con l'ultimo cessate il fuoco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deluso soprattutto i suoi elettori.

di Aviel Schneider

Secondo diversi sondaggi diffusi dai media e da vari canali Telegram, la grande maggioranza della popolazione di destra del Paese è contraria al cessate il fuoco. Un commentatore dei media israeliani ha detto in poche parole: “Israele ha sconfitto Hezbollah in modo sanguinoso e ora sta ordinando un'ambulanza per portarli in un lussuoso centro di riabilitazione”. Nessuno dovrebbe concedere alle milizie terroristiche sciite del Libano questa cura e questo soccorso. Per questo molti qui credono che Israele e Benjamin Netanyahu stiano ancora una volta commettendo un errore tattico per soddisfare l'alleato americano. Un cessate il fuoco alla vigilia del KO è stupido, ma sembra che Israele sia stato costretto a farlo.
Anche i politici cristiani in Libano sono scontenti e nelle ultime settimane hanno ripetutamente sottolineato che Hezbollah deve essere schiacciato. Gli stessi politici libanesi sono persino apertamente favorevoli alla pace con il vicino meridionale Israele. Ma la risposta è semplice: la massiccia pressione americana. La cosa triste è che il Libano era sull'orlo di una svolta politica strategica, ma gli Stati Uniti hanno perso questo passo per motivi egoistici. È vero che sono stati ottenuti grandi successi strategici sul fronte settentrionale, ma non bisogna dimenticare che c'è una differenza tra sicurezza e sensazione di sicurezza.

• IL GABINETTO APPROVA L'ACCORDO DI CESSATE IL FUOCO CON HEZBOLLAH
  Martedì sera, dopo settimane di negoziati, il Gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato l'accordo di cessate il fuoco con gli Hezbollah libanesi. La riunione si è svolta presso il quartier generale di Tel Aviv. Dieci ministri hanno votato a favore, mentre il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha votato contro. L'accordo è entrato in vigore alle 4 del mattino.
Un comunicato dell'Ufficio del Primo Ministro ha dichiarato:
"Il Gabinetto di Sicurezza ha approvato il cessate il fuoco in Libano proposto dagli Stati Uniti con una maggioranza di dieci a uno. Israele apprezza il ruolo degli Stati Uniti nel processo negoziale e si riserva il diritto di agire contro qualsiasi minaccia alla sua sicurezza”.
Poco dopo, l'ufficio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha rilasciato un'altra dichiarazione in cui si afferma che Netanyahu ha parlato con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e lo ha ringraziato per il sostegno americano nel raggiungimento dell'accordo di cessate il fuoco. Ha sottolineato che “Israele mantiene la piena libertà di azione nell'attuazione dell'accordo”.
Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha espresso la sua disapprovazione in un messaggio sulla Piattaforma X:
“La decisione del gabinetto è un grave errore. Un cessate il fuoco in questo momento non riporterà la popolazione del nord alle proprie case, non scoraggerà Hezbollah e perderà un'opportunità storica per infliggergli un colpo decisivo e metterlo in ginocchio”.
Sono d'accordo con Ben-Gvir, cosa che non mi capita sempre.
In un discorso al pubblico israeliano, Netanyahu ha spiegato che la durata del cessate il fuoco dipenderà da ciò che accadrà in Libano. Ha assicurato che Israele reagirà immediatamente se Hezbollah dovesse violare l'accordo: “In pieno coordinamento con gli Stati Uniti, manterremo la nostra libertà d'azione militare. Se Hezbollah viola l'accordo, si riarma, ricostruisce infrastrutture terroristiche vicino al confine o lancia razzi - allora attaccheremo”.
Il ritorno dell'esercito libanese nel sud del Paese? Questo non è altro che un autoinganno. L'esercito libanese è sotto il controllo di un governo in cui Hezbollah è una parte centrale della coalizione. È lo stesso esercito che è rimasto inattivo a guardare Hezbollah armarsi e costruire un enorme arsenale di razzi che minacciano la popolazione civile israeliana.
Un meccanismo di controllo internazionale? Ricorda troppo i precedenti accordi: impressionanti sulla carta, ma privi di effetti e spesso falliti dopo pochi mesi.
Le minacce di Israele non vanno prese sul serio:Se Hezbollah rompe gli accordi, la terra brucerà nella terra dei cedri”. La storia dimostra che tutte le minacce di Israele non hanno portato a nulla. Come dopo la seconda guerra del Libano (2006), come dopo il ritiro delle truppe israeliane dal Libano (2000), come dopo il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza (2005) e come non accadrà nulla ora.
Ma per calmare le acque, soprattutto tra i suoi elettori, il primo ministro Netanyahu ha rilasciato ieri sera una dichiarazione stampa in cui ha spiegato le ragioni del cessate il fuoco con le milizie terroristiche sciite. Ha assicurato che l'esercito israeliano avrebbe attaccato di nuovo se l'accordo fosse stato violato. Netanyahu ha giustificato la sua decisione principalmente con il fatto che si sono verificati forti ritardi nella consegna di armi ed equipaggiamenti. “Questi ritardi saranno presto risolti e Israele si doterà di armi avanzate che proteggeranno la vita dei soldati e forniranno una potenza di fuoco aggiuntiva per svolgere le missioni”.
Un altro punto è la separazione dei fronti di conflitto e l'isolamento di Hamas. “Dal secondo giorno di guerra, Hamas ha fatto affidamento su Hezbollah per combattere al suo fianco. Quando Hezbollah è fuori dai giochi, Hamas è da solo a combattere”, ha detto Netanyahu. L'aumento della pressione su Hamas contribuirà alla santa missione di liberare gli ostaggi”.
Netanyahu ha sottolineato il danno che è già stato fatto a Hezbollah: “Hezbollah ci ha attaccato l'8 ottobre. Un anno dopo non è più la stessa organizzazione. L'abbiamo riportata indietro di decenni. Abbiamo eliminato Nasrallah, il cuore della sua leadership. Abbiamo ucciso i suoi comandanti di alto livello, distrutto la maggior parte dei suoi razzi e missili, eliminato migliaia di combattenti e distrutto l'infrastruttura sotterranea costruita negli anni al nostro confine. Sono stati colpiti obiettivi strategici in tutto il Libano e sono state distrutte decine di torri terroristiche a Dahieh. La terra a Beirut sta tremando”.
Netanyahu ha sottolineato tutto questo per rassicurare i suoi elettori di destra, insoddisfatti del cessate il fuoco. Lui e il suo governo devono insistere su di esso:

  1. Una zona di sicurezza smilitarizzata (No Man's Land) nel sud del Libano. Diversi chilometri a nord del confine israeliano, senza alcuna presenza civile. In questo modo sarebbe chiaro che questo è il prezzo per l'aggressione di Hezbollah. Questa zona verrebbe fatta rispettare dall'aviazione israeliana per evitare che i villaggi vengano usati come nascondigli per i combattenti di Hezbollah - perché questi villaggi semplicemente non esistono più.
  2. Gli Hezbollah si ritirano a nord del fiume Litani e fuori dalla portata dei missili anticarro. La striscia del Litani da sola è troppo stretta. È necessario creare un ampio corridoio di sicurezza per evitare una minaccia permanente per Israele.
  3. Piena libertà d'azione per Israele. Israele deve mantenere il diritto di combattere qualsiasi minaccia in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, soprattutto se i meccanismi di controllo internazionali non sono in grado di prevenire il contrabbando di armi. In definitiva, Israele deve poter contare su se stesso.
  4. Sanzioni internazionali contro Hezbollah nel suo complesso, compreso il suo braccio politico. L'obiettivo è quello di prosciugare le fonti finanziarie dell'organizzazione. Si tratta di un prerequisito necessario per liberare il Libano dalla morsa dell'Iran e per far sì che, a lungo termine, il Paese torni a essere la “Svizzera del Medio Oriente”, anziché la “bocca dell'inferno del Medio Oriente” in cui Hezbollah e l'Iran lo hanno trasformato.

• DELUSIONE NEL NORD
  Nel corso di una discussione con i rappresentanti delle comunità del nord, caratterizzata da litigi e discussioni ad alta voce, Netanyahu ha spiegato che al momento non esiste un piano per consentire ai residenti del nord di tornare alle loro case, poiché l'accordo è limitato a soli 60 giorni. “Sono tornato a casa molto pessimista”, ha detto uno dei leader della comunità che ha partecipato all'incontro con Netanyahu.
I leader della comunità hanno criticato aspramente l'accordo e i toni sono stati tesi. Netanyahu, da parte sua, è rimasto calmo, anche se le parole sono state taglienti e sgradevoli. Moshe Davidovitz, presidente del Consiglio regionale di Mateh Asher, nel nord, e presidente del Frontline Forum, ha criticato Netanyahu:
"Ci sembra di essere in un teatro dell'assurdo e che la partita a dadi sia già stata decisa. Non avevate alcuna intenzione di invitarci. Per fortuna ci sono il suo direttore generale e i ministri del suo governo che le hanno detto che noi rappresentiamo i residenti della Galilea. Non ci avete consultato, non avete avuto alcuna intenzione di spiegarci cosa stava realmente accadendo. I nostri residenti sono stati abbandonati. I nostri residenti non possono tornare alle loro case in sicurezza, come avete promesso ai media. Di quale 'sicurezza' state parlando?”.

(Israel Heute, 27 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L’analista Jed Babbin: “L’ONU è l’ancella dei terroristi”

di Nathan Greppi

Dopo il 7 ottobre 2023, l’ostilità delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali nei confronti d’Israele è diventata sempre più evidente: l’hanno dimostrato prima le parole del segretario dell’ONU Antonio Guterres volte a giustificare gli eccidi compiuti da Hamas, poi lo scandalo sui dipendenti UNRWA che hanno preso parte agli attacchi, e più di recente il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant.
  Non tutti gli esperti sono rimasti sorpresi di fronte a questo scenario. Chi aveva già previsto in tempi non sospetti la deriva antisraeliana e antioccidentale che l’ONU avrebbe preso nel lungo periodo, e ha dedicato a questo tema il suo libro del 2004 Inside the Asylum, è l’analista americano Jed Babbin: avvocato ed ex-ufficiale dell’aeronautica, dal 1990 al 1991 è stato vice-sottosegretario alla difesa, sotto la presidenza di George H. W. Bush. Oggi scrive articoli sui temi della difesa e degli affari esteri per The Washington Times e The American Spectator.

- Già vent’anni fa, lei ha criticato l’atteggiamento delle Nazioni Unite verso il terrorismo e l’Occidente. Dopo quello che è successo dal 7 ottobre in avanti, come giudica l’operato dell’ONU nei confronti di Israele e Hamas?
  Come lei ha sottolineato, il comportamento dell’ONU e il ruolo dell’UNRWA nel sostenere il terrorismo sono notizie vecchie. Terroristi di vario genere vengono tollerati dall’ONU e assunti dall’UNRWA. Il comportamento di queste due organizzazioni le rende entrambe complici degli attacchi del 7 ottobre 2023, che hanno portato all’uccisione di più di 1.200 israeliani e cittadini di altre nazioni, tra cui 32 americani. L’ONU dovrebbe essere condannata fermamente per questo.
  Nel libro Inside the Asylum, ho anche dimostrato come l’ONU ha permesso a Hezbollah di sventolare la sua bandiera accanto alla propria in un avamposto sul confine israelo-libanese. L’ONU è l’ancella dei terroristi che minacciano Israele.

- Alcune delle recenti nomine di Donald Trump per la sua nuova amministrazione, come Mike Waltz ed Elise Stefanik, hanno aspramente criticato l’atteggiamento delle Nazioni Unite nei confronti di Israele. Come pensa che cambierà la politica degli Stati Uniti per quanto riguarda l’ONU dopo il 20 gennaio 2025?
  Spero che gli Stati Uniti esercitino pressioni molto dure sull’ONU affinché interrompa i suoi legami con i gruppi terroristici. Spero anche che ridurremo drasticamente i contributi americani all’ONU, che probabilmente superano i 7 miliardi di dollari all’anno. La cifra esatta è difficile da determinare, perché i contributi sono dispersi tra le varie quote, le missioni di pace e i contributi a vari comitati delle Nazioni Unite e ad altre operazioni. Ma in ogni caso, dovrebbero essere ridotti drasticamente.

- Lei ha fatto parte dell’amministrazione di Bush Sr. Negli ultimi decenni, quali sono stati i cambiamenti più significativi nelle amministrazioni repubblicane e democratiche per quanto riguarda Israele?
  Da parte repubblicana, non c’è stato un cambiamento significativo. I repubblicani, almeno fino ai Bush padre e figlio, sono sempre stati buoni alleati di Israele. Trump ha fatto un ulteriore passo in avanti, e probabilmente è stato il miglior alleato che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca negli ultimi cinquant’anni. Gli Accordi di Abramo sono stati un importante sviluppo verso la pace in Medio Oriente. E poi Biden ha mollato la presa.
  Sul versante democratico, il discorso di Obama al Cairo del 2009 ha allontanato i democratici da Israele, e li ha avvicinati al mondo arabo. Biden si è spinto anche oltre e ha placato l’Iran, Hamas e Hezbollah voltando le spalle a Israele. Peggio ancora, ha esercitato molta pressione per degli accordi di cessate il fuoco a Gaza e in Libano che avrebbero danneggiato gli israeliani e aiutato l’Iran.

- Dopo che Trump tornerà alla Casa Bianca, in che modo pensa che il suo approccio nei confronti dell’Iran sarà diverso da quello di Biden?
  Penso, e spero, che l’approccio di Trump verso l’Iran sarà molto diverso da quello di Biden. Quest’ultimo si è dimostrato assai debole nel complesso, revocando le sanzioni imposte da Trump, ignorando i proventi dell’Iran per le armi nucleari e l’acquisto di petrolio iraniano da parte della Cina. Trump, come ho scritto in un mio articolo sul Washington Times, quasi certamente reintrodurrà le sue sanzioni per esercitare la massima pressione sull’Iran. E se, come auspico, ordinerà alla CIA di fomentare la rivoluzione in Iran, potremmo essere in grado di rovesciare il regime degli ayatollah senza impegnarci in una guerra su larga scala.

- Dopo il 7 ottobre, diversi campus universitari statunitensi si sono trasformati in focolai dell’antisemitismo e del BDS. Cosa pensa che dovrebbe fare l’amministrazione Trump per risolvere questo problema?
  Penso che l’amministrazione Trump dovrebbe ritirare i finanziamenti federali da tutti i college e le università che hanno contribuito alle campagne che hanno alimentato l’antisemitismo e il BDS. Pam Bondi, recentemente scelta da Trump per il ruolo di procuratore generale, ha detto che i visti studenteschi di coloro che hanno preso parte a manifestazioni antisemite dovrebbero essere revocati. Già questa sarebbe un’ottima idea.

(Bet Magazine Mosaico, 27 novembre 2024)

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La pretesa universalità delle sentenze della Cpi è smontata dagli interessi degli Stati

di Boni Castellane

Il fatto che esista un tribunale sovrastatale che decide cosa sia o non sia un «crimine contro l'umanità» e che demandi l'esecutività delle sue sentenze ai vari Stati, mostra con chiarezza che è la forza che fonda il diritto. Le Corti internazionali di vario tipo, da quella penale dell'Aia alla Corte di Giustizia europea del Lussemburgo, sono frutto della concezione secondo cui alcuni legislatori, per forza di cose «illuminati», stabiliscono leggi in base alle quali gli uomini diventano colpevoli o innocenti.
  I primi colonizzatori giudicavano le popolazioni originarie americane in base a leggi europee; un indigeno che adorava il sole era un pagano, e quindi doveva essere convertito o punito. Quella stessa mentalità teocratica si è trasmessa ai «tribunali internazionali» del Novecento passando attraverso la necessaria ripulitura illuminista: giacché Dio non esiste, viene a mancare la giustificazione universale del concetto di bene. Ma Kant ci ha insegnato che non è un problema: basta dire che il bene si fonda su sé stesso e che le leggi sono espressione dei «diritti universali dell'uomo e del cittadino» che alcuni francesi tre secoli fa hanno stabilito. Giacché senza Dio tutto è concesso, occorreva una fondazione «universale» per la giustizia umana e, sempre attraverso norme convenzionali, si è sviluppato il moderno diritto internazionale. Ma come l'Inquisizione aveva bisogno del «braccio secolare», i tribunali internazionali novecenteschi hanno sempre avuto bisogno di qualcuno che imponesse con la forza quelle sentenze che forse tanto indiscutibilmente «universali» non sono.
  I problemi sono nati presto, e non è un caso se la nazione egemone, gli Stati Uniti, non riconosca la Corte dell'Aia. Di caso in caso, di sentenza in sentenza, l'esecutività di tali Corti si è mostrata inesorabile quando sussistevano determinate condizioni politiche e tergiversatrice quando se ne verificavano altre. Né ha giovato la diversità di trattamenti ai vari condannati, la velocità o la lentezza dei processi in base alle circostanze e la scarsa uniformità dei giudizi che di volta in volta si sono susseguiti.
  Due recenti casi hanno mostrato i punti deboli della giustizia internazionale: la condanna di Putin per la guerra in Ucraina e quella di Netanyahu per l'invasione di Gaza. In entrambi i casi, giacché condannare «la guerra» in sé, come diceva il vecchio Céline, aprirebbe la vera ed irrisolvibile questione inerente l'umanità stessa, il punto sono stati i «crimini di guerra». Ma visto che gli accusati rigettano sempre le accuse e visto che non esiste una «polizia giudiziaria mondiale» che faccia rispettare le sentenze, la Cpi assume più la veste di censore morale mondiale che di organo di compiuto giudizio. Nascono così i distinguo in base alle posizioni politiche assunte di volta in volta: per alcuni Putin è un criminale e Netanyahu uno che risponde all'aggressione, per altri il contrario; e il risultato di tutto questo è la certificazione della pura convenzionalità delle sentenze, nonché della loro subordinazione al tono politico globale del momento.
  Lo stesso discorso vale per la Corte di giustizia europea quando ritiene di dover sanzionare uno Stato membro, o stabilire a quali criteri le leggi di un Paese debbano subordinarsi: non si tratta mai di« giustizia» ma di opportunità politiche decise da un organo giudiziario che agisce in base a principi, leggi e giurisprudenze frutto di impostazioni politiche ben precise; i confini, ad esempio, possono passare dall’essere «sacri e inviolabili» all’ essere «limiti umanitari». Ha dunque ragione il vicepresidente eletto degli Stati Uniti, Vance, quando afferma che occorre superare la visione secondo la quale ogni aspetto globale sia controllabile. Forse con il primo presidente americano isolazionista dai tempi di Calvin Coolidge si potrà superare l'idea novecentesca e internazionalista di «organizzazione mondiale», idea nata quando la tecnologia non invadeva la vita degli Stati e delle persone sino al livello attuale, e quando la diplomazia non doveva nascondersi dietro il linguaggio globalista per affermare di perseguire i propri interessi. Anche perché gli «interessi universali» non sono altro che quelli di qualcuno che te li vuole vendere così.

(La Verità, 27 novembre 2024)

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Il ricordo degli ebrei cacciati da paesi arabi e Iran

Dieci anni fa il Parlamento israeliano ha deliberato l’istituzione della Giornata in ricordo degli ebrei cacciati dagli Stati arabi e dall’Iran, fissandola al 30 novembre. Tra il 1948 e il 1970 800.000 ebrei furono costretti ad abbandonare i loro paesi in Nord Africa, Medio Oriente e nella regione del Golfo, dove erano radicati da secoli e in alcuni casi da millenni, per via di persecuzioni e pogrom antiebraici. In decine di migliaia, tra 1979 e 1980, lasciarono anche l’Iran del nuovo corso degli ayatollah.
  Il ricordo di «un esodo drammatico, che ha costretto migliaia di famiglie a lasciare le proprie abitazioni, sinagoghe e beni, spezzando quel profondo legame di appartenenza che le aveva unite per secoli alla loro terra d’origine» è stato al centro di un convegno svoltosi a Roma su iniziativa del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore italiano in Israele. Tra gli intervenuti l’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled. Per lo psicoanalista David Gerbi, fuggito da Tripoli all’età di 12 anni e rappresentante della World Organization of Libyan Jews, «questo esodo di massa rappresenta una parte fondamentale della storia moderna». Tuttavia però, inspiegabilmente, «rimane poco conosciuto e raramente viene menzionato nei dibattiti sui conflitti in Medio Oriente».

(moked, 27 novembre 2024)

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Israele subdolamente costretto ad accettare il cessate il fuoco con Hezbollah

Israele ha deciso così perché non aveva altra scelta se non accettare un cessate il fuoco, in parte per paura che l'amministrazione statunitense potesse punire Israele con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU nelle sue ultime settimane.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu convocherà martedì sera a Tel Aviv il gabinetto di sicurezza di alto livello per approvare un cessate il fuoco di 60 giorni con il gruppo terroristico Hezbollah in Libano, dopo oltre un anno di guerra. Lo si apprende da una fonte vicina al governo.
Allo stesso tempo, la fonte ha sottolineato che Israele accetta la cessazione delle ostilità, non la fine della guerra contro Hezbollah.
“Non sappiamo quanto durerà”, ha detto la fonte riferendosi al cessate il fuoco. “Potrebbe durare un mese, potrebbe durare un anno”.
Fonti libanesi hanno riferito lunedì che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron dovrebbero annunciare a breve un cessate il fuoco.
A Washington, il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato: “Ci siamo vicini”, ma “non si farà nulla finché non sarà tutto chiaro”.
Dall’8 ottobre 2023, le forze guidate da Hezbollah hanno attaccato quasi quotidianamente le comunità e le postazioni militari israeliane lungo il confine, sostenendo che lo fanno per sostenere Gaza durante la guerra in corso.
Circa 60.000 residenti sono stati evacuati dalle città settentrionali al confine con il Libano poco dopo l’assalto di Hamas del 7 ottobre, alla luce dei timori che Hezbollah avrebbe portato a termine un attacco simile e a causa del crescente lancio di razzi da parte del gruppo terroristico. Israele ha cercato di consentire il ritorno dei residenti, anche attraverso un’operazione di terra in corso.
La libertà di Israele di agire in Libano dopo il cessate il fuoco è garantita da una lettera tra Israele e gli Stati Uniti, ha affermato il funzionario. Le Forze di difesa israeliane saranno in grado di operare non solo contro coloro che cercano di attaccare Israele, ma anche contro i tentativi di Hezbollah di rafforzare il proprio potere militare.
“Agiremo”, ha promesso la fonte.
Israele ha deciso così perché non aveva altra scelta se non accettare un cessate il fuoco, in parte per paura che l’amministrazione statunitense potesse punire Israele con una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nelle sue ultime settimane, ha affermato la fonte.
Secondo il funzionario, Israele non riceverebbe dagli Stati Uniti le risorse di cui avrebbe bisogno.
Nel frattempo, un funzionario libanese ha affermato che Washington aveva informato Beirut che un accordo avrebbe potuto essere annunciato “entro poche ore”.
Prima ancora funzionari israeliani avevano affermato che un accordo per porre fine alla guerra si stava avvicinando, sebbene permanessero alcuni problemi, mentre due alti funzionari libanesi avevano espresso un cauto ottimismo, nonostante gli attacchi israeliani avessero colpito il Libano un giorno dopo che Hezbollah aveva lanciato oltre 250 razzi e missili contro Israele.
Secondo quanto riportato dal notiziario del Canale 12, per far sì che il cessate il fuoco fallisca prima dell’incontro di martedì, dovrebbe accadere “qualcosa di drastico”.
Martedì mattina Netanyahu terrà una riunione ristretta con i suoi più stretti collaboratori, tra cui il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer e il ministro della Difesa Israel Katz, ha riferito l’agenzia di stampa.
Il vicepresidente del parlamento libanese, Elias Bou Saab, ha dichiarato lunedì che non ci sono più “seri ostacoli” all’inizio dell’attuazione della tregua proposta dagli Stati Uniti.
Ha affermato che un punto critico su chi monitorerà il cessate il fuoco è stato risolto nelle ultime 24 ore accettando di istituire un comitato composto da cinque paesi, tra cui la Francia, e presieduto dagli Stati Uniti.
Israele aveva insistito affinché la Francia non facesse parte dell’accordo o non fosse membro del comitato internazionale che monitorerà l’attuazione di un accordo, a causa della sua ostilità manifestata nei confronti di Israele negli ultimi mesi, sotto il presidente Emanuel Macron. Macron ha recentemente chiesto ripetutamente un embargo sulle armi a Israele, definendolo come la strada per porre fine alla guerra, innescando una crisi diplomatica.
Una volta che la Francia ha indicato venerdì che non si sarebbe impegnata ad arrestare il primo ministro Benjamin Netanyahu, in seguito ai mandati di arresto emessi contro di lui dalla Corte penale internazionale — solo che “prende nota” della decisione — Israele si è detto disposto ad accettare il coinvolgimento francese.
Nonostante i tentativi di porre fine ai combattimenti, lunedì Israele e Hezbollah hanno continuato a scambiarsi colpi di arma da fuoco .
Lunedì sera, il Comando del Fronte Interno delle IDF ha emanato nuove restrizioni in diverse aree del nord di Israele, dato il timore che Hezbollah intensifichi gli attacchi missilistici prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco.
Se gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco dovessero fallire, ha affermato Channel 12, le IDF hanno in programma di espandere le loro operazioni in Libano.
Lunedì mattina, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir aveva detto a Netanyahu di respingere la proposta di cessate il fuoco, definendola “un grave errore”, anche se, a differenza del passato, non aveva minacciato di far cadere il governo se fosse stata approvata.
In un post su X, il leader del partito ultranazionalista Otzma Yehudit ha avvertito che accettare l’accordo di cessate il fuoco significherebbe perdere un’opportunità “storica” per distruggere il gruppo terroristico sostenuto dall’Iran.
Ha esortato Netanyahu ad “ascoltare i comandanti che combattono sul campo… proprio ora, quando Hezbollah è sconfitto e desidera ardentemente un cessate il fuoco, è proibito fermarsi”.
Ben Gvir si è categoricamente opposto a qualsiasi accordo che preveda una cessazione delle ostilità, anche temporanea, sia a Gaza che in Libano, e ha minacciato più di una volta di ritirare il suo partito dalla coalizione nel caso in cui Israele firmasse un accordo di tregua.
Il cessate il fuoco alla fine sarà approvato, ha detto la fonte: “Ci sono ministri che parlano alla loro base, e noi lo prendiamo in considerazione. Ma Ben Gvir ne capisce l’importanza. È nell’interesse di Israele”.
La fonte ha inoltre sostenuto che un cessate il fuoco contribuirebbe a porre fine positivamente alla guerra a Gaza contro Hamas.
“Ciò che Hamas voleva era il supporto di Hezbollah e di altri. Una volta che hai tagliato la connessione, hai la possibilità di raggiungere un accordo. È un risultato strategico”, ha detto la fonte. “Hamas è sola”.

(Rights Reporter, 26 novembre 2024)

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Iran e Qatar dietro al Sudafrica contro Israele all’Aia

Un rapporto sulla 'democrazia arcobaleno' usata dai regimi islamisti".

di Giulio Meotti

ROMA - L’emiro del Qatar e la Repubblica islamica dell’Iran, che ieri per bocca dell’ayatollah Ali Khamenei ha chiesto la pena di morte per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, non avevano le carte in regola per montare un caso di “genocidio” contro Israele alla Corte dell’Aia. Avevano i soldi e la volontà, ma zero credibilità morale. Che fare? Il leader di Hamas, Yahya Sinwar, alle “marce del ritorno” al confine fra Gaza e Israele faceva portare grandi ritratti di Nelson Mandela. Voleva far passare l’idea che i palestinesi sono come i neri sotto l’apartheid. Chi allora meglio della “democrazia arcobaleno” per inchiodare lo stato ebraico all’Aia? Con il titolo “Sudafrica, Hamas, Iran e Qatar: il dirottamento dell’African National Congress e della Corte internazionale di giustizia”, il think tank americano Institute for the Study of Global Antisemitism ha pubblicato un’inchiesta sulla decisione del Sudafrica di accusare Israele di genocidio presso la Corte di giustizia dell’Aia che ha spinto la Corte penale a emettere il mandato d’arresto contro Netanyahu. L’African National Congress (Anc), il partito al potere a Pretoria, era sull’orlo della bancarotta quando il Sudafrica ha annunciato il caso all’Aia contro Israele. La sola presentazione iniziale è costata 10,5 milioni di dollari e le spese legali in totale sono stimate in 79 milioni. Il ricorso dell’Anc alla Corte di giustizia contro Israele sarebbe dunque parte di una strategia più ampia volta a promuovere gli interessi e l’ideologia dei regimi islamisti.
  Il ministro degli Esteri sudafricano, Ronald Lamola, è andato a Teheran per partecipare al giuramento del presidente Massoud Pezeshkian a fine luglio. Lamola ha incontrato anche il ministro degli Esteri iraniano in carica Ali Bagheri. “Bagheri ha elogiato Lamola per il suo ruolo eccezionale di diplomatico impavido nel perseguire i crimini del regime sionista presso la Corte di giustizia”, recitava un comunicato iraniano. A novembre di un anno fa, l’African National Congress ha rilasciato una dichiarazione in onore del suo trentesimo anniversario delle relazioni diplomatiche con il Qatar e affermato che il commercio bilaterale tra i due paesi, da 300 milioni di dollari nel 2012, ha raggiunto un miliardo. Funzionari dell’African National Congress, tra cui il presidente Cyril Ramaphosa, si sono rifiutati di rivelare le origini della donazione che ha aiutato il partito a riprendersi da 30 milioni di debiti accumulati prima del caso all’Aia. Daniel Taub, ex ambasciatore di Israele nel Regno Unito, ha commentato: “Hamas non sarebbe in grado di portare avanti il grottesco capovolgimento dei fatti, per cui le azioni di Israele volte a difendersi vengono fatte passare come ‘genocidio’ mentre i suoi stessi atti di omicidio, stupro e rapimento vengono ignorati o celebrati, senza la complicità di partner compiacenti e il Sudafrica si è fatto avanti con entusiasmo”.
  Ripeti una menzogna mille volte e diventerà una verità: così lo stato ebraico è la nuova apartheid e chi sgozza e stupra è il nuovo Mandela che resiste al genocidio. Ora la menzogna è diventata verità grazie anche agli alti scranni dell’Aia. O per dirla con Aharon Barak, il giudice israeliano sopravvissuto alla Shoah che ha fatto parte del collegio della Corte di Giustizia nella causa sull’accusa di genocidio a Gaza, “hanno imputato ad Abele il delitto di Caino”.

Il Foglio, 26 novembre 2024)

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La guerra legale contro Israele: Intervista a David Elber

di Niram Ferretti

David Elber, storico e studioso, esperto di Diritto internazionale, è collaboratore abituale de L’Informale. Lo abbiamo voluto intervistare in merito alla recente decisione della Corte Penale Internazionale e sul tema generale della guerra legale contro lo Stato ebraico.

- L’ordine di arresto emesso nei confronti di Benjamin Netanyahu e di Yoav Gallant da parte della Corte Penale Internazionale era stato già annunciato e difficilmente sarebbe stato bloccato. Cosa puoi dire in merito? 
  I mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e di Gallant non hanno nessuna base giuridica ma sono una chiara manovra politica per delegittimare lo Stato di Israele. Si può riassumere, brevemente, come è andata “l’istruttoria”. Non appena Israele ha iniziato le operazioni militari a Gaza, per la Corte Penale, era già tutto chiaro: Israele era colpevole, a prescindere, di crimini di guerra. Infatti, il 30 ottobre (tre settimane dopo l’eccidio del 7 ottobre) il procuratore Khan, in una conferenza stampa al Cairo, dopo aver visitato il sud di Israele e l’area tra Egitto e Rafah aveva dichiarato che molte prove nei confronti di Hamas erano state raccolte e altre andavano trovate, mentre per la condotta militare di Israele a Gaza, era quest’ultimo che avrebbe dovuto fornire le prove che dimostrassero il rispetto delle leggi internazionali. Dunque per il procuratore del più importante tribunale penale era necessario raccogliere le prove dei crimini di un’organizzazione terroristica mentre uno Stato democratico e di diritto, vittima di un eccidio, avrebbe dovuto – lui – presentare prove che dimostrassero che le proprie azioni fossero nei termini di legge in modo da non essere indagato. Questo significa che per il procuratore Khan, Israele era colpevole a prescindere, tutt’al più avrebbe dovuto presentare le evidenze di non esserlo. Il resto è una logica conseguenza di questo teorema ad iniziare dalla composizione della Camera pre-processuale. Intendo dire che questo è un tribunale politico nel quale i giudici sono l’espressione dei governi nazionali che li nominano. Se diamo una occhiata, ai tre giudici che formano la Camera che ha deciso per il mandato d’arresto, vediamo che è formata da tre rappresentanti di Stati ostili ad Israele: Francia, uno dei paesi più ostili dall’eccidio del 7 ottobre, Benin, che ha scarse relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico e Slovenia. La Slovenia ha appena riconosciuto l’inesistente Stato di Palestina e il cui giudice ha da poche settimane sostituito la Romania (paese molto più amico di Israele) per imprecisati “motivi di salute”. Insomma la decisione è stata blindata.  

- Ci troviamo al cospetto di un ulteriore atto di quella che si può definire lawfare, la guerra giuridico-legale contro lo Stato ebraico e che ha come epicentro l’ONU. Questa guerra legale mi sembra si possa fare risalire al 1967, cioè alla vittoria di Israele nella guerra dei Sei Giorni. Quali sono, a tuo avviso, le sue tappe più salienti? 
  Si è proprio così. Dal 1967 è stato un crescendo. Inizialmente la delegittimazione di Israele era portata avanti dall’Urss e dai paesi islamici con poche eccezioni (Turchia e l’Iran dello Shah). Poi progressivamente, su pressione araba, ha fatto breccia nei paesi della CEE per giungere negli USA del presidente Carter a causa dell’ideologia terzomondista sempre più forte nelle accademie americane. Da questo momento è iniziata una vera è propria escalation: con il memorandum Hansell, con il quale l’amministrazione USA dichiarava illegale la presenza ebraica in Giudea e Samaria e Gerusalemme “est” (1978). Ancora più in là si spinse la CEE con la Dichiarazione di Venezia del 1980, nella quale si ribadiva, tra le altre cose, la legittimità dell’organizzazione terroristica OLP, la questione di Gerusalemme vista come non parte di Israele, e ribadiva l’illegalità dell”occupazione” israeliana dei “territori arabi” e le “colonie ebraiche come ostacolo alla pace”. Tutti concetti che si sono radicati così tanto da divenire dei veri e propri dogmi. È da sottolineare che all’epoca si parlava ancora di “territori arabi”. Nel corso degli anni novanta sono diventati magicamente “territori palestinesi occupati” senza che vi fosse una base giuridica che lo giustificasse. Questo cambiamento terminologico, solo all’apparenza privo di importanza, è stato decisivo per criminalizzare Israele: ormai tutti hanno la certezza che Israele abbia “occupato” in un imprecisato momento un mai esistito “Stato di Palestina”. Un ulteriore “salto di qualità” è iniziato con la Conferenza di Durban del 2001. Da questo momento in avanti, Israele, per tutte le ONG e il movimento autoproclamatosi “progressista” e “antirazzista”, è diventato il “male assoluto”. Questo delirio in un certo senso è l’unica cosa che è sopravvissuta dell’Urss dopo il suo crollo nel 1991. 

- La Corte Penale Internazionale è una emanazione diretta dell’ONU, così come lo è l’UNESCO, che con delle risoluzioni recenti ha di fatto espropriato Israele di alcuni dei simboli storici dell’ebraismo come il Muro Occidentale e le tombe dei patriarchi a Hebron, ascrivendoli all’Islam. Nel suo ultimo discorso in sede ONU, Netanyahu lo ha definito “palude antisemita”. Ha forse esagerato? 
  Bisogna precisare che la Corte Penale Internazionale non è una “emanazione diretta dell’ONU” però è figlia dello stesso processo degenerativo “culturale” che ha permeato l’ONU con la decolonizzazione: l’ONU, come la CPI, è “ostaggio” di paesi illiberali, non democratici e privi dei più elementari diritti umani. Quando dico che la CPI non è emanazione dell’ONU intendo dire che tecnicamente, per il diritto internazionale, sono due cose diverse: l’ONU con tutte le sue agenzie e organismi, compresa la Corte Internazionale di Giustizia, è figlia del Trattato di San Francisco del 1945, mentre la Corte Penale Internazionale è figlia di un altro trattato internazionale: il Trattato di Roma del 1998. Di quest’ultimo trattato non fanno parte, tra gli altri, USA, Russia, India, Cina, Turchia, Indonesia e Israele. In pratica i 3/4 della popolazione mondiale. Netanyahu non ha certo esagerato definire l’ONU come “palude antisemita” e l’UNESCO è sicuramente un emblema di questa situazione. Ormai anche l’UNESCO è diventato un formidabile “attrezzo politico” in mano agli odiatori di Israele per delegittimarlo in ogni sede internazionale oltre che per condizionare l’opinione pubblica. Qui bisogna sottolineare un aspetto pericolosissimo: l’UNESCO è diventato, nei confronti di Israele e del popolo ebraico, uno strumento di negazionismo storico-culturale che fa presa nell’opinione pubblica e atto a negare il “legame storico” tra la Terra di Israele e il popolo ebraico. Tale legame è la radice legale della nascita del moderno Stato di Israele come sancito dalla comunità internazionale negli anni ’20 del 1900. Il voler negare ogni legame tra il popolo ebraico e la Terra di Israele è il metodo più sofisticato, subdolo e apparentemente “apolitico” per delegittimare Israele nell’opinione pubblica. In pratica si viene a dire che Israele è illegittimo e gli ebrei non centrano nulla con la loro terra ma sono degli usurpatori. Il tutto ammantato di “credibilità” storico-scientifica. Tutto questo è semplicemente aberrante.

- Con la guerra a Gaza ancora in corso, la più lunga mai combattuta da Israele, abbiamo assistito e stiamo assistendo, ad una offensiva giuridico-legale massiccia, per non parlare di quella mediatica. Si tratta, alla fine, di armi spuntate o possono realmente causare ad Israele danni reali?  
  È vero stiamo assistendo ad una offensiva giuridico-legale senza precedenti. Si è sdoganato un nuovo concetto giuridico: Netanyahu è colpevole fino a prova contraria e di conseguenza Israele. Mai si è assistito ad un attacco ad uno Stato con tale veemenza e senza nessuna base legale per farlo. Netanyahu (quindi Israele) è colpevole a prescindere. Tutto questo è, pienamente e acriticamente, avvalorato dai media. In pratica si sta portando avanti un’agenda politica ben precisa, ammantandola di princìpi giuridici inesistenti: Israele è un paese occupante, i palestinesi sono le vittime e quello che è accaduto il 7 ottobre è una conseguenza di questo. Quindi Israele deve ritirarsi dai “territori palestinesi occupati”. Anche questo è un ribaltamento della storia e dei fatti. Io temo che l’amministrazione Biden prima di cedere le consegne a quella di Trump possa usare il Consiglio di Sicurezza per far approvare una risoluzione che formalizzi questa visione politica del tutto priva di fondamento. Questo sarebbe un danno reale davvero grave, come lo fu la risoluzione 2334 voluta da Barak Obama. Altri danni sono già in corso: l’odio diffuso verso Israele e/o gli ebrei in Europa e negli Stati Uniti, ormai l’antisemitismo è talmente sdoganato a sinistra che non fa più notizia, anzi è colpa delle “malefatte” di Netanyahu se è riemerso. I mass media stanno giocando un ruolo di primaria importanza su questo, facendosi cassa di risonanza, a tutte le false notizie propagandate da Hamas e dai suoi fiancheggiatori all’ONU, nelle ONG e tra molti governi Occidentali. 

- In questi anni tu ti sei soprattutto dedicato ad approfondire gli aspetti legati al diritto internazionale relativamente allo Stato ebraico. Oltre a numerosi articoli, molti dei quali pubblicati qui su “L’Informale”, hai scritto tre libri dedicati alla questione, di cui l’ultimo, “Il diritto di sovranità in terra di Israele”, da poco pubblicato. Da tutto ciò che hai scritto e scrivi, emerge chiaramente come si sia cercato e si cerchi in ogni modo di delegittimare i fondamenti giuridici dell’esistenza stessa dello Stato ebraico e la sua sovranità sui territori considerati occupati della Cisgiordania. E’ così? 
  Sì, come ho detto anche in precedenza la delegittimazione di Israele ha assunto forme diverse e trasversali. Una grave forma di delegittimazione è il negazionismo dell’UNESCO che tenta di cancellare la storia del popolo ebraico e dei luoghi sacri all’ebraismo. Un’altra forma di delegittimazione la stanno conducendo accademici, politici e semplici giornalisti che hanno inventato la leggenda di Israele nato “per decisione dell’ONU”. Come ha affermato di recente anche Macron. Purtroppo questa credenza, che ha assunto connotati religiosi e non discutibili, è in voga anche in molti ambienti ebraici. Ma non ha alcun fondamento giuridico né storico. In pratica in questo modo si sta portando avanti, consapevolmente o inconsapevolmente, una narrazione che vede Israele nato nel peccato: come riparazione ai delitti della Shoà e a danno del popolo palestinese. E se ci pensi bene questo è il principio utilizzato in tutte le trattative di pace che Israele ha fatto o deve fare: è sempre e unicamente Israele che deve cedere qualcosa, che subisce le pressioni internazionali affinché si arrivi ad un accordo. Questo perché Israele è visto come colpevole di qualche cosa, anche, se, è lui che è stato sempre attaccato e aggredito fin dalla sua nascita. Ma come si diceva è nato nella colpa di conseguenza in sede di trattative è messo in una posizione morale inferiore ai suoi avversari di conseguenza è lui che deve cedere sempre. È come se la Germania o il Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale anziché aver ceduto dei territori e obbligati ad uno spostamento coatto della popolazione avessero preteso indennizzi territoriali ed economici agli alleati. Assurdo solo a pensarlo. Ma questo principio è accettato per le aggressioni arabe: sono loro che aggrediscono ma chiedono compensazioni dopo le loro sconfitte: un vero e proprio ribaltamento legale oltre che morale ed etico, e l’Occidente è connivente. 

- Israele “l’occupante”, Israele “il conculcante”. Oggi, in molti pensano che Israele occupi realmente in modo abusivo dei territori che sarebbero dei palestinesi. Quali sono, brevemente, i fatti decisivi per smontare questi falsi assunti? 
  Purtroppo questi assunti sono così radicati che è difficile fare breccia tra coloro che ne sono convinti. Per prima cosa bisogna sottolineare che l’ONU con la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale (quella che suggeriva la spartizione del Mandato per la Palestina) non ha deciso nulla, semplicemente perché non ha mai avuto il potere di decidere nulla. Questo perché nessun organo dell’ONU è dotato di potere di sovranità, quindi non può decidere la nascita di Stati o sancire i loro confini. Chiarito questo punto, vediamo le tappe principali che hanno condotto alla legittimità della nascita del moderno Stato di Israele. Al popolo ebraico è stato riconosciuto il diritto di autodeterminazione – così come ad altre popolazioni arabe musulmane o cristiane – con la Conferenza di pace di Sanremo del 1920, con i trattati internazionali di Sévres, di Losanna e con il Mandato per la Palestina. In pratica il Mandato per la Palestina è stato lo strumento giuridico creato dalla comunità internazionale per far nascere lo Stato nazionale del popolo ebraico. Bisogna anche ricordare che i confini che furono stabiliti nel 1922 dagli inglesi, quando divisero il Mandato in due unità amministrative, una per il popolo ebraico e l’altra per il popolo arabo, furono i confini dai quali nacquero due Stati indipendenti: la Giordania nel 1946 e Israele nel 1948 con confini precisi e ben definiti. Questo, per il principio dell’uti possidetis iuris, con il quale la comunità internazionale riconosce i confini degli Stati nascenti. Per questo principio tutto il territorio che va dal fiume Giordano al mar Mediterraneo è sin dal 1922 territorio appartenente al popolo ebraico. Detto questo come può essere che il popolo ebraico “occupi illegalmente” ciò che era già suo? L’unica occupazione illegale che si è verificata, nel corso della storia, fu quella di Giordania ed Egitto quando occuparono Giudea, Samaria, parte di Gerusalemme e la Striscia di Gaza tra il 1948 e il 1967. Questo va detto per chiarire in modo inequivocabile che i “territori palestinesi” non sono mai esistiti a meno che non si intendano quelli mandatari che erano del popolo ebraico per realizzare la propria autodeterminazione.  

- Durante il suo primo quadriennio di presidenza, Donald Trump ha fatto per Israele più di qualsiasi altro presidente americano: ha levato i fondi all’UNRWA, ha fatto uscire gli Stati Uniti dal Consiglio per i Diritti umani di Ginevra oggi presieduto dall’Iran, ha riconosciuto la legittimità della sovranità israeliana sulle alture del Golan, ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele spostandovi l’ambasciata americana, ha ridotto all’irrilevanza l’Autorità Palestinese e ha inaugurato gli Accordi di Abramo. Quali sono le tue aspettative in merito alla nuova amministrazione USA?  
  Per prima cosa voglio esprimere il mio sollievo per il fatto che Kamala Harris e il partito democratico non abbiano vinto le elezioni. Per Israele sarebbe stato un disastro. È vero che Trump è imprevedibile e umorale, ma le persone designate per la sua amministrazione fanno ben sperare per Israele. Anche i primi riverberi della sua elezione sono molto positivi: Trump non si è ancora insediato e il Qatar ha, già, chiuso gli uffici di Hamas e smesso la farsa delle trattative sugli ostaggi, dove tutte le pressioni erano unicamente su Israele; l’Iran che minacciava fuoco e fiamme dopo la risposta israeliana del 26 ottobre non ha mosso un dito. Abu Mazen e i cleptocrati dell’Autorità palestinese sono letteralmente spariti dai media. Inoltre, se questa amministrazione darà seguito a quanto già fatto in passato e rafforzerà i dettami della legge Taylor Force Act, spariranno del tutto perché non avranno più i soldi per pagare gli stipendi degli assassini di ebrei. Con queste premesse sono convinto che cesseranno le ostilità a Gaza e in Libano con rassicurazioni reali per la sicurezza di Israele ben diverse dalla ridicola Risoluzione 1701 con cui si chiuse la seconda guerra del Libano e che è rimasta del tutto inefficace per 18 anni. Anche le prospettive di allargamento degli Accordi di Abramo potranno rafforzarsi. Rimane l’incognita rappresentata dall’Iran, ma anche su questo fronte l’Amministrazione di Trump sarà molto più allineata con Israele e i paesi arabi sunniti rispetto a quella che avrebbe nominato Kamala Harris che sarebbe stata totalmente allineata alla dottrina Obama che cercava l’appeasament con l’Iran a tutti i costi. Se dovesse scoppiare un confronto tra Iran e Israele/USA molto probabilmente il regime iraniano non sopravvivrà al confronto. Un altro fronte importante è l’ONU che, così, come si è trasformato negli ultimi decenni non ha senso di esistere: è più dannosa che utile. Solo uno come Trump può decidere di far uscire gli USA da questa organizzazione e sancirne la fine. Solo così si può sperare in una nuova organizzazione che ne prenda il posto nel pieno rispetto della democrazia, dei diritti umani, nella piena uguaglianza tra i suoi membri.   

(L'informale, 26 novembre 2024)

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Cristiani coraggiosi

Lode a Gesù e preghiera per Israele regnano ad Amsterdam.

di Charles Gardner*

Ammiro il coraggio e la passione dei nostri amici cristiani olandesi che di nuovo adorano il Messia ebraico e pregano per Israele nelle strade di Amsterdam!
Meno di due settimane dopo lo scioccante pogrom contro i tifosi di calcio israeliani, ho visto (su YouTube) come i musicisti e i cantanti di Presence Revival sono tornati sulla scena del crimine - il centro della città.
Il leader del movimento, Wim Hoddenbagh, ha chiesto perdono agli ebrei per quanto accaduto e ha guidato le preghiere per la “santificazione” della piazza, con molti che si sono inginocchiati e hanno appoggiato le mani sul selciato di pietra.
Il suo gesto mi ha ricordato l'eroina cristiana Corrie ten Boom, che durante la guerra rischiò la vita con la sua famiglia olandese per nascondere gli ebrei dai nazisti.
Sullo sfondo delle luci natalizie, Wim ha ricordato al pubblico la profezia di Isaia: "È nato per noi un bambino ” (Isaia 9:2). Si riferiva alla nascita del Messia ebraico, che sarebbe stato una benedizione per il mondo intero.
La pazienza di Dio con Israele (nel corso dei secoli) è una garanzia della sua pazienza con noi, ha detto, ricordando al mondo il suo patto d'amore con il suo “bene prezioso”, di cui si compiaceva, non perché fossero più numerosi di altri popoli, ma per il suo amore eterno verso di loro (cfr. Deuteronomio 7:6-9).
Per questo pregherò per Israele fino all'ultimo respiro... e pregherò perché il Messia si mostri al suo popolo”, ha dichiarato.
Il gruppo, il primo a entrare in piazza dopo i brutali attacchi, è stato circondato da una grande folla che rappresentava molte nazioni. Le preghiere si sono svolte in numerose lingue dopo che Wim ha chiesto alle persone di alzare la mano se parlavano qualcosa di diverso dall'olandese o dall'inglese. Persone provenienti da Iran, Ghana, Brasile, Cina, Italia, Polonia, Germania, America Latina, Turchia e Tagikistan hanno pregato nelle loro lingue madri.
Il culto è stato, come sempre, di struggente bellezza. I volti brillavano di gioia celeste ed esprimevano un'appassionata intimità con Gesù attraverso testi di canzoni che includevano parole come "Ti desidero con tutto il cuore, senza di te sono perso ”.
Il pogrom del 7 novembre era scoppiato appena due giorni prima dell’ottantaseiesimo anniversario della Kristallnacht, la cosiddetta “Notte dei cristalli”, che segnò l'inizio dell'Olocausto.
Come ho già detto in precedenza, ho avuto l’impressione che quel pogrom fosse una reazione di Satana al nuovo territorio conquistato da Gesù in un luogo in cui il diavolo ha portato tanto scompiglio nel corso degli anni. E mi è parso che la folla che si univa al culto ieri sera cresceva di molto e che più persone erano desiderose di partecipare.
“Perché le nazioni si infuriano e i popoli tramano invano?”. Il Signore avrà l'ultima risata quando insedierà il suo Re su Sion, il suo monte santo. “Bacia il figlio, altrimenti si adirerà e la tua strada ti porterà alla distruzione...”. (vedi Salmo 2)
Continuate a pregare per Israele. Chi benedice il paese sarà benedetto, ma chi lo maledice cadrà sotto il giudizio di Dio (Genesi 12:3, Deuteronomio 24:9).
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* Charles Gardner è autore di Israel the Chosen, disponibile su Amazon; Peace in Jerusalem, disponibile su olivepresspublisher.com; To the Jew First, A Nation Reborn e King of the Jews, tutti disponibili su Christian Publications International.

(Israel Heute, 26 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Gaza, carestia e prezzi impazziti: così Hamas sfrutta i mezzi nostri e guadagna sulla fame dei palestinesi

di Iuri Maria Prado

L’ultimo rapporto IPC (Integrated Food Security Phase Classification Evidence) sulla situazione della disponibilità di generi alimentari e di prima necessità nella Striscia di Gaza denuncia un forte aumento dei prezzi, il quale aggraverebbe il già problematico accesso della popolazione alla disponibilità di quei beni.
Tra agosto e settembre 2024, dice quel rapporto, l’indice generale dei prezzi al consumo è aumentato dell’11%., mentre per i generi alimentari si registra un’impennata del 77%. Rispetto all’inizio del conflitto, l’aumento complessivo sarebbe del 283%, e addirittura del 312% per i generi alimentari. Si lamenta poi l’imperversare del mercato nero: gas da cucina +2.612%, gasolio +1.315%, legna +250%. Numeri impressionanti, in effetti. Il problema è che il rapporto, nella neutralità della propria freddezza statistica, non si occupa delle ragioni per cui quei prezzi salgono, né dell’identità di chi li fa salire.
Ma non è che ci sia molto di oscuro in argomento. Poiché si tratta di aiuti (non di forniture commerciali), e poiché non risulta che a specularci sopra sia chi li fa arrivare (cioè Israele, cui si addebita di affamare Gaza non facendo arrivare gli aiuti), c’è almeno da ipotizzare che tra le indiscutibilmente nobili attività di Hamas ci sia anche quella, non del tutto commendevole, di inguattarsi quegli aiuti per poi rivenderli a prezzo iugulatorio alla popolazione bisognosa. Salvo credere, ovviamente, che il mercato nero di cui parla il rapporto sia gestito dai Savi Anziani di Sion o da agenti del Mossad travestiti da broker in kefiah che tirano su il prezzo della carne in scatola e delle taniche di carburante.
Questa storia dei prezzi impazziti a Gaza va avanti da mesi senza che nessuno si faccia la domanda banale: e chi li fa salire, mia nonna? Ma soprattutto: questa storia va avanti da mesi senza che nessuno ne chieda conto alle organizzazioni della cooperazione internazionale, che sono lì a fare non si sa che cosa (a parte, naturalmente, denunciare il genocidio per fame di cui si renderebbe responsabile Israele). I cento camion di aiuti di cui, giusto l’altro giorno, l’Onu denunciava il sequestro da parte di uomini armati sono solo l’ultimo esempio dell’andazzo: sotto lo spensierato sguardo delle Nazioni Unite, quegli aiuti entrano a Gaza, Hamas se li prende, se ne rifocilla per quel che serve e per il resto ci fa i soldi sulla pelle dei poveracci.
Si tratta semplicemente della guerra che Hamas continua anche con questi altri mezzi: mezzi che forniamo noi, e che Hamas usa per sfamare sé stessa e per guadagnare sulla fame dei palestinesi.
Intanto dall’Aia chiediamo che gli israeliani siano arrestati perché impongono la carestia a Gaza.

(Il Riformista, 26 novembre 2024)

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"Vengono saccheggiati dai gangster". I camion di aiuti per Gaza nel mirino della malavita palestinese

Un racket per lucrare sugli aiuti umanitari che vengono sequestrati dopo aver attraversato i valichi di confine. È questo l'ultima atrocità che affligge la Striscia di Gaza

di Davide Bartoccini

Le rotte di aiuti umanitari diretti a Gaza sono soggette all'interdizione e alla razzia da parte di bande che pretendono di gestire il "traffico" degli aiuti diretti nell'exclave palestinese con quello che viene riportato come "tacito permesso dell'Esercito israeliano". Un ulteriore atto di violenza sconsiderata e spregiudicata che si aggiunge alla straziante condizione della Striscia di Gaza, dove la popolazione palestinese, perenne vittima collaterale delle ambizioni terroristiche di Hamas, è messa a durissima prova dall'operazione militare israeliana.
Dietro la crisi umanitaria che sta affamando la popolazione della Striscia di Gaza ci sono molti volti; tra questi, quello di Yasser Abu Shabab, capo di uno dei gruppi criminali che saccheggiano gli aiuti destinati alla popolazione e hanno il potere di bloccare le strade percorse dai convogli umanitari. Secondo quanto si apprende, negli ultimi mesi gruppi criminali stanno sviluppando un "lucroso commercio" basato sul furto dei camion carichi di aiuti diretti nei territori palestinesi. Solo la scorsa settimana 97 dei 109 camion delle Nazioni Unite sono "andati persi".
Considerato come il più noto "gangster" di questo settore della striscia di Gaza, Abu Shabab era stato dato per morto dopo un agguato lanciato contro il gruppo di saccheggiatori di un convoglio di camion carichi di aiuti delle Nazioni Unite, ma secondo quanto riportato dal Financial Times, il boss della criminalità palestinese di origini beduine sarebbe sopravvissuto.

• UN CRIMINE SOTTO GLI OCCHI DELL'IDF
  Funzionari umanitari e trasportatori palestinesi hanno affermato che i gruppi criminali in questione agiscono con il "tacito permesso dell'esercito israeliano", o meglio con quello che un promemoria delle Nazioni Unite definisce: "la benevolenza passiva, se non attiva" dell'Idf, dal momento che le azioni e depositi di aiuti rubati vengono "trascurati" dai droni di sorveglianza israeliani.
Questi gruppi sono guidati da detenuti evasi e si basano sul concetto di clan familiare simile a quello di Cosa Nostra. Pesantemente armati, i gruppi criminali come quello guidato da Yasser Abu Shabab - che sta accentrando il suo potere nello schema di su questo meschino traffico - possono tranquillamente sfidare le autorità di Gaza. Dal momento che operano esclusivamente lungo il confine nella zona militare controllata dagli israeliani. Gli unici che potrebbero opporsi al traffico ma sembrano "disinteressarsene" secondo le fonti consultate dal Financial Times. L'aera interessata è sempre "oltre la portata della polizia rimanente di Gaza", nella "zona rossa" che è off-limits per la maggior parte dei palestinesi a causa della presenza delle truppe israeliane.

• LO SCHEMA CRIMINALE NEL MEZZO DI UNA GUERRA
  Il racket segue uno schema criminale abbastanza banale, e si basa sulla capacità di accumulare i beni saccheggiati - come farina, cibo in scatola, coperte e medicine - dai convogli che vengono intercettati subito dopo aver attraverso il valico di Kerem Shalom, per rivenderli a prezzi proibitivi alla popolazione attraverso degli intermediari. I camion invece vengono restituiti solo dopo il versamento di un riscatto.
Ci troviamo di fronte a un'ulteriore piaga che si abbatte sulla già disperata condizione dei palestinesi, che hanno assistito al crollo del flusso di aiuti dopo l'invasione di Rafah da parte delle forze di difesa israeliane, ancora impegnate a rastrellare il settore meridionale della Striscia per eliminare ciò che resta di Hamas. Lasciando tuttavia nel totale impasse la crisi degli ostaggi, che non trova una risoluzione né ha assistito negli ultimi mesi a operazioni decisive che hanno condotto alla loro "liberazione".
Secondo Israele dietro questo traffico si celano sempre e comunque la responsabilità e gli interessi di Hamas.
Altre entità sottolineano come i saccheggi ai convogli abbiano "messo i gruppi armati in contrasto con il gruppo militante". Quale che sia la verità, queste azioni criminose ai danni dei convogli umanitari rimangono uno strumento di pressione che ha come vittime i civili palestinesi.

(il Giornale, 25 novembre 2024)

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UNWRA, emergono nuovi legami con Hamas e Jihad Islamica

di Olga Flori

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Il direttore generale dell’ICRC (Comitato Internazionale della Croce Rossa) Pierre Krahenbuhl durante il suo mandato da Commissario generale di UNWRA tra il 2014 e il 2019 avrebbe incontrato leader di organizzazioni terroristiche palestinesi, secondo quanto rivelato in un nuovo rapporto di UN Watch.
L’ONG con sede a Ginevra spiega che nel febbraio del 2017, durante un meeting a Beirut, Krahenbuhl incontrò Ali Baraka (responsabile degli affari esteri di Hamas) e Abu Imad al-Rifai (leader in Libano del Movimento per la Jihad Islamica palestinese).
Baraka gestiva per conto di Hamas i legami con l’Iran, la Siria e l’Iraq. Pochi giorni dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, secondo il rapporto UN Watch, Baraka ha dichiarato che “gli abbiamo fatto pensare che Hamas era occupato a governare Gaza e che voleva concentrarsi sui 2.5 milioni di palestinesi lì presenti, e che aveva abbandonato la resistenza. Nel frattempo, di nascosto, Hamas stava invece preparando questo grande attacco”.
UN Watch precisa inoltre che Abu Imad al-Rifai, si era vantato di aver inviato nel 2003 un’ondata di attentatori suicidi a Baghdad per colpire le truppe statunitensi e britanniche.
Krahenbuhl, secondo il rapporto di UN Watch, avrebbe “ enfatizzato lo spirito di collaborazione tra UNWRA ed i gruppi terroristici” e sarebbe stato consapevole della necessità di mantenere l’incontro riservato per evitare di “mettere in dubbio la credibilità (di UNWRA) e di far perdere la fiducia dei paesi donatori in UNWRA” per evitare di perdere i finanziamenti.
Krahenbuhl, oggi a capo della Croce Rossa Internazionale, secondo il rapporto di UN Watch, avrebbe inoltre “preso atto del fatto che il ruolo di UNWRA non è principalmente quello di provvedere alla distribuzione di aiuti” e avrebbe sottolineato “lo spirito di collaborazione” con coloro che erano presenti all’incontro.
Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre il ruolo di UNWRA e dei suoi dipendenti è stato fortemente criticato e messo in discussione da Israele, soprattutto dopo aver dimostrato la partecipazione di alcuni dipendenti all’attacco dello scorso autunno nel sud di Israele.

(Shalom, 25 novembre 2024)

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Israele accetta il cessate il fuoco con Hezbollah

Secondo diversi resoconti di domenica sera, dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tenuto consultazioni ad alto livello sulla questione, Israele ha accettato in linea di principio un cessate il fuoco con Hezbollah sostenuto dagli Stati Uniti e il primo ministro Benjamin sta ora lavorando su come presentarlo al pubblico.
L’incontro si è svolto mentre Israele era stato colpito per tutto il giorno da ondate di razzi provenienti dal Libano e l’Aeronautica militare aveva effettuato ripetuti attacchi contro i siti di Hezbollah a Beirut.
I resoconti su Kan, Ynet e Haaretz, che citavano funzionari di Gerusalemme, Washington e Beirut, hanno tutti notato che l’approvazione della proposta non era definitiva e che diverse questioni dovevano ancora essere risolte, ma che Gerusalemme aveva approvato i principi fondamentali della proposta. Secondo Ynet, questo era stato trasmesso al Libano.
Il leader di Hezbollah, Naim Qassem, ha dichiarato la scorsa settimana che il gruppo terroristico aveva esaminato la proposta di tregua e presentato una risposta, e che la palla era nel campo di Israele.
Secondo quanto riportato da Haaretz, la proposta comprenderà tre fasi: una tregua seguita dal ritiro delle truppe di Hezbollah a nord del fiume Litani; il ritiro di Israele dal Libano meridionale e, infine, i negoziati israelo-libanesi sulla demarcazione delle aree di confine contese.
Ha affermato che un organismo internazionale guidato dagli Stati Uniti avrà il compito di monitorare il cessate il fuoco e che Israele si aspetta di ricevere una lettera da Washington che affermi il suo diritto di agire militarmente qualora Hezbollah violasse i termini del cessate il fuoco in assenza di azioni da parte delle forze militari e internazionali del Libano.
Kan, riguardo al piano di Netanyahu di vendere l’accordo al pubblico, ha affermato che l’obiettivo è quello di presentare la tregua non come un compromesso, ma come vantaggiosa per Israele.
La consultazione si è tenuta con alcuni ministri di alto rango e funzionari della sicurezza e, secondo Kan, si è concentrata anche sulla libertà di Israele di operare ai confini con Libano e Siria dopo la conclusione dell’accordo.
Secondo quanto riportato da numerosi media ebraici, Hochstein ha dichiarato nel fine settimana ai funzionari israeliani che questa era la loro ultima possibilità di andare avanti con l’accordo e che se non lo avessero accettato, avrebbe rinunciato ai suoi sforzi e Israele e Hezbollah avrebbero dovuto aspettare che il presidente entrante Donald Trump entrasse in carica a gennaio prima che gli sforzi di mediazione americani riprendessero.
La scorsa settimana Hochstein ha visitato Beirut e Gerusalemme per sollecitare un accordo sostenuto dagli Stati Uniti, che vedrebbe il graduale ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani e l’esercito libanese riprendere la responsabilità del Libano meridionale.
In base a un eventuale cessate il fuoco, l’esercito libanese avrebbe il compito di impedire a Hezbollah di ristabilirsi nel Libano meridionale.
Come parte degli sforzi per far sì che l’accordo venga firmato questa settimana, l’ex ambasciatore statunitense in Israele Dan Shapiro dovrebbe arrivare in Israele lunedì per agevolare la definizione degli ultimi dettagli dell’accordo, ha riferito Channel 12.
Mentre i colloqui proseguivano domenica, Hezbollah ha intensificato i suoi attacchi contro Israele, lanciando più di 250 razzi e droni verso il nord e il centro di Israele nel corso della giornata, ferendo diverse persone.
L’intensità degli attacchi dell’organizzazione terroristica contro Israele di domenica non è stata ritenuta sorprendente dalle autorità israeliane, secondo quanto riportato da Channel 12, che domenica sera ha riferito che Israele si aspettava che gli attacchi di Hezbollah sarebbero aumentati man mano che le parti si fossero avvicinate alla conclusione di un accordo.
L’obiettivo del gruppo, secondo quanto riportato dal canale, era dimostrare di avere ancora la capacità di attaccare Israele e cercare di dissuaderlo dall’attaccare Beirut.
Hezbollah ha anche pubblicato domenica una foto apparentemente generata dall’intelligenza artificiale che mostra i danni a un’autostrada causati da un attacco missilistico, con una didascalia che minaccia che “il destino di Tel Aviv sarebbe il destino di Beirut” se Israele continuasse ad attaccare la capitale libanese.
Hezbollah cerca da tempo di imporre un equilibrio di potere nel tentativo di scoraggiare Israele.
Tuttavia, Ynet ha riferito che Israele intendeva anche intensificare gli attacchi contro gli obiettivi di Hezbollah a Beirut per danneggiare il più possibile le sue capacità prima che un accordo fosse finalizzato.
Negli ultimi giorni sono continuati pesanti combattimenti terrestri tra le IDF e Hezbollah nel Libano meridionale, con le truppe israeliane che si sono allontanate sempre di più dal confine.

(Rights Reporter, 25 novembre 2024)

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Arrestati i tre sospettati dell’omicidio del rabbino Chabad Zvi Kogan

di Luca Spizzichino e Michelle Zarfati

Le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno arrestato tre persone sospettate dell’omicidio del rabbino israelo-moldavo Zvi Kogan. Si tratta di tre cittadini uzbeki: Olimpi Toirovich (28 anni), Makhmudjon Abdurakhim (28 anni) e Azizbek Kamlovich (33 anni).
  Le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno sottolineato “la determinazione delle autorità di sicurezza competenti ad adottare rapidamente le misure necessarie per scoprire i dettagli dell’incidente, le sue circostanze e i suoi moventi”. Hanno inoltre evidenziato come siano state sfruttate le loro competenze umane e professionali, insieme alle avanzate capacità tecniche, per arrivare rapidamente all’arresto dei responsabili.
  Il ministero dell’interno emiratino ha dichiarato che utilizzerà “tutti i poteri legali per rispondere in modo deciso e senza clemenza a qualsiasi azione o tentativo che minacci la stabilità della società”.
  Zvi Kogan, 28 anni, era un emissario del movimento Chabad-Lubavitch e lavorava negli Emirati Arabi Uniti dal 2020, anno della normalizzazione delle relazioni tra Israele e il Paese del Golfo grazie agli Accordi di Abramo. Kogan collaborava con il rabbino capo Levi Yitzchak Duchman per promuovere la vita ebraica negli Emirati, assicurando la disponibilità di cibo kosher e l’apertura del primo centro educativo ebraico nel Paese. Inoltre, gestiva il Rimon Market, un negozio di alimentari kosher a Dubai, già bersaglio di proteste da parte di manifestanti filo-palestinesi e anti-israeliani.
  Il rabbino era scomparso giovedì a Dubai. Il suo corpo è stato ritrovato successivamente nella città di Al Ain, al confine con l’Oman, a circa 150 chilometri da Abu Dhabi. Le autorità israeliane hanno confermato il ritrovamento domenica, sottolineando che sul veicolo di Kogan erano visibili segni di colluttazione. Israele ha definito l’omicidio un attacco terroristico di matrice antisemita.
  L’ambasciatore emiratino negli Stati Uniti, Yousef Al Otaiba, ha espresso cordoglio sui social, definendo l’uccisione “un crimine contro i valori degli Emirati”. Ha aggiunto che si è trattato di “un attacco alla nostra patria, ai nostri valori e alla nostra visione”. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha condannato l’omicidio e ringraziato le autorità degli Emirati per la rapidità nelle indagini e negli arresti, esprimendo fiducia nel fatto che i responsabili saranno assicurati alla giustizia. La Casa Bianca ha descritto l’omicidio come “un crimine orribile contro la pace, la tolleranza e la coesistenza”. Il portavoce della sicurezza nazionale statunitense, Sean Savett, ha elogiato gli Emirati per la rapidità degli arresti e ha garantito il pieno supporto degli Stati Uniti nelle indagini. Il movimento Chabad-Lubavitch, in un messaggio sui social, ha definito Kogan “una vittima di terrorismo” e ha espresso fiducia nel fatto che gli Emirati lavoreranno con altri Paesi della regione per perseguire i responsabili.
  Da parte sua, Teheran ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’omicidio attraverso una dichiarazione dell’ambasciata iraniana ad Abu Dhabi, definendo le accuse “categoricamente infondate”.
  Le indagini sono ancora in corso, mentre il corpo di Zvi Kogan sarà rimpatriato in Israele nelle prossime ore per i funerali.

(Bet Magazine Mosaico, 25 novembre 2024)

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L’essenza dell’ebraismo non è l’Esilio

di Davide Cavaliere

È sconcertante, per malafede e grossolanità teorica, il recente scritto di Giorgio Agamben su Giudaismo ed esilio. Nel breve testo, programmaticamente intitolato La fine del Giudaismo, il filosofo propone un’interpretazione discutibile del Sionismo e del suo rapporto con l’Ebraismo. 
  Secondo quanto scritto da Agamben, il Sionismo costituirebbe una «negazione» dell’identità ebraica e della Galut, ossia dell’esilio. Il filosofo parla di «doppia negazione» ma, a ben vedere, si tratta di una sola, dato che l’ebraicità e l’esilio sono presentati come elementi simbiotici, ed è proprio questo l’errore fondamentale che inficia tutto il suo discorso. 
  Se la Diaspora ha certamente segnato il destino del popolo ebraico, a cui ogni stabilità è stata a lungo preclusa, l’ebraismo non ha mai implicato «l’accettazione senza riserve dell’esilio» né questo può essere definito, come fa il filosofo, «la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra». L’esilio da Eretz Israel è sempre stato vissuto come una condizione di doloroso sradicamento. 
  Gli Ebrei, salvo quelli che hanno resistito come ostinata minoranza nella loro terra d’origine, non smisero mai di rivolgersi costantemente verso il Monte del Tempio di Gerusalemme, pregando e sperando di tornare, promettendosi l’un l’altro: «l’anno prossimo a Gerusalemme» e ammonendosi con il verso «se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra». 
  Proprio tra gli Ebrei dell’Europa centro-orientale, costretti a mantenersi in equilibrio fra confini mutevoli e governanti ostili, il Sionismo attecchì maggiormente e in profondità. Theodor Herzl veniva accolto come un nuovo Mosè nei ghetti dell’Ucraina e della Polonia. Il Sionismo ha rappresentato per gli ebrei diasporici la speranza di un’esistenza pienamente ebraica, lo stesso Herzl, pur da uomo laico, nel suo discorso d’apertura al primo Congresso, dichiarò: «Sionismo significa ritorno al giudaismo prima che ritorno al Paese degli ebrei». 
  Uno dei più importanti pensatori ebrei del secolo scorso, Gershom Scholem, a differenza di Agamben, non ritenne mai il Sionismo un «tradimento» dell’essenza del Giudaismo, ma vide nell’Israele Stato nazionale il luogo di un rinvigorimento dell’Ebraismo: «Con la realizzazione del sionismo sono sgorgate le fonti della grande profondità del nostro essere storico, liberando nuove forze dentro di noi», e ancora: «Per quanto concerne l’ebraismo nello Stato d’Israele, esso è la forza vivente del popolo di Israele». 
  Agamben concettualizza l’esilio e ne fa la cifra dell’Ebraismo, impiegando in modo scorretto e fuorviante alcuni concetti della Kabbalah lurianica. Come Lévinas e Derrida blandisce il presunto cosmopolitismo ebraico. In modo involontario, ripropone lo stereotipo antisemita dell’Ebreo errante, del luftmensch privo di ancoraggio al suolo. Il filosofo celebra quello che, un tempo, l’antisemita esecrava: l’inappartenenza, la mancanza di fondamento nazionale, e lo fa soprattutto ora, alla luce nera del Sionismo realizzato, del ritorno degli Ebrei alla loro patria storica. 
  Giorgio Agamben, come George Steiner o Enzo Traverso, esprime quella forma specifica di antisemitismo «progressista», dagli accenti marcioniti, che raffigura come demoniaca la «carne» della forma-stato. Gli Ebrei avrebbero rinunciato al privilegio della volatilità chagalliana, pertanto, a causa di questo «tradimento», si ha di nuovo il permesso di odiarli, non più come «razza» ma come «Stato». 
  Gli Israeliti dovrebbero abitare solo lo spazio della testualità e della morale. Erranza senza fine. A casa ovunque perché non c’è nessun dove. Non diversi dalle statuette di hassidim vendute come souvenir nel rynek di Cracovia. Essi hanno la colpa di aver reintrodotto in un mondo pensato in marcia verso l’universalismo lo Stato nazionale. Gli intellettuali come Agamben hanno eletto Israele a capro espiatorio del peccato supremo, quello della statualità. 
  Questo tentativo di recidere il legame dell’Ebraismo con la terra di Israele serve a legittimare e normalizzare la colonizzazione arabo-musulmana della Palestina, interrotta fattivamente dalla nascita del moderno Stato ebraico, ma ripresa simbolicamente dall’UNESCO, che da anni tenta di negare ogni collegamento tra Gerusalemme, gli Ebrei e la loro terra ancestrale. 
  Il tutto procede, parallelamente e senza apparente contraddizione, con l’insistenza sulla necessità morale e politica di uno Stato palestinese, non importa quanto teocratica e identitaria potrà essere tale entità. 
  L’interpretazione distorta fornita da Agamben ha il solo pregio di essere genuina. Egli afferma una verità che i critici contemporanei di Israele raramente osano menzionare (almeno in pubblico): sarebbe stato meglio per gli Ebrei morire tutti nelle camere a gas di Auschwitz piuttosto che fondare uno Stato.  
  Eric Voegelin invitava lo storico delle idee a «esplorare lo sviluppo dei sentimenti che si cristallizza nelle idee, e mostrare la relazione tra le idee e la matrice dei sentimenti in cui sono radicate». Le idee di Agamben affondano in un sentimento preciso: il desiderio di un mondo dove il Giudaismo abbia perso ogni connotato specifico, un mondo senza Ebrei. Judenfrei.

(L'informale, 25 novembre 2024)
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Prima ancora di riferirsi a Gershom Scholem (1897-1982), all'antisemitismo universalistico di Giorgio Agamben, secondo cui «l'accettazione senza riserve dell'esilio è la forma stessa dell'esistenza degli ebrei sulla terra», si può contrapporre il sionismo antelitteram di Leon Pinsker (1821-1891), che nel suo famoso "Autoemancipazione" sostiene l'esatto contrario, cioè che l'accettazione senza riseve dell'esilio è per gli ebrei una malattia mortale di cui la maggior parte di loro è inconsapevole:
«Per un ammalato, non sentire il bisogno di mangiare e di bere, è un sintomo molto grave. E se anche l'appetito ritorna, è sempre dubbio che il malato possa assimilare il nutrimento, ancorché lo desideri. Gli ebrei si trovano nella dolorosa condizione di un malato simile. Questo punto, che è il più importante di tutti, va energicamente sottolineato. Dobbiamo dimostrare che la cattiva sorte degli ebrei è dovuta anzitutto al fatto che manca loro il senso del bisogno dell'indipendenza nazionale; che questo desiderio deve esser in loro ridestato e ravvivato per tempo, se non vogliono essere esposti per sempre ad un'esistenza disonorevole; in una parola, è necessario che essi diventino una nazione». M.C.

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Noè fu uomo giusto

di Marcello Cicchese

    Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. E Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ora la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza. Dio guardò la terra; ed ecco, era corrotta, poiché ogni carne aveva corrotto la sua via sulla terra. E Dio disse a Noè: “Nei miei decreti, la fine di ogni essere vivente è giunta; poiché la terra è piena di violenza a causa degli uomini; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra.  Fatti un'arca di legno di gofer; falla a stanze, e spalmala di pece, dentro e fuori. […]  E Noè fece così; fece tutto quello che Dio gli aveva comandato (Genesi 6:9-14,22)

Per la prima volta nella Bibbia compare qui l'aggettivo "giusto". Che vuol dire? Nessuno può rispondere, se non Dio stesso, perché a dire questo è stato Lui, non un altro.

    "Egli (Abramo) credette all'Eterno, che gli contò questo come giustizia" (Genesi 15:6).

Per la prima volta nella Bibbia compare qui il sostantivo "giustizia". Che vuol dire? Stessa risposta di prima: nessuno può rispondere, se non Dio stesso, perché è Lui che dice queste parole e, come fanno tutti i giudici in tribunale, pronuncia la sentenza in base alla nozione di giustizia stabilita dall'autorità superiore, e non in base all'opinione personale di chi deve essere giudicato.
  Qui però si dice qualcosa di più sul criterio di giustizia usato dal Giudice: per la prima volta nella Bibbia compare il verbo "credere". Abramo "credette all'Eterno, che gli contò questo come giustizia". E poiché è Dio la fonte del diritto, nessuno può sollevare obiezioni contrapponendo una sua propria idea di giustizia.
  Il peccato di Adamo è consistito nel non aver creduto, per superbia, a quello che Dio aveva minacciato e promesso; adesso allora il Signore decide di "giustificare", cioè considerare giusto, colui che umilmente crede a quello che Egli annuncia e promette.

• GIUSTIFICATO PER FEDE
  Nel mondo ebraico la dottrina della "giustificazione per fede" è vista come una caratteristica della "religione cristiana" che la allontana radicalmente dal modo di credere e di vivere dell'ebraismo.
  Il primo a presentare questa dottrina è stato però un ebreo doc: Paolo di Tarso. Nel capitolo 4 della sua lettera ai Romani, Paolo inizia dicendo: "Che diremo dunque che il nostro antenato Abramo abbia ottenuto secondo la carne?" (v. 1). Parla di "nostro antenato", dunque si rivolge innanzi tutto ad altri ebrei come lui. E continua:

    "Poiché se Abramo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio; infatti, che dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia». Ora a chi opera, il salario non è messo in conto di grazia, ma di debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede è messa in conto di giustizia" (vv. 2-5).

Si può non essere d'accordo con questa spiegazione della Scrittura, come accade spesso anche tra ebrei, ma non si può negare che l'apostolo Paolo qui non sta inventando una nuova dottrina per una nuova religione, ma presenta quello che secondo lui è il significato vero e profondo di quel testo della Torah. Continua infatti la sua argomentazione citando il Salmo 32:

    "Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: «Beati coloro le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non addebita il peccato»" (vv. 5-7).

Il Re Davide aveva commesso gravissimi peccati, come adulterio ed omicidio, e secondo la Torah doveva essere messo a morte. Paolo, come rigoroso ebreo osservante, lo sapeva benissimo, e tuttavia, con un modo di argomentare di stile ebraico, sostiene che la giustizia messa in conto ad Abramo ha come conseguenza che con una fede simile alla sua il debito dell'uomo peccatore con Dio è saldato. Beati dunque coloro "le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti", proprio come è accaduto al Re Davide.

• SOLTANTO PER I CIRCONCISI?
  Qui Paolo fa una domanda interessante: "Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi  oppure anche per gl'incirconcisi?" (v. 9). Bella domanda! "Infatti - continua Paolo - noi diciamo che la fede fu messa in conto ad Abramo come giustizia" (v. 9). Ma Abramo è un circonciso - dirà forse qualcuno - quindi questa promessa di giustizia per fede riguarda soltanto gli ebrei.
  Abituato com'era al pilpul ebraico (il rabbinico stile di studio per dibattito dei testi sacri), Paolo previene il suo ipotetico interlocutore con una domanda: "In che modo dunque gli fu messa in conto? Quand'era circonciso, o quand'era incirconciso?" (v. 10). E immediatamente si dà la risposta:

    "Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse padre di tutti gl'incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abramo quand'era ancora incirconciso" (vv. 10-12).

Potrà sorprendere, ma le più grandi promesse di benedizione, tra cui quella fondamentale della giustizia ottenuta attraverso la fede, sono state fatte ad Abramo prima di essere circonciso. Anche la prima chiamata, Lech Lechà, è stata rivolta a un gentile, non ad un ebreo, per il semplice fatto che allora gli ebrei non c'erano ancora. Soltanto in seguito, in risposta alla fede di Abramo, Dio si è formato attraverso di lui un popolo storico che avesse la circoncisione come segno della fede del capostipite.
  Ciò non toglie che il popolo ebraico abbia ricevuto anche delle specifiche, esclusive promesse che riguardano soltanto lui, ma si può dire che esse cominciano a delinearsi soltanto dopo che Dio ha ordinato ad Abramo la circoncisione, con la nascita di Isacco e poi di Giacobbe.
  La giustizia donata da Dio sulla base della fede nella Sua Parola comincia con Abramo, e dopo di lui riguarda tutti coloro che hanno una fede simile alla sua. Senza distinzione tra ebrei e non ebrei.

(da "Sta scritto")



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«La corte imparziale»

di Giulio Meotti

ROMA - “Un infelice compleanno a te. 48 anni di occupazione”. La dedica è rivolta a Israele e a firmarla è Nawaf Salam. E’ il giugno 2015 e, mentre posta sui social il suo augurio, Salam è in carica come rappresentante del Libano alle Nazioni Unite. Ora è il presidente della Corte penale dell’Aia che emette mandati d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ormai ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. Bastava il procuratore della Corte penale dell’Aia, il musulmano britannico Karim Khan che a settembre ha incontrato il presidente della Turchia Erdogan e quello dell’Autorità nazionale palestinese Abbas, per capire che la Corte ha un problema di pregiudizio quando si tratta di Israele.
  Il libanese Salam è stato eletto a capo della Corte dell’Aia nel febbraio scorso. Quando fu nominato presidente arrivò la lettera di alcuni legislatori (democratici e repubblicani) americani al segretario di stato Antony Blinken: “Il chiaro e ben documentato curriculum di pregiudizi contro lo stato ebraico del giudice Salam e le persistenti violazioni dello statuto della Corte internazionale di giustizia rendono abbondantemente chiaro che non sarà un arbitro imparziale”.
  Un rapporto di UN Watch, l’organizzazione di monitoraggio con sede a Ginevra, ha analizzato il curriculum di Salam come ambasciatore all’Onu. Durante il suo mandato come rappresentante libanese presso le Nazioni Unite, Salam ha votato per condannare Israele 210 volte. Denunce unilaterali di Israele e carta bianca a Hamas. Nei suoi discorsi all’Onu, Salam ha accusato “organizzazioni ebraiche terroristiche”, ha detto che la “suprema leadership sionista” persegue un piano di “pulizia etnica” e che “per troppo tempo i criminali di guerra di Israele hanno beneficiato dell’impunità”. Il 18 giugno 2014, Salam si oppose alla candidatura di Israele alla vicepresidenza del Quarto Comitato dell’Assemblea generale. Salam ha anche ripetutamente attaccato Israele sui social. Nel 2015, su Twitter ha definito Israele un “trionfo di palesi scelte razziste e colonialiste”. Salam si è costantemente schierato con la Repubblica islamica dell’Iran. Ha votato contro tutte le undici risoluzioni dell’Assemblea generale che condannavano le violazioni del regime iraniano contro il suo popolo. Salam ha votato contro una risoluzione che chiedeva il rilascio dei prigionieri politici in Bielorussia, unendosi a Cina, Russia, Cuba, Iran, Siria e Corea del nord. Mentre scoppiava la guerra civile in Siria nell’aprile 2011, Salam usava il suo seggio nel Consiglio di sicurezza per bloccare una dichiarazione che avrebbe condannato il regime siriano per aver attaccato i civili. Salam ha anche pubblicato sui social le sue lodi per Fidel Castro, definendolo “icona di ribellione e resistenza”. “La Corte dell’Aia è stata un fallimento” ha scritto sul Wall Street Journal il giurista dell’Università di Chicago, Eric Posner. “Con uno staff di settecento persone e un budget annuale di cento milioni di dollari, la Corte ha finora completato solo un processo, quello a Thomas Lubanga, comandante nella guerra civile in Congo”. Ora può riprovarci con il primo ministro dell’unica democrazia in un arco che va da Marrakech a Mumbai impegnata a non soccombere alla piovra del terrorismo islamico.

Il Foglio, 23 novembre 2024)

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Ingiustizia è fatta – I mandati d’arresto internazionali contro Netanyahu e Gallant

di Ugo Volli

• IL COMUNICATO DELLA CORTE PENALE
  La Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja (da non confondere con la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), presso cui è in discussione una denuncia del Sudafrica contro Israele per “genocidio”) ha emesso mandati di arresto contro il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa, Yoav Gallant. In un comunicato, la CPI ha spiegato di avere “la ragionevole convinzione che Netanyahu e Gallant abbiano commesso crimini di guerra”. Essi, secondo la CPI, “hanno la responsabilità penale, inclusa la partecipazione condivisa ad atti commessi con altri, per il crimine di usare la fame come metodo di guerra e altri crimini contro l’umanità, inclusi omicidi, persecuzioni e altri atti disumani”. Inoltre essi, in quanto vertici civili delle forze armate, sarebbero “responsabili per il crimine di guerra di attacco intenzionale contro una popolazione civile”. I mandati di arresto naturalmente non avranno influenza nel funzionamento interno del governo israeliano, che li rifiuta, ma renderanno impossibile a Netanyahu e Gallant di recarsi all’estero, salvo i paesi che non aderiscono alla CPI, come gli Usa.

• LA REAZIONE DI ISRAELE
  “La decisione antisemita della Corte penale internazionale equivale a un moderno processo Dreyfus, e finirà allo stesso modo”, ha dichiarato l’ufficio del Primo ministro. “Israele respinge con veemenza le azioni e le accuse assurde e false contro di essa da parte della Corte penale internazionale, un organismo politico di parte e discriminatorio”. Nel comunicato si afferma anche che la decisione è stata sollecitata da “un procuratore capo corrotto che ha tentato di salvarsi da gravi accuse di molestie sessuali e da giudici di parte spinti dall’odio antisemita verso Israele”. Dichiarazioni di sostegno a Netanyahu e Gallant sono arrivate anche da tutti i principali ministri, dal presidente di Israele Herzog, dall’ex primo ministro Bennett e altri leader dell’opposizione. Vi sono state anche forti espressioni di solidarietà internazionali, soprattutto da parte americana. Al Congresso Usa pende una proposta di legge per sanzioni contro le azioni antisemite dei giudici della CPI, che sono tutti di nomina politica.

• IL CONTESTO
  Il mandato d’arresto contro Netanyahu, Gallant e due capi terroristi nel frattempo eliminati (Sinwar e Deif – un accostamento di per sé odioso e assurdo) era stato chiesto dal procuratore presso la CPI Karim Khan già il 20 maggio scorso e poi era rimasto in sospeso sia per motivi di diritto che per il fatto che Khan era stato a sua volta indagato per il sospetto di molestie sessuali a carico di sue collaboratrici. Sul piano del diritto, per statuto la CPI è competente solo per i paesi che hanno aderito al suo trattato istitutivo (e Israele non lo è, come non lo sono gli Usa); inoltre perché essa possa intervenire è necessario che non vi sia un sistema giudiziario nel paese interessato che ha l’autorità di occuparsi dei crimini sospettati. Il primo argomento di incompetenza è stato aggirato accettando l’adesione dello “Stato di Palestina” e dicendo che i “crimini” si sono svolti sul suo territorio; alla seconda, per quel che si sa, non è stata data risposta. Alla fine la “Camera preliminare” della CPI ha emesso il mandato di cattura, proprio il giorno dopo a quello in cui gli Stati Uniti avevano dovuto opporre il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, approvata da tutti i quattordici altri membri, che voleva imporre a Israele il cessate il fuoco (senza parlare degli ostaggi e senza poterlo fare con Hamas e Hezbollah, che non sono vincolati alle decisioni dell’Onu perché non sono stati membri); a quello in cui all’ex ministro della giustizia di Israele Ayelet Shaked era stato negato l’ingresso in Australia dal locale governo laburista perché contraria alla “soluzione dei due stati”; pochi giorni dopo che il “ministro degli esteri” uscente dell’Unione Europea, il socialista spagnolo Josep Borrell aveva proposto, per fortuna senza successo, di interrompere tutti i rapporti dell’Unione Europea con Israele.

• L’OTTAVO FRONTE
  In realtà, al di là degli aspetti giuridici e politici della decisione della CPI, quel che risulta chiaro è che le relazioni internazionali diplomatiche e giudiziarie sono l’ottavo fronte della guerra contro Israele. Lo stato ebraico sta vincendo sul terreno a Gaza e in Libano, ha inferto colpi molto duri ai suoi nemici in Yemen e in Iraq, ha bombardato l’Iran tanto efficacemente da indurlo a non provare a replicare, ha duramente colpito l’organizzazione terroristica in Giudea e Samaria, ha bloccato i tentativi di coinvolgere nel terrorismo la Giordania. Insomma sta nettamente prevalendo sui sette fronti della guerra e attende l’ingresso in carica di Trump per poter usare appieno i suoi mezzi contro l’Iran senza i vincoli imposti dall’amministrazione Biden, in modo da poterne eliminare del tutto la minaccia. Ma resta il fronte esterno, quello delle piazze e delle università europee e americane invase da antisemiti violenti. E soprattutto resta quello della diplomazia e della giustizia, l’ottavo fronte, dove l’offensiva contro Israele non ha soste.

• IL SENSO POLITICO DI UNA DECISONE CONTRO LA GIUSTIZIA
  Il provvedimento della CPI va pensato così, come parte di questa offensiva, che mira a paralizzare la solidarietà contro Israele, a impedire allo Stato ebraico di ottenere rifornimenti delle armi e munizioni necessarie, a preservare la dirigenza e la capacità offensiva dei terroristi che oggi colpiscono Israele e in futuro assalirebbero l’Occidente. Non solo dunque la delibera della CPI non ha nulla a che fare con la giustizia, anzi si può sintetizzare col motto “Ingiustizia è fatta”. Quel che deve essere chiaro è che si tratta di un atto di guerra, di un’azione pienamente allineata con Hamas, Hezbollah e l’Iran, che naturalmente hanno salutato con giubilo i mandati di arresto. Una delle tragedie del nostro tempo è che istituzioni concepite per portare giustizia e pace nel mondo, come l’Onu e la CPI, siano diventate strumenti del terrorismo e della distruzione.

(Shalom, 22 novembre 2024)
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L’Italia garantista del diritto internazionale da destra a sinistra

Eccetto la Lega di Matteo Salvini

di Ludovica Iacovacci

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito il mandato d’arresto della CPI per il premier israeliano Beniamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant  “sbagliato” ma ha precisato che l’Italia, aderendo allo Statuto di Roma, è obbligata ad applicarlo. “Io ritengo che la sentenza della Corte penale internazionale sia sbagliata” ma se Benyamin Netanyahu e Yoav Gallant “venissero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale”, ha affermato Guido Crosetto durante la puntata di Porta a Porta in onda su Raiuno.
Anche il Partito Democratico concorda con il Ministro della Difesa di Fratelli d’Italia nell’attenersi alla decisione della Corte. “È partito l’attacco alla Corte Penale Internazionale, per il mandato di arresto a Netanyahu. La CPI è un’acquisizione fondamentale della giustizia internazionale, fondata sullo Statuto di Roma. L’Italia ha il dovere di rispettarla ma anche quello di adeguarsi alle sue decisioni” scrive su Peppe Provenzano, responsabile Esteri nella segreteria nazionale del PD. Così Fratoianni e Bonelli, leader di Avs, che definiscono la notizia del mandato d’arresto come “enorme” e chiedono il rispetto della decisione della Corte. Il Movimento5Stelle rincara la dose chiedendo un embargo di armi contro Israele.
L’unica voce fuori dal coro è quella di Matteo Salvini, leader della Lega: “Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”, ha detto il vicepremier a margine dell’assemblea Anci.

- L’Europa si adegua alla Corte
  Josep Borrell, capo della diplomazia europea, ribadisce che «tutte le nazioni dell’Unione sono obbligate a rispettare la decisione». L’Olanda ha subito aderito ed è stata la prima a farlo: «Siamo pronti ad eseguire i fermi». Il Belgio ha sottolineato l’importanza della lotta all’impunità, dichiarando pieno sostegno alla Corte, così ha fatto anche la Svezia, che ha confermato il “supporto all’organo e alla sua indipendenza”, e la Slovenia, che ha dichiarato che si “adeguerà pienamente” alla decisione della Corte. “Sosteniamo i tribunali internazionali e applichiamo i loro mandati”, ha detto il capo del governo dell’Irlanda.
La Francia “prende atto” dei mandati di arresto emessi dalla CPI contro Benjamin Netanyahu, ma al momento non pervengono dichiarazioni ufficiali riguardo all’intenzione di arrestare Netanyahu in caso di visita. Idem per il Regno Unito.
Quanto alla Germania: “Le forniture di armi a Israele sono sempre soggette a una valutazione caso per caso, e questo rimane il caso attuale. Il nostro atteggiamento nei confronti di Israele rimane invariato”, ha affermato un portavoce venerdì mattina. Ieri, in concomitanza della comunicazione ufficiale del mandato d’arresto da parte della CPI per i leader israeliani e il terrorista palestinese Deif, il presidente spagnolo Pedro Sanchez inaugurava il primo incontro intergovernamentale tra Spagna e Palestina, ricevendo il capo dell’ANP Mahmud Abbas. “Questo incontro è il simbolo del compromesso che la Spagna ha con la Palestina: con il suo presente e con il suo futuro”, scriveva il leader spagnolo. Per quanto riguarda la posizione del suo governo, il tema del mandato d’arresto internazionale dalla stampa locale non sembra ancora essere toccato, ma la Spagna è l’unico Paese europeo ad essersi unito nella causa per genocidio che il Sudafrica sta portando avanti contro Israele dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia.
Il sostegno dell’Ungheria di Viktor Orban a Israele: “Netanyahu venga a Budapest, non rispettiamo CPI”
“Oggi inviterò il primo ministro israeliano Netanyahu a visitare l’Ungheria, dove gli garantirò, se verrà, che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto in Ungheria e che non ne rispetteremo i termini”, ha detto il primo ministro ungherese e presidente di turno della Ue, Viktor Orban, alla radio di stato ungherese.

- Stati Uniti: il muro in sostegno di Israele
  Gli Stati Uniti si sono opposti fermamente al mandato d’arresto contro i leader israeliani. Il presidente Joe Biden ha definito la decisionescandalosa e ha riaffermato il supporto incondizionato a Israele, dichiarando: “Non c’è equivalenza tra Israele e Hamas”.
Secondo fonti della Casa Bianca, la futura amministrazione Trump starebbe valutando di imporre sanzioni contro la Corte. Le fonti hanno parlato di sanzioni personali contro il procuratore capo Karim Khan e contro i giudici che hanno emesso i mandati. Mike Waltz, candidato dal presidente eletto Donald Trump alla carica di Consigliere per la sicurezza nazionale, ha scritto: “A gennaio ci si può aspettare una forte risposta al pregiudizio antisemita della Cpi e dell’Onu”.
Di avviso contrario è il Primo Ministro canadese Justin Trudeau, il quale afferma che “sosterrà il diritto internazionale” per quanto riguarda i mandati di arresto della CPI nei confronti dei leader israeliani Netanyahu e Gallant.

- Russia: “Decisioni CPI insignificanti”
  Netto disprezzo da parte di Mosca per le decisioni della Cpi, lo stesso organo che lo scorso anno ha emesso un mandato d’arresto per il presidente Vladimir Putin, il quale, recatosi fisicamente in Mongolia – Paese che ha ratificato lo Statuto di Roma – non è stato arrestato dalle autorità locali, evento che di fatto ha delegittimato la recente Corte stessa. Per la Russia le decisioni della Corte penale internazionale sono “insignificanti” e quindi “non c’è motivo di commentarle”, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, come riferisce l’agenzia di stampa Ria Novosti.

- La Cina, alleata solo di sé stessa, parla a tutti senza parlare a nessuno
  “Ci auguriamo che la Corte penale internazionale mantenga una posizione obiettiva ed equa, eserciti il suo potere in conformità con la legge e interpreti e applichi lo Statuto di Roma e il diritto internazionale generale in modo completo e in buona fede secondo standard uniformi”, ha affermato Lin Jian, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, secondo quanto riporta il tabloid in lingua inglese del Quotidiano del Popolo.

- Per l’Iran il mandato d’arresto è “la morte politica di Israele”
  Il capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, il generale Hossein Salami, ha definito il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Gallant come la “fine e la morte politica” di Israele. “Questo significa la fine e la morte politica del regime sionista, un regime che oggi vive in un assoluto isolamento politico nel mondo e i suoi funzionari non possono più viaggiare in altri Paesi”, ha detto Salami in un discorso trasmesso dalla TV di Stato.

- Altri Paesi
  Dall’America Latina, il presidente argentino Javier Milei ha duramente criticato la Cpi, accusandola di ignorare il diritto di Israele all’autodifesa contro Hamas e Hezbollah. Dello stesso avviso è il Paraguay, che parla di «strumentalizzazione politica» e ritiene compromessa «la legittimità della Corte». Il Sudafrica, Paese promotore dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) della causa contro Israele per genocidio, ha appoggiato con forza la decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) definendola un passo significativo verso la giustizia per i crimini di guerra. Al momento non si registrano significative prese di posizione da parte degli altri Paesi (per lo più latinoamericani, ma non solo) che si sono uniti al Sudafrica nella causa al tribunale dell’Aja.

- Le Nazioni Unite “pacifiste per i diritti umani”…
  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha ribadito il rispetto per l’indipendenza della Cpi, mentre Francesca Albanese, “relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina”, ha definito il mandato un “momento di euforia” per “le vittime di Gaza”.

- …si sposano con il “no comment” della Chiesa cattolica
  “Sulla cattura di Netanyahu? Nessun commento da parte della Santa Sede. Abbiamo preso nota di quanto è avvenuto. A noi quello che preoccupa e quello che interessa è che al più presto si ponga fine alla guerra che è in corso”. Così il Segretario della Santa Sede, card. Pietro Parolin parlando a margine di un evento all’università Lumsa di Roma in merito al mandato d’arresto emesso dalla Cpi per il presidente israeliano Benjamin Netanyahu.

(Bet Magazine Mosaico, 22 novembre 2024)

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Milei intende firmare un memorandum “contro il terrorismo e le dittature” con Israele

Il presidente dell'Argentina, Javier Milei, ha affermato che il suo governo sta lavorando per firmare un memorandum con Israele "contro il terrorismo e le dittature".

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“Stiamo portando avanti un memorandum storico con il governo israeliano, un’alleanza bilaterale tra due nazioni sorelle, un memorandum in difesa della libertà e della democrazia, nella lotta contro il terrorismo e le dittature”, ha rivelato Milei parlando giovedì sera al Congresso Argentina. Israele Business Meeting tenutosi a Buenos Aires.
Milei ha espresso il suo desiderio che “questa alleanza tra Argentina e Israele diventi un modello affinché anche altre nazioni del mondo libero scelgano la vita e la libertà, condannando fermamente e apertamente il terrorismo”.
Il presidente argentino, che non ha fornito ulteriori dettagli sull'accordo al quale si sta lavorando, ha ricordato gli attacchi subiti dall'Argentina, quello dell'ambasciata israeliana a Buenos Aires, nel 1992, che causò 22 morti, e l'esplosione della sede della Mutua Associazione Israeliana Argentina (AMIA), nel 1994 con 85 morti.
Ha parlato anche della “barbarie commessa dal gruppo terroristico Hamas il 7 ottobre 2023” in Israele e dei 101 ostaggi che rimangono sequestrati nella Striscia di Gaza, tra cui otto argentini, come precisato dal presidente.
Milei ha affermato che Israele è sotto “la costante minaccia di essere distrutto dai nemici del mondo libero” e ha confermato che quel paese e gli Stati Uniti sono i “partner geopolitici più importanti” per l’Argentina.
“Abbiamo la vocazione di rafforzare l’amicizia che storicamente esiste tra Israele e Argentina ed è per questo che stiamo portando le relazioni bilaterali tra le nostre nazioni ad un livello mai raggiunto prima, perché questa unione nasce dalla profondità in cui due nazioni possono collaborare. "Da un lato i valori della libertà e della democrazia, dall'altro la lotta al terrorismo e alle dittature", ha assicurato.

(Aurora Israel, 22 novembre 2024)

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BASKET – Olympia vince su Maccabi «in una bella serata di sport»

«È stata una bella serata di sport. Non ci sono stati cori contro il Maccabi Tel Aviv e noi abbiamo portato diverse bandiere israeliane». Lo racconta Milo Hasbani, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Insieme al consiglio della Comunità ebraica milanese, Hasbani ha organizzato la partecipazione di un gruppo di giovani e dei loro genitori alla partita di basket, giovedì sera al Forum di Assago, tra Olympia Milano e Maccabi Tel Aviv. «In particolare abbiamo invitato i nostri volontari del servizio di sicurezza».
  Sul campo, la sfida valida per il torneo Eurolega è stata a tratti molto combattuta: il Maccabi nel primo quarto è riuscito a portarsi avanti, poi il quintetto milanese del coach Ettore Messina ha ribaltato il risultato nel secondo quarto. E sono rimasti avanti fino alla fine della partita, terminata 98-86 per i padroni di casa.
  La politica, a differenza di altre occasioni, è rimasta fuori dal palazzetto. Uno striscione con scritto «Stop the war» è stato bloccato e, per protesta, un gruppo di tifosi dell’Olympia è entrato solo dopo il primo quarto. «C’era qualche volantino contro Israele, qualche scritta, ma tutto è stato gestito in grande sicurezza. C’era un importante dispiegamento di forze dell’ordine, che ringraziamo. Dispiace che sia necessario, ma questa purtroppo è la normalità», sottolinea Hasbani.

(moked, 22 novembre 2024)

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L’Aia vuole far arrestare Bibi: «Crimini contro l’umanità». No Usa, esultano Pd e Conte

La Corte penale internazionale accusa Netanyahu e Gallant. Crosetto: «Non condivido ma se arrivano in Italia vanno fermati». Borrell: «Mandati vincolanti per l'intera Ue» 

di Stefano Piazza 

Ieri pomeriggio la Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia ha emesso i mandati di arresto nei  confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. La Cpi ha spiegato che «vi è ragionevole convinzione che Netanyahu e Gallant abbiano commesso crimini di guerra». Nella dichiarazione si legge che i due «hanno la responsabilità penale per i crimini, tra cui la partecipazione condivisa ad atti commessi con altri: crimini di guerra come la fame com e metodo di guerra e crimini contro l'umanità, tra cui omicidio, persecuzione e altri atti disumani». Inoltre, «Netanyahu e Gallant hanno ciascuno la responsabilità penale individuale in quanto superiori civili per il crimine di guerra di attacco intenzionale contro una popolazione civile». 
  Per rendere tutto ancora più grottesco, L'Aia ha emesso un mandato di cattura anche per il terrorista di Hamas Mohammed Deif, ridotto in polvere da un drone israeliano a Khan Yunis il 13 luglio 2024. Ora che succederà? Come conseguenza diretta, i 124 Stati che aderiscono alla Cpi, tra i quali troviamo l'Italia, avrebbero la facoltà di eseguire i mandati di arresto sul loro territorio, qualora Netanyahu o Gallant si recassero in questi Paesi, rendendo di fatto quasi impossibile per loro viaggiare all'estero. 
  A proposito del nostro Paese, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, durante un punto stampa a Parigi, ha affermato: «L'Italia sostiene la Corte penale internazionale ricordando sempre che svolge un ruolo giuridico e non politico. Hamas è un'organizzazione terroristica e bisogna separare le due cose e valuteremo insieme ai nostri alleati come valutare questa decisione e come affrontare questa vicenda». Quello che però sfugge è come si possa farlo se la premessa è: «L'Italia sostiene la Corte penale internazionale». A Porta a porta il ministro della Difesa Guido Crosetto ha detto che, se il premier israeliano venisse in Italia, «dovremmo arrestarlo, siamo tenuti ad applicare la sentenza della Cpi. Io posso ritenere che la sentenza sia sbagliata e per me lo è, perché mette sullo stesso piano il presidente israeliano e il capo degli attentatori di Hamas. Sono due cose completamente diverse. Tuttavia, aderendo noi alla Corte penale internazionale, dobbiamo applicare le sue disposizioni. Non si tratta di una scelta politica, dobbiamo applicare questa sentenza, come ogni Stato che aderisce. L'unico modo per non applicarla sarebbe uscire dal trattato». 
  Sempre per restare all'Italia, su Facebook il leader del M5s, Giuseppe Conte, oltre a citare i numeri delle vittime forniti da Hamas «circa 44.000 vittime, la metà donne e bambini», ha chiesto «sanzioni ed embargo delle armi a Israele», mentre Peppe Provenzano, responsabile Esteri nella segreteria nazionale del Pd, scrive su X: « L'Italia rispetti la Cpi e si adegui alle sue decisioni». Per la Lega si tratta di una «richiesta assurda, una sentenza politica filo-islamica, che allontana una pace necessaria». 
  Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha affermato che i Paesi Bassi «eseguiranno il mandato d'arresto della Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Yoav Gallante Mohammed Deif». L'Alto rappresentante dell'Unione europea per la Politica estera, Josep Borrell, ha affermato: «I mandati d'arresto emessi dalla Corte penale internazionale contro Netanyahu e Gallant sono vincolanti e per tanto tutti i membri della Ue devono garantirne l'applicazione». 
  La pensano diversamente gli Stati Uniti con il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca che ha subito reagito alla notizia: «Rimaniamo profondamente preoccupati dall'impazienza del procuratore Karim Khan nel richiedere i mandati d'arresto e dai preoccupanti errori nel processo che ha portato a questa decisione e ribadiamo che la Cpi non ha alcuna giurisdizione legale in questa materia». Il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Mike Waltz, su X scrive: « La Cpi non ha credibilità e queste accuse sono state confutate dal governo degli Stati Uniti. Israele ha difeso legalmente il suo popolo e i suoi confini dai terroristi genocidi. Potete aspettarvi una forte risposta al pregiudizio antisemita della Cpi e dell' Onu a gennaio», 
  Unanime lo sdegno in Israele e la solidarietà a Netanyahu che ha così commentato: «La decisione antisemita della Corte penale internazionale equivale al moderno processo Dreyfus e finirà così. Israele respinge con disgusto le azioni e le accuse assurde e false contro di lui da parte della Corte penale internazionale, che è un organismo politico parziale e discriminatorio». Durissimo il commento del presidente israeliano, Isaac Herzog, che su X scrive: «Questo è un giorno buio per la giustizia. Un giorno buio per l'umanità. Presa in malafede, l'oltraggiosa decisione della Corte penale internazionale ha trasformato la giustizia universale in uno zimbello universale. Si fa beffe del sacrificio di tutti coloro che lottano per la giustizia, dalla vittoria degli Alleati sui nazisti a oggi» . 
  Dato che siamo di fronte ad una farsa ,non poteva mancare il commento del segretario generale di Amnesty International, Agnes Callamard: «Gli Stati membri della Cpi e l'intera comunità internazionale non devono fermarsi davanti a nulla finché questi individui non saranno processati dai giudici indipendenti e imparziali della Cpi», Esulta anche la Turchia con il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, che ha dichiarato: «Questa decisione è un passo fondamentale per portare dinanzi a un tribunale i responsabili di crimini di guerra, i colpevoli del genocidio dei palestinesi. Il mandato di arresto è una fonte di speranza per la giustizia».

(La Verità, 22 novembre 2024)

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Israele spiega a Greta e agli apocalittici green come si fa ambientalismo

di Giulio Meotti

Lo stato ebraico è leader mondiale nell’utilizzo dell’energia solare e nella conservazione dell’acqua e lo dimostrano le start up israeliane alla conferenza dell’Onu. Bella lezione a chi urla “nessuna giustizia climatica in Palestina”
Nel suo romanzo “Idromania” (Giuntina), lo scrittore israeliano Assaf Gavron immagina un futuro (il 2067) in cui i nuovi equilibri geopolitici sono legati al dominio sull’acqua che scarseggia. Uno scenario apocalittico alla Greta Thunberg che però contiene un fondo di verità: Israele, che ha abbondanza di deserto e penuria di acqua, da anni ha investito per evitare di sprecarne anche una sola goccia.  Così, alla Cop29 sul clima in corso a Baku, Israele ha presentato una delle sue start-up, H2oll, sviluppata presso il Technion-Israel Institute of Technology boicottato dalle università occidentali che si pasciono nell’ecologismo, e in grado di estrarre acqua dall’aria rarefatta nel deserto.
Gideon Behar, “inviato speciale per il cambiamento climatico e la sostenibilità” d’Israele, guida la delegazione di Gerusalemme alla 29a Conferenza dell’Onu sul clima a Baku, in Azerbaigian. “A causa della nostra storia, Israele è una superpotenza globale nell’innovazione climatica”, racconta Behar. “Israele può davvero rendere il pianeta un posto migliore”. 
Bella lezione agli ecologisti occidentali alla Greta che urlano “nessuna giustizia climatica in Palestina”. Israele è leader mondiale nell’utilizzo dell’energia solare e nella conservazione dell’acqua (oggi la desalinizzazione fornisce più dell’80 per cento dell’acqua che bevono gli israeliani). Israele tratta l’86 per cento delle sue acque reflue domestiche e le ricicla per uso agricolo. Al secondo posto la Spagna con il 17 per cento (gli Stati Uniti riciclano solo l’un per cento). 
Un’altra start up israeliana presentata all’Onu è BlueGreen, con cui Israele elimina le fioriture di alghe tossiche, ripristinando l’equilibrio ecologico naturale nei laghi e nei bacini idrici. Una manna per i paesi africani e mediorientali. 
Innovazione, pionierismo e genio ebraico: così Israele è diventata più green di tutti i soloni ambientalisti occidentali che annunciano l’apocalisse, tirano zuppe sui dipinti e urlano “dal fiume al mare”.

Il Foglio, 22 novembre 2024)

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Hamas attacca i convogli umanitari? L’Onu incolpa Israele

di Iuri Maria Prado

Da mesi e mesi a questa parte non c’è un provvedimento della Corte Internazionale di Giustizia né un ricorso che ne reclami l’emissione, non c’è un rapporto o una risoluzione dell’Onu, non c’è una dichiarazione del procuratore della Corte Penale Internazionale, non c’è un appello di qualche sigla della cooperazione internazionale in cui non si denunci – imputandone la responsabilità a Israele – l’aggravarsi della situazione umanitaria a Gaza.
Sul presunto “uso della fame come arma di guerra” si affastellano, da ormai più di un anno, le requisitorie secondo cui Israele sarebbe colpevole di crimini di guerra, di sterminio e di genocidio riducendo appunto alla fame, e in condizioni di carestia, la popolazione di Gaza. In particolare, Israele si abbandonerebbe alla commissione di quei crimini ostacolando il flusso degli aiuti e deliberatamente attaccando il personale e i convogli umanitari. È successo – non frequentemente – che nel corso di azioni belliche nella Striscia siano stati coinvolti operatori della cooperazione internazionale. A volte – raramente – per colpevole avventatezza delle forze israeliane; altre volte – banalmente quanto tragicamente – perché si tratta di uno scenario di guerriglia urbana in cui simili incidenti possono succedere con facilità.
Ciò che invece non è successo – mai – è che Israele abbia programmato e messo in atto la campagna di assedio e sterminio per fame di cui si straparla e che – dopo un anno e passa di guerra, e se davvero avesse avuto luogo – avrebbe annichilito gran parte della popolazione di Gaza. L’altro giorno l’Unrwa (l’agenzia Onu per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente) denunciava che cento camion di aiuti erano stati attaccati da uomini armati, dunque sequestrati e finiti chissà dove. Una denuncia molto circostanziata salvo che per il trascurabile dettaglio relativo all’identità degli aggressori: non discutendosi di sterminatori israeliani, ma di miliziani palestinesi, era inutile esercitarsi in troppe precisazioni.
Ma non era inutile, per il rappresentante dell’Onu incaricato di raccontare la vicenda, spiegare che Israele, in quanto forza occupante, dovrebbe garantire l’incolumità del personale umanitario. Come? Scortando i convogli? No, ha risposto, perché in tal modo quegli operatori diventerebbero un bersaglio della controparte. A quel punto gli hanno domandato: scusi, prima dice che l’esercito deve difendervi, poi dice che l’esercito dovrebbe stare lontano dai vostri convogli. Non c’è qualche contraddizione? Il signore dell’Onu l’ha sciolta così: “La migliore protezione è che la guerra finisca”.
Bellissimo. Il guaio è che la guerra che non finisce è anche, anzi prima di tutto, la guerra che Hamas (il nome che l’Onu fatica a pronunciare) conduce invocando il martirio della propria popolazione, trasformando in bunker gli edifici dell’Onu, non liberando gli ostaggi, attaccando i convogli umanitari, inguattando gli aiuti e rivendendoli a strozzo alla povera gente. Ma non è materia per le indignazioni delle Nazioni Unite.

(Il Riformista, 21 novembre 2024)

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L'Aia inaugura la caccia allo stato ebraico

di  Giulio Meotti

La Corte penale internazionale emette mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant per conto dello “stato di Palestina” governato da Hamas. Un attacco alla legittimità di Israele e una minaccia per tutto il mondo libero
  La Corte Penale Internazionale dell’Aia ha emesso mandati d’arresto a carico di Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, e Yoav Gallant, ministro della difesa. Accomunare i leader israeliani democraticamente eletti agli autori del peggiore attacco contro gli ebrei dalla Seconda guerra mondiale aveva già mostrato quanto la Corte fosse una farsa pericolosa. Poi Israele ha eliminato tutti i leader di Hamas inseriti dal procuratore dell’Aia, Karim Khan, togliendo ai soloni della Corte anche la foglia di fico dell’equivalenza fra Hamas e Israele. Così sono rimasti Netanyahu e Gallant. 
  L’espediente dell’Aia consiste nel dichiarare che sta perseguendo questi mandati per conto dello “stato di Palestina”. Ma chi governa quello stato? A Gaza è Hamas dal 2007, due anni dopo che gli israeliani hanno ritirato tutti gli ebrei, civili e militari, e persino le tombe ebraiche. La Corte dell’Aia sta dunque aiutando una delle organizzazioni terroristiche più odiose del mondo a mantenere il proprio potere e persistere nelle sue politiche, queste sì, genocide. È un po’ come se un tribunale internazionale avesse emesso un mandato d’arresto contro Winston Churchill per i bombardamenti su Dresda e Amburgo. Contro l’Aia c’è bisogno di una mobilitazione internazionale, sia degli ebrei che dei non ebrei, perché dare la caccia a colui che si difende intimidito da mandati d’arresto non è una minaccia solo per Israele, ma per tutto il mondo libero che non vuole finire nella morsa del terrorismo e del sopruso. 
  Ora c’è da capire come potrà Israele evitare di essere trasformato in uno stato paria. La Corte ha giurisdizione solo nei paesi che hanno firmato un trattato del 1998 noto come Statuto di Roma. Israele non l’ha firmato. E nemmeno gli Stati Uniti. Ma l’Europa l’ha firmato e, se domani Netanyahu e Gallant mettessero piede in un paese europeo, questo sarebbe legalmente tenuto ad arrestarli. I leader israeliani sono di fatti banditi da 120 paesi firmatari dello Statuto. 
  L’Aia sorge non lontano da Amsterdam, dove due settimane fa è andata in scena la caccia all’ebreo. I giudici hanno appena dato il via alla caccia allo stato ebraico. 

Il Foglio, 21 novembre 2024)

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Come liberarsi dal giogo di Hezbollah?

di Sarit Zehavi

Nel nord di Israele, la vita quotidiana si è fermata, sconvolta dall’incessante minaccia di attacchi missilistici e droni lanciati da Hezbollah. Nelle aree vicino al confine, le scuole sono chiuse, le strade non sono sicure e le famiglie, compresa la mia, vivono ai margini, con solo 15 secondi per raggiungere un rifugio quando suona l’allarme.
L'obiettivo di Israele nella guerra è chiaro: un ritorno alla normalità, non limitato da deboli cessate il fuoco, ma sostenuto da un accordo di sicurezza duraturo. Tuttavia, per raggiungere questa stabilità è necessario affrontare il nocciolo della lotta del Libano: la sua incapacità di prendere decisioni nazionali senza l’approvazione di Hezbollah, sia politicamente che militarmente. Finché Hezbollah manterrà la sua roccaforte nel governo libanese, un cessate il fuoco stabile e duraturo rimarrà sfuggente, non solo per gli israeliani ma anche per il popolo libanese.
Israele si trova di fronte a tre opzioni strategiche nella ricerca di una soluzione. La prima opzione, molto impegnativa, è quella di stabilire una zona di sicurezza fisica nel Libano meridionale per limitare la capacità di Hezbollah di lanciare attacchi, con l'esercito israeliano di stanza nel Libano meridionale. Tuttavia, questa zona di sicurezza avrebbe un costo elevato, ricordando i dolorosi precedenti interventi militari in Libano negli anni ’1980 e ’1990, con soldati di stanza in territorio ostile che rischiavano quotidianamente la vita. Questo approccio non è attraente dopo decenni di amare esperienze che Israele non vorrà ripetere.
La seconda opzione, spesso discussa dai media israeliani durante gli attuali negoziati di tregua, prevede un’intensa e costante applicazione della legge da parte delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) per frenare le attività di Hezbollah nel sud del Libano. Tuttavia, questo approccio solleva anche interrogativi. Un’applicazione militare prolungata potrebbe prevenire disordini quotidiani, ma potrebbe provocare ulteriori attacchi di ritorsione da parte di Hezbollah, perpetuando l’instabilità nel nord di Israele. Le comunità israeliane rimarrebbero vulnerabili agli attacchi e la vita normale rimarrebbe fuori portata nella zona.
La terza e più praticabile opzione è l’istituzione di un cessate il fuoco globale e di un accordo di sicurezza solido e applicabile. Un simile accordo non deve solo limitare la libertà d'azione di Hezbollah, ma anche ridefinire completamente il rapporto del Libano con l'organizzazione terroristica sostenuta dall'Iran. Per raggiungere questo obiettivo, Israele e la comunità internazionale devono adottare un approccio strategico che enfatizzi sia gli incentivi che la responsabilità da parte del Libano, spingendolo a recidere i legami ufficiali con Hezbollah e a considerarlo per quello che è: un’organizzazione terroristica.
Per raggiungere un accordo di sicurezza sostenibile, dobbiamo prima esaminare la natura del rapporto di Hezbollah con il Libano. L'organizzazione è più di un'entità terroristica pesantemente armata: è parte integrante della struttura politica del Libano e i suoi membri ricoprono posizioni di alto livello all'interno del governo libanese. Questa non è un'affiliazione casuale; Hezbollah ha un posto riconosciuto al tavolo, esercitando influenza sulla politica nazionale libanese e approfittando della sua posizione per rafforzare le sue operazioni.
Ad esempio, la presenza di Hezbollah si estende anche ai punti critici di ingresso in Libano, come l’aeroporto di Beirut e i valichi di frontiera con la Siria, che rimangono sotto il controllo parziale di Hezbollah. Ciò è dovuto al fatto che il ministro ad interim responsabile dei punti di entrata e di uscita dal Libano è il ministro dei trasporti e dei lavori pubblici Ali Hamie, affiliato a Hezbollah. Ciò consente a Hezbollah di contrabbandare armi e risorse attraverso i confini, rafforzando ulteriormente le sue capacità militari ed erodendo la sovranità libanese.
Non è ragionevole aspettarsi che il Libano applichi un accordo di tregua se Hezbollah rimane radicato nel suo governo. Anche se i funzionari libanesi possono offrire garanzie, la realtà è che hanno le mani legate finché l'influenza di Hezbollah non viene messa in discussione. Una negazione chiara e pubblica di Hezbollah è essenziale affinché il Libano riconquisti il suo status di nazione sovrana e diventi un partner credibile nel garantire la pace.
Affinché il Libano possa liberarsi dall'influenza di Hezbollah è necessario che la comunità internazionale intervenga con incentivi e pressioni. Questo approccio ha un precedente nella risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede lo scioglimento di tutte le forze armate non governative illegali in Libano. Tuttavia, fino ad ora, questa risoluzione è stata un gesto in gran parte simbolico, non attuato e largamente ignorato.
Gli Stati Uniti, le Nazioni Unite e le principali nazioni occidentali devono svolgere un ruolo attivo nel sostenere il governo libanese affinché rimanga indipendente dall’influenza di Hezbollah. Gli aiuti finanziari, il sostegno militare e la legittimità internazionale devono essere subordinati all’adozione da parte del Libano di misure misurabili per tagliare i legami con Hezbollah. È contraddittorio inviare aiuti alle forze armate libanesi mentre Hezbollah, di fatto uno Stato nello Stato, mina la sicurezza stessa del Libano.
Al di là delle implicazioni sulla sicurezza per Israele, il potere incontrollato di Hezbollah ha conseguenze devastanti per lo stesso Libano. Il popolo libanese si trova ad affrontare difficoltà economiche, instabilità politica e la costante minaccia di diventare un danno collaterale nelle campagne terroristiche di Hezbollah contro Israele. Il coinvolgimento di Hezbollah nella guerra civile siriana, per volere dell'Iran, ha spinto il Libano in conflitti regionali che non hanno fatto altro che esacerbare le turbolenze interne e le difficoltà economiche. Il Libano non può prosperare se rimane incatenato all’agenda di Hezbollah e dell’Iran, un’agenda che dà priorità agli interessi stranieri e alle guerre religiose rispetto alla prosperità libanese.
Ci sono persone in Libano che si oppongono a Hezbollah e sostengono un Libano sovrano che possa prosperare in modo indipendente. Tuttavia, senza uno sforzo concertato da parte della comunità internazionale per esercitare pressioni sul governo libanese, queste voci sono troppo deboli e rischiano di essere soffocate. La comunità internazionale deve chiarire che il futuro del Libano come nazione pacifica e prospera dipende dalla sua volontà di affrontare la presenza destabilizzante di Hezbollah.
Come cittadino israeliano che vive nel nord, capisco profondamente il desiderio di calma e sicurezza. Ma questa calma non può essere superficiale né può essere raggiunta attraverso false soluzioni. Israele adotterà le misure necessarie per proteggere i suoi cittadini, ma dobbiamo anche esortare il Libano a riconoscere che Hezbollah costituisce un ostacolo alla propria stabilità e al proprio futuro.
Hezbollah deve essere privato della sua legittimità politica. Solo allora il Libano potrà riconquistare la propria sovranità, e solo allora Israele e il Libano potranno cercare un futuro più sicuro.

(Aurora Israel , 20 novembre 2024)

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Cosa cambia per Israele con il ritorno di Trump

di Nathan Greppi

Il risultato delle elezioni americane del 5 novembre ha aperto diversi possibili scenari su come cambierà l’atteggiamento di Washington nei confronti di Israele e della guerra in corso quando, il 20 gennaio 2025, Donald Trump rientrerà alla Casa Bianca. In molti pensano che sosterrà le decisioni del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu molto più di quanto non facesse Joe Biden.
  Tuttavia, non mancano gli episodi che fanno pensare ad una rotta diversa rispetto al suo primo mandato; ad esempio, il fatto che personaggi fortemente filoisraeliani come Mike Pompeo e Nikki Haley non faranno parte del nuovo governo. In compenso, la scelta per l’Ambasciatrice americana all’ONU è caduta su una figura altrettanto vicina a Israele, la deputata Elise Stefanik, nota per aver condotto nel dicembre 2023 l’interrogazione sull’antisemitismo nelle università della Ivy League.

• GIUDIZI SU BIDEN
  Sull’operato del presidente uscente in merito alla guerra in corso tra Israele da una parte e Hamas e Hezbollah dall’altra, “l’opinione pubblica israeliana è divisa”, spiega a Mosaico la giornalista israeliana Ruthie Blum, nata a New York e che in passato ha lavorato come consigliere nell’ufficio del Primo Ministro Netanyahu. “All’inizio della guerra, molti israeliani erano convinti che Biden fosse sincero nel sostenerli dopo il 7 ottobre. Ma prima ancora che Israele iniziasse l’operazione di terra a Gaza, il Dipartimento di Stato americano aveva già cercato di scoraggiarli dall’entrare nella Striscia”.
  Questo posizionamento, secondo la Blum, non ha stupito gli israeliani, in quanto “nel corso degli anni, il Partito Democratico si è spostato sempre più a sinistra, ed è diventato sempre più critico nei confronti d’Israele. E questa amministrazione, in particolare, si è rivelata una copia dell’Amministrazione Obama”, che aveva pessimi rapporti con Netanyahu.

• LA REAZIONE DEI PAESI ARABI
  Israele non è l’unico Stato del Medio Oriente ad aver seguito le elezioni americane con il fiato sospeso: anche i paesi arabi hanno i loro interessi da difendere, che possono risentire positivamente o negativamente della politica estera statunitense.
  “Trump è più rispettato nel mondo arabo che nell’Europa occidentale”, spiega a Mosaico l’ex-diplomatico americano Alberto Miguel Fernandez, con una lunga esperienza di lavoro nelle ambasciate USA nei paesi islamici e oggi vicepresidente del MEMRI (Middle East Media Research Institute). “È visto come una figura forte e nazionalista, una visione del mondo che gli arabi comprendono, riconoscono e più o meno rispettano. Essere nazionalisti non è visto in modo negativo nella regione. Egli è anche percepito come un politico pragmatico, il che è un sollievo per molti se paragonato a pericolosi ideologi come George W. Bush, che invadono e distruggono le nazioni”.
  Fernandez aggiunge che “molti arabi musulmani sunniti, che sono la maggioranza della popolazione nella regione, hanno anche apprezzato il fatto che Trump abbia eliminato una figura come il generale iraniano Qassem Soleimani, visto come un famigerato macellaio che ha fatto strage di arabi sunniti in Siria e altrove. Distribuivano dolci per le strade quando “Abu Ivanka” (padre di Ivanka in arabo) ha fatto fuori Soleimani. Gli occidentali vedono solo cose come il “Muslim Ban”, e pensano che danneggi il rapporto di Trump con i musulmani: tuttavia, gli stessi paesi musulmani controllano rigorosamente l’immigrazione e chi può diventare un loro cittadino”.

• EBREI AMERICANI E ISRAELIANI A CONFRONTO
  Nonostante Trump abbia sottratto ai democratici numerosi voti tra le minoranze, e in particolare tra i neri e i latinos, tra gli ebrei americani le cose sono andate diversamente: secondo la NBC, il 78% degli elettori ebrei ha votato per la Harris. Ma se a livello nazionale gli ebrei americani sono rimasti ancorati al Partito Democratico, a New York le cose sono andate diversamente: qui, circa il 45% dell’elettorato ebraico ha votato Trump, mentre nel 2020 aveva preso solo il 30% tra gli ebrei newyorkesi.
  Se durante le elezioni gli ebrei americani erano in larga parte schierati contro Trump, tra gli ebrei israeliani invece il 72% riteneva che Trump fosse il candidato migliore per Israele, secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute (salendo al 90% tra i giovani nella fascia d’età 18-34 anni). Solo l’11% degli ebrei israeliani pensava che la Harris fosse l’opzione migliore per Israele.
  La ragione di questa divergenza è dovuta al fatto che “gli ebrei americani sono tradizionalmente democratici”, spiega Ruthie Blum. “Sono rimasti fermi ai tempi in cui il Partito Democratico era il più accogliente nei confronti degli ebrei, mentre i repubblicani erano il partito dell’alta società WASP (White Anglo-Saxon Protestant). Ma tutto questo è cambiato molto tempo fa: oggi il Partito Repubblicano rappresenta la classe operaia, mentre i democratici sono il partito delle élite”.
  Ha aggiunto che gli Stati Uniti non sono più quelli di una volta: “Crescendo in America, non ho mai subito antisemitismo. Ma dopo il 7 ottobre è esploso, il che ha scosso molti ebrei. Ma anche se sono rimasti scossi da questi rigurgiti di antisemitismo a sinistra, molti di loro hanno scelto di non votare comunque Trump, e il giorno delle elezioni hanno preferito non andare a votare e restare a casa”. In compenso, se tra gli ebrei ortodossi il voto repubblicano è superiore alla media, secondo la Blum ciò non è dovuto solo al fatto che sono più conservatori: “Gli ebrei non praticanti in America non sono facilmente riconoscibili. Mentre gli ortodossi, con i cappelli neri, le kippot e le peot, sono più facili da riconoscere, e questo li rende anche più esposti ad aggressioni fisiche per le strade”.
  Secondo lei un altro motivo riguarda il fatto che, mentre gli israeliani devono sempre fare il servizio militare perché storicamente circondati da nemici, gli ebrei americani invece tendono ad essere molto più pacifisti: “Anche quando l’America era in guerra, ad esempio in Vietnam, la maggior parte degli ebrei cercò di evitare l’arruolamento, ad esempio andando all’università. Gli ebrei che vivono in Israele, invece, non possono permettersi questo lusso”.

• LA COMUNITÀ ARABA NEGLI STATI UNITI
  Un altro fenomeno da prendere in considerazione è la comunità araba americana, che soprattutto in Michigan ha scelto di penalizzare Biden e la Harris per via del loro operato relativo a Israele e a Gaza: per fare un esempio, nella città di Dearborn, situata in Michigan e che ospita una delle più grandi comunità arabe negli Stati Uniti, la Harris ha preso solo il 36% dei voti. Una fetta consistente di quelli che ha perso è andata alla candidata presidente del Partito Verde Jill Stein, ferocemente antisionista e che a Dearborn ha preso il 18% dei voti, quando a livello nazionale ha preso solo lo 0,4%.
  Secondo Alberto Fernandez, gli elettori arabi e musulmani “vedono la Harris, e più in generale l’Amministrazione Biden-Harris, come se avesse le mani sporche di sangue, dato il bilancio delle vittime a Gaza e in Medio Oriente. I democratici hanno trovato un modo creativo per far arrabbiare sia gli ebrei che gli arabi. Trump ha ottenuto tra le comunità musulmane e arabe del Michigan un consenso senza precedenti, ma anche a livello nazionale si è presentato come il candidato della pace. Qualcosa che molti americani, almeno in queste elezioni, hanno giudicato positivamente”.

• LE PROSPETTIVE CON TRUMP
  Alla luce di tutti questi fattori, occorre chiedersi cosa accadrà quando Trump tornerà ad essere presidente: le sue politiche saranno le stesse del periodo 2017-2021? O ci saranno delle differenze?
  A questo proposito, la Blum fa notare che il tycoon “è circondato da certe figure, come il conduttore Tucker Carlson, che sono fortemente isolazioniste. E lo stesso Trump ha detto chiaramente ‘Io pongo fine alle guerre, non le comincio’. Questo rende nervose molte persone, le quali temono che Trump non permetterà ad Israele di vincere la guerra. Ma mentre Biden ha continuato a parlare di cessate il fuoco, Trump ha detto che Israele deve finire in fretta la guerra, ma nel senso che deve vincerla in fretta. E non è la stessa cosa”.
  Anche Fernandez è più o meno dello stesso avviso: “Trump sarà prevedibilmente un forte sostenitore di Israele, e non limiterà la vendita di armi a Gerusalemme. In generale, sarà molto più favorevole a Israele di quanto non lo fosse Biden. Ma anche se è contro il regime di Teheran, non vuole vedere gli Stati Uniti venire coinvolti in avventure militari all’estero, nemmeno per sostenere Israele. Quindi sarà politicamente contro il regime iraniano, e probabilmente aumenterà le sanzioni contro l’Iran allo stesso livello di quelle imposte durante la sua prima amministrazione, ma al tempo stesso traccerà una linea per evitare un coinvolgimento in qualsiasi conflitto diretto con l’Iran”.

(Bet Magazine Mosaico, 21 novembre 2024)

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“Trump è in una posizione unica per stabilizzare il Medio Oriente”

“Trump si è strategicamente circondato di una squadra di leader esperti che hanno una profonda comprensione delle complesse dinamiche del Medio Oriente”.

di Etgar Lefkovits

Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump e la sua nuova amministrazione sono “in una posizione unica” per stabilizzare il Medio Oriente, ha dichiarato mercoledì il vice ministro degli Esteri israeliano Sharren Haskel.
“Il Presidente Trump si è strategicamente circondato di una squadra di leader esperti che hanno una profonda comprensione delle complesse dinamiche del Medio Oriente e della grave minaccia posta a Israele dai suoi nemici”, ha dichiarato Haskel a JNS. “Sostenuto da questa squadra di alto livello, il Presidente Trump si trova in una posizione unica per stabilizzare la regione e garantire un futuro migliore e più prospero - un futuro che serve non solo alla sicurezza di Israele, ma anche agli interessi strategici degli Stati Uniti e delle democrazie di tutto il mondo”, ha aggiunto.
La partnership tra Israele e gli Stati Uniti si basa su valori condivisi, principi democratici e interessi comuni, ha dichiarato Haskel.
“Insieme, affrontiamo molte sfide, ma abbiamo anche incredibili opportunità per promuovere la pace e la stabilità nella regione”.
Tra i candidati di Trump figurano il senatore Marco Rubio, amico convinto dello Stato ebraico e noto per la sua politica estera energica, l'ex governatore dell'Arkansas Mike Huckabee, pastore e convinto sostenitore di Israele, e la rappresentante Elise Stefanik, che ha acquisito notorietà a livello nazionale e internazionale per aver denunciato i presidenti delle università d'élite per antisemitismo nei campus statunitensi; Pete Hegseth, conduttore televisivo americano ed ex ufficiale della Guardia Nazionale dell'Esercito, che ha criticato apertamente l'Iran, e Steve Witkoff, investitore immobiliare ebreo americano e sostenitore di Israele.
Il genero di Trump , Jared Kushner, che ha guidato gli storici accordi di Abraham del 2020, dovrebbe essere un consulente esterno del governo statunitense. Sarà sicuramente un pilastro della politica mediorientale di Trump, che spinge per un accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita.
“Le nomine del gabinetto sono motivo di festa e saranno molto positive sia per Israele che per gli Stati Uniti”, ha dichiarato a JNS il ministro israeliano per gli Affari della Diaspora Amichai Chikli.
Chikli ha poi affermato di aspettarsi “grandi cambiamenti” per il Medio Oriente e oltre con la nuova amministrazione statunitense, sottolineando la “chiarezza morale, la visione e la vera amicizia” con Israele dei candidati.
Il ministro, responsabile della lotta all'antisemitismo, ha osservato che la nomina di Stefanik ad ambasciatore alle Nazioni Unite è una “cattiva notizia” per organizzazioni come l'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione della Palestina nel Vicino Oriente).
La nuova amministrazione statunitense è una cattiva notizia anche per l'Iran.
“È chiaro a tutti i membri della squadra di Trump che l'Iran sventola la bandiera del dispotismo e della tirannia, mentre Israele sventola la bandiera della libertà”, ha affermato.
Il ministro israeliano dell'Innovazione e della Scienza, Gila Gamliel, che, come il viceministro degli Esteri Haskel, presiede il Christian Allies Caucus alla Knesset, è d'accordo con lui.
“Sono fiduciosa che il Presidente Trump e la sua squadra di alti membri del gabinetto e di consiglieri, che conoscono a fondo le sfide di sicurezza di Israele e il suo ruolo unico di leader nella lotta contro l'estremismo islamico, possano fare la storia con una storica pace regionale in Medio Oriente”, ha detto Gila Gamliel, che ha aggiunto: ‘Questo aprirà la strada a un cambiamento fondamentale nella regione per le generazioni a venire’.

(The Times of Israel, 21 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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La verità nelle dichiarazioni di Tajani su Unifil

di Ugo Volli

• GLI SPARI CONTRO L’ONU
  Come hanno riportato tutti i giornali (ma con pochissima evidenza) l’altro giorno sei missili sparati da Hezbollah hanno colpito una base delle forze Onu nel Libano meridionale, ferendo alcuni militari del Ghana. Dato che questa è un’aggressione diretta, si tratta di un episodio ben più grave delle azioni che l’esercito israeliano aveva compiuto qualche settimana fa non contro i militari dell’Onu ma contro i loro apparati elettronici e fisici di sorveglianza (torrette, telecamere, un cancello). La ragione di questo episodio è il fatto ampiamente documentato che le attrezzature dell’Onu erano sfruttate dai terroristi di Hezbollah, i quali avevano costruito caserme, punti di tiro, depositi d’armi e addirittura campi di addestramento a pochi passi dalle postazioni dell’Onu e sotto i loro occhi. Ma mentre in quel caso l’episodio era finito nei titoli di testa di tutti i giornali, vi erano state dichiarazioni durissime del ministro della Difesa Crosetto e anche del Presidente della Repubblica Mattarella, questa volta l’attacco di Hezbollah è passato praticamente inosservato. Crosetto ha di nuovo accusato l’esercito israeliano, senza nessuna giustificazione concreta; il Ministro degli Esteri Tajani l’ha corretto con una dichiarazione piuttosto sconcertante, che merita di essere attentamente meditata: “È inammissibile che si spari contro il contingente Unifil. Non hanno alcun diritto di farlo, sono truppe che hanno garantito anche la sicurezza di Hezbollah. Se è stato un errore, imparino a utilizzare meglio le armi”. È una considerazione che non può non lasciare molto perplessi: le truppe Onu, cui l’Italia contribuisce più di ogni altro Paese, servono dunque a garantire i terroristi? E uno stato democratico può invitarli a “sparare meglio”, cioè non contro l’Onu ma contro Israele? È questo forse il compito dell’Onu? Per capirlo bisogna fare un passo indietro.

• CHE COSA FANNO LE FORZE DELL’ONU IN LIBANO?
  Uno dei fatti importanti della guerra difensiva che Israele sta sostenendo è che in Libano esiste una forza armata dell’ONU, che viene chiamata con la sigla UNIFIL. È una presenza che dura dal 1978 e che oggi è regolata dalla risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006, più volte prorogata. La risoluzione formalizzava l’accordo per la conclusione della “seconda guerra del Libano”: l’esercito israeliano si ritirava dal territorio libanese, si costituiva una zona smilitarizzata in Libano fra il confine con Israele e il fiume Litani una ventina di chilometri più al nord (è il territorio dove si combatte oggi). La risoluzione impegnava il Governo libanese “a sorvegliare i propri confini in modo da impedire l’ingresso illegale in Libano di armamenti e materiali connessi”, e tutti gli Stati ad adoperarsi affinché armamenti, materiali bellici e assistenza tecnico-militare siano forniti “solo su autorizzazione del Governo libanese o dell’UNIFIL”. Tra i compiti di UNIFIL era stabilito anche quello di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità, di “mettere in atto i provvedimenti che impongono il disarmo dei gruppi armati in Libano”.

• LA VERITÀ NELLE PAROLE DI TAJANI
  Queste sono le parole della risoluzione e dell’accordo che ha messo fine alla guerra del 2006. In realtà il comportamento di Unifil è stato assai diverso: non ha fatto nulla per disarmare Hezbollah; ha accettato senza reagire che i villaggi al confine con Israele diventassero fortificazioni, caserme, rampe di lancio missilistiche; non ha reagito al fatto che esse fossero massicciamente usate nell’ultimo anno (dal Libano sono stati sparati su Israele circa 15.000 missili, la maggior parte da località sotto il controllo di Unifil). In diverse circostanze i militari dell’Onu hanno clamorosamente accettato il dominio terrorista sul loro territorio, lasciandosi addirittura più volte arrestare e disarmare da loro. E non hanno mai impedito e neppure segnalato la costruzione di basi militari a ridosso delle loro installazioni. In sostanza dunque hanno interpretato il loro ruolo come ha detto Tajani: hanno protetto la sicurezza di Hezbollah, magari aiutando i terroristi a “sparare bene”, contro Israele. In sostanza, quel che emerge dalla sincera dichiarazione di Tajani è che, come ha più volte detto il presidente Cossiga, nel Libano meridionale vige una sorta di “Lodo Moro”: libertà d’azione per i terroristi in cambio dell’incolumità (neppure sempre garantita, come si vede in quest’ultimo episodio) per i militari dell’Onu. Un arrangiamento che mostra come le forze internazionali in un conflitto come quello fra i terroristi e Israele, è peggio che inutile: programmaticamente dannoso.

(Shalom, 21 novembre 2024)

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Fallisce il tentativo di Bernie Sanders di bloccare le armi americane per Israele

Ci è difficile capire il motivo per cui questi estremisti vengono chiamati "progressisti". Come fanno ad essere progressisti i sostenitori di Hamas?

di Sarah G. Frankl

Poco più di un terzo dei senatori democratici ha votato a favore di un tentativo fallito di bloccare la vendita di proiettili per carri armati a Israele, una misura che ha messo alla prova la forza dell’ala progressista del partito, che ha spinto per una linea più dura nei confronti dello Stato ebraico per la sua prosecuzione della guerra contro Hamas a Gaza.
Diciotto legislatori, tutti democratici, hanno votato a favore della misura proposta dal senatore Bernie Sanders insieme a tre colleghi estremisti, mentre 79 legislatori di entrambi i partiti l’hanno respinta.
È stata la prima delle tre risoluzioni congiunte di disapprovazione (JRD) presentate dagli estremisti guidati da Sanders, con le ultime misure volte a bloccare la vendita di colpi di mortaio e munizioni congiunte di attacco diretto (JDAM). I tre trasferimenti di armi ammontano a oltre 10 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza.
La maggioranza dei senatori democratici ha respinto lo sforzo, che si sapeva già da tempo essere un fallimento. Tuttavia, il numero di democratici a disagio con la campagna militare di Israele a Gaza è apparentemente aumentato.
Una risoluzione di Sanders del gennaio scorso volta a congelare gli aiuti statunitensi a Israele se il Dipartimento di Stato non avesse prodotto entro 30 giorni un rapporto sulle presunte violazioni dei diritti umani da parte di Israele a Gaza ha ottenuto solo 10 voti democratici.
È improbabile che il voto di oggi soddisfi pienamente entrambe le parti del dibattito all’interno del Partito Democratico, dato che i membri più pro-Israele hanno mantenuto la maggioranza, mentre gli estremisti hanno aggiunto diversi membri di spicco.
Entrambi i senatori Jon Ossoff e Raphael Warnock della Georgia hanno votato per bloccare la vendita di armi insieme al democratico n. 2 al Senato Dick Durbin e al membro di rango entrante del Comitato per le relazioni estere del Senato Jeanne Shaheen. Nessuno di questi quattro ha votato a favore della risoluzione guidata da Sanders a gennaio.
Altri democratici che hanno votato a favore sono stati i senatori Martin Heinrich, Mazie Hirono, Tim Kaine, Angus King, Ed Markey, Jeff Merkley, Brian Schatz, Tina Smith, Elizabeth Warren, Peter Welch, Chris Van Hollen, Ben Ray Lujan e Chris Murphy.
Una democratica, la senatrice del Wisconsin Tammy Baldwin, ha votato “presente”.
Nel portare la misura al voto, Sanders ha descritto in dettaglio la spirale della crisi umanitaria a Gaza, evidenziando le decine di migliaia di civili uccisi e le condizioni sempre più disastrose di coloro che sono riusciti a sopravvivere. Ha citato testimonianze delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie che affermano che Israele sta bloccando gli aiuti umanitari affinché raggiungano i civili. Israele afferma di adottare misure per evitare di danneggiare i civili, mentre Hamas combatte tra loro, e ha respinto le affermazioni secondo cui sta bloccando gli aiuti ai palestinesi.
Ieri, alcuni funzionari statunitensi hanno rivelato che l’amministrazione Biden ha fatto pressioni sui democratici affinché non sostenessero la misura , sostenendo che negare a Israele tali armi avrebbe incoraggiato gli avversari di Israele, non avrebbe affrontato la crisi umanitaria e avrebbe privato Israele di ciò di cui ha bisogno per difendersi.

(Rights Reporter, 21 novembre 2024)

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Israele ha ucciso due comandanti Hezbollah incaricati di lanciare missili

Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno annunciato questo mercoledì la morte, diversi giorni fa, di due comandanti dell'organizzazione terroristica sciita libanese Hezbollah, responsabile del lancio di razzi contro il nord di Israele.
"L'aeronautica israeliana ha eliminato (domenica 17) i comandanti dei missili anticarro e delle unità operative di Hezbollah nel settore costiero", ha riferito in un comunicato l'organismo militare.
Secondo il testo, i due uomini, i cui nomi e luogo di morte non sono stati rivelati, erano responsabili di "attacchi missilistici contro comunità civili nella regione della Galilea occidentale e nella pianura costiera di Israele".
Le truppe israeliane hanno riferito che lo stesso giorno in cui i comandanti sono stati eliminati, hanno attaccato più di 100 obiettivi in Libano, tra cui lanciatori, depositi di armi e centri di comando.
Da parte sua, il capo del Comando Nord, generale Ori Gordin, che dirige le operazioni contro Hezbollah in Libano, ha sottolineato oggi che i soldati stanno ottenendo “buoni risultati”, nel quadro dell’obiettivo generale che si sono prefissati, che è quello di “creare le condizioni per il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case”. Goldin ha aggiunto che le capacità di Hezbollah di attaccare Israele sono state "drasticamente ridotte".
Da parte israeliana, 77 persone sono state uccise in attacchi lanciati dal Libano, di cui 46 civili (di cui 6 stranieri). Inoltre, 43 soldati sono caduti in combattimento nel sud del paese vicino.

(Aurora, 20 novembre 2024)

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La Conferenza dei Rabbini Europei risponde a Papa Francesco

“Le affermazioni del Papa sono propaganda subdola”

di Luca Spizzichino

Il dibattito sulle parole di Papa Francesco riguardo alla guerra tra Israele e Hamas si accende ulteriormente, con la Conferenza dei Rabbini Europei (CER) che esprime preoccupazione per le dichiarazioni del pontefice. In una nota del suo Comitato Permanente ha dichiarato di essere “profondamente turbata” da questa affermazione. Citando la definizione di genocidio secondo la Convenzione Internazionale per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio, che include “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso,” i rabbini hanno sottolineato come Israele stia conducendo una guerra difensiva.
  “Mentre l’efficacia della guerra di Israele contro Hamas può essere oggetto di dibattito, essa rimane una risposta militare agli attacchi terroristici del 7 ottobre e alla minaccia esplicita di Hamas di replicare tali massacri indiscriminati. Israele è impegnato nel rispetto del diritto umanitario internazionale, mentre Hamas viola sistematicamente ogni norma di tale diritto”, afferma la Conferenza dei Rabbini Europei.
  Particolarmente dura è stata la critica all’uso del termine “genocidio,” considerato una “propaganda subdola” che sposta la responsabilità dai perpetratori alle vittime, trasformando lo Stato di Israele in un simbolo di colpa. “Hamas, al contrario, ha manifestato chiaramente, nei suoi atti e nei suoi documenti fondanti, un’intenzione genocida nei confronti del popolo ebraico”, continua la nota.
  “La Torah insegna che ‘la vita e la morte sono nelle mani della lingua’ e l’esperienza storica, segnata da un crescente antisemitismo, conferma che ogni parola emessa da una figura di spicco ha immense conseguenze”, si legge infine nella nota.
  Anche l’Assemblea Rabbinica Italiana (ARI) si è espressa con fermezza, descrivendo le dichiarazioni del Papa come “apparentemente prudenti”, ma che in realtà “rischiano di essere molto pericolose”. In un comunicato, i rabbini italiani hanno sottolineato che “le parole sono importanti e bisogna stare molto attenti a come usarle, soprattutto se si svolge un ruolo di guida religiosa”. L’ARI ha ricordato come, nel corso della storia, gli ebrei siano stati accusati di crimini infamanti, come il deicidio o l’omicidio rituale, con conseguenze devastanti. Alla luce di questo, hanno avvertito che “considerare le colpe in modo unilaterale e trasformare gli aggrediti in aggressori” è il modo peggiore per perseguire la pace.

(Shalom, 20 novembre 2024)

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“Città libera da ebrei”

Adesivi nelle strade di Apeldoorn, in Olanda, dove neanche la statua di Anne Frank è al sicuro.

di Giulio Meotti

FOTO
ROMA - Dei 1.549 ebrei di Apeldoorn, in Olanda, deportati dai nazisti tornarono in 150. Sopravvissuti alla Shoah e loro famigliari questa settimana si sono svegliati con degli strani adesivi affissi nelle strade: “Apeldoorn Joden vrij”. Apeldoorn libera dagli ebrei. Donald de Leeuw, uno dei capi della piccola comunità ebraica di Apeldoorn, dice al Telegraaf: “49 membri della famiglia non sono sopravvissuti. Non ho cugini. Ora posso immaginare cosa provassero. Non indosso più la kippah fuori”.
  I pazienti dell’ospedale ebraico di Apeldoorn il 21 gennaio 1943 furono caricati dai nazisti sui treni per Auschwitz. Il trasporto di 921 pazienti, tra cui bambini e personale medico, arrivò a Birkenau il 24 gennaio. 869 di loro furono subito mandati subito a morire nelle camere a gas.
  Intanto neanche la statua di una delle figlie più famose e tragiche di Amsterdam, Anne Frank, è al sicuro. In una nazione un tempo rinomata per la sua tolleranza e il suo liberalismo, la statua di Anne Frank in un parco pubblico deve ora essere sorvegliata 24 ore su 24 con telecamere intelligenti e luci di sicurezza: si teme che venga nuovamente vandalizzata di vernice rossa e deturpata con le parole “Liberate Gaza”. Intanto Femke Halsema, sindaco di sinistra di Amsterdam, torna indietro sull’uso della parola “pogrom” usata per la notte dell’attacco ai tifosi israeliani del Maccabi. In questo nuovo clima culturale gli ebrei hanno paura. “La gente ha paura: possiamo noi ebrei camminare per strada con una kippah o una stella di David senza essere attaccati? Senza che ci venga chiesto il passaporto, senza che venga gridato ‘caccia agli ebrei’?”, ha detto Menno ten Brink, un rabbino liberale di Amsterdam.
  Hanno iniziato con le città “Zionist frei”. Come Leicester, la decima città più grande del Regno Unito. La prima a mettere al bando tutti i prodotti “made in Israel”. Nella città irlandese di Kinvara i negozi, i ristoranti e persino le farmacie non vendono più prodotti israeliani, nemmeno gli antibiotici della Teva, leader israeliana dell’industria farmaceutica. Ora sono passati allo Jüdenfrei.
  Il presidente fondatore dell’Associazione ebraica europea, Menachem Margolin, lunedì ha chiesto all’Unione europea di dichiarare un periodo di emergenza di sei mesi per attuare misure speciali per affrontare la minaccia dell’antisemitismo, aumentando sicurezza e fondi per i siti ebraici. Menachem Margolin ha detto da Cracovia: “La situazione del popolo ebraico in Europa oggi è la peggiore dalla Kristallnacht”.
  E intanto il capo della polizia di Berlino sembra riportarci ai tempi del nazismo. Barbara Slowik, capo della polizia berlinese, ha detto alla Berliner Zeitung: “Ci sono aree – e dobbiamo essere così onesti a questo punto – dove consiglierei alle persone che indossano la kippah o sono apertamente gay o lesbiche di essere più attente. Ci sono alcuni quartieri in cui vivono persone di origine araba, che hanno anche simpatie per i gruppi terroristici. L’ostilità aperta si articola lì contro le persone di fede e origine ebraica”. Abe Foxman, nato in Polonia nel 1940, sopravvissuto alla Shoah e che ha trascorso mezzo secolo a dirigere l’Anti-Defamation League americana, ha appena detto a Forward: “Penso che l’Europa sarà Jüdenrein”.

Il Foglio, 20 novembre 2024)

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Autorità Palestinese condannata a risarcire le vittime dell’attacco al ristorante Sbarro nel 2001

di David Fiorentini

Il 9 agosto 2001, un attentatore suicida si fece esplodere dentro al ristorante Sbarro a Gerusalemme, ferendo 130 civili e uccidendone 16, di cui 4 bambini.
A più di un decennio di distanza, il Tribunale distrettuale di Gerusalemme ha condannato l’Autorità Palestinese (PA) e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a risarcire le famiglie delle vittime dell’attacco con una somma pari a 10 milioni di shekel israeliani, circa 2,5 milioni di euro, per ogni vittima.
La storica decisione riprende una sentenza della Corte Suprema israeliana del 2022, secondo cui l’Autorità Palestinese è da ritenere corresponsabile di tutti gli attentati terroristici perpetrati da palestinesi in Israele, a causa delle sue politiche assistenzialistiche nei confronti degli attentatori e delle loro famiglie.
Oltre alla conclusione di un percorso legale annoso, la sentenza assume una rilevanza particolare poiché potrebbe diventare un precedente a cui le vittime del massacro del 7 ottobre 2023 potrebbero appellarsi per richiedere risarcimenti alla PA.
Proprio nel marzo 2024, la Knesset ha promulgato una legge che impone alle organizzazioni sostenitrici del terrorismo una sanzione di 2,7 milioni di dollari per ogni persona uccisa e di 1,35 milioni di dollari per ogni ferito. Tuttavia, fino ad oggi non erano ancora mai state emesse sentenze basate su questa legge, considerata incostituzionale e nulla dalla PA.
Per la prima volta, il giudice Arnon Darel del Tribunale di Gerusalemme ha applicato la nuova normativa, disponendo un ulteriore risarcimento per danni, inclusi dolore e sofferenza, ridotta aspettativa di vita e mancati guadagni, per un totale aggiuntivo di 5,4 milioni di dollari. L’intera ammenda sarà trattenuta dalle entrate fiscali che Israele raccoglie mensilmente per conto della PA dal 2018.
“I palestinesi non potranno sostenere le conseguenze finanziarie,” ha affermato Meir Schijveschuurder, avvocato delle vittime, tra cui compaiono i suoi genitori e tre fratelli. La delibera, auspica, “porterà sollievo alle famiglie delle vittime e ridurrà significativamente il terrorismo”.

(Bet Magazine Mosaico, 20 novembre 2024)

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Netanyahu: Hamas non governerà mai più la Striscia di Gaza

Circa la metà dei 101 ostaggi detenuti dai terroristi sono ancora vivi, ha dichiarato il Primo Ministro ai parlamentari.

Hamas continua a ostacolare i negoziati in corso per uno scambio di ostaggi in cambio di un cessate il fuoco, nella speranza di porre fine alla guerra e riconquistare il potere a Gaza, ha dichiarato lunedì il Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Commissione Affari Esteri e Difesa della Knesset.
“L'unica cosa che Hamas vuole è un accordo che ponga fine alla guerra e il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza per tornare al potere”, ha detto il primo ministro, secondo Walla. “In nessun modo  sono disposto a permettere che questo accada”.
Netanyahu ha detto ai parlamentari che il gruppo terroristico palestinese “vede la pressione” esercitata sul suo governo sia a livello nazionale che internazionale e crede di poter ostacolare i colloqui per raggiungere condizioni migliori.
Durante l'incontro a porte chiuse, il Primo Ministro ha affermato di ritenere che circa 50 dei 101 ostaggi detenuti da Hamas siano ancora vivi.
Ha detto ai membri del comitato che, sebbene non vi sia alcuna proposta concreta al momento, negli ultimi giorni sono “emerse diverse idee”.
Il quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, con sede in Qatar, ha citato una fonte di Hamas all'inizio della settimana, affermando che la leadership dell'organizzazione islamista aveva interrotto ogni contatto con le persone che detengono effettivamente gli ostaggi a causa delle “strette misure di sicurezza per proteggere l'importante carta negoziale”.
La fonte ha aggiunto che Hamas si è rifiutato di fornire informazioni sul luogo e sullo status degli ostaggi, in particolare di quelli con cittadinanza statunitense, perché non gli è stato offerto un “compenso” dai mediatori.
Secondo Channel 12, Netanyahu ha osservato lunedì che mentre l'operazione delle Forze di Difesa israeliane a Gaza ha distrutto la maggior parte delle infrastrutture “militari” di Hamas, le sue capacità di governo sono rimaste in gran parte intatte.
Secondo quanto riferito, Netanyahu avrebbe incaricato i funzionari di redigere un piano entro il 21 novembre per sostituire Hamas nella distribuzione degli aiuti umanitari.
Sempre lunedì, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che guida il partito del Sionismo religioso, ha dichiarato ai giornalisti che le forze israeliane dovrebbero occupare l'intera parte settentrionale della Striscia fino al rilascio degli ostaggi.
Gerusalemme deve “far capire ad Hamas che se gli ostaggi non tornano, eserciteremo la nostra sovranità e resteremo lì per sempre”, ha detto, aggiungendo: “Allora Hamas avrà la motivazione per lasciarli vivere”.
Il 7 ottobre 2023, circa 1.200 ebrei israeliani sono stati uccisi da Hamas, altre migliaia sono stati feriti e altri 251 sono stati rapiti nella Striscia di Gaza. I colloqui indiretti tra Israele e Hamas, in cui Stati Uniti, Egitto e Qatar agiscono come mediatori, si trascinano da mesi.
La restituzione degli ostaggi, che sono ancora trattenuti dai terroristi di Hamas dopo 409 giorni, rimane “l'obiettivo più importante” nella guerra in corso, ha ribadito il Ministro della Difesa Israel Katz in una dichiarazione di domenica. (JNS)

(Israel Heute, 19 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Se Hezbollah bombarda l’Unifil è l’ora di sloggiare

di Dmitri Buffa

Il presidente argentino Javier Milei, che è il vero rappresentante di una destra liberista e libertaria, senza appesantimenti ideologici nazionalisti o post fascisti, l’antifona l’ha già capita: dal Libano per l’Unifil è l’ora di sloggiare. Si dirà: per lui è facile, aveva solo tre funzionari militari di numero e avevano le valigie già pronte. Ma se Hezbollah, in una mossa disperata e con l’intento di fare ricadere la colpa su Israele, continuasse a bombardare le strutture Onu, che difesa ci sarebbe da parte di questi soldati e soldatini, un po’ raccomandati e super stipendiati che per anni sono stati lì a fare le belle statuine mentre gli sciiti di Teheran si armavano fino ai denti? La risposta è semplice: nessuna difesa. Bisognerebbe estendere loro il sistema Iron Dome che nell’Alta Galilea e in Samaria sta salvando il salvabile all’interno dello Stato ebraico.
Ma la cosa sembra altamente improbabile. Nel frattempo il contingente italiano in loco, tanto voluto a suo tempo da Massimo D’Alema come risoluzione propagandistica alle tensioni di quella Regione, comincia a capire cosa provano gli abitanti israeliani delle su menzionate aree ogni giorno che Dio manda in terra. La verità è che Hezbollah, se volesse, in pochi giorni massacrerebbe l’intero schieramento Unifil che non ha né armi né altre chance per difendersi. Nella guerra vera, quella seria non quella delle teorie delle accademie militari, i caschi blu dell’Onu sono sempre stati i primi a darsela a gambe: è successo ad esempio anche all’epoca dei massacri fra tutsi e hutu nella cosiddetta guerra dei grandi laghi nel centro dell’Africa.
E se finora questo inutile se non dannoso contingente Unifil a trazione italiana aveva resistito senza perdite era perché, in nome e per conto del famigeratolodo Moro” e delle sue estensioni all’estero, aveva fatto finta di niente voltandosi dall’altra parte quando vedeva gli Hezbollah piazzare i lanciamissili spesso a poche decine di metri dal fortino in cui è asserragliato.
Si tratta allora di prendere una decisione pragmatica, da destra alla Milei e alla Donald Trump, non da missini sull’orlo di una crisi di nervi: andarsene subito dal Libano prima che il morto (o i morti) italiano ci scappi per davvero.

(l'Opinione, 20 novembre 2024)

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Aiuti umanitari per Gaza: saccheggiati 97 camion su 109

L'Institute for the Study of War sostiene che gli uomini armati appartenevano apparentemente a gruppi criminali organizzati che hanno sostituito le forze di polizia di Hamas in gran parte della Striscia di Gaza.

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Secondo una dichiarazione dell’UNRWA, il 16 novembre gruppi di uomini armati hanno saccheggiato 97 dei 109 camion di aiuti umanitari entrati nel sud della Striscia di Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom.
L’agenzia di stampa Reuters ha citato le parole di Louise Wateridge, rappresentante dell’UNRWA, la quale ha affermato che il convoglio trasportava cibo fornito dalle agenzie delle Nazioni Unite e che aveva ricevuto istruzioni da Israele di partire con breve preavviso per un percorso sconosciuto dal valico di frontiera di Kerem Shalom. Il convoglio è stato poi saccheggiato e alcuni trasportatori sono rimasti feriti durante l’incidente.
In uno studio pubblicato dall’Institute for the Study of War (ISW) con sede a Washington, si sostiene che “non è chiaro se questi gruppi armati appartengano a qualche milizia palestinese, ma a quanto pare i gruppi armati facevano parte di gruppi criminali organizzati che hanno sostituito le forze di polizia di Hamas in gran parte della Striscia”.
Il canale televisivo di Hamas Al-Aqsa ha affermato che dopo il saccheggio l’organizzazione terroristica ha condotto un’operazione congiunta con i clan locali, nella quale Hamas e i clan hanno ucciso 20 persone coinvolte nel saccheggio dei camion. Fonti del Ministero degli Interni di Hamas hanno detto a Sky News in arabo che “questa operazione non sarà l’ultima. Questo è l’inizio di un’operazione di sicurezza estesa che è stata pianificata da molto tempo e si espanderà per includere tutti coloro coinvolti nel furto dei camion degli aiuti”.
Il War Research Institute ha osservato che “il fatto che Hamas sia stato costretto a cooperare con questi gruppi locali (per prendere il controllo dei saccheggiatori n.d.r.) indica che il controllo di Hamas sulla Striscia rimane debole”, e ha aggiunto che Hamas ha combattuto gruppi locali clan e gruppi criminali organizzati tenendoli al guinzaglio per molto tempo.
L’Istituto ha citato le parole di un portavoce dell’UNRWA, il quale ha spiegato che ai convogli umanitari non è consentito avere guardie armate e che di solito cercano di viaggiare velocemente per evitare imboscate da parte di gruppi armati. L’analisi dell’Istituto ha rilevato che l’IDF ha recentemente adottato diverse misure per aumentare il flusso di aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza, compresi i piani per riaprire i valichi di frontiera e facilitare il passaggio dei camion degli aiuti verso il nord della Striscia di Gaza, anche se non accompagnano i convogli.

(Rights Reporter, 19 novembre 2024)

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Kibbutz Sasa colpito da Hezbollah, Angelica Calò Livne: Rimaniamo qui

di Daniel Reichel

Dal nord fino al centro d’Israele i razzi di Hezbollah continuano a provocare vittime e danni. Ieri sera a Shfaram, a est di Haifa, una donna di 50 anni, Safa Awwad, è stata uccisa dai missili dei terroristi libanesi. Nello stesso attacco una decina di persone sono rimaste ferite. Poco dopo a Ramat Gan, parte dell’area metropolitana di Tel Aviv, un edificio è stato distrutto. Questa mattina ancora razzi e allarmi al nord. A farne le spese, tra gli altri, il kibbutz Sasa, dove i razzi di Hezbollah hanno danneggiato la biblioteca, una parte del liceo e l’Auditorium. «Per fortuna non ci sono state vittime o feriti. Mio marito Yehuda è lì, io sono rimasta a dormire fuori, ma tra poco torno», racconta a Pagine Ebraiche Angelica Edna Calò Livne.
  Sasa è quasi deserto perché la maggior parte dei residenti è stata evacuata. Angelica e Yehuda, responsabile della sicurezza, sono tra i pochi rimasti nel kibbutz. «Tutti vorrebbero tornare, ma devono esserci le condizioni. Deve essere garantita la sicurezza. Si sta parlando di un accordo imminente con il Libano e Hezbollah. Israele ha dato le sue indicazioni e il punto di partenza è la demilitarizzazione della zona a sud del fiume Litani (prossima al confine con Israele, ndr). Si parla di una presenza nell’area delle forze americane, può essere una soluzione, ma per noi è difficile fidarci».
  Non c’è rassegnazione nel tono di Calò Livne. «Quella mai. Non lasceremo il campo alla malvagità e alla prepotenza dei terroristi». Ma ammette di porsi molti interrogativi sul futuro. «Noi stiamo a Sasa e ci rimarremo. Però mi chiedo: inviterò qui ancora i miei nipotini?». Racconta di aver ascoltato la notte prima la testimonianza di un 35enne che il 7 ottobre era a Nahal Oz, kibbutz al confine con Gaza e tra i più colpiti dalle stragi di Hamas. «Ha ricordato come il 6 ottobre fosse tutto pronto per festeggiare il giorno seguente il 70esimo anniversario dalla fondazione del kibbutz. Ha sottolineato come molti siano venuti da fuori per festeggiare insieme Simchat Torah e poi l’anniversario. Una cosa comune in tutti i kibbutz». Sarà ancora possibile? La domanda rimane strozzata in gola. «Finché non sarà tutto smilitarizzato è difficile immaginarlo. Hezbollah pensava di compiere un altro 7 ottobre al nord. Vogliamo essere sicuri che questo non possa mai accadere».
  Intanto il conflitto continua. «È una situazione insopportabile, ogni giorno ci sono morti civili o tra i nostri soldati e gli ostaggi sono ancora lì, prigionieri a Gaza. Il governo deve fare di tutto per riportarli a casa, non possono passare lì un altro inverno. Non sopravviveranno. Devono essere la nostra priorità».
  Dal kibbutz Sasa Calò Livne si sposta di frequente per tenere le sue lezioni in sviluppo del pensiero umanistico attraverso le arti del palcoscenico. «Sono otto ore di lezioni frontali a cui non rinuncio. Voglio che i miei studenti, soprattutto ora, escano con un po’ di respiro. Li vedo e leggo la loro difficoltà nel sopportare questa guerra. Tutti hanno un fratello, un parente, un amico, ucciso, rapito o che rischia la vita nell’esercito». Lavorare con loro è una gratificazione e permette di guardare avanti. Anche i riconoscimenti dall’estero aiutano a sentirsi utili. «La prossima settimana andremo con Yehuda in Sicilia perché mi hanno conferito il premio Pino Puglisi, prete che ha combattuto contro la mafia. Con tutte le notizie contro Israele, è bello sapere che c’è chi riconosce i tuoi sforzi. Io mi sono sempre impegnata per la pace e, nonostante tutto, continuerò a farlo».

(moked, 19 novembre 2024)

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Una sopravvissuta agli attacchi di Hamas si confronta con un attivista a Los Angeles

In un video recentemente pubblicato, l'ostaggio liberato Moran Stela Yanai racconta la sua storia e si confronta con un attivista filo-palestinese.

di Dov Eilon

Durante un dibattito a Los Angeles, nel giugno di quest'anno, Moran Stela Yanai, sopravvissuta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, ha raccontato le sue esperienze di prigionia e si è confrontata con l'attivista filopalestinese Aidan Dewolf, che aveva organizzato un campo di protesta all'UCLA (Università della California). All'evento hanno partecipato anche Mosab Hassan Yousef (“Il Principe Verde”) e il Prof. Dov Waxman, direttore del Centro di Studi su Israele Y&S Nazarian dell'UCLA.
Il racconto di Moran Yanai, ripreso in un video recentemente pubblicato, ha fornito una visione della brutalità dell'organizzazione terroristica e ha portato a un intenso dibattito sulla giustificazione di tale violenza.
Moran Stela Yanai, una designer di gioielli israeliana di 40 anni, è stata una dei tanti partecipanti al festival rapiti durante l'attacco al Nova festival vicino al Kibbutz Re'im. Durante la prigionia, i terroristi l'hanno scambiata per un soldato a causa del suo abbigliamento verde oliva. Ha riferito di essere stata trattata in modo particolarmente brutale a causa di questa supposizione. La sua famiglia è venuta a conoscenza del suo rapimento attraverso un video pubblicato dagli autori su TikTok, che mostrava Yanai come ostaggio. La nipote dodicenne l'ha riconosciuta dal video e ha informato la famiglia.
Yanai ha trascorso 54 giorni di prigionia nella Striscia di Gaza prima di essere rilasciata il 29 novembre 2023 nell'ambito di un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e Hamas. Durante la prigionia, ha appreso dai suoi rapitori il vero piano dell'attacco del 7 ottobre. Secondo questo, Hamas aveva pianificato attacchi su larga scala contro città israeliane come Be'er Sheva, Tel Aviv e Haifa. L'obiettivo era quello di uccidere il maggior numero possibile di civili e di provocare il caos. All'inizio dell'attacco, i terroristi non avrebbero saputo del festival musicale di Nova, che contava circa 3.000 visitatori.
Durante il dibattito, Yanai si è rivolta direttamente ad Aidan Dewolf chiedendogli come potesse giustificare le azioni di Hamas alla luce del suo racconto. Dewolf è stato visibilmente messo sotto pressione dalle sue descrizioni dettagliate ed emotive. Ha eluso le domande e ha cercato di indirizzare la discussione verso questioni politiche più generali. Il video dell'evento mostra come abbia reagito in modo visibilmente imbarazzato, evitando di rispondere alle accuse specifiche contro Hamas.
Il video dell'evento, che è diventato rapidamente virale sui social media, mostra le tensioni che possono sorgere tra i destini individuali delle vittime come Yanai e le posizioni politiche di attivisti come Dewolf. Mentre Yanai ha descritto le sue esperienze in modo chiaro e oggettivo, Dewolf ha cercato di spostare la discussione su un piano più ampio, che molti osservatori hanno trovato evasivo.
La reazione al dibattito è stata enorme. I racconti di Yanai sono stati ampiamente elogiati per aver messo in luce le conseguenze umane della violenza di Hamas. Le reazioni di Dewolf, invece, sono state controverse e sia la sua posizione che le sue argomentazioni sono state messe in discussione.
La partecipazione di Yanai al dibattito e le sue testimonianze dirette hanno fornito una visione potente dell'impatto personale del conflitto e delle sfide che sia le vittime della violenza sia gli attivisti politici devono affrontare nel dibattito pubblico. Dopo il suo rilascio e un lungo processo di riabilitazione, Moran Yanai è tornata nella sua città natale, Beersheva.

(Israel Heute, 19 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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I ministri degli esteri europei rifiutano di interrompere il dialogo politico con Israele

di Anna Coen

Lunedì 18 novembre i ministri degli Esteri dell’Unione Europea non hanno appoggiato la proposta del capo della politica estera uscente del blocco di sospendere il dialogo politico regolare con Israele in risposta alla campagna militare in corso dello Stato ebraico contro il gruppo terroristico palestinese Hamas a Gaza.
Come riporta il sito Algemeiner, la scorsa settimana il diplomatico di punta dell’UE Josep Borrell aveva proposto la sospensione del dialogo in una lettera ai ministri degli Esteri del blocco in vista della loro riunione di lunedì a Bruxelles, citando “serie preoccupazioni per le possibili violazioni del diritto umanitario internazionale a Gaza”, l’enclave palestinese governata da Hamas. Ha anche scritto: “Finora, queste preoccupazioni non sono state sufficientemente affrontate da Israele”.
La proposta è stata accolta da un’ampia resistenza, con diversi ministri che hanno espresso il loro sostegno alla posizione di Israele o hanno sostenuto che interrompere il dialogo con lo Stato ebraico sarebbe controproducente.
“Sappiamo che ci sono eventi tragici a Gaza, enormi vittime civili, ma non dimentichiamo chi ha iniziato l’attuale ciclo di violenza”, ha dichiarato il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ai giornalisti dopo l’incontro di lunedì a Bruxelles, riferendosi al fatto che Hamas ha iniziato il conflitto con l’invasione del sud di Israele lo scorso 7 ottobre. “E posso dirvi che non c’è stato alcun accordo sull’idea di sospendere i negoziati con Israele”.
I dialoghi regolari che Borrell ha cercato di interrompere sono stati sanciti da un accordo più ampio sulle relazioni tra l’UE e Israele, che comprende anche ampi legami commerciali, attuato nel 2000.
“Alla luce di queste considerazioni, presenterò una proposta che prevede che l’UE invochi la clausola sui diritti umani per sospendere il dialogo politico con Israele”, ha scritto Borrell la scorsa settimana.
Una sospensione richiede l’approvazione di tutti i 27 Paesi dell’UE, un risultato improbabile fin dall’inizio.
Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock ha respinto pubblicamente la proposta giovedì scorso.
“Siamo sempre favorevoli a mantenere aperti i canali di dialogo. Naturalmente, questo vale anche per Israele”, ha dichiarato il Ministero degli Esteri tedesco in merito ai piani di Borrell.
Il Ministero degli Esteri ha aggiunto che, mentre le conversazioni politiche nell’ambito del Consiglio di Associazione UE-Israele forniscono un’opportunità regolare per rafforzare le relazioni e, negli ultimi mesi, discutere la fornitura di aiuti umanitari a Gaza, interrompere questo meccanismo avrebbe poco senso.
“L’interruzione del dialogo, tuttavia, non aiuterà nessuno, né le persone che soffrono a Gaza, né gli ostaggi che sono ancora trattenuti da Hamas, né tutti coloro che in Israele sono impegnati nel dialogo”, ha continuato la dichiarazione.
Anche il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp ha dichiarato di non essere d’accordo con la proposta e che l’UE deve continuare il dialogo diplomatico con Israele.
“A quanto pare, l’alto rappresentante [Borrell] fa una svolta di 180 gradi. Non riesco a comprenderlo appieno”, ha dichiarato Veldkamp ai giornalisti a Bruxelles. “Secondo i Paesi Bassi, questa porta dovrebbe essere mantenuta aperta e dovremmo avviare una discussione con i ministri israeliani. Presto ci sarà un nuovo alto rappresentante. Sfruttiamo queste opportunità per avviare un dialogo, perché c’è molto da discutere, compresa la catastrofica situazione umanitaria della Striscia di Gaza”.
Borrel, il cui titolo formale è Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, lascerà presto la sua posizione, poiché il suo mandato quinquennale come capo della politica estera dell’UE scadrà il mese prossimo. Il suo successore è l’ex primo ministro estone Kaja Kallas.

• L’UE E LA GUERRA A GAZA
  L’UE è stata divisa su come affrontare la guerra a Gaza. Mentre alcuni Paesi membri, come la Spagna e l’Irlanda, hanno criticato aspramente Israele dallo scoppio del conflitto, chiedendo al blocco di rivedere e persino sospendere l’accordo di libero scambio con Israele, altri sono stati più favorevoli. Per esempio, l’Ungheria, l’Austria e la Repubblica Ceca hanno finora sostenuto ampiamente gli sforzi militari di Israele.
“La maggior parte degli Stati membri ha ritenuto che fosse molto meglio continuare ad avere relazioni diplomatiche e politiche con Israele”, ha dichiarato Borrell in una conferenza stampa dopo l’incontro di lunedì -. Ma almeno ho messo sul tavolo tutte le informazioni prodotte dalle organizzazioni delle Nazioni Unite e da tutte le organizzazioni internazionali che lavorano a Gaza e in Cisgiordania e in Libano per giudicare il modo in cui la guerra viene condotta”, ha aggiunto.
In precedenza, Borrell aveva detto di non avere “più parole” per descrivere la situazione in Medio Oriente, prima di presiedere la sua ultima riunione programmata dei ministri degli Esteri del blocco.
Israele afferma di aver compiuto sforzi senza precedenti per cercare di evitare vittime tra i civili, sottolineando i suoi sforzi per evacuare le aree prima di prenderle di mira e per avvertire i residenti delle imminenti operazioni militari con volantini, messaggi di testo e altre forme di comunicazione. Tuttavia, in molti casi Hamas ha impedito alla popolazione di andarsene, secondo i militari israeliani.
Un’altra sfida per Israele è la strategia militare di Hamas, ampiamente riconosciuta, che consiste nel radicare i suoi terroristi all’interno della popolazione civile di Gaza e nel requisire strutture civili come ospedali, scuole e moschee per condurre operazioni, dirigere attacchi e conservare armi.
L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Danny Danon ha dichiarato il mese scorso che Israele ha consegnato a Gaza oltre 1 milione di tonnellate di aiuti, tra cui 700.000 tonnellate di cibo, da quando ha lanciato la sua operazione militare un anno fa. Ha anche osservato che i terroristi di Hamas spesso dirottano e rubano le spedizioni di aiuti mentre i palestinesi soffrono.
Nelle ultime settimane, il governo israeliano ha aumentato la fornitura di aiuti umanitari a Gaza su pressione degli Stati Uniti, che hanno espresso preoccupazione per le condizioni dei civili nell’enclave devastata dalla guerra.
Tuttavia, Borrell ha dichiarato, prima dell’incontro, che la sua proposta intendeva esercitare pressioni sul governo israeliano dopo che questo, a suo avviso, aveva ignorato diversi appelli ad aderire al diritto internazionale nella guerra di Gaza.
“Molte persone hanno cercato di fermare la guerra a Gaza… questo non è ancora successo. E non vedo la speranza che ciò accada. Ecco perché dobbiamo fare pressione sul governo israeliano e anche, ovviamente, sulla parte di Hamas”, ha detto Borrell, senza menzionare il rifiuto di Hamas alle recenti proposte di cessate il fuoco.

• BORRELL IL PIÙ INFLESSIBILE CONTRO ISRAELE
  Nell’ultimo anno Borrell è stato uno dei critici più espliciti dell’UE nei confronti di Israele. Solo sei settimane dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, parlando al Parlamento europeo ha tracciato un’equivalenza morale tra Israele e il gruppo terroristico, accusando entrambi di aver compiuto “massacri” e insistendo sul fatto che è possibile criticare le azioni israeliane “senza essere accusati di non amare gli ebrei”.
Il discorso di Borrell ha fatto seguito alla visita in Medio Oriente della settimana precedente. Mentre si trovava in Israele, ha pronunciato quello che il quotidiano spagnolo El Pais ha descritto come il “messaggio più critico ascoltato finora da un rappresentante dell’Unione Europea riguardo alla risposta di Israele all’attacco di Hamas del 7 ottobre”.
“Non lontano da qui c’è Gaza. Un orrore non ne giustifica un altro”, ha detto Borrell in una conferenza stampa congiunta con l’allora ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen. “Capisco la vostra rabbia. Ma permettetemi di chiedervi di non lasciarvi consumare dalla rabbia. Credo che questo sia ciò che i migliori amici di Israele possono dirvi, perché ciò che fa la differenza tra una società civile e un gruppo terroristico è il rispetto per la vita umana. Tutte le vite umane hanno lo stesso valore”.
Mesi dopo, nel marzo di quest’anno, Borrell ha affermato che Israele stava imponendo una carestia ai civili palestinesi di Gaza e che usava la fame come arma di guerra. I suoi commenti sono arrivati pochi mesi prima che il Comitato di revisione della carestia delle Nazioni Unite (FRC), un gruppo di esperti in sicurezza alimentare e nutrizione internazionale, respingesse l’affermazione che il nord di Gaza stesse vivendo una carestia, citando una mancanza di prove. I commenti di Borrell hanno suscitato l’indignazione di Israele.
In agosto, Borrell ha spinto gli Stati membri dell’UE a imporre sanzioni ad alcuni ministri israeliani.
Lunedì, oltre alla sua spinta a sospendere il dialogo UE-Israele, Borrell ha anche cercato di introdurre un divieto sull’importazione di prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei “territori palestinesi occupati secondo le regole della Corte internazionale di giustizia”.
Per queste posizioni, nel giugno di quest’anno, i leader dell’ebraismo europeo hanno accusato Borrell  di aggravare il problema dell’antisemitismo criticando eccessivamente Israele.

(Bet Magazine Mosaico, 19 novembre 2024)

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Il Papa e il “genocidio”, un pregiudizio cristiano

di Ugo Volli

Il mondo ebraico è stato profondamente colpito e deluso dalla frase dell’ultimo libro di Papa Francesco anticipata dalla Stampa per cui bisognerebbe «indagare» se l’azione militare israeliana a Gaza costituisca un «genocidio». Non si tratta di un’accusa diretta bensì di un interrogativo; ma l’accostamento fra Israele e genocidio per bocca di una autorità spirituale come quella del Papa e non solo degli estremisti filoterroristi e antisemiti suscita indignazione e sconcerto. «Genocidio» è il concetto proposto dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin per definire il tentativo nazista di eliminare il popolo ebraico. Vedersi ribaltare addosso questa accusa da chi governa oggi un’istituzione, la Chiesa, che ha dovuto riconoscere di aver ingiustamente perseguitato gli ebrei per molti secoli e la cui azione durante il genocidio nazista è ancora oggetto di dubbi e polemiche storiche, aumenta ancora la delusione ebraica: come se gli ultimi decenni di dialogo fossero cancellati e tornasse in azione l’antico antigiudaismo cristiano.
Nel merito l’accusa è del tutto infondata: Per genocidio, secondo la definizione dell’Onu, si intendono «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Che vi sia da parte di Israele «l’intenzione di distruggere» i palestinesi è un’affermazione insensata. La popolazione palestinese residente, secondo le dichiarazioni dello «Stato di Palestina» era nel 2023 di 5. 483. 000 persone, di cui circa 1, 8 milioni a Gaza con una crescita annua intorno al 3, 3% (180. 000 persone), che non è diminuita quest’anno. Secondo i numeri di Hamas in tredici mesi di guerra sono morte 43. 000 persone (ma Israele contesta queste cifre e l’Onu dice di averne potuto accertare solo 8. 500). Si tratterebbe comunque di meno dell’un per cento della popolazione, un quarto della crescita demografica annuale. Sono numeri che dimostrano in maniera chiarissima che Israele, lungi dal voler «distruggere» la popolazione civile, ha cercato come poteva di tutelarla, annunciando in anticipo e dettagliatamente le zone sottoposte ad offensiva, indicando vie di fuga e luoghi sicuri, introducendo centinaia di camion di rifornimenti al giorno, anche con la consapevolezza che i terroristi si sarebbero impadroniti della maggior parte di questi aiuti per usarli a loro vantaggio. Non è mai esistita nella storia una guerra in cui un esercito si facesse carico in maniera simile della necessità di salvaguardare nei limiti del possibile la popolazione civile.
Il fatto è che questa è una guerra, e di tipo asimmetrico che rende difficilissima l’azione militare: i terroristi si mimetizzano fra la popolazione civile, non portano uniformi e hanno costruito le fortificazioni da cui sparano sotto ospedali, scuole e moschee. È una guerra che Israele non desiderava e che l’ha colto di sorpresa e chiaramente impreparato: il 7 ottobre 2023, quando i terroristi irruppero nel territorio israeliano, uccidendo più di 1200 persone, rapendone più di 200, violentando, bruciando vivi vecchi e bambini, sparando 5000 missili sulle città, le difese intorno a Gaza erano deboli, perché Israele non credeva a una guerra. Essa invece era stata preparata e progettata per anni dall’Iran e dai suoi satelliti, accumulando quantità enormi di armi offensive.
Finora su Israele sono piovuti circa 40 mila missili, partiti da Gaza, Siria, Libano, Yemen, Iraq, Iran. Hanno fatto un numero limitato di vittime, perché Israele ha investito molte risorse nella difesa dei civili, con rifugi e sistemi antimissile. Parlare di genocidio o anche solo di sproporzione militare significa ignorare che vi è una volontà esplicita e dichiarata di Hamas, Hezbollah, ma anche dell’Iran, di distruggere lo Stato ebraico e di sterminare i suoi cittadini. Di fronte a questa minaccia non solo proclamata, ma portata all’azione concreta da sette fronti, lo Stato di Israele ha il dovere di difendere l’incolumità dei suoi cittadini eliminando la forza militare e l’organizzazione politica dei terroristi. Un modo per fermare i combattimenti e le morti c’è ed è facile: basterebbe che i terroristi restituissero le persone che hanno rapito, consegnassero le armi e si arrendessero. Israele ha garantito di recente vie d’uscita sicure a chi lo facesse. Ma non ha ricevuto risposta. Se si continua a morire a Gaza, la responsabilità è di Hamas e dell’Iran.

(La Stampa, 19 novembre 2024)
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Che il mondo ebraico sia “profondamente colpito” da quello che ha detto Bergoglio è comprensibile, ma che sia anche “deluso” dovrebbe sorprendere. Ma che cosa speravano gli ebrei dalla CCR (Chiesa Cattolica Romana)? e in particolare da quel personaggio che all’interno stesso della CCR viene considerato espressione della cosiddetta “mafia di Sangallo”. L’istituzione papale, che nel passato ha perseguitato non solo gli ebrei ma anche tanti cristiani classificati come “eretici”, oggi si sta accartocciando su se stessa, in preda a furiose convulsioni interne. Non vale la pena di prenderla seriamente in considerazione. Quanto ai rapporti di Bergoglio con gli ebrei... M.C.

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Gal Gadot in giro per Londra per un nuovo film

La superstar israeliana del cinema Gal Gadot sta per assumere il ruolo di protagonista in un nuovo thriller d'azione per Amazon. I precedenti cast dell'attrice israeliana hanno spesso causato proteste in passato.

di Jörn Schumacher

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Gal Gadot

Gal Gadot si sta muovendo: La superstar israeliana di Hollywood avrà il ruolo principale nel nuovo thriller d'azione “The Runner”. Come riporta la testata americana “Deadline”, nel film la Gadot interpreta un avvocato di alto profilo che deve correre per Londra seguendo gli ordini criptici di un misterioso interlocutore mentre lotta contro il tempo per salvare il figlio rapito.
Il film è prodotto da Amazon. Gadot è diventata famosa a livello internazionale per il suo ruolo di protagonista di “Wonder Woman” e per la sua partecipazione alla serie “Fast & Furious”. I suoi film più recenti includono “Red Notice” e “Heart of Stone” di Netflix. Gadot sarà nelle sale tedesche dal 20 marzo 2025 nel ruolo della regina cattiva nel film live-action della Disney “Biancaneve”.
La madre, sposata con quattro figlie, è cintura nera di karate e pratica arti marziali come il Krav Maga. Pochi giorni prima dell'annuncio, l'attrice ha postato sul suo account Instagram un video che la mostra mentre inizia a correre con un allenatore. Presumibilmente si sta mettendo in forma per il suo nuovo ruolo. Gadot ha ammesso che la corsa è l'unico esercizio che non le piace.

• L’ISRAELIANA GADOT È SPESSO DIVENTATA UN FATTO POLITICO
  Gadot è diventata una star internazionale come “Wonder Woman” e allo stesso tempo una sorta di ambasciatrice di Israele nel mondo. Lei stessa ha dichiarato: “Voglio che la gente abbia una buona impressione di Israele. Non mi sento un'ambasciatrice del mio Paese, ma parlo molto di Israele: sono felice di dire alla gente da dove vengo”.
All'età di 20 anni, Gadot è stata arruolata nelle Forze di Difesa israeliane come istruttrice di combattimento. L'attraente ex “Miss Israele” è nata nello Stato ebraico ed è nipote di sopravvissuti all'Olocausto. Suo nonno è sopravvissuto dopo essere stato imprigionato nel campo di concentramento di Auschwitz, mentre sua nonna è riuscita a fuggire dall'Europa prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 2017, Gadot è stata eletta attrice più popolare dell'anno dalla rivista “The Hollywood Reporter”, sulla base dei commenti degli spettatori sui social network. Nel giugno 2023, la Camera di Commercio di Hollywood ha annunciato che Gadot riceverà una stella sulla Hollywood Walk of Fame. Questo la rende la prima persona di origine israeliana a ricevere questo onore.
Il fatto che Gadot sia israeliana ed ebrea ha spesso portato a controversie politiche e proteste; l'attrice stessa ha anche regolarmente reso pubbliche le sue opinioni su questioni politiche e sociali. Quando Gadot avrebbe dovuto sostituire Elizabeth Taylor nel ruolo di Cleopatra sul grande schermo, molte persone sui social media hanno reagito con derisione: una donna ebrea “bianca” non avrebbe dovuto interpretare un'egiziana. In seguito ai brutali attacchi contro Israele da parte del gruppo terroristico Hamas, l'attrice israeliana ha chiesto di sostenere lo Stato ebraico nel 2023: “Io sto dalla parte di Israele, e anche voi dovreste farlo”, ha scritto su Instagram.
Poiché l'attrice israeliana recita nel film Disney “Biancaneve”, sono state lanciate richieste di boicottaggio preventivo: La “Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele” (PACBI), che fa parte del movimento “Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” (BDS), ha invitato a boicottare il film il giorno X.

• REGISTA CON ANTENATI EBREI
  Kevin Macdonalds dirigerà il suo nuovo film “The Runner”. È nipote del regista ebreo Emeric Pressburger, che ha realizzato classici del cinema come “Vita e morte del colonnello Blimp”, “L'errore nell'aldilà” e “Le scarpe rosse”.
Il regista di origine scozzese non è solo autore di lungometraggi di successo come “L'ultimo re di Scozia”, ma in passato si è anche dedicato alla realizzazione di documentari.
Nel 2000, ad esempio, ha vinto l'Oscar per il film “One Day in September” nella categoria “Miglior documentario”. Il film tratta della presa in ostaggio degli atleti israeliani alle Olimpiadi estive del 1972 a Monaco da parte del gruppo terroristico palestinese “Settembre Nero”.
Nel suo documentario “The Making of an Englishman” (1995), Macdonalds è andato alla ricerca di indizi e si è concentrato su suo nonno, lo sceneggiatore premio Oscar Emeric Pressburger. Pressburger, che era ebreo, lavorò per gli studi UFA di Berlino, ma fuggì a Parigi quando i nazisti presero il potere. Nel 2007, Macdonalds ha realizzato un documentario sul criminale di guerra nazista Klaus Barbie, capo della Gestapo di Lione e noto come il “Macellaio di Lione”. Nel 2018, lo scozzese ha realizzato il documentario “Whitney” sulla cantante Whitney Houston.

(Israelnetz, 18 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Operatori sociali ultraortodossi curano i traumi della guerra

“Il mio compito è garantire che non ci sia una seconda generazione che soffra per le conseguenze del 7 ottobre”, afferma Pinchas Weiss, direttore fondatore di una ONG che inizialmente si rivolgeva agli ultraortodossi.

di Etgar Lefkovits

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Pinchas Weiss, fondatore e direttore della ONG Mivtach di Gerusalemme

Tre giorni dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, una donna israeliana il cui fratello era stato ucciso nell'attacco terroristico transfrontaliero a sorpresa parlò con un'assistente sociale di come poterne parlare con i suoi genitori.
Alla fine della conversazione, la donna chiese casualmente all'assistente sociale da dove venisse.
La sua risposta la sorprese: Beitar Illit, una comunità ultraortodossa a sud-ovest di Gerusalemme, nel Gush Etzion.
“Non è una città ultraortodossa?”, ha chiesto, ammettendo che per lei, che proviene da un ambiente molto liberale, le possibilità di conversare con un ultraortodosso - per non parlare di ricevere aiuto da lui - erano “vicine allo zero”.
D'altra parte, non capita tutti i giorni che una ONG creata esclusivamente per il settore ultraortodosso faccia un'inversione di rotta e decida di concentrarsi sull'aiuto al grande pubblico, a volte anche gratuitamente.
Ma questo è esattamente ciò che Pinchas Weiss, il 35enne direttore fondatore di Mivtach con sede a Gerusalemme, ha deciso di fare dopo il massacro del 7 ottobre. Per lui, la mossa è stata più di un semplice superamento di un soffitto di vetro; è stato il suo modo di chiudere un capitolo familiare personale e un trauma derivante dall'Olocausto.

• UN PAESE TRAUMATIZZATO
   “Il 7 ottobre ha innescato qualcosa che dimostra la necessità di creare unità e coesione come nazione, sia in Israele che nella diaspora”, ha spiegato Weiss in un'intervista rilasciata al JNS presso gli uffici dell'organizzazione a Gerusalemme la scorsa settimana.
“Non c'è dubbio che per anni avremo a che fare con decine di migliaia di persone che avranno bisogno di essere curate per i traumi diretti e indiretti causati dalla guerra”, ha detto Weiss. “Credo che continueremo ad essere un Paese traumatizzato per diversi anni dopo la fine della guerra”.
Nell'ultimo anno, Weiss e il suo staff di 12 persone hanno fornito consulenza a persone direttamente traumatizzate, compresi i familiari in lutto e le famiglie dei sopravvissuti, nonché ai bambini indirettamente traumatizzati che hanno paura di uscire a causa della guerra.
Alcune cicatrici sono molto profonde.
Un diciannovenne che è stato aggredito sessualmente durante l'attacco e che Weiss aveva chiesto di curare per volere dei genitori del giovane, ha tentato il suicidio ed è ora ricoverato in un ospedale psichiatrico. Il mese scorso, una 22enne sopravvissuta al massacro al festival musicale Nova, vicino al Kibbutz Re'im, si è suicidata dopo una battaglia di un anno contro il disturbo da stress post-traumatico.
“Ci sarà lavoro per gli anni a venire”, ha detto Shraga Weiss, 31 anni, assistente sociale di Gerusalemme. "In fin dei conti, questa è una ONG Haredi [ultraortodossa], ma il nostro obiettivo è la professionalità. Ogni persona viene con i suoi problemi e noi la aiutiamo a risolverli, indipendentemente da chi sia”.

• “QUALCOSA CHE DEVE ESSERE FATTO”
   L'ufficiale di polizia israeliano Shmuel Ashkenazi, che ha prestato servizio nelle riserve per quasi quattro mesi dopo l'inizio della guerra e ha diretto il centro che ha cercato i corpi di 1600 terroristi, ha detto a JNS di essere entrato in contatto con Pinchas quando si è reso conto, dopo circa un mese di servizio nella riserva, di essere facilmente agitato e stressato.
“Mi ha fatto capire che era qualcosa che andava affrontato e che non dovevo metterlo da parte”, ha detto Ashkenazi.
Alla fine gli è stata diagnosticata la sindrome da stress post-traumatico (PTSD) ed è stato indirizzato a un trattamento.
“Il 7 ottobre ha dimostrato a questa ONG che non esiste una cosa come ‘solo gli ultraortodossi’”, dice Ashkenazi.
Mivtach, il cui bilancio è finanziato da donazioni dall'estero, prevede di aprire quest'inverno un corso che combina EMDR (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing) e terapia di gruppo per altri 50 operatori sociali.

• LA STORIA DELLA FAMIGLIA
   La decisione di Pinchas di impegnarsi nel lavoro sociale ha a che fare con la sua storia personale.
Una decina di anni e mezzo fa, dopo essersi consultato e con la benedizione del suo rabbino, abbandonò gli studi di ingegneria elettronica e si iscrisse all'Università Bar-Ilan per studiare lavoro sociale, trasferendosi poi all'Università di Haifa (“sarà un bene per te e per il popolo di Israele”, aveva detto il rabbino). In un corso gestito dall'organizzazione umanitaria ebraica The Joint , era l'unico ultraortodosso della classe, racconta.
Da allora, si è abituato alla sorpresa che alcune persone in Israele mostrano quando incontrano un assistente sociale ultraortodosso.
“Mi rattrista che sia stata la morte a farci incontrare”, ha detto del suo incontro con la donna poco dopo il 7 ottobre.
I nonni di Weiss erano dei sopravvissuti all'Olocausto provenienti dall'Ungheria, le cui intere famiglie sono state uccise dai nazisti.
“Sono stati in grado di costruire una nuova generazione, ma l'unica cosa per cui non sono mai stati curati è il loro trauma, che hanno trasmesso alla generazione successiva”, ha spiegato Weiss. “Il mio lavoro consiste nel fare in modo che non ci sia una seconda generazione che subisca le conseguenze del 7 ottobre”.

(Israel Heute, 18 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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«Occupazione, l’elefante nella stanza di Israele»

Il recente libro di Anna Foa, “Il suicidio di Israele”, potrebbe essere accostato a  un altro libro di una ventina d’anni fa dal titolo simile: “La fine di Israele”, di Furio Colombo, ex direttore nei primi anni duemila del giornale “l’Unità”. Stessa provenienza politica degli autori: ebraismo di sinistra; stesso sguardo pessimistico sul futuro di Israele causato dalla politica dei suoi governanti. Due giorni fa su “La Stampa” è uscita quella che Emanuel Segre Amar definisce “un’ orribile recensione dell’altrettanto orribile libro di Anna Foa, a firma di Bruno Montesano” . Riportiamo la recensione di Montesano e il commento che ha voluto  trasmetterci Segre Amar. NsI

di Bruno Montesano

Anna Foa si colloca in una posizione scomoda ma comune a diversi ebrei critici, spesso isolati dalle proprie comunità e visti con sospetto da parte della sinistra più intransigente. Ne Il suicidio di Israele, pubblicato da Laterza, Foa, oltre a denunciare i crimini contro l’umanità a Gaza e del 7 ottobre, compie degli affondi anche sulla dubbia amicizia tra destra postfascista ed ebrei: se ad El Alamein gli italiani non fossero stati sconfitti, gli ebrei in Palestina sarebbero stati massacrati. Il governo Meloni cade quindi in “contraddizione” quando celebra i coraggiosi di El Alamein e mostra amicizia al popolo ebraico.
  Foa affronta poi i luoghi comuni più diffusi e scarta rispetto all’ingiunzione per cui «Israele non si critica, si ama». Prima del 7 ottobre Israele era attraversata da imponenti manifestazioni contro l’ulteriore torsione autoritaria di Netanyahu. Ma c’era un “elefante nella stanza”: la mancata richiesta della fine dell’illiberale occupazione della Cisgiordania. Con l’inizio della guerra, Israele è ulteriormente scivolata a destra, verso il suicidio. E mentre l’antisemitismo – che pure non è affatto paragonabile a quello degli anni ’30 - andava montando, la diaspora ha taciuto.
  Nella via stretta tra le violenze di Hamas e Netanyahu, bisogna quindi tornare, ancora una volta, sulla storia di quel piccolo lembo di terra che alcuni chiamano Palestina e altri Israele e sgomberare il campo da pregiudizi e semplificazioni, ad esempio sul sionismo.
  «Il sionismo non è né una risposta all’emancipazione né una risposta al suo rifiuto. È molte ideologie insieme, molti progetti diversi». Il luogo dove insediare gli ebrei era infatti oggetto di dibattito tra territorialisti – che proposero l’Argentina prima e l’Uganda poi – e culturalisti – che vedevano nella Palestina il territorio dove rinnovare la vita spirituale degli ebrei. La tesi della “terra senza popolo per un popolo senza terra” era meno diffusa di quanto si pensi. Inoltre, fino a metà anni ’30 molti sionisti volevano uno stato binazionale. In questo senso, un'altra falsità che spesso si sente anche tra persone progressiste è che i palestinesi, prima del sionismo, non avessero ancora un’identità nazionale definita.
  Tuttavia, il rapporto tra ebrei e palestinesi, da pacifico che era, a inizio ‘900, assunse presto la forma dello “scontro culturale”: da un lato i palestinesi erano ostili a modi di vita “altri” rispetto ai propri, dall’altro gli ebrei socialisti dei kibbutzim espulsero i lavoratori arabi.
  Rispetto alla dibattuta questione su se il sionismo sia un movimento nazionalista o coloniale, Foa scrive che, fino al ’48, rispetto ad altri casi di settler colonialism, colonialismo d’insediamento, l’assenza di uno stato nazione dietro al movimento e la mancata colonizzazione in armi della Palestina costituiscano delle differenze inaggirabili. C’era però un’idea di superiorità culturale europea. Ad ogni modo, dopo la Nakba, secondo Foa, il sionismo cambia e Israele scivola più compiutamente verso il colonialismo di insediamento. Che subisce un’ulteriore torsione con la guerra del ’67. Dopo quella data, infatti, anche i laburisti favorirono la colonizzazione della Cisgiordania. E, oggi, il governo e l’esercito appoggiano pogrom contro i palestinesi.
  Si potrebbe qui obiettare a Foa che molte colonizzazioni di insediamento siano passate per la coercizione economica: l’imposizione dei diritti di proprietà su una terra altrui regolata da un diritto diverso. Inoltre, sul problema dell’apartheid, e sulla dimensione giuridica della discriminazione contro i palestinesi, a cui Foa accenna brevemente, è molto utile la ricerca di Enrico Campelli, Prove di convivenza (Giuntina 2022).
  Ad ogni modo, Foa chiude questo magistrale saggio abbracciando la prospettiva post-sionista: Israele ha svolto il suo compito e deve diventare qualcos’altro. Il superamento del dilemma tra stato ebraico e stato democratico sta nel fatto che i cittadini vengano, finalmente, riconosciuti come “liberi e uguali nella loro diversità”. E, se è vero che il sionismo prima del ’48 non era esclusivamente un movimento razzista, bisogna comunque riconoscere la sofferenza che da allora ha inflitto ai palestinesi. Solo così, uniti da trauma, esilio e sofferenza, ebrei e palestinesi potrebbero convivere.

(La Stampa, 16 novembre 2024)
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Commento di Emanuel Segre Amar:
Tra le gravità di questo articolo, uno dei tanti scritti a pubblicizzare al massimo l’ultimo libro di una persona che odia lo Stato di Israele (basterebbe il titolo, anche se è scritto in modo nascosto, a comprenderlo), sottolineo, nell’ordine:
- “Nella via stretta tra le violenze di Hamas e di Netanyahu” Montesano paragona un feroce terrorista ad un primo ministro eletto di una nazione democratica.
- Per l’autore sarebbe “una falsità che i palestinesi, prima del sionismo, non avessero ancora un’identità nazionale definita”, ma si guarda bene dallo spiegarlo, non potendo farlo.
“Il rapporto tra ebrei e palestinesi, da pacifico che era, a inizio ‘900…”; evidentemente Montesano non conosce la storia dei pogrom che afflissero gli ebrei di Hebron nel 1775 e di Safed nel 1799, 1834 e 1838, e potrei continuare.
“Imposizione dei diritti di proprietà su una terra altrui”: era tradizionalmente terra di proprietà di latifondisti turchi e siriani che vendettero regolarmente ad acquirenti ebrei secondo il diritto ottomano
Il peggio sta però in: “se è vero che il sionismo, prima del ‘48 non era esclusivamente un movimento razzista…”; qui Foa e Montesano, oltre a dimenticare le parole del Presidente Napolitano che affermò che l’anti-sionismo nega le ragioni della nascita, ieri, e della sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano alla guida di Israele”, girano attorno alla Risoluzione dell’ONU 3379 che definì il sionismo una forma di razzismo, Risoluzione poi annullata nel 1991.

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Per la prima volta le soldatesse dell’IDF entrano in Libano

di Michelle Zarfati

Per la prima volta nella storia militare di Israele, le donne soldato sono entrate in Libano come parte di una missione operativa. Il capo del Comando Nord, il magg. Ori Gordin ha approvato il dispiegamento di una squadra del battaglione di intelligence da combattimento nel sud del Libano diverse settimane fa.
  Dall’inizio della guerra, la squadra di intelligence da combattimento, composta da soldatesse, era stata di stanza vicino al confine siriano e nella regione del Monte Dov. I loro compiti includevano la raccolta di informazioni, l’identificazione di agenti terroristici, la creazione di elenchi di obiettivi e la direzione del fuoco da parte delle forze di terra e aeree per neutralizzare le minacce e smantellare le infrastrutture terroristiche. Il caporale Tehila, 21 anni, una soldatessa del Battaglione “Aquila”, ha descritto la sua esperienza in diverse operazioni, tra cui l’identificazione di individui legati ad attività terroristiche. “Libano meridionale? Siamo entrati a piedi. Quanto peso abbiamo trasportato? Troppo”, ha detto sorridendo. “Circa il 40% del nostro peso corporeo. Ci stavamo preparando per una lunga imboscata”.
  Il caporale Shani, 20 anni, ha spiegato la logistica della missione: “Abbiamo camminato per circa 1,5 chilometri in Libano, stabilito una posizione sul campo, mantenuto il camuffamento e iniziato la raccolta di informazioni utilizzando strumenti di osservazione. Operativamente, siamo entrati in aree non toccate dalle forze israeliane dalla seconda guerra del Libano”. I soldati hanno rivelato che la missione ha scoperto preziose informazioni sui siti dei missili anticarro, sugli edifici utilizzati da Hezbollah e sulle posizioni precise degli obiettivi – ha spiegato la soldatessa – In un caso, abbiamo guidato il fuoco dei carri armati in base alle nostre fotografie. Le immagini che abbiamo catturato incriminavano direttamente Hezbollah, mostrando le loro armi all’interno di case e villaggi. Più tardi, gli elicotteri d’attacco hanno colpito quegli obiettivi”, ha detto il caporale Shani.
  La squadra inizialmente aveva pianificato di rimanere dietro le linee nemiche per oltre 24 ore vicino a un villaggio con note attività di Hezbollah. Tuttavia, un incendio inaspettato è scoppiato nella zona, costringendoli all’evacuazione dopo 12 ore. “La ritirata attraverso una fitta vegetazione è stata molto impegnativa”, hanno osservato. Riflettendo sulla missione, le soldatesse hanno detto che il loro obiettivo era interamente quello di nascondere la loro posizione e raccogliere informazioni. Solo al ritorno in Israele hanno pienamente compreso la gravità della loro operazione. “Siamo la prima squadra di combattimento femminile ad entrare in Libano. Dirlo alla mia famiglia è stato emozionante: mia madre era sconvolta, ma mio padre era orgoglioso. Non c’è paura in questo momento, solo adrenalina. Ti concentri interamente sulla missione” ha detto il caporale Shani. “Alle ragazze che si uniscono alle unità di combattimento viene spesso detto che non avranno missioni significative, ma questo dimostra il contrario. Se ti spingi oltre ed eccelli, ti aspettano opportunità incredibili” ha concluso il caporale Tehila.

(Shalom, 18 novembre 2024)

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L’ex capo di stato maggiore Camporini: Israele opera nel rispetto delle regole

«Le procedure, gli atti compiuti, i provvedimenti correttivi e la gestione degli incidenti da parte dell’esercito israeliano a Gaza rispondono a criteri condivisibili, tipici delle democrazie occidentali. Se fossero sanzionati, provocherebbero un danno alle forze armate dell’Occidente».
  Parola di Vincenzo Camporini, l’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa. Ospite della Federazione delle Associazioni Italia-Israele a Roma, Camporini ha affrontato varie questioni collegate alle guerre di Israele contro il terrorismo. Tra le altre, il ruolo di Unifil nel sud del Libano come forza di interposizione con Hezbollah. «Il suo intervento è stato utile, ma non ha conseguito il risultato perché non è stata messa nelle condizioni di conseguirlo», ha sostenuto il generale. Per Camporini, in ogni caso, «Unifil deve rimanere, perché con Unifil sul terreno potrà riprendere il dialogo». Al tavolo, moderati da Ruben Della Rocca, c’erano anche due altri ex generali di alto livello: Paolo Capitini e Giuseppe Morabito. Per il primo, oggi docente presso la Scuola sottufficiali dell’esercito, l’anomalia di questa guerra combattuta anche nei tunnel presenta «un nuovo ambiente operativo, con nuove tecniche di combattimento e una particolare natura del nemico: le incomprensioni verificatesi non rientrano nel campo della “cattiveria”, ma possono accadere in un contesto di esperienze militari così diverse dal consueto». Dal suo canto Morabito, attuale membro del Nato Defense College, ha affermato: «Il rispetto delle regole, da parte di Israele, è sancito: non c’è scritto da nessuna parte che un esercito debba avvisare dove colpirà, però Israele lo fa». Morabito non è sorpreso che Israele sia sotto accusa per genocidio all’Aja: «I magistrati sono avulsi dal contesto? Ragioniamo sull’ambiente in cui vivono e sulle pressioni che ricevono».

(moked, 18 novembre 2024)

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Il collettore di Hamas in Italia e l’intervento di Washington

di Giovanni Giacalone

Hannoun non è nuovo a tali vicissitudini visto che nel 2021, dopo diverse segnalazioni all’Antiriciclaggio, l’Unicredit sospese l’operatività sui conti dell’ABSPP per una serie di anomalie: dalla mancata iscrizione al registro dell’Agenzia delle Entrate alla massiccia movimentazione di contante, in alcuni casi a soggetti iscritti nelle black list dei database europei. Nel dicembre 2023 anche Poste Italiane aveva chiuso il proprio rapporto con l’associazione. Subito dopo erano stati PayPal ed altri operatori tra cui Visa, Mastercard e American Express a bloccare le transazioni intestate alla sua associazione. Le autorità israeliane avevano inoltre chiesto a quelle italiane di provvedere con il sequestro dei fondi di Hannoun in quanto indicati come ricompensa per le famiglie degli attentatori suicidi di Hamas. Nella mappa delle ramificazioni internazionali di Hamas non poteva mancare l’Europa, dove l’organizzazione terroristica gode di rappresentanze più o meno mascherate in Germania, Austria e Italia.
Un recente rapporto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, redatto il 7 ottobre del 2024, a un anno esatto dall’eccidio compiuto da Hamas in Israele, ha identificato nell’architetto arabo di origine giordana, Mohammad Hannoun, residente a Genova, il collettore di Hamas per l’Italia.
Secondo il Dipartimento di Stato, Hannoun, dietro il paravento di una ONG da lui fondata, “L’Associazione Benefica di Solidarietà per il Popolo Palestinese” avrebbe raccolto nell’arco di dieci anni 4 milioni di dollari destinati all’ala militare dell’organizzazione jihadista .
Hannoun, il quale considera i trucidatori di israeliani del 7 ottobre, “resistenti”, si è presentato sabato scorso a Milano ad una manifestazione propalestinese dove ha lodato i perpetratori della caccia all’ebreo avvenuta ad Amsterdam, esibendo una foto di Yahya Sinwar, il pianificatore dell’eccidio.
A causa di ciò, Hannoun ha ricevuto la notifica del foglio di via dalla Procura di Milano per “istigazione all’odio e alla violenza”, ma ciò non lo ha demotivato. Oggi, durante l’ennesimo corteo propalestinese che si è svolto nella capitale lombarda si è fatto sentire da Torino dove ha partecipato a una manifestazione analoga, affermando che quanto è accaduto non fermerà la sua lotta per la “resistenza” palestinese, ovvero il suo supporto al jihadismo, approfittandone per scagliarsi contro i “giornalisti corrotti, bastardi e figli di puttana che hanno preso una parte del mio discorso di sabato scorso”, cioè che avrebbero falsificato il suo messaggio improntato alla pace e alla concordia.
La domanda che sorge spontanea è, come è possibile che un soggetto indicato dal Dipartimento di Stato americano quale collettore di una organizzazione che anche l’Italia considera terroristica, possa liberamente continuare la sua attività di megafono dello jihadismo e di apologeta dell’antisemitismo.
Ci si augura che le autorità competenti prestino l’attenzione dovuta alla segnalazione arrivata da oltreoceano, la quale non perderà di rilievo quando la nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump si insedierà il 20 gennaio prossimo.

(L'informale, 18 novembre 2024)

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Israele, le nazioni e i credenti in Gesù

Riportiamo gli ultimi due paragrafi della prima edizione del libro “Dio ha scelto Israele”, scritto circa vent’anni fa. Nella seconda edizione fu aggiunto un altro capitolo dal titolo ”Un interrogativo inquietante: sparirà Israele?” che voleva essere anche  un inserimento nella discussione sollevata in quel momento da un libro dal titolo significativo: “La fine di Israele”, di Furio Colombo.
“La fine di Israele è cominciata - si dice in un passaggio di quel libro -.  Si sono incrinati i pilastri che finora hanno sostenuto questo paese persino al di là di persuasioni, intenzioni, dissensi, e giudizi negativi. Quei pilastri erano l’opinione pubblica dell’Occidente, il cambiamento del mondo islamico, il sostegno americano, l’imminenza - o almeno la realistica speranza - di una qualche forma di pace o di convivenza con la Palestina.”
Anche in risposta a questa azzardata affermazione di Colombo, la seconda edizione del libro “Dio ha scelto Israele” finisce con una frase netta: “E Israele non sparirà”. Ma il finale della prima edizione, che qui riportiamo, costituisce già un’implicita risposta.


di Marcello Cicchese

Lo Stato d’Israele è ormai una realtà da più di cinquant’anni [oggi sono diventati più di settanta]. Come questo sia potuto accadere, nonostante le enormi difficoltà e il freddo odio di nemici determinati a distruggerlo, non è facilmente spiegabile con categorie puramente umane.  Possiamo ricordare le parole con cui lo storico Benny Morris conclude il suo poderoso trattato sul conflitto arabo-israeliano “Vittime”:

    “Fin qui, i sionisti hanno potuto considerarsi i vincitori dello scontro. Ogni vittoria può essere spiegata alla luce di fattori concreti e specifici, ma nell’insieme il successo dell’impresa sionista appare quasi miracoloso. Come descrivere altrimenti il radicarsi, in un paese inospitale, in un impero non amico e in una popolazione ostile, di una piccola e mal equipaggiata comunità di qualche decina di migliaia di ebrei russi? Come descrivere lo sviluppo di quella comunità, sia pure all’ombra delle baionette britanniche, nonostante la crescente opposizione e violenza arabe? E la vittoria contro la coalizione araba del 1948? La nascita di un paese solido e vitale? Le vittorie in altri quattro conflitti?”

L’autore dice: “Fin qui...”, e naturalmente non può essere sicuro che i sionisti continueranno ad essere i vincitori dello scontro. Ma di quale scontro si tratta? 
  Nel libro del profeta Isaia si parla del “giorno della vendetta del Signore, l’anno della retribuzione per la causa di Sion” (Isaia 34:8). Lo scontro vero che si sta preparando è tra il Dio che ha scelto Israele e le nazioni che sono spinte da Satana a muoversi contro il popolo eletto. Sarà un giorno di vendetta “poiché il Signore è indignato contro tutte le nazioni, è adirato contro tutti i loro eserciti; egli le vota allo sterminio, le dà in balia alla strage” (Isaia 34:2). L’indignazione è causata dal vedere come le nazioni trattano il Suo popolo: con odio e violenza, con ingiustizia e menzogna. Questo trattamento assumerà forme tragiche e spaventose negli ultimissimi tempi che precedono il ritorno in gloria del Signore Gesù, ma i suoi caratteri sono riconoscibili anche adesso. Non dovrebbe questo fatto provocare anche nei credenti sentimenti di indignazione per il comportamento ingiusto e ipocrita delle nazioni verso Israele,  pur sapendo che a Dio soltanto spetta la vendetta? E la mancanza di questi sentimenti non potrebbe essere un segnale preoccupante di un intorpidimento spirituale che impedisce di riconoscere le manovre dell’Avversario? 
  Oggi è chiaro a tutti che attraverso la Germania di Hitler l’Avversario ha operato un tentativo storico di opporsi al piano di Dio, e lo ha fatto spingendo le autorità di un popolo a tentare di sterminare gli ebrei. Ma i credenti di quel periodo e di quella nazione seppero riconoscere per tempo la diabolicità di quello che stava avvenendo? Con umiliazione bisogna rispondere: “No”. La maggior parte dei cristiani evangelici, anche quelli più rigorosamente attaccati alla Bibbia, anche quelli che conoscevano e insegnavano le profezie bibliche, si sono lasciati sedurre e fuorviare. 
  Un fratello tedesco che nella seconda guerra mondiale ha combattuto in Russia come ufficiale della Wehrmacht, negli ultimi anni della sua vita si è interessato molto di Israele, e in un suo libro sull'argomento (Ernst Schrupp, Israel in der Endzeit, Wuppertal, 1991) onestamente confessa:

    “In Germania non pochi cristiani, tra cui anche chi scrive, hanno visto nel Nazionalsocialismo la salvezza del popolo. Abbiamo accolto con favore l’espulsione degli ebrei dalla nazione tedesca. Fin dal 1933 il “Täuferbote”, giornale delle Chiese Battiste austriache, scrisse che “Dio, attraverso la Rivoluzione nazionale in Germania, ha imposto agli ebrei un potente alt”. Su “Die Botschaft” e “Die Tenne”, giornali delle Assemblee dei Fratelli, il primo per le chiese, il secondo per i giovani, si può trovare una sconsiderata approvazione della epurazione della Germania dai nemici dello Stato, e in particolare dagli ebrei immigrati. Di fronte alla forzata emigrazione, alla brutalità delle SS, alle crudeli sofferenze che si abbattevano sugli ebrei, sembrava possibile, anche nei nostri ambienti, spiegare alla luce della Bibbia, senza problemi, la persecuzione e l’espulsione degli ebrei con la maledizione che incombeva su Israele. In questo modo tranquillizzavamo la nostra coscienza e ci sembrava che anche un “antisemitismo evangelico” fosse giustificato.”

Quando poi si cominciò a capire come stavano veramente le cose, all’entusiasmo subentrò la paura, e le varie chiese furono talmente occupate a risolvere il problema dei loro rapporti con lo Stato totalitario da non avere più né il tempo, né la forza, né lo spirito di martirio per impegnarsi a favore degli ebrei.
  I tempi politici si stanno affrettando e non si può escludere che fatti inaspettati pongano ciascuno di noi davanti a difficili scelte di ubbidienza a Dio. E’ preoccupante vedere come si stanno ricreando, in una cornice “globalizzata”, le condizioni spirituali per una giustificazione, o quanto meno una “umana comprensione”, dell’odio contro gli ebrei. Le coscienze si stanno ottundendo, i pensieri si stanno contorcendo intorno alla questione di Israele. Le mostruosità diaboliche di giovani educati all’odio e spinti a uccidere sé stessi insieme a uomini, donne e bambini colpevoli soltanto di essere ebrei non sollevano indignazione, non fanno quasi più notizia. I pacifisti, i sognatori di una pace universale raggiunta con sforzi umani si lasciano ingannare dall’anelito di giustizia con cui si presenta la “lotta di liberazione” della Palestina dagli ebrei “usurpatori”. Come tutte le persone imbrogliate, cercheranno di rinviare il più possibile il momento in cui dovranno ammettere di essersi lasciati ingannare; e quando non potranno più farlo, saranno occupati a risolvere il problema della loro paura.

• Il residuo d’Israele è di nuovo visibile sulla terra promessa

    “La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Salmo 119:105).

La lampada della Parola di Dio espressa nelle profezie deve essere fatta risplendere per capire quello che il Signore ha voluto rivelare del Suo piano; e alla luce di questa lampada devono essere esaminati i fatti che stanno avvenendo nel popolo di Israele, per avere pensieri corretti e prendere decisioni giuste.
  Tra questi fatti deve essere data particolare importanza alla novità assoluta degli ebrei “messianici”. Il residuo d’Israele oggi è diventato visibile all’interno dello Stato ebraico, tornando a sollevare una serie di questioni che erano presenti agli albori della chiesa cristiana. Qualcosa accomuna i primi e gli ultimi tempi di questo periodo della storia della salvezza: si può dire che prima della distruzione di Gerusalemme Israele era ancora presente quando la Chiesa era già presente; dopo la Dichiarazione d’indipendenza del 14 maggio 1948 si può dire che la Chiesa è ancora presente quando Israele è già di nuovo presente. Forse siamo in molti a non essere ben preparati alla particolarità di questa situazione. Ma il tempo urge, e oltre alla necessità di intensificare l’opera di predicazione del vangelo in tutto il mondo, è necessario tenere gli occhi aperti e la mente attenta su tutto quello che riguarda Israele, senza lasciarsi fuorviare da chi dice che tutto questo non è importante perché lo Stato ebraico di oggi non crede ancora in Gesù.
  Un ebreo educato fin da piccolo all’osservanza delle tradizioni ebraiche, un giorno ha scoperto che Gesù non è un personaggio che riguarda il Papa e il Vaticano, ma è il Messia promesso a Israele. E ha creduto in Lui. In una sua predicazione ha detto che se esiste un velo su Israele che gli impedisce ancora di riconoscere in Gesù il Suo Messia, esiste anche un velo su gran parte della Chiesa, un velo che le impedisce di riconoscere quello che Dio sta operando nel Suo popolo di Israele. Chi scrive riconosce di non essere stato cosciente, per molto tempo, dell’esistenza di questo velo.
  E’ compito dei credenti in Cristo pregare ed operare affinché questo secondo velo sia rimosso dai loro occhi, sapendo che sarà il Signore stesso, quando il tempo sarà giunto, a togliere il primo velo dagli occhi di Israele.

(da Dio ha scelto Israele)



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Israele ha distrutto un sito di ricerca sulle armi nucleari in Iran il mese scorso

L'attacco ha distrutto un complesso di ricerca per componenti essenziali alla costruzione di un ordigno atomico, componenti che l'Iran non riuscirà a reperire con facilità.

FOTO
Questa foto satellitare di Planet Labs PBC mostra edifici danneggiati nella base militare iraniana di Parchin, fuori Teheran, Iran, 27 ottobre 2024. Le strutture danneggiate si trovano nell’angolo in basso a destra e in basso al centro dell’immagine.

Gli attacchi aerei israeliani in Iran compiuti il mese scorso hanno distrutto un centro di ricerca sulle armi nucleari attivo a Parchin. Lo ha riferito venerdì il sito di notizie Axios, citando tre funzionari statunitensi, un attuale funzionario israeliano e un ex funzionario israeliano.
Secondo Axios, un attacco israeliano su Parchin, parte di un’operazione durata ore il 26 ottobre, ha distrutto le sofisticate apparecchiature utilizzate per progettare gli esplosivi in grado di circondare l’uranio in un dispositivo nucleare, danneggiando in modo significativo gli sforzi dell’Iran per riprendere la ricerca sulle armi nucleari.
L’attacco israeliano “renderà molto più difficile per l’Iran sviluppare un ordigno esplosivo nucleare se sceglierà di farlo”, hanno detto due funzionari israeliani.
L’Iran avrebbe bisogno di “sostituire l’equipaggiamento che è stato distrutto” se volesse produrre armi nucleari, secondo quanto affermato nel rapporto dai funzionari israeliani, “e se l’Iran cercasse di procurarselo, credono di poterlo rintracciare”.
Era già noto che il complesso “Taleghan 2” era stato preso di mira negli attacchi, come testimoniato dalle immagini satellitari, ed era già stato riconosciuto come sito del precedente programma nucleare iraniano, ufficialmente interrotto nel 2003.
Secondo quanto riferito, all’inizio di quest’anno i servizi segreti statunitensi e israeliani hanno iniziato a rilevare nuove attività sul sito, tra cui modellizzazione computerizzata, metallurgia e ricerca sugli esplosivi, che potrebbero essere rilevanti per la creazione di un ordigno nucleare.
“Hanno condotto un’attività scientifica che avrebbe potuto gettare le basi per la produzione di un’arma. Era una cosa top secret. Una piccola parte del governo iraniano ne era a conoscenza, ma la maggior parte del governo iraniano no”, ha detto un funzionario statunitense ad Axios.
La conoscenza delle ricerche condotte a Taleghan 2 avrebbe spinto il Direttore dell’intelligence nazionale statunitense a modificare la sua valutazione ufficiale del programma nucleare iraniano ad agosto, che in precedenza aveva osservato che l’Iran “non stava attualmente intraprendendo le attività necessarie per produrre un dispositivo nucleare testabile”.
Non risulta che Israele abbia colpito altri siti nucleari negli attacchi aerei del 26 ottobre, quando decine di aerei israeliani hanno distrutto siti di produzione e lancio di droni e missili balistici, nonché batterie di difesa aerea.
Gli Stati Uniti hanno esortato Israele ad astenersi dal colpire siti nucleari nell’attacco, per evitare di innescare una grave escalation con l’Iran, pur avendo approvato la mossa di Israele in risposta all’attacco dell’Iran contro Israele del 1° ottobre, quando la Repubblica islamica ha lanciato 181 missili balistici contro Israele, il suo secondo attacco diretto di questo tipo da aprile.
Israele ha fatto però una eccezione per Taleghan 2, perché il sito non faceva parte del programma nucleare dichiarato dall’Iran, che la Repubblica islamica nega abbia una componente militare, ma riconosce come un’impresa presumibilmente civile.
Se l’Iran avesse riconosciuto la portata dell’attacco, avrebbe ammesso anche la violazione del trattato di non proliferazione nucleare.
“L’attacco è stato un messaggio non troppo sottile che gli israeliani hanno una conoscenza significativa del sistema iraniano, anche quando si tratta di cose che erano tenute top secret e note a un gruppo molto ristretto di persone nel governo iraniano”, ha detto un funzionario statunitense ad Axios.
Il sito di notizie ha anche citato funzionari israeliani, i quali hanno affermato che l’attacco renderebbe molto più difficile per Teheran sviluppare un’arma nucleare se decidesse di farlo.
“Questa attrezzatura è un collo di bottiglia. Senza di essa gli iraniani sono bloccati”, ha detto un alto funzionario israeliano.
“Si tratta di un equipaggiamento di cui gli iraniani avrebbero bisogno in futuro se volessero fare progressi verso una bomba nucleare. Ora non ce l’hanno più e non è una cosa da poco. Dovranno trovare un’altra soluzione e la vedremo”, ha aggiunto il funzionario.
 
• ISPEZIONI NUCLEARI
Il rapporto è stato pubblicato lo stesso giorno in cui il responsabile dell’organismo di controllo nucleare delle Nazioni Unite ha visitato due siti nucleari iraniani nell’ambito di una visita in Iran.
Durante la visita, il ministro degli Esteri iraniano ha dichiarato al capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, che Teheran è disposta a risolvere le controversie in sospeso sul suo programma nucleare, ma non cederà alle pressioni.
Secondo quanto riportato dai media statali, senza però fornire dettagli, Grossi ha visitato la centrale nucleare di Natanz e il sito di arricchimento di Fordow, scavato in una montagna a circa 100 km a sud della capitale Teheran.
I rapporti tra Teheran e l’AIEA si sono inaspriti a causa di diverse annose questioni, tra cui l’esclusione dal paese degli esperti di arricchimento dell’uranio dell’agenzia e la mancata spiegazione delle tracce di uranio trovate in siti non dichiarati.
“La palla è nel campo UE/E3”, ha scritto il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi su X dopo i colloqui a Teheran con Grossi giovedì, riferendosi a tre paesi europei – Francia, Gran Bretagna e Germania – che rappresentano l’Occidente insieme agli Stati Uniti nei colloqui sul nucleare.
“Disposti a negoziare sulla base del nostro interesse nazionale e dei diritti inalienabili, ma non pronti a negoziare sotto pressione e intimidazione”, ha affermato Araqchi.
Il portavoce del ministero degli Esteri francese ha detto ai giornalisti che le tre potenze europee attenderanno di vedere i risultati della visita di Grossi prima di decidere come rispondere.
“Siamo pienamente mobilitati con i nostri partner E3 e gli Stati Uniti per portare l’Iran alla piena attuazione dei suoi obblighi e impegni internazionali, nonché alla cooperazione in buona fede con l’agenzia”, ha affermato.
“Questa mobilitazione avviene in diversi modi, anche attraverso risoluzioni… quindi ci aspettiamo che questi messaggi vengano trasmessi durante la visita di Rafael Grossi e adatteremo di conseguenza la nostra reazione”.
Il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti a gennaio sconvolge la diplomazia relativa alla questione nucleare con l’Iran, che era rimasta in stallo sotto l’amministrazione uscente di Joe Biden dopo mesi di colloqui indiretti.
Durante il precedente mandato di Trump, Washington ha abbandonato l’accordo nucleare del 2015 tra l’Iran e sei potenze mondiali, che limitava l’attività nucleare di Teheran in cambio dell’allentamento delle sanzioni internazionali.
Trump non ha ancora spiegato in dettaglio se riprenderà la sua politica di “massima pressione” sull’Iran quando entrerà in carica.

(Rights Reporter, 16 novembre 2024)

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“Trump presidente proteggerà Israele”

di Alessandra Mori

In questa nuova puntata di “Pop economia-Rumore”, la nostra rubrica condotta da Alessandra Mori, l’ambasciatore Stefano Stefanini e l’assessore ai rapporti internazionali della comunità ebraica di Roma Yohanna Arbib parlano degli scenari internazionali dopo l’elezione di Donald Trump, in particolare sui riflessi che potranno avere su Israele e sul conflitto nel Medio Oriente, e dei retroscena sui fatti di Amsterdam.
  Yohanna Arbib, sulla vittoria di Donald Trump: “Sono contenta che abbia vinto l’amministrazione Trump, parliamo di persone che conoscono bene la politica internazionale e porteranno una grandissima chiarezza. Netanyahu ha detto molto nitidamente alle Nazioni Unite: i soldati israeliani sono quelli che stanno morendo sul territorio: aiutateci a mettere fine a due organizzazioni terroristiche che stanno controllando il Libano nel nord e Gaza nel sud. Questo chiede Israele e io sono convinta che questa nuova amministrazione Trump porterà questo in politica estera”.
  Riguardo ai fatti di Amsterdam, di concerto con l’ambasciatore Stefanini: “È stata una seconda notte dei cristalli, proprio una caccia all’ebreo e potrebbe essere l’inizio. Israele è in prima linea alla difesa dei valori occidentali. Dopo la caccia agli ebrei verranno gli altri. Sulla scia dell’antisemitismo ci sarà l’attacco alle minoranze, alla democrazia”.
  “È stato allucinante quello che è successo dopo. La reazione della polizia è stata totalmente sottotono, in alcuni casi si è addirittura rifiutata di proteggere i turisti israeliani. Questo in Italia non succede e  dobbiamo ringraziare le forze dell’ordine perché proteggono noi ebrei, 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana. La seconda riflessione è sulla reazione di alcuni giornalisti. Se non ci fossero state le registrazioni sui social, qualcuno avrebbe detto che quella manifestazione  era il risultato di una reazione ad alcuni israeliani che hanno manifestato contro il popolo palestinese. E l’informazione errata, la diseducazione dei nostri cittadini, crea quello che è successo il giovedì notte”.
  Stefanini, sul Medio Oriente: “Trump sul Medio Oriente ha seguito tre linee abbastanza costanti. La prima è l’appoggio quasi incondizionato a Israele, al punto di prendere decisioni che nessun altro aveva preso, per esempio il riconoscimento dell’annessione delle alture del Golan e il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. E ha riconosciuto la non illegalità delle colonie che Israele ha stabilito in Cisgiordania. La seconda costante è quella di spingere molto per il ravvicinamento di Israele agli Stati Arabi del Golfo, in particolare all’Arabia Saudita, che è l’antagonista principale dell’Iran. Trump è appunto l’artefice degli accordi di Abramo, accordi fra gli Emirati e Israele che aspettano l’adesione dell’Arabia Saudita. Tutto questo è stato complicato ed è tuttora reso molto più complicato dal dopo 7 ottobre. La terza costante, legata alle altre due, è l’essere anti-Iran”.
  “Gli accordi di Abramo sono praticamente fermi, ma nessun Paese arabo ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele. L’Arabia Saudita indica di essere pronta a riprendere quel percorso qualora Israele offrisse una prospettiva di Stato palestinese, ma questo Netanyahu non l’ha fatto. Il secondo sviluppo è il fatto che Israele e Iran sono passati da una guerra per procura, che l’Iran conduceva tramite le varie milizie contro Israele, a una guerra attiva che ha avuto già due scambi diretti”.
  Su Donald Trump: “Trump si pone come l’uomo che mette fine alle guerre e che anche perché nella sua filosofia gli Stati Uniti hanno speso troppe risorse in guerre in cui non è in gioco il loro interesse nazionale”. Ha promesso di chiudere la guerra in Ucraina in 24 ore potrebbero essere le prime in cui Trump sarà presidente il 20 gennaio, precedute però da quello che sta facendo adesso, cioè creare le condizioni per arrivare alla cessazione dell’ostilità”. Sugli eventi di Amsterdam: “C’è stata una pianificazione e non un’esplosione di antisemitismo olandese che colava sotto le ceneri, che è solo una componente. È stata una manifestazione organizzata da sostenitori di Hamas, cioè l’organizzatore della strage del 7 ottobre”.

(Radio Libertà, 16 novembre 2024)

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L’albergatore che rifiuta gli ebrei è una vergogna fuori dalla storia

Una struttura di Selva di Cadore chiude le porte ai clienti israeliani, in quanto «responsabili di un genocidio». Come se le eventuali colpe dei governi ricadessero sulle persone. La Regione si dissocia, poi arrivano le scuse.

di Paolo Del Debbio

Una volta, sulla porta di alcuni ristoranti e anche di alcuni alberghi, c'erano dei cartelli raffiguranti un cane con scritto «Io non sono gradito». Chissà se questo albergatore di questa struttura di Selva di Cadore, sulle Dolomiti, in particolare il titolare dell'Hotel Garni Ongaro, metterà la stella di David e delle foto rappresentanti degli ebrei sulla porta e sui suoi social scrivendo «Io non sono gradito». Questo signore si è reso responsabile di un gesto indegno perché, a pochi giorni dall'arrivo di due ospiti ebrei da Tel Aviv, ha scritto un messaggio su Booking che dice così: «In quanto responsabili di genocidio, non siete clienti bene accetti». L'antisemitismo alberghiero non lo avevamo ancora conosciuto, conoscevamo quello animale ma, evidentemente, questo «signore» non fa distinzione. Ciò che lo caratterizza è un'ignoranza talmente grossa che non meriterebbe neanche di spendere parole per commentarla. Cosa c'entrano gli israeliani e gli ebrei con il genocidio di cui parla questo tale? Forse tutto il popolo ebreo israeliano è responsabile delle politiche (pur non condivisibili) del premier israeliano, Benjamin Netanyahu? Cosa vuol dire «responsabili del genocidio»? Vuol dire che ogni ebreo israeliano è responsabile in prima persona di quello che fa il governo del suo Paese? E poi, non una parola su quello che il 7 ottobre dell'anno passato ha fatto Hamas nei confronti di Israele? Sarebbero ben venuti i terroristi di Hamas nell'albergo del «signor» Ongaro? Una bella colonia di terroristi palestinesi, ospitati nel suo albergo a Selva di Cadore, rappresenterebbe un segno di progressismo e rivoluzione culturale contro gli indegni ebrei a favore dei paladini terroristi di Hamas? Se da questo tipetto arrivassero un gruppo di iraniani li ospiterebbe o no e se venissero dalla Corea del Nord? E se venissero dalla Cina, dove non proprio tutti i diritti umani sono rispettati? Forse si sognerebbe di attribuire a due turisti cinesi o coreani o iraniani la responsabilità complessiva di quello che avviene nel loro Paese? 
  Qualcuno fornisca in fretta a questo scellerato un manuale di storia e uno di geografia contemporanea, o anche semplicemente l'annuario edito ogni anno da De Agostìni, così potrà studiare tutti i regimi di tutti i Paesi, vedere dove ci sono delle violazioni dei diritti umani e respingere tutti i cittadini di Stati dove i governi abusano del loro potere. Strano modo di concepire la democrazia: punire i cittadini per educare i governanti, non accogliere i due israeliani per colpire Netanyahu. 
  Per fortuna i suoi colleghi albergatori si sono dissociati dal suo comportamento e così ha fatto anche il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. D'altra parte, il caso è talmente assurdo e l'antisemitismo è talmente evidente che sarebbe stato difficile non pronunciarsi contro le follie di questo albergatore, che infatti ieri in serata è stato costretto a scusarsi. 
  Mentre scrivo «follie» mi viene alla mente che, purtroppo, questo albergatore, in oltraggio a qualsiasi tipo di libertà religiosa e di diritto alla libertà di professione religiosa, è uno che magari ci ha anche ragionato, a suo modo. Certo, la decisione è folle ma più grave è il ragionamento che ci sta dietro. Gli ebrei, in quanto tali, sono comunque persone da rigettare, da escludere, da mettere all'angolo, anche ove siano due pacifici turisti che vogliono godere delle bellezze del Veneto per qualche giorno. 
  No, niente accesso all'albergo ideologico (nuova forma di albergo che non rigetta chi non paga ma chi è ritenuto indegno dal titolare da un punto di vista religioso e ideologico, razzismo alberghiero, ci mancava pure questo). 
  Ora voi capite bene che la questione e gravissima, non solo per gli aspetti simbolici, cioè di una struttura ricettiva che di per sé deve essere aperta a tutti, fuorché a soggetti che non rispettino i regolamenti e le leggi che tutelano gli alberghi stessi. Ma si tratta di una questione sostanziale perché, se nella civilissima Italia, un albergo si permette di discriminare potenziali clienti sulla base delle strampalate e irricevibili convinzioni del gestore dell'albergo, di che tipo di turismo stiamo parlando? Abbiamo parlato tanto male, e giustamente, in Italia, del turismo sessuale nei Paesi dell'Est, anche da parte degli italiani che andavano là per poter usufruire del corpo di bambine o bambini minorenni. Non dovremmo forse indignarci per questa specie di turismo razziale di questo, che non so definire, che ha proibito l'ingresso a due israeliani perché responsabili del genocidio? Ignoranza, non conoscenza del diritto, della storia di un popolo, di come funziona normalmente la ricezione turistica. Insomma, un accumulo di macerie di ignoranza e di insensibilità che fanno paura e non rendono ragione agli albergatori del Veneto e agli operatori turistici che fanno, di quella regione, una regione accogliente, come del resto altre regioni italiane, nei confronti di tutti, a prescindere da tutto, fatta eccezione per il rispetto della legge. Che schifo.

(La Verità, 16 novembre 2024)
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«La decisione è folle ma più grave è il ragionamento che ci sta dietro». Proprio così, perché lo stesso ragionamento si trova certamente nella mente di tanti altri criptoantisemiti che hanno soltanto l'accortezza di non scivolare in un'uscita stupida come quella dell'albergatore di Selva di Cadore. M.C.

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Nella soffitta di Anne Frank. Gli ebrei di Amsterdam ci raccontano la fine dell’illusione multiculturale

“Questa non è più la nostra città”

di Giulio Meotti

Jodenjacht, “caccia agli ebrei”. Un’espressione olandese che nel 1944 ha segnato la storia di Amsterdam al numero 263 di Prinsengracht, dove c’è la casa di Anne Frank, e di nuovo quella del 2024, durante una settimana in cui gli olandesi commemoravano la Kristallnacht. Una chat di gruppo WhatsApp filopalestinese aveva chiesto una “caccia ai cani ebrei” la sera prima della partita tra Ajax e Maccabi. Sapevano dove alloggiavano gli israeliani. Sapevano quali hotel, quale strada avrebbero preso al termine della partita. Era tutto organizzato. Tassisti, autisti di uber, motociclisti.
  In un anno, l’Olanda ha registrato la metà degli attacchi antisemiti che si sono verificati in Francia. Ma rispetto al numero degli abitanti, il dato è molto più preoccupante, perché la popolazione olandese è tre volte e mezzo inferiore a quella francese e la sua comunità ebraica è molto più piccola per tragiche ragioni storiche (il 75 per cento è stata uccisa durante la Seconda guerra mondiale, rispetto al 30 per cento in Francia).
  “Nessun ebreo che conosco salirà più su un Uber o su un taxi ad Amsterdam senza prima controllare che la stella di David che indossa sia ben nascosta”, ha scritto il romanziere olandese Leon de Winter. Nella notte in cui centinaia di tifosi di calcio hanno temuto per la propria vita, la comunità ebraica è entrata in azione. Hanno aiutato gli israeliani braccati fornendo riparo per la notte e un passaggio per l’aeroporto di Schiphol, dove avrebbero atteso i voli speciali della El Al israeliana arrivati da Tel Aviv.
  Quattro giorni dopo le autorità di Amsterdam accusano le vittime di essersela cercata. Nel suo primo rapporto sulle aggressioni di massa ai tifosi di calcio israeliani ad Amsterdam, il comune della città a guida di sinistra li ha accusati di aver intonato “canzoni odiose e razziste contro gli arabi”. Un cambiamento di 180 gradi rispetto alla retorica dei funzionari della città finora, inclusa la dichiarazione del sindaco Femke Halsema secondo cui “non ci sono scuse” per le aggressioni. Jazie Veldhuyzen, membro del consiglio comunale di sinistra di Amsterdam, è tra i manifestanti arrestati e rilasciati. Poi la sindaca è andata a incontrare un gruppo di manifestanti: alcuni avevano il passamontagna e la fascia verde dell’ala militare di Hamas.
  Amsterdam è una delle città più cosmopolite del mondo, con residenti provenienti da 180 paesi. Gli olandesi non sono la maggioranza, né lo sono quelli di origine europea. Quindici anni fa, gli olandesi costituivano il 50 per cento della popolazione, oggi sono scesi al 44 per cento. Il gruppo più numeroso dopo gli olandesi sono i marocchini, seguiti dagli immigrati dal Suriname, 63 mila, e dalla Turchia, 45 mila. Amsterdam avrebbe dovuto essere come Berlino, Londra e Parigi: un rifugio per gli oppositori degli stati nazionali e i sostenitori delle frontiere aperte e del multiculturalismo. Un modello di città libera e aperta, ma non avevamo bisogno del Maccabi Tel Aviv per sapere che era un’illusione.
  Vista da davanti, la sinagoga dell’Aia non è riconoscibile, due spesse porte verdi presentano una facciata chiusa sulla strada. Ad Amsterdam, la scuola elementare ebraica ha livelli di protezione ancora più distopici, nascosti dietro diversi strati di metallo e recinzioni. Dall’esterno, la vista della scuola è completamente chiusa. Molte famiglie hanno tolto dagli stipiti della porta di ingresso la mezuzah, che li avrebbe resi identificabili come ebrei.
  Amsterdam era già stata teatro di proteste pro palestinesi, tra cui una avvenuta a marzo davanti al Museo della Shoah, quando il presidente israeliano Isaac Herzog ha partecipato alla sua inaugurazione.
  In una cerimonia ad Auschwitz lo scorso gennaio, a cui hanno partecipato ex presidenti, primi ministri e leader parlamentari di vari paesi (dall’Italia Matteo Renzi), Bianca Sirdzinka, studentessa ebrea dell’Università di Groningen nei Paesi Bassi, ha raccontato: “La situazione per gli studenti ebrei è terribile! E’ spaventoso camminare per le strade. Studenti del Memoriale dell’Olocausto sono stati presi di mira con il lancio di pietre. Rivelare la propria origine è rischioso; bisogna nascondersi. La nostra sicurezza è compromessa e l’antisemitismo è dilagante”.
  Intanto anche la celebrazione ebraica di Hanukkah nella città olandese di Enschede prendeva una piega strana, dopo che il sindaco ha rifiutato di farsi vedere vicino all’ambasciatore israeliano. La sinagoga di Enschede aveva invitato il sindaco Roelof Bleker alla celebrazione di Hanukkah e gli aveva riservato un posto accanto all’ambasciatore israeliano, Modi Ephraim. Ma poche ore prima, la sinagoga ha ricevuto una telefonata da Bleker. “Il sindaco non vuole sedersi accanto all’ambasciatore e non vuole stringergli la mano”. La piccola comunità ebraica di Enschede – 45 ebrei in totale – era già frustrata dal primo cittadino, che ha respinto le loro richieste di maggiore sicurezza dopo il 7 ottobre, nonostante un’ondata di attacchi antisemiti.
  Al Foglio, lo scrittore ebreo Leon de Winter non nasconde il suo pessimismo: “Da molti anni gli ebrei ad Amsterdam non vogliono farsi riconoscere come ebrei. In una-due generazioni, se ne saranno andati dall’Europa”. All’Aia una scuola ebraica ha rimosso la targa in onore dei sopravvissuti alla Shoah nel timore di atti di vandalismo. La polizia non ha permesso a una famiglia di esporre la sukkah fuori dalla casa.
  “L’impatto della notte dell’attacco è molto significativo, siamo ancora troppo vicini a quanto successo, ma le persone sono molto impaurite, abbiamo perso la fiducia nel governo e nella polizia”, ci racconta Elliott Hollander, ebreo olandese tornato ad Amsterdam da Israele per lavorare per un’azienda di servizi. “Dal 7 ottobre c’è stata una accelerazione. Da qui a dieci anni, temo sia finita. Io me ne andrò. Mi piaceva tornare nel mio paese, ma il 7 ottobre come ebreo mi ha messo in una posizione diversa. Prima l’apertura del museo della Shoah, dedicato alla memoria degli ebrei gasati in Germania. Sopravvissuti e famigliari erano presenti: il sindaco con il capo della polizia hanno accettato che una manifestazione palestinese si tenesse di fronte al museo. Gli ebrei sono dovuto passare davanti a questa gente, tra urla, sputi, accuse che eravamo ‘assassini di bambini’. Il 7 ottobre poi abbiamo tenuto una commemorazione dei morti israeliani. E quel giorno hanno manifestato nuovamente in Piazza Dam, davanti a noi. E ora l’attacco durante la partita. Dalla stazione al mio ufficio è come camminare per Teheran: se portassi una kippah non arriverei senza danni al lavoro. E tutto è accettato per politicamente corretto, paura e ideologia. Gli ebrei, amici ebrei, rimuovono la kippah e tolgono la mezuzah. Evitano certi quartieri di Amsterdam. Ai miei figli ho detto di non parlare ebraico in centro. Ma gli olandesi, persone con cui lavoro, se ne fregano. Io me ne andrò, ma l’Europa sarà completamente fottuta. Anche se ho un po’ di ottimismo: vedo le persone stanche di come sta tutto precipitando”.
  Qualche anno fa, un gruppo di ragazzine ebree della stessa età di Anne Frank dichiarava al quotidiano Het Parool che non sarebbe più uscita di casa con al collo la stella di David: erano state picchiate per strada da una banda di immigrati. Lo aveva previsto l’ex eurocommissario sotto Romano Prodi, Frits Bolkestein, il guru dei liberali che lanciò un invito choc: “Gli ebrei non hanno futuro qui e dovrebbero emigrare negli Stati Uniti o in Israele”. La denuncia di Bolkestein era contenuta in un libro, “Het Herval”, scritto da Manfred Gerstenfeld. Fra i primi leader politici a reagire alla “proposta” di Bolkestein ci fu proprio Femke Halsema, allora deputata ecologista e oggi sindaco di Amsterdam, la quale si chiese se l’ex commissario europeo non si fosse “kierewiet”, rimbambito. Il ministero della Giustizia dell’Aia è ricorso anche a metodi a dir poco fuori dal comune. Poliziotti vestiti con gli abiti della tradizione ebraica ortodossa che si fingono ebrei. Esche per le strade.
  I suggerimenti di Bolkestein sono stati fatti propri anche da un’eminente rappresentante della comunità ebraica di Amsterdam, Bloeme Evers-Emden. Sopravvissuta ad Auschwitz, professoressa dell’università della città, la donna afferma di aver detto a figli e nipoti di lasciare il paese e che una sola direzione si offre loro: Israele. “I problemi non toccheranno me fintanto che sarò viva, ma consiglio fortemente ai miei figli di andarsene dall’Olanda”. La secolare sinagoga di Weesp è diventata la prima che in Europa, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha cancellato i servizi di Shabbat a causa delle minacce alla sicurezza dei fedeli.
  Ayaan Hirsi Ali, che è stata una deputata liberale olandese e la collaboratrice di Theo van Gogh per il film “Submission”, racconta che c’è un problema di infiltrazione islamica nella polizia. “Conosco bene Amsterdam. Per molti anni ho vissuto nei Paesi Bassi. Vent’anni fa è stato implementato un piano ben intenzionato per incoraggiare la partecipazione delle minoranze etniche in tutte le aree in cui sono sottorappresentate. La polizia e le agenzie di sicurezza erano considerate ‘troppo bianche’. Gli islamisti (Fratellanza musulmana) hanno adottato la strategia dell’islamizzazione attraverso la partecipazione. Quindi l’impazienza dell’establishment di sinistra di accelerare il processo di partecipazione ha portato all’abbassamento degli standard per le minoranze. I controlli sono diventati sempre meno rigorosi. Ricordo bene quando facevo affidamento sulla protezione della polizia olandese per assicurarmi di non subire la stessa sorte del mio amico Theo van Gogh, che era stato accoltellato a morte da un jihadista nelle strade di Amsterdam. Un giorno, uno degli agenti assegnati alla mia scorta di sicurezza si è rivelato di origine turca. Mi sentii a disagio quando iniziò a criticarmi per il mio lavoro con van Gogh su ‘Submission’. Quando espressi le mie preoccupazioni, il suo superiore mi disse che non spettava a me, a lui era stato affidato il compito di proteggermi. Dovevo imparare un nuovo tipo di sottomissione. Oggi, gran parte della forza di polizia di Amsterdam è composta da migranti di seconda generazione provenienti dal Nord Africa e dal medio oriente”. Dal 7 ottobre, alcuni ufficiali si sono già rifiutati di sorvegliare luoghi ebraici come il Museo dell’Olocausto.
  “Per anni l’antisemitismo è cresciuto e nessuno voleva sentire”, ci racconta il rabbino capo d’Olanda, Binjamin Jacobs. “E cresce ogni giorno. I nuovi olandesi, i musulmani, stanno crescendo in numero. Non mi hanno meravigliato le scene di Amsterdam. Va avanti da cinquant’anni. La polizia non vuole che prendere i mezzi pubblici. Qualche settimana fa c’è stato un mega evento alla sinagoga portoghese: mai visti tanti poliziotti, incredibile”. Tutti i sette figli del rabbino capo Jacobs, tranne due, hanno lasciato l’Olanda per Israele e altrove. “Sono arrivato in Olanda nel 1975 e capii subito che sarebbe successo. Rimarremo in numeri sempre più piccoli. Ho un figlio in Olanda, uno a Londra e uno a New York. Poi le figlie: una in Olanda, una a Montreal e un’altra a Londra. Sono come il capitano in servizio su una nave che affonda”.
  Qualche mese fa, l’unica scuola ebraica ortodossa dei Paesi Bassi ha chiuso a causa dei rischi per la sicurezza. La scuola Cheider di Amsterdam ha deciso di fornire lezioni online agli alunni. La comunità ebraica di Groningen ha smesso di pubblicare online gli orari delle preghiere. Un gruppo di volontari manda messaggi agli amici via WhatsApp.
  “Dopo l’attacco, le persone hanno tre emozioni”, dice al Foglio Esther Voet, direttrice del settimanale ebraico olandese, il Nieuw Israëlietisch Weekblad. “Le persone hanno paura. Sono molto tristi, specie la generazione più anziana. I giovani sono arrabbiati”. Voet ha offerto la sua casa a persone che cercavano rifugio dalle strade del centro. Unendo le forze con un collega che guidava per Amsterdam raccogliendo israeliani spaventati all’idea di uscire, Voet ha ospitato dieci persone nella sua casa tra l’una di notte e l’una di pomeriggio di venerdì. “E’ stato un movimento organizzato a Amsterdam, dove dopo il 7 ottobre ci sono state molte dimostrazioni violente. Vivo a duecento metri dalla casa di Anne Frank. Le autorità non intervenivano. Speravano che passasse. Il 10 marzo di quest’anno c’è stata l’apertura del museo della Shoah. Ed è stato orribile, le autorità hanno consentito ai manifestanti di urlare fuori dalla famosa sinagoga portoghese, mentre il re parlava all’interno. Il sindaco ha dato a questi gruppi il diritto di avvicinarsi a questa cerimonia. Da allora, altre manifestazioni hanno avuto luogo, specie all’università, che hanno distrutto facendo quattro milioni di danni. Poi una commemorazione il 7 ottobre a Piazza Dam e ancora il sindaco ha consentito ai filopalestinesi di arrivare vicino alla commemorazione. Sapevamo che prima o poi sarebbe diventata fisica”. E’ stata organizzata, erano pronti. “E ora molti ebrei si nasconderanno. Questa non è più la mia città. Gli ebrei sanno che per loro non c’è più Mokum, come chiamano Amsterdam. Non posso neanche andare al negozio vicino casa senza vedere una bandiera palestinese alle finestre. Ma non vedrai mai una bandiera israeliana, è troppo pericoloso. Non andrà meglio, soltanto peggio. Questo è il paese dove gli ebrei non avevano mai avuto un ghetto in Europa. Ma è tutto finito. E ora non mi interessano più le parole delle autorità, che in molte zone di Amsterdam hanno persino paura a entrare”.
  Macabra, ma giusta, l’ironia di un sito americano: “Questa settimana il museo Anne Frank di Amsterdam rimarrà chiuso: ci sono cento ebrei nascosti nella soffitta”. Mokum è diventata la Mecca sul fiume Amstel.

Il Foglio, 16 novembre 2024)

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In Europa è caccia al cristiano: oltre 2.400 aggressioni in un anno

Boom di attacchi e profanazioni in Francia, Germania, Inghilterra, E il dato è al ribasso

di Giuliano Guzzo 

Oltre 2.400 crimini d'odio anticristiani in Europa in un anno, sei e più al giorno. È lo sconvolgente quadro che filtra dalle 55 pagine di Intolerance and discrimination report 2024, l'ultimo rapporto - relativo allo scorso anno - redatto dall'Osservatorio sull'intolleranza e la discriminazione dei cristiani di Vienna (Oidac), una realtà che dal 2010 monitora costantemente la situazione europea classificando e fornendo dati oggettivi, affidabili e comparabili sulla cristianofobia. Guidato dall'austriaca Anja Hoffmann, 31 anni, che ne è direttrice esecutiva, questo Osservatorio redige annualmente dei rapporti che, per descrivere l'intolleranza dei cristiani in Europa, si servono di dati raccolti con una varietà di metodi e fonti, per garantire accuratezza e completezza. 
  Nell'ultimo di tali documenti, diffuso ieri, si certifica come nel 2023 Oidac abbia conteggiato 793 episodi - inclusi casi di furto - , 501 dei quali sono stati classificati quali crimini d'odio anticristiani. Questi dati sono stati incrociati con i 2.111 crimini d'odio anticristiani registrati dalle polizie europee e, scartando quelli già registrati da Oidac, si è giunti a un numero complessivo di 2.444 crimini d'odio in 35 Paesi. Un numero, con ogni probabilità, che è pure una sottostima. Sono infatti appena cinque i Paesi le cui forze dell'ordine classificano gli atti di violenza come anticristiani: Austria, Finlandia, Francia, Germania e Regno Unito (Inghilterra e Galles). Posto quindi che la già allarmante cifra di 2.444 crimini d'odio anticristiani è con ogni probabilità una stima al ribasso, Oidac segnala come quasi il 10% di essi - 232, per l'esattezza - riguardi attacchi personali contro i cristiani: molestie, minacce, violenza fisica, anche un tentato omicidio. 
  Per Oidac i Paesi dove la situazione è più grave sono tre. Il primo è la Francia, dove nel 2023 gli atti d'odio anticristiani sono stati quasi 1.000, il 10% dei quali contro cimiteri e chiese ma con anche 84 casi di aggressioni ai danni di persone fisiche; come il caso di due suore che, nel marzo dello scorso anno, hanno deciso di lasciare la città di Nantes dopo essere state «sottoposte a percosse, sputi e insulti», Per non parlare degli incendi dolosi ai luoghi di culto, tutt'ora in aumento se si pensa che, se ci furono otto casi confermati nel 2023, nei primi dieci mesi del 2024 sono saliti a 14. 
  La situazione non è più rosea nel Regno Unito, secondo Paese attraversato dall'odio anticristiano e dove, nel 2023, ci sono stati 702 casi di cristianofobia, il 15% rispetto all'anno precedente. Un aumento ancor più consistente si è verificato in Germania, dove gli atti d'odio anticristiani dal 2022 al 2023 hanno fatto segnare un'impennata del 105% . 
  E da noi? Per la nostra Penisola, come in realtà pure per altre nazioni, Oidac fa affidamento solo al proprio database e segnala comunque come, lo scorso anno, gli atti d'odio anticristiano in Italia siano stati numerosi. Quanti? Sessantacinque, ben più di quelli di Paesi come la Spagna (54) e l'Austria (23). Benché non se ne parli quasi mai sui mass media, dove si preferisce liquidare le profanazioni di chiese e cimiteri nonché le distruzioni di presepi come meri atti di vandalismo - quando non come ragazzate - , anche nel nostro Paese l'odio anticristiano si fa insomma sentire. Ma è tutta l'Europa dei «nuovi diritti» e che si focalizza quasi esclusivamente sulle discriminazioni solo verso le minoranze a sottovalutare un'ondata di violenza che anno dopo anno appare sempre più minacciosa.

(La Verità, 16 novembre 2024)

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Intesa sul Libano prima dell’insediamento di Trump?

L’esercito israeliano sta per raggiungere alcuni obiettivi fissati per l’operazione nel sud del Libano: eliminare dall’area a ridosso del confine la minaccia dei missili anticarro e il rischio di invasioni via terra dei terroristi libanesi. Lo spiega il giornalista Nir Dvori dell’emittente N12, raccontando dei progressi militari nella guerra a Hezbollah. Un conflitto difficile, come dimostrano le ultime notizie dal fronte: sei soldati israeliani sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con i terroristi in un edificio nel Libano meridionale. Un altro soldato è stato ferito e portato in ospedale per le cure mediche.
  Lo scontro è avvenuto mentre le truppe si stavano spostando verso nord, verso la seconda linea di villaggi al di là del confine. Da qui, riferisce Dvori, partono la maggior parte dei razzi e droni lanciati contro Israele in questi mesi. Per il momento nell’area le operazioni militari sono limitate, ma il Comando del Nord ha previsto di ampliarle a breve. «Lo scopo dell’espansione della manovra è quello di inviare un messaggio a Hezbollah: se non ci sarà a breve un accordo, Israele aumenterà la pressione e il fuoco per spingere il gruppo a negoziare e accettare le sue condizioni».
  Secondo il Washington Post, il governo di Benjamin Netanyahu vorrebbe arrivare a un’intesa per il cessate il fuoco in Libano prima dell’insediamento di Donald Trump alla presidenza Usa. La scorsa settimana Ron Dermer, ministro israeliano degli Affari strategici, ha incontrato a Mar-a-Lago l’entourage del presidente eletto. Fonti israeliane del Washington Post sostengono che «a gennaio ci sarà un’intesa sul Libano».
  I termini dell’accordo per un cessate il fuoco, spiegano i funzionari israeliani, richiedono ai terroristi di Hezbollah di ritirarsi oltre il fiume Litani, ovvero oltre il confine settentrionale dell’area cuscinetto monitorata dalle Nazioni Unite, istituita dopo il conflitto del 2006 tra Israele e Hezbollah.

(moked, 14 novembre 2024)


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La pace dell’avversario

di Micol Flammini

Guerra in Libano. Tregua in vista? Trattative sono in corso e Israele potrebbe portare a termine il conflitto prima dell'insediamento di Donald Trump. Ma a quali condizioni? Il rispetto della risoluzione 1701, con Hezbollah fuori dal Libano meridionale.
  Mentre alcuni ministri del governo di Israele rilasciavano dichiarazioni per dire che un cessate il fuoco con Hezbollah si sta materializzando, il ministro dei ministri, l’uomo a cui Benjamin Netanyahu affida le questioni importanti del suo governo, Ron Dermer, viaggiava in segretezza completa o parziale per curare i dettagli. Dermer per Netanyahu non è soltanto un collaboratore stretto, è la persona a cui ha affidato, soprattutto negli ultimi due governi, mediazioni, negoziati, incontri segreti. Oggi è ministro degli Affari strategici, fino al 2021 è stato ambasciatore negli Stati Uniti, è nato a Miami, e da lui passano le comunicazioni importanti con gli americani – fu lui, infatti, assieme al genero di Trump Jared Kushner a dare forma e sostanza agli Accordi di Abramo. Secondo un’esclusiva del Washington Post, Dermer sarebbe al centro di un nuovo ciclo di negoziati per mettere fine alla guerra in Libano.
  Secondo le fonti del quotidiano americano, Israele sarebbe pronto ad accogliere il nuovo presidente americano con la fine di una delle guerre che combatte dal 7 ottobre e a parere di qualcuno, nella tempistica, ci sarebbe anche uno sgarbo a Joe Biden: la chiusura di un accordo per gennaio sarebbe un omaggio al repubblicano, dopo mesi in cui l’attuale Amministrazione si è spesa in viaggi continui in medio oriente tra diplomazia, intelligence e aiuti militari. L’accordo su cui sta lavorando Israele prevede il ritiro dei miliziani di Hezbollah oltre il fiume Leonte, come previsto dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite del 2006, quindi l’istituzione di una zona cuscinetto tra il fiume e il confine israeliano controllata dall’esercito regolare libanese sotto la supervisione degli Stati Uniti e del Regno Unito, infine la possibilità per Tsahal di operare oltre la frontiera nel caso di violazioni. Una fonte del quotidiano ha detto che la proposta non è ancora stata sottoposta a Hezbollah, il gruppo potrebbe accettare il ritiro ma difficilmente sarebbe a favore, come lo stesso governo libanese, di lasciare che i soldati israeliani operino nel territorio di Beirut quando lo ritengano necessario. Nabih Berri, il presidente del Parlamento del Libano – carica che detiene da oltre vent’anni – e leader del miglior alleato politico di Hezbollah, il partito sciita Amal, ha detto: “C’è una persona sana di mente che crede accetteremo un accordo… a spese della sovranità del Libano?”. Israele ci crede ed è pronto ad aumentare la pressione militare per ottenere un’intesa che renda sicuro il suo confine settentrionale, reso invivibile e di fatto disabitato dai continui attacchi di Hezbollah. Una parte importante dell’accordo ideale per Israele sta però nel rendere il gruppo armato incapace di riarmarsi di nuovo.
  Da settembre, Tsahal ha incrementato la sua campagna contro Hezbollah con azioni mirate, bombardamenti e una campagna di terra con l’obiettivo di distruggere i tunnel del gruppo, i depositi di armi ed eliminare le truppe Radwan, addestrate per penetrare nel territorio israeliano. Hezbollah è rimasto senza catena di comando, adesso il leader del gruppo è un religioso che trema e suda durante i discorsi che dovrebbero essere incendiari, però il suo arsenale è ancora cospicuo: gli attacchi contro Israele non sono diminuiti e i droni lanciati riescono ancora a essere precisi, tanto da aver colpito la casa del primo ministro a Cesarea. I lanci degli ultimi giorni hanno causato vittime tra i civili (in tutto, dall’inizio della guerra, quarantacinque) e tra i soldati impegnati dentro al Libano ne sono morti più di quaranta. Hezbollah è depotenziato ma è ancora in grado di far male, il suo canale con la Repubblica islamica dell’Iran è aperto e per il futuro, la preoccupazione di Israele è renderlo il più sigillato possibile. E’ qui che Dermer è entrato ancora una volta in azione, triangolando con i russi, che in Siria – la porta delle armi iraniane verso il Libano – hanno il controllo sul regime di Bashar el Assad. Israele sta colpendo in Siria per distruggere strutture di Hezbollah e rompere la catena di approvvigionamento, ma mancano un accordo e una capacità di controllo che ancora una volta rendono i russi utili agli occhi degli israeliani.
  La proposta di pace che Israele vorrebbe presentare richiede a Mosca di precludere a Hezbollah e all’Iran le rotte siriane, i russi dovrebbero impedire che Damasco, rimasta quieta in questi mesi nonostante i bombardamenti sul suo territorio, permetta a Teheran di mandare armi ai miliziani libanesi. La parte più importante dell’esclusiva del Washington Post sta tutta nella triangolazione fra Russia, Israele e Stati Uniti, di cui Dermer è il tessitore assieme a Kushner, che nella nuova Amministrazione Trump non avrà incarichi ufficiali. Dermer sarebbe andato a Mosca in segreto e alcuni funzionari russi avrebbero visitato Israele a fine ottobre. Fonti del Foglio hanno raccontato di una possibile tentazione americana: legare i conflitti in medio oriente e in Ucraina a soluzioni parallele.

Il Foglio, 15 novembre 2024)

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Hotel rifiuta turisti di Tel Aviv. “Qui non siete ospiti graditi”

di Enrico Ferro

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L'Hotel Garni Ongaro di Selva di Cadore

L’odio a tre stelle. “In quanto responsabili di genocidio, non siete clienti ben accetti”. Un nuovo rigurgito di antisemitismo, stavolta nel nord Italia. Il titolare dell’hotel Garni Ongaro di Selva di Cadore ha risposto così a un gruppo di turisti israeliani che chiedevano disponibilità di stanze per una vacanza sulle montagne del Cadore. E’ il frutto avvelenato delle stragi compiute a Gaza, dopo il pogrom organizzato da Hamas il 7 ottobre dell’anno scorso. “Cancellate la vostra prenotazione, saremo felici di offrirvi la cancellazione gratuita”, è l’invito che Patrik Ongaro ha rivolto alla comitiva, dopo aver eretto il suo personale muro ideologico. La vicenda è deflagrata grazie ai media della comunità ebraica e già ci sono le prime conseguenze, ma non è escluso che ce ne saranno altre. Tanto per cominciare Booking ha bannato la struttura dal portale ma l’aspetto più serio è che del caso si sta interessando anche Dror Idar, l’ambasciatore israeliano a Roma. Avrebbe già contattato membri del governo italiano per chiedere che ci siano delle sanzioni concrete.

• IL POST
  Ma l’albergatore rilancia, denunciando sul suo profilo Facebook minacce e ritorsioni. “Sono appena stato minacciato da un ente israeliano non ben definito, dopo essermi rifiutato di accogliere nel mio albergo clienti israeliani a causa del genocidio in atto”, scrive. “La cosa non mi spaventa, anzi dimostra che se tutti facciamo qualcosa nel nostro piccolo possiamo fare la differenza. Detto ciò, se mi accadesse qualcosa sapete il perché”.

• IL BOICOTTAGGIO
  Dopodiché ha staccato il telefono e cancellato il post, ma ormai si è scatenata una ridda di reazioni sul web, con inviti al boicottaggio e insulti. L’associazione degli albergatori del Bellunese ha preso ufficialmente le distanze. “Ci dissociamo completamente”, dice Walter De Cassan, il presidente. “Sicuramente ne discuteremo con Federalberghi Veneto ma è il caso che se ne parli anche a livello nazionale. Questo non è il modo di fare ospitalità”. “Il Veneto non è questo”, gli fa eco il presidente della Regione Luca Zaia. Ma per Andrea Martella, senatore e segretario veneto del Pd, non ci sono dubbi: “Questo è razzismo”. La comunità ebraica osserva con preoccupazione l'evoluzione della situazione, con l'ondata di antisemitismo che travolge l'Italia e l'Europa. “Provo una tristezza infinita per l’ignoranza che dimostra certa gente”, commenta Dario Calimani, il presidente della comunità ebraica di Venezia. “Quando non si è d’accordo con ciò che fa Israele si sparge odio contro tutti gli israeliani. Non succede con nessun altro popolo, tantomeno con la Russia. E’ la generalizzazione del disaccordo che diventa odio”.

• I PRECEDENTI
  Questa non è la prima volta che, dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, albergatori italiani alzano muri. Lo scorso mese di aprile è successo a Bergamo, all'hotel "Le Funi". "Gesù gli ebrei l'hanno ucciso, come stanno facendo con i bambini di Gaza. Io li ho banditi dal mio albergo, gli ho bloccato le prenotazioni", aveva scritto il titolare. Pochi mesi dopo, nei primi giorni di luglio, sempre sulle Dolomiti ma in quel caso a San Vito di Cadore, era circolata la notizia di una nuova esclusione da un appartamento del circuito Airbnb. Il caso venne poi smentito dal diretto interessato, che si era difeso parlando di un grande malinteso. “L’Italia rischia di essere terreno di scontro e di terrorismo”, avverte Calimani dal ghetto veneziano.

(la Repubblica, 14 novembre 2024)

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Parashat Vayerà. L’amore tra le generazioni, un pilastro dell’ebraismo

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò

C’è un’immagine che ci perseguita attraverso i millenni, carica di emozioni. È l’immagine di un uomo e di suo figlio che camminano fianco a fianco in un paesaggio solitario di valli ombrose e colline brulle. Il figlio non ha idea di dove stia andando e perché. L’uomo, al contrario, è in un vortice di emozioni. Sa esattamente dove sta andando e perché, ma non riesce a trovare un senso.
   L’uomo si chiama Abramo. È devoto al suo Dio, che gli ha dato un figlio e che ora gli dice di sacrificarlo. Da un lato, l’uomo è pieno di paura: perderò davvero l’unica cosa che dà senso alla mia vita, il figlio per cui ho pregato per tutti questi anni? Dall’altro lato, una parte di lui dice: questo figlio era impossibile averlo – io ero vecchio e mia moglie era troppo anziana – eppure eccolo qui. Per questo, anche se sembra impossibile, so che Dio non me lo porterà via. Questo non sarebbe il Dio che conosco e che amo. Non mi avrebbe mai detto di chiamare questo bambino Isacco, che significa “riderà”, se avesse voluto far piangere lui e me.
   Il padre si trova in uno stato di assoluta dissonanza cognitiva, eppure – pur non riuscendo a trovare un senso – si fida di Dio e non tradisce alcun segno di emozione nei confronti del figlio. Vayelchu shenehem yachdav. I due camminavano insieme.
   C’è solo un momento di conversazione tra loro:
   Isacco parlò e disse a suo padre Abramo: “Padre?”.
   “Sì, figlio mio?” Abramo rispose.
   “Il fuoco e la legna sono qui”, disse Isacco, “ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”.
   Abramo rispose: “Dio stesso provvederà all’agnello per l’olocausto, figlio mio”. (Genesi 22:7-8)
   Quali mondi di pensieri non dichiarati e di emozioni non espresse si celano dietro queste semplici parole. Eppure, come a sottolineare la fiducia tra padre e figlio, e tra entrambi e Dio, il testo ripete: Vayelchu shenehem yachdav. I due camminavano insieme.
   Mentre leggo queste parole, mi ritrovo a viaggiare indietro nel tempo, e nell’occhio della mia mente vedo mio padre e me che torniamo a casa dalla sinagoga durante lo Shabbat. All’epoca avevo quattro o cinque anni e credo di aver capito, anche se non riuscivo a dirlo a parole, che c’era qualcosa di sacro in quel momento. Durante la settimana vedevo la preoccupazione sul volto di mio padre che cercava di guadagnarsi da vivere in tempi difficili. Ma di Shabbat tutte quelle apprensioni erano altrove. Vayelchu shenehem yachdav. Camminavamo insieme nella pace e nella bellezza del giorno santo. Mio padre non era più un uomo d’affari in difficoltà. In quei giorni era un ebreo che respirava l’aria di Dio, godeva delle Sue benedizioni e camminava a testa alta.
   Prima di ogni Shabbat mia madre preparava il cibo che dava alla casa il suo speciale profumo di Shabbat: la zuppa, il kugel, il lockshen. Mentre accendeva le candele, era la sposa, la regina, della quale cantavamo in Lecha Dodi e Eshet Chayil. Già allora avevo la sensazione che questo fosse un momento sacro, in cui eravamo in presenza di qualcosa di più grande di noi, che abbracciava altri ebrei in altre terre e in altri tempi, qualcosa che più tardi ho imparato a chiamare la Shechinah, la Presenza Divina.
   Abbiamo camminato insieme, i miei genitori, i miei fratelli e io. Le due generazioni erano così diverse. Mio padre veniva dalla Polonia. Io e i miei fratelli eravamo “veri inglesi”. Sapevamo che saremmo andati dappertutto, che avremmo imparato cose e intrapreso carriere che loro non avrebbero avuto. Ma camminavamo insieme, due generazioni, senza doverci dire che ci amavamo. Non eravamo una famiglia dimostrativa, ma sapevamo dei sacrifici fatti dai nostri genitori per noi e dell’orgoglio che speravamo di portare loro. Appartenevamo a tempi e mondi diversi, avevamo aspirazioni diverse, ma camminavamo insieme.
   Poi la mia immaginazione torna all’agosto di quest’anno (2011), a quelle scene indimenticabili in Gran Bretagna – a Tottenham, Manchester, Bristol – di giovani che si scatenavano per le strade, saccheggiando negozi, spaccando vetrine, incendiando auto, rapinando, rubando, aggredendo persone. Tutti si sono chiesti perché. Non c’erano motivazioni politiche. Non si trattava di uno scontro razziale. Non c’erano sfumature religiose.
   Naturalmente la risposta era chiara come il sole, ma nessuno voleva dirlo. Nell’arco di non più di due generazioni, gran parte della Gran Bretagna ha silenziosamente abbandonato la famiglia e ha deciso che il matrimonio è solo un pezzo di carta. La Gran Bretagna è diventata il Paese con il più alto tasso di madri adolescenti, il più alto tasso di famiglie monoparentali e il più alto tasso al mondo – 46% nel 2009 – di nascite al di fuori del matrimonio.
   Matrimonio e convivenza non sono la stessa cosa, anche se è politicamente scorretto dirlo. La durata media di una convivenza è inferiore ai due anni. Il risultato è che molti bambini crescono senza il loro padre biologico, e in molti casi non sanno nemmeno chi sia il loro padre. Nel migliore dei casi vivono con una successione di patrigni. È un fatto poco noto ma spaventoso, che il tasso di violenza tra patrigni e i figliastri è 80 volte superiore a quello tra padri naturali e figli.
   Il risultato è che nel 2007 un rapporto dell’UNICEF ha dimostrato che i bambini britannici sono i più infelici del mondo sviluppato, in fondo a una classifica di 26 Paesi. Il 13 settembre 2011, un altro rapporto dell’UNICEF ha messo a confronto i genitori britannici con le loro controparti in Svezia e Spagna. Il rapporto ha evidenziato che i genitori britannici cercano di comprare l’amore dei propri figli regalando loro vestiti costosi e gadget elettronici – un “consumismo compulsivo”. Non riescono a dare ai loro figli ciò che desiderano di più e che non costa nulla: il loro tempo.
   Il divario tra i valori ebraici e quelli secolari è oggi più evidente che in questo caso. Viviamo in un mondo secolare che ha accumulato più conoscenze di tutte le generazioni precedenti messe insieme, dal vasto cosmo alla struttura del DNA, dalla teoria delle superstringhe ai percorsi neurali del cervello, eppure ha dimenticato la semplice verità che una civiltà è forte quanto l’amore e il rispetto tra genitori e figli – Vayelchu shenehem yachdav, la capacità delle generazioni di camminare insieme.
   Gli ebrei sono un popolo formidabilmente intellettuale. Abbiamo i nostri fisici, chimici, medici e teorici dei giochi che hanno vinto il premio Nobel. Tuttavia, finché ci sarà un legame vivo tra gli ebrei e la nostra eredità, non dimenticheremo mai che non c’è nulla di più importante della casa, del sacro legame del matrimonio e di quello altrettanto sacro tra genitori e figli. Vayelchu shenehem yachdav.
   E se ci chiediamo perché gli ebrei hanno così spesso successo, e nel successo donano così spesso il loro denaro e il loro tempo agli altri, e così spesso hanno un impatto che va oltre il loro numero: non c’è nessuna magia, nessun mistero, nessun miracolo. È semplicemente che dedichiamo le nostre energie più preziose all’educazione dei nostri figli. Mai come durante lo Shabbat, quando non possiamo comprare ai nostri figli vestiti costosi o gadget elettronici, ma possiamo solo dare loro ciò che più desiderano e di cui hanno bisogno: il nostro tempo.
   Gli ebrei sapevano, sanno e sapranno sempre ciò che le classi chiacchierone di oggi negano, ossia che una civiltà è forte quanto il legame tra le generazioni. Questa è l’immagine duratura della parashà di questa settimana: il primo genitore ebreo, Abramo, e il primo figlio ebreo, Isacco, che camminano insieme verso un futuro sconosciuto, con le loro paure fermate dalla loro fede. Se perdiamo la famiglia, finiremo per perdere tutto il resto. Santificando la famiglia, avremo qualcosa di più prezioso della ricchezza, del potere o del successo: l’amore tra le generazioni, che è il dono più grande che Dio ci fa quando ce lo doniamo l’un l’altro.

(Bet Magazine Mosaico, 15 novembre 2024)
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Parashà della settimana: Va-erà (Apparve)

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I palestinesi sono meno euforici

Dopo la rielezione di Donald Trump, i palestinesi sono meno euforici degli israeliani.

di Ariel Schneider

GERUSALEMME - Le voci ufficiali palestinesi hanno inizialmente reagito con cautela alla vittoria elettorale di Trump. La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi è stata accolta con delusione dai politici palestinesi e dai loro media. Cosa potevano dire? Il vecchio compagno del loro arcinemico Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni statunitensi e ora sta lavorando a un dream team politico per Israele. Il futuro ambasciatore statunitense a Gerusalemme è un pastore battista devoto che vede un Grande Israele biblico sulla mappa del mondo, senza spazio per la Palestina. Per Mike Huckabee, il cuore biblico della Giudea e della Samaria è la promessa di Dio al popolo ebraico. Punto e basta. Per i palestinesi è più che altro un incubo. Israele è euforico, i palestinesi no.
In una dichiarazione, il Presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, si è congratulato con il Presidente Trump per la sua vittoria elettorale e gli ha augurato ogni successo. Ha dichiarato di essere impaziente di lavorare con lui per promuovere la pace e la sicurezza nella regione. Abbas ha concluso dicendo: “Siamo fedeli al nostro impegno per la pace e siamo fiduciosi che gli Stati Uniti, sotto la sua guida, sosterranno le legittime aspirazioni del popolo palestinese”. Questo può essere vero, ma Abbas certamente ricorda bene che Donald Trump ha quasi fatto passare l'accordo del secolo nel cuore biblico della Giudea e Samaria durante il suo primo mandato. E questo accordo è ora di nuovo sul tavolo.
Al contrario, il quotidiano palestinese Al-Quds ha riportato la vittoria elettorale di Trump con un editoriale in prima pagina dal titolo “Il ritorno di Trump” e ha pubblicato numerosi articoli e commenti in cui si prevedeva che Trump avrebbe appoggiato incondizionatamente Israele e adottato misure estreme e pericolose che avrebbero danneggiato i palestinesi.
In un editoriale, il giornale ha scritto: “Trump sarà più israeliano degli stessi israeliani e darà loro più tempo per continuare il loro ruolo diabolico nella regione”. E continua: “Se qualcuno ha creduto che Netanyahu potesse porre fine alla guerra a Gaza all'inizio del mandato di Trump, è stato solo per fare un favore a Trump e dare al nuovo presidente una rapida vittoria diplomatica. Tuttavia, ciò richiederebbe che Israele e gli Stati Uniti mantengano congiuntamente i canali per un ulteriore coordinamento riguardo a ulteriori complotti contro la causa palestinese in particolare e il futuro del Medio Oriente in generale”.

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Secondo la vignetta la rielezione di Trump affogherà il mondo nel sangue

Secondo un'analisi del Middle East Media Research Institute (MEMRI), Ahmad Majdalani, membro del Comitato esecutivo dell'OLP, ha dichiarato: “Rispettiamo la volontà dei popoli di eleggere i loro presidenti, e non abbiamo alcun problema con qualsiasi presidente in qualsiasi parte del mondo, purché venga rispettata la volontà del popolo palestinese di realizzare il proprio diritto all'autodeterminazione, di creare un proprio Stato indipendente e di rimuovere l'occupazione dalla loro terra”. Ha invitato l'amministrazione Trump a “trattare seriamente la questione palestinese”, aggiungendo che “la precedente amministrazione statunitense è passata dal sostegno unilaterale a Israele a collaborare con l'occupazione nella sua aggressione contro il popolo palestinese”.
Sabri Saidam, vice segretario generale del Comitato centrale di Fatah, ha spiegato le aspettative della leadership palestinese sul secondo mandato di Trump. In un'intervista al quotidiano palestinese Al-Quds, ha sottolineato: “Noi tutti speriamo in un Trump diverso, che sia in grado di prendere atto della mutata realtà in Palestina e nella regione”. Saidam ha espresso la speranza che Trump non si concentri solo sulla normalizzazione tra Israele e gli Stati arabi, ignorando i palestinesi, ma che affronti anche le radici del conflitto palestinese-israeliano. Ha invitato Trump a “porre fine alla guerra in Palestina”, come aveva promesso ai suoi elettori arabi, e ad adottare misure di buona volontà nei confronti dei palestinesi per riequilibrare le relazioni e dimostrare che gli Stati Uniti rispettano i loro obblighi internazionali.
Secondo l'analisi del MEMRI, alcuni media palestinesi hanno mostrato indifferenza per la vittoria elettorale di Trump e hanno trasmesso il messaggio che la politica statunitense nei confronti della Palestina non sarebbe cambiata sotto la sua guida. I quotidiani Al-Hayat Al-Jadida e Al-Ayyam non hanno nemmeno menzionato la vittoria elettorale di Trump nelle loro prime pagine.
Talal Okal, editorialista di Al-Ayyam, ha scritto: “In pratica, non c'è molta differenza tra Trump e Harris. Finora l'amministrazione Biden è stata complice del genocidio di Gaza. Trump è il padre dell'accordo del secolo quando ha detto che la terra di Israele è troppo piccola e deve essere allargata. Non fermerà la guerra perché il suo partner Netanyahu è al potere e vuole andare fino in fondo”.
I palestinesi hanno paura del duo Benjamin Netanyahu e Donald Trump. E a ragione. Sanno dal passato che Trump ha spostato l'ambasciata americana a Gerusalemme e che non è scoppiata la terza guerra mondiale che i palestinesi avevano minacciato all'epoca. Israele ha anche firmato trattati di pace con i Paesi arabi e non è scoppiata nessuna guerra mondiale. Ora temono di poter fare di nuovo ciò che vogliono e che nessuno li fermi. Può essere vero, ma oggi Israele, il Medio Oriente e il mondo intero si trovano in una situazione nuova ed esplosiva. L'accordo del secolo è sul tavolo e i palestinesi temono che la Giudea e la Samaria vengano annesse da Israele con il sostegno americano.

(Israel Heute, 14 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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È Marco Rubio il Segretario di Stato nominato da Donald Trump

Si aspettava solo la conferma della nomina di Marco Rubio a Segretario di Stato americano. Per Israele una ottima notizia

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Donald Trump e Marco Rubio

Ieri sera il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato la nomina del deputato Marco Rubio a segretario di Stato americano.
Trump ha scritto in una dichiarazione sulla sua nomina: “Marco è un leader molto rispettato e una voce potente a favore della libertà. Sarà un forte rappresentante per la nostra nazione, un vero amico per i nostri alleati e un guerriero senza paura che non si tirerà indietro di fronte ai nostri avversari. Non vedo l’ora di lavorare con Marco per rendere l’America e il mondo di nuovo grandi e sicuri”.
Rubio, 53 anni, ha iniziato la sua carriera politica come membro repubblicano della Camera dei rappresentanti della Florida e successivamente è stato eletto al Senato degli Stati Uniti. Nel 2016 si è candidato alle primarie del Partito Repubblicano contro Trump. Come membro della commissione per le relazioni estere del Senato, Rubio si è occupato molto della minaccia cinese per gli Stati Uniti. Ha anche mostrato un atteggiamento duro nei confronti di Russia, Corea del Nord e Iran e ha espresso posizioni chiaramente filo-israeliane.
Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, si è congratulato con Rubio per la nomina: “Sei un vero difensore dei nostri valori condivisi e un grande amico di Israele. Non vedo l’ora di lavorare con te mentre affrontiamo sfide significative per la nostra regione e il mondo.”
Trump ha annunciato anche che Matt Gates sarebbe stato nominato procuratore generale. “Matt è un avvocato talentuoso e determinato, che ha frequentato il College of William and Mary Law School, e si è distinto al Congresso nei suoi sforzi per realizzare una riforma critica del Dipartimento di Giustizia. Non c’è questione più importante che fermare lo sfruttamento del diritto e del sistema legale per scopi politici. Matt lavorerà per porre fine all’uso del governo come strumento politico, proteggere i nostri confini, smantellare le organizzazioni criminali e ripristinare la fiducia nel sistema giudiziario americano”, ha scritto Trump.

(Rights Reporter, 14 novembre 2024)

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“La gente non si ascolta a vicenda e i media incitano alla divisione”

Un movimento di base emergente chiede di sanare le fratture sociali mentre Israele entra nel suo quarto quarto di secolo. Intenzionata a costruire un movimento di massa per il cambiamento, HaRiv'on HaRevi'i esorta gli israeliani di tutti i settori a immaginare - e agire per - un futuro unito.

di Sue Surkes

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Israeliani di diverse estrazioni sociali si incontrano al Centro Congressi Internazionale di Gerusalemme sotto l'egida di Rivon4

Diverse centinaia di sconosciuti sedevano in una sala con la moquette nel Centro Congressi Internazionale di Gerusalemme il 31 ottobre, chiedendosi cosa sarebbe successo. "Cercate qualcuno vicino a voi che sembri diverso e presentatevi", ha detto Ella Ringel, co-fondatrice e CEO di HaRiv'on HaRevi'i (Il “Quarto-quarto di secolo”).
I miei occhi si sono posati su una giovane donna di corporatura minuta vestita con abiti stereotipati da colona della Cisgiordania - un foulard grande come un turbante, gonna fluente e stivali Blundstone. Shachar, 26 anni, mi ha raccontato di essere cresciuta nel quartiere sud-occidentale di Gerusalemme di Kiryat Menachem e di vivere ora in una fattoria su una collina vicino a Duma, nel nord della Cisgiordania, dove suo marito da quattro anni alleva capre. "Parlate delle cose che vi fanno stare bene", ha indicato Ringel. Shachar ha detto: "I miei figli e il fatto che stiamo sconfiggendo i nostri nemici."
Tornati ai nostri posti, Ringel ha chiesto al pubblico cosa li preoccupasse di più.
"La gente non si ascolta a vicenda", si è offerto Yaakov. "I media, che incoraggiano la divisione", ha detto Noam, 31 anni. Ron, di Tel Aviv, ha detto che temeva che le persone che condividevano i suoi valori stessero scomparendo e che vivere insieme sarebbe diventato "insopportabile". Una donna ha detto che il governo era disconnesso dal popolo e che si trovava in un "deserto ideologico dove i valori sono andati in frantumi."
Stavamo partecipando a una delle tante conferenze HaRiv'on HaRevi'i organizzate in tutto il paese per convincere gli israeliani di ogni estrazione che, in un momento di profonde fratture politiche e sociali, può esserci un futuro costruito sul consenso.
Fondata due anni fa, l'organizzazione dice di avere già 150.000 persone nelle sue mailing list, di cui 25.000 regolarmente attive in gruppi basati sulla posizione geografica in tutto il paese.
Afferma che il suo obiettivo non è né far cadere il governo - come ha sostenuto (in ebraico) la deputata di estrema destra del partito Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich, Orit Strock - né sostenere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir, come ha suggerito il giornale di sinistra Haaretz.
Invece, il collettivo di base dice di mirare a stabilire un governo di unità e generare proposte politiche basate su un ampio consenso pubblico; sostituire l'ethos dominante "noi o loro" con uno di speranze e valori condivisi; e far uscire le persone dalle loro camere d'eco alimentate dai social media per ascoltare veramente i concittadini con opinioni diverse.
L'approccio conciliante di HaRiv'on HaRevi'i ha sottolineato la sua risposta al drammatico e controverso licenziamento del Ministro della Difesa Yoav Gallant da parte di Netanyahu all'inizio di questo mese, che ha generato aspre condanne da parte dei suoi sostenitori (principalmente del centro e della sinistra politica) e rumorose espressioni di sostegno a destra.
Invece di esprimere un'opinione, HaRiv'on HaRevi'i ha posto delle domande.
Il suo post su Facebook recitava: "È permesso licenziare un ministro della difesa in guerra? Sì. Ma un passo così drammatico, mentre gli occhi di tutti i nostri nemici aspettano di vedere se ci stiamo indebolendo dall'interno, deve essere condotto in modo da creare fiducia e mantenere il fronte interno forte e coeso."
"Ecco perché i cittadini di Israele devono ricevere una spiegazione trasparente, convincente e vera della mossa: Come farà il licenziamento del ministro della difesa durante la guerra a far avanzare la vittoria a Gaza e in Libano? Come promuove il licenziamento la nostra preparazione per l'attacco iraniano, per il nuovo presidente negli USA, per affrontare la pressione internazionale? E soprattutto, come promuove il ritorno dei rapiti in Israele?
E non meno significativo, una mossa il cui sfondo è la pubblicazione di un ordine di coscrizione per migliaia di ultra-ortodossi ferisce lo spirito dei combattenti al fronte. Come ripristineremo la fiducia che è stata spezzata nei soldati e nelle famiglie dei riservisti?"

• DAVID BEN-GURION COME PROFETA
  HaRiv'on HaRevi'i è stata fondata durante il breve mandato di Naftali Bennett come primo ministro nel 2021-2022. I suoi co-fondatori sono Yoav Heller, un consulente strategico e storico specializzato nell'Olocausto e nella società israeliana; Ella Ringel, una psicologa organizzativa che ha lavorato per anni con il comando superiore dell'IDF; Eitan Zeliger, proprietario di una società di PR e pubblicità; e Ori Herman, il cui background è nella tecnologia, nella società civile e nel governo.
Il suo nome si riferisce al quarto quarto di secolo dell'esistenza dello Stato di Israele e riecheggia il test per il sionismo che HaRiv'on HaRevi'i aveva predetto per quando lo stato avrebbe compiuto 75 anni (l'anno scorso). "Per allora, i bambini nati non incontreranno più i sopravvissuti all'Olocausto, né conosceranno la generazione fondatrice," disse il primo primo ministro del paese. "La nostra fede nella giustizia della nostra causa richiederà una ridefinizione rinnovata, non basata su ciò che è stato ma piuttosto su ciò che sarà."
HaRiv'on HaRevi'i organizza incontri di massa per presentare alla società civile le sue idee - seminari, circa 100 incontri mensili nei saloni di case private, e incontri, alcuni online, dove i partecipanti possono incontrare "l'altro", affinare le loro capacità di ascolto e discussione civile e fare suggerimenti.
L'evento introduttivo del 31 ottobre a Gerusalemme è stato raffinato e strettamente coreografato, un mix di terapia di gruppo, motivazione aziendale e zelo evangelico.
È iniziato con un discorso ispiratore di Ringel, che ha detto che l'incontro mirava a presentare HaRiv'on HaRevi'i e a far incontrare i partecipanti con persone che la pensavano diversamente da loro.
"Il primo passo che ha aiutato i paesi a uscire da una crisi è stato l'accordo generale sul problema," ha detto Ringel, citando Jared Diamond, l'accademico e commentatore sociale statunitense autore di "Upheaval: How Nations Cope with Crisis and Change."
Ha citato il defunto rabbino britannico Jonathan Sacks, che distingueva tra ottimismo - "un sentimento" che va e viene - e speranza. "La speranza richiede la capacità di sognare, di avere obiettivi chiari e di agire," ha detto.
Il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy dimostrò una visione per il futuro nel 1961 quando fissò l'obiettivo di far atterrare un uomo sulla luna entro un decennio, ha continuato Ringel. Dov'era il Kennedy di oggi?
"Meritiamo di più," ha detto. "Non può essere che non osiamo immaginare."
Le democrazie in tutto il mondo erano "bloccate", ha continuato, "e siamo tutti parte del problema."
Avendo specificato i nostri orientamenti religiosi durante la registrazione alla conferenza, siamo stati tutti diretti a grandi tavoli rotondi dove la maggior parte delle persone era o laica o religiosa nazionale. A moderare un tavolo c'era Nora Muller, una dottoressa in pensione di Kfar Saba, originaria dell'ex Unione Sovietica.
Cosa ci ha portato tutti qui, ha chiesto? Hani, una giovane madre il cui grado di osservanza religiosa era difficile da valutare, ha detto che temeva per il futuro dei suoi quattro figli.
Questa reporter era seduta con un rabbino nato in Algeria ed educato ultraortodosso ("Ora sono sionista religioso") che aveva guidato incontri interreligiosi in Svizzera, un signore con la kippà all'uncinetto che era immigrato dalla Francia 50 anni fa, e una nonna dalla città cisgiordana di Ma'ale Adumim, vicino a Gerusalemme.
Muller ci ha diviso in gruppi di quattro e ci ha detto cosa discutere e per quanti minuti. A cosa ci relazionavamo durante l'evento? Cosa ci preoccupava? Avevamo sentito un concetto che ci aveva colpito? In che modo ognuno di noi era parte del problema? Alla fine, ha distribuito carte con suggerimenti sull'ascolto empatico.
Il nostro quartetto era unito nel timore dell'effetto che il mondo chiuso degli ultraortodossi stava avendo sull'unità del paese alla luce dell'opposizione della leadership rabbinica al servizio militare dei membri della loro comunità in un momento in cui i soldati riservisti che combattevano a Gaza e in Libano si stavano esaurendo.

• UNITI, NELLA PAURA
  Durante la pausa panini, le persone hanno continuato a parlare in piccoli gruppi. Uno dei pochi uomini identificabili come ultraortodossi, probabilmente sulla trentina, è stato praticamente assalito da un gruppo di donne religiose nazionali e laiche che volevano le sue opinioni su una serie di questioni. Il giovane ha detto di aver servito nell'esercito, il che lo rendeva meno rappresentativo del mondo Haredi.
L'evento conclusivo è stata una conferenza di Yoav Heller. Ha sviluppato la teoria del Quarto-Quarto di secolo, ispirato da accademici come il Prof. John Haldon della Princeton University, il Prof. David Passig della Bar-Ilan University, e libri come "The Fourth Turning". Quest'ultimo, concentrandosi sulla storia americana, mostrava come la storia moderna procedesse in cicli di 80-100 anni, ciascuno composto da quattro "svolte".
Secondo la teoria che Heller e i suoi colleghi di HaRiv'on HaRevi'i presentano al pubblico, il primo quarto di secolo di Israele è stato speso nel ritorno a Sion e nella difesa dei confini.
Il secondo quarto di secolo si è concentrato sulla creazione delle infrastrutture dello stato.
Il terzo quarto di secolo ha visto crescere la ricchezza e il potere militare, ma i cittadini hanno iniziato ad allontanarsi dalla storia fondante. Credendo di non essere più minacciati dall'esterno, hanno iniziato a combattersi l'un l'altro all'interno. Molti gruppi insistevano che il paese dovesse apparire esattamente come volevano loro, scatenando fratture interne che i suoi nemici potevano sfruttare il 7 ottobre dell'anno scorso. Quel giorno, i terroristi di Hamas hanno attraversato il confine di Gaza, ucciso circa 1.200 persone e rapito 251 persone nell'enclave palestinese.
Heller ha affrontato domande difficili dal pubblico. "Vuoi uno stato democratico o ebraico?" ha chiesto Dean da Jaffa vicino a Tel Aviv. Una donna del Kibbutz Ramat Rachel a Gerusalemme ha chiesto se ci fossero posizioni ideologiche inaccettabili.
Diverse persone hanno notato che il pubblico era principalmente istruito e soprattutto laico o religioso sionista e, quindi, non veramente rappresentativo della società israeliana.
Carismatico e divertente, Heller ha cercato di ribaltare le domande. Ha detto quanto fosse meraviglioso che così tante persone fossero venute, aggiungendo che l'organizzazione, con cui 150.000 persone hanno già condiviso i loro dati, stava "creando qualcosa di molto grande."
Ha detto che HaRiv'on HaRevi'i stimava che tra i suoi membri più attivi, il 40% fosse laico, il 35% religioso sionista, il 21% tradizionale, il 4% ultraortodosso, e solo l'1% arabo. Riteneva che il 55% fosse sullo spettro politico di destra, con il 45% al centro e a sinistra.
Finora, il movimento ha condotto una campagna nazionale per un governo di unità, prodotto una proposta per integrare gli uomini ultraortodossi nell'IDF, e redatto un "documento fondamentale" chiamato La Storia Israeliana.
Quest'ultimo è il risultato di un anno di discussioni che hanno coinvolto circa 1.000 persone e ha ricevuto quasi 10.000 commenti. Mirato a definire cosa sia Israele, comprende 10 principi.
Tra questi ci sono: Lo Stato di Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico e realizza l'idea sionista; Israele è uno stato ebraico, con caratteristiche ebraiche nello spazio pubblico, ed è una casa naturale per il mondo della Torà e della fede; Israele è una democrazia liberale nei suoi valori e sistema di governo; i cittadini arabi di Israele sono partner a pieno titolo e hanno uguali diritti; e la pace è un ideale, e Israele si sforza per la pace con i suoi vicini.
Hadas Lahav, responsabile delle politiche di HaRiv'on HaRevi'i, ha successivamente detto al Times of Israel che attivisti ed esperti stavano lavorando su otto quadri di riferimento in materie che includono religione e stato, i sistemi educativi (Israele ne ha quattro: statale religioso, laico, ultraortodosso e arabo, con poca sovrapposizione tra loro), sicurezza, economia, reti sociali, e come bilanciare al meglio le diverse istituzioni dello stato per minimizzare gli attriti e incoraggiare una maggiore responsabilità.
Lahav ha detto che attivisti con competenze in ogni materia stavano guidando diversi team. Le bozze dei quadri venivano poi condivise per commenti nei seminari di idee, nei gruppi regionali, o su una piattaforma digitale pilota nel caso di religione e stato. Ha detto che le proposte includevano "idee molto concrete" pur riflettendo il compromesso.
Ha continuato: "Non siamo lobbisti. Creiamo progetti faro e speriamo che il pubblico venga a dire che questo è il luogo da cui ci aspettiamo che i politici portino avanti questo paese. L'idea è creare un discorso pubblico perché, alla fine della giornata, i politici vogliono compiacere il pubblico, e il pubblico ha dimenticato di avere una voce."
Lahav ha aggiunto: "Ci sono estremisti da entrambe le parti. È un loro diritto. Ma ci sono abbastanza persone nel mezzo che non vogliono cadere nel buco di essere pro o contro. La maggior parte delle persone sono sionisti moderati, e non hanno una casa."
(da The Times of Israele, 12/11/2024)

(Kolòt, 14 novembre 2024)

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Sposarsi all’ombra di una guerra: Yarden e Liel sotto i razzi durante il giorno del loro matrimonio

di Michelle Zarfati

FOTO
I futuri sposi Yarden Salem e Liel Madmon, di Kadima, hanno vissuto un momento emozionante durante il servizio fotografico del loro matrimonio, svoltosi martedì nel giardino ecologico di Hod Hasharon. Nel bel mezzo del momento delle foto, poche ore prima della cerimonia nuziale, è suonata nuovamente la sirena, costringendo la coppia a rifugiarsi a terra per mettersi in sicurezza, il tutto vestiti con gli abiti nuziali.
  “Non c’era un rifugio nelle vicinanze”, ha detto Ilan Lorentzky, il fotografo che, insieme al collega Arnon Cohen, ha immortalato su pellicola l’emozionante giornata della coppia. “Ci siamo spostati sul fianco di una collina, ci siamo accovacciati e ci siamo coperti la testa. Le intercettazioni dell’Iron Dome erano proprio sopra di noi e potevamo sentire le esplosioni. Questa è la nostra realtà, ma continueremo a festeggiare stasera: dobbiamo trovare la gioia”.
  Liel, la sposa, ha raccontato: “Mentre eravamo accovacciati, abbiamo iniziato a cantare ‘Am Yisrael Chai’ e abbiamo pregato per la sicurezza dei soldati e degli ostaggi. Anche con la sirena in sottofondo, abbiamo mantenuto alto il morale”. Yarden, lo sposo, ha aggiunto: “Eravamo sempre preoccupati che qualcosa potesse andare storto. Sposarsi in tempi come questi è una follia. Ma come ha detto la mia saggia sposa, Dio veglia su di noi”.

(Shalom, 13 novembre 2024)

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La lunga notte antiebraica

Più oscura si fa questa notte, notte d’orrore. 

di Antonio Cardellicchio

Amsterdam: aggressione sanguinaria, caccia sistematica agli ebrei di Israele, una Gaza nei nostri territori, esplosione di odio smisurato e incontenibile. Ogni limite è stato superato. 
Eccoli gli effetti della universale intifada di demonizzazione-deumanizzazione degli ebrei, in una replica dell’hitlerismo aggravata dall’esibizione ostentata delle azioni dei carnefici. 
L’indignazione civile, quando c’è stata, è del tutto insoddisfacente davanti all’entità criminale di una violenza militarizzata, furibonda. Alimentata da una ideologia genocida. Le bande nazi-islamiche sono state padrone di Amsterdam nelle ore decisive, hanno colpito a sangue gli ebrei e terrorizzato la città. L’intervento tardivo della polizia olandese non è stato una semplice manifestazione di inefficienza, ma si è rivelato l’effetto di una prassi multiculturalista che ha alimentato la cultura dell’odio e dell’agguato mortale. Ayaan Hirsi Ali ha ampiamente documentato che la polizia olandese contiene al suo interno ampie quote di immigrati islamici, che avevano espresso posizioni anti-israeliane e si erano rifiutate di fare controlli sui sospetti. 
Il multiculturalismo rivela il suo vero volto di incubatore di odio razziale, di pulizia etnica, mostra in pieno quello che si sapeva essere, cioè l’opposto diametrale del pluralismo e della vita liberale democratica. Così i Paesi Bassi che hanno una grande tradizione di civiltà plurale, federale, di libertà (l’eccellenza della Repubblica delle Province Unite nel Seicento, dove il termine provincia ha un significato opposto a quello periferico prefettizio della storia francese e italiana), perché nella storia olandese la provincia era invece un potere originario che delegava a un centro coordinato, in una tipica democrazia federale.  
Tutto questo è stato devastato dalla criminalità violenta del fanatismo islamico. Infranta la patria di Spinoza e Anna Frank. Ricordiamo che la famiglia Frank venne denunciata e deportata nei lager dai nazisti occupanti affiancati da collaborazionisti olandesi. 
Il Primo Ministro del Regno dei Paesi Bassi ha espresso la sua vergogna, il Re Guglielmo Alessandro ha comunicato al presidente Herzog: “Con gli ebrei abbiamo fallito con la Shoah, abbiamo fallito ora.” 
L’Olanda è oggi il paese delle chiese vuote, di chiese chiuse trasformate in supermercati, di sinagoghe a rischio di assalto, di moschee che si diffondono come centri della guerra psicologica del nazi-islamismo anti-ebraico, anti-cristiano, anti-occidentale. 
La violenza antiebraica di Amsterdam è più grave di quanto sembri, perché rappresenta una punta del pericoloso progetto Eurabia, rivolto a indebolire, dividere, colonizzare l’Europa attraverso il potere violento delle enclave islamiche nell’Unione Europea.  
Molti degli aggressori degli israeliani sono di terza o anche quarta generazione, una misura questa del disastro multiculturalista. Ecco che significa aver dato la cittadinanza olandese ad anti-olandesi, antisemiti, anti-europei. Questa dinamica criminale antisemita, anti-occidentale non si arresta ma si espande senza maschera, senza vergogna. 
Diverse manifestazioni di massa, ad esempio a Milano, esaltano l’attacco di Amsterdam, inneggiano a Yahya Sinwar, del quale inalberano i ritratti. In questo modo osceno si esaurisce la finzione della retorica “filo-palestinese”, e in modo scoperto e arrogante si comportano come un organo di Hamas, Hezbollah e Iran. La glorificazione dei carnefici incita a nuove carneficine. 
Sarebbe come fare una manifestazione di massa che inneggia a Hitler, Stalin, Mussolini, Mao, Pol Pot, Bin Laden, i peggiori capimafia e boss del narcotraffico. Come dire: vogliamo la legalizzazione del crimine e la criminalizzazione della sfera umana e civile. 
Le folle della violenza verbale e fisica antiebraica esercitano un vero ricatto verso una democrazia debole e indifesa fanno valere, oltre la violenza, il peso di una tirannia della maggioranza in termini di consenso e calcolo elettorale.  Gli ebrei in Italia sono una minoranza pacifica, senza voce, trattata da sempre come un capro espiatorio. Trascurata per la sua marginalità, quasi insignificanza elettorale. 
Ma quando la democrazia formale si riduce a statistica quantitativa perde la qualità di una democrazia fondata su principi inviolabili, con un suo ethos. Perché l’antisemitismo non è solo persecuzione e morte per gli ebrei, ma è un potente tossico per la dissoluzione della democrazia. Terribile a dirsi, ma è come se questa realtà incontrastata del nuovo nazismo islamico, per certi aspetti selvaggi, sadici, apocalittici, anche peggiore dello storico nazionalsocialismo tedesco, si stesse espandendo senza una barriera antifascista o con una opposizione solo marginale. 
Lo aveva compreso, e ne scriveva profeticamente, Oriana Fallaci: 

    “Continua la fandonia dell’Islam ‘moderato’, la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be’, il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito- nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno […] È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell’ umanitarismo e dell’asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della ‘necessità’ (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?), invitiamo anche attraverso l’Olimpo costituzionale. ‘Venire cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi.’ Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all’imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l’Eurabia, sicchè per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l’esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca.” 

Questo scriveva a suo tempo. Oggi, che direbbe? 
Solo un risveglio, una rivolta delle coscienze, potrà difendere gli ebrei, rompere la loro de-umanizzazione, e creare una spinta per un’Europa che superi l’inganno multiculturalista, e diventi dunque un’Europa pluralista. 

(L'informale, 13 novembre 2024)

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Cosa ha detto Netanyahu agli iraniani

Il primo ministro Binyamin Netanyahu ha pubblicato ieri sera una dichiarazione registrata in inglese in cui ha cercato di fare appello al popolo iraniano.
“Qualche settimana fa mi sono rivolto direttamente al popolo iraniano […] Dall’ultima volta che abbiamo parlato, il regime Khamenei ha lanciato centinaia di missili balistici contro il mio Paese. Mi chiedo, vi ha detto quanto è costato questo attacco? Beh, non sto indovinando: l’importo è di 2,3 miliardi di dollari. Questo è l’importo che hanno sprecato del tuo prezioso denaro in attacchi inutili”.
“I missili hanno causato danni marginali a Israele, ma che danni hanno causato a voi? Questa cifra avrebbe potuto aggiungere miliardi al vostro budget per i trasporti. Questa cifra avrebbe potuto aggiungere miliardi al budget per il sistema educativo iraniano. Invece, il regime di Khamenei ha preferito la brutalità dei missili e ha fatto rivoltare il mondo contro il tuo Paese, ti ha derubato del denaro che avrebbe dovuto essere tuo.”
Più avanti nel suo discorso, Netanyahu ha fatto riferimento ad un “Iran libero”: “Voglio che immaginiate come la vostra vita potrebbe apparire diversa se l’Iran fosse libero. Potete esprimere la vostra opinione senza paura. Potete raccontare una barzelletta senza chiedervi se sarete portati nella prigione di Evin (una prigione situata nel nord-ovest di Teheran, e destinata a prigionieri pericolosi e prigionieri politici, Kz7). Chiudi gli occhi e immagina i volti dei tuoi figli: anime belle e pure. Pensate alle infinite potenzialità che avrebbero potuto avere con tutta la vita davanti a loro.
“Immagina come sarebbe la vita dei tuoi figli se miliardi di dollari fossero investiti in loro, invece di guerre inutili che non possono essere vinte. Riceverebbero un’istruzione di livello mondiale. Avresti bellissime strade, ospedali avanzati, acqua pulita. Israele ha i sistemi di desalinizzazione dell’acqua più avanzati al mondo E sarebbe felice di aiutare a ricostruire le infrastrutture idriche al collasso dell’Iran”.
Netanyahu ha continuato: “Questa e tante altre cose sono cose che potresti accettare. Ma questo è ciò che il regime di Khamenei ti impedisce ogni giorno. Sono ossessionati dalla distruzione di Israele, invece che dalla costruzione dell’Iran. Che vergogna.
“Un altro attacco contro Israele sarà molto dannoso per l’economia iraniana. Vi deruberà di molti altri miliardi di dollari. So che molti di voi non vogliono questa guerra. Neanche io voglio questa guerra. Il popolo di Israele non vuole questa guerra. C’è una forza che mette in pericolo la tua famiglia: i dittatori di Teheran”.
Netanyahu ha anche detto: “Ci sono anche buone notizie. Ogni giorno questo regime si indebolisce. Ogni giorno Israele diventa più forte. Il mondo ha visto solo una frazione della nostra forza. Eppure, c’è una cosa che spaventa il regime di Khamenei più di Israele. Sai di cosa si tratta? Questo sei tu: il popolo iraniano. Ecco perché spendono così tanto tempo e denaro cercando di schiacciare le tue speranze e frenare i tuoi sogni.
“Bene, ti dico questo: non lasciare che i tuoi sogni muoiano. Sento i sussurri: donne, vita, libertà. Non perdere la speranza. E sappi che Israele e altri nel mondo libero sono al tuo fianco. Il regime vuole distruggere il vostro futuro nel suo tentativo di distruggere il nostro Paese. Non permetteremo che ciò accada.”
Alla fine, Netanyahu ha detto: “Non ho dubbi che arriverà il giorno in un Iran libero in cui israeliani e iraniani costruiranno un futuro di prosperità e pace. Questo è il futuro che Israele merita. Questo è il futuro che merita l’Iran. Insieme trasformiamo questo bellissimo sogno in realtà”.

(Rights Reporter, 13 novembre 2024)

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Massima allerta per la partita Francia-Israele, richiamati 4000 agenti

di David Fiorentini

Continuano a spuntare i video agghiaccianti della “caccia all’ebreo” di Amsterdam. A giorni di distanza le acque non si sono ancora calmate, anzi, fioccano messaggi di incitamento ai fratelli e sorelle musulmani a continuare le violenze nella prossima città ad ospitare una squadra israeliana: Parigi.
Giovedì sera, 14 novembre, allo Stade de France scenderanno in campo le nazionali di calcio di Francia e Israele in un incontro valevole per la Nations League. Il ministro dell’interno Bruno Retailleau ha indetto uno stato di massima allerta, ordinando un dispiegamento straordinario di forze dell’ordine con circa 4000 agenti.  Un poliziotto ogni cinque tifosi, un rapporto inimmaginabile per una partita di questo livello, facilitato però dalla vendita di soli 20 mila biglietti, sugli 80 mila disponibili.“C’è un contesto di tensione che rende questa partita un evento ad alto rischio per noi,” ha spiegato il capo della polizia di Parigi, Laurent Nuñez, alla televisione francese BFM TV, precisando che le autorità “non tollereranno” alcun episodio di violenza. “Ci sarà un perimetro di sicurezza anti-terrorismo attorno allo stadio,” ha aggiunto Nuñez, con controlli rafforzati, incluse perquisizioni e ispezioni di borse per garantire un monitoraggio capillare degli accessi.
Tra l’altro, il clima parigino si era già scaldato prima delle sommosse di Amsterdam, quando attivisti propal avevano occupato la sede della Federazione calcistica francese, chiedendo l’annullamento della partita.
Per questo motivo, nella settimana precedente alla partita, si è aperto bruscamente il dibattito sulla possibilità di spostare la partita fuori Parigi, emulando la scelta italiana di ospitare la nazionale israeliana in una città più periferica come Udine. Da un lato, il deputato lepenista Julien Odoul ha proposto di giocare in Corsica dove a quanto pare “non c’è antisemitismo”, mentre il deputato della sinistra radicale (la France Insoumise) Louis Boyard ha chiesto direttamente l’annullamento dell’incontro e, come fatto per la Russia, l’esclusione di Israele dalla UEFA.
Tuttavia, il presidente Emmanuel Macron, che sarà presente in tribuna, ha voluto mantenere l’evento a Parigi come segno di resilienza e fermezza contro l’antisemitismo.

• ISRAELE AI CONCITTADINI: “NON ANDATE ALLE MANIFESTAZIONI SPORTIVE”
  Dal lato israeliano invece, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale ha immediatamente avvertito i propri cittadini a non recarsi alle manifestazioni sportive successive alla partita Ajax – Maccabi Tel Aviv, riferendosi in particolare all’incontro cestistico Virtus Bologna – Maccabi Tel Aviv della sera successiva.  
In un comunicato, ha sottolineato la crescente minaccia contro gli ebrei e gli israeliani all’estero, osservando che “negli ultimi giorni sono stati identificati vari appelli da parte di gruppi pro-palestinesi e sostenitori di organizzazioni terroristiche per colpire israeliani ed ebrei durante proteste e manifestazioni”. Il Consiglio ha inoltre consigliato ai viaggiatori israeliani di evitare di identificarsi come tali e di informarsi accuratamente sulle condizioni di sicurezza dei paesi di destinazione
Dunque, con una Parigi blindata e lo Stade de France trasformato in una vera e propria fortezza, Francia-Israele sarà un importante banco di prova per le autorità francesi, decise di non cedere alle intimidazioni e di dimostrare di poter garantire la sicurezza di tutti i partecipanti.

(Bet Magazine Mosaico, 13 novembre 2024)

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Un rapporto del Ministero della Diaspora di Israele denuncia la crescita dell’antisemitismo in Europa

di Ugo Volli

• LA DILATAZIONE SPAVENTOSA DELL’ANTISEMITISMO
  A partire dalle stragi del 7 ottobre dell’anno scorso l’antisemitismo nel mondo e anche nel nostro Paese è cresciuto in maniera esplosiva. Basta scorrere i media, guardare la televisione, frequentare le città per rendersene conto. Non vi sono solo i pogrom come ad Amsterdam, vi sono state le manifestazioni piene di slogan minacciosi, le occupazioni di scuole e università sotto le bandiere genocide di Hamas, i discorsi insinuanti di politici, influencer e giornalisti e talvolta anche le violenze verbali di autonominati opinion leader o persone qualunque sui social media. Sono state pubblicate liste di proscrizione degli “agenti sionisti”, vi sono state minacce ad associazioni, scritte insultanti vicino alle sinagoghe, gesti d’odio di tutti i tipi. Si è sdoganata l’idea perversa che “gli ebrei fanno ai palestinesi qual che i nazisti avevano fatto loro”, cioè il “genocidio di Gaza” che ormai è un luogo comune, come la calunnia medievale per cui “gli ebrei ammazzano i bambini”. In Italia, per fortuna, non sono state realizzate violenze fisiche dirette, grazie alla vigilanza delle forze dell’ordine.

• IL LEGAME IDEOLOGICO
  Come ha mostrato già un anno fa in maniera scientifica una ricerca dell’Istituto Cattaneo diretta dal prof. Asher Colombo dell’Università di Bologna condotta sugli studenti di tre università del Nord, questa crescita esplosiva dell’antisemitismo è partita immediatamente dopo il pogrom del 7 ottobre, ben prima che l’esercito israeliano iniziasse i combattimenti a Gaza. Come ha spiegato lo stesso Colombo, la miccia dell’esplosione è stata la percezione della debolezza di Israele dovuta alle stragi, che ha attizzato un odio implicito nell’ideologia “anti-imperalista” soprattutto fra gli studenti che si definivano di sinistra. In seguito, il fatto che Israele si difendesse e fosse in grado di colpire i terroristi, anche se con danni collaterali che peraltro sono i meno gravi di tutte le guerre del passato, ha fatto aumentare ancora quest’odio. Tutte le calunnie propagandistiche dei terroristi sono state accettate come verità sacrosanta e chi ha osato smentirle è stato colpito in tutti i modi.

• UN RAPPORTO IMPORTANTE
  È passato più di un anno da questa esplosione antisemita e l’odio contro gli ebrei e Israele non si è affatto acquietato. Lo mostra un’impressionante analisi appena pubblicata dal Ministero per la diaspora e la lotta all’antisemitismo di Israele, intitolato “Antisemitismo e antisionismo in Europa dopo il 7 ottobre”. Sono quaranta pagine di dati freddi e concreti, attentamente limitati ai fatti, senza concedere nulla all’indignazione o all’orrore. Vi si trova che la frequenza degli atti antisemiti nel nostro continente, senza considerare la Russia e la Turchia, è aumentata in quest’anno del 400% rispetto al periodo precedente, che per esempio i post antisemiti su X (già Twitter), scelto come caso di studio, si è mantenuto costantemente intorno al livello dei 20 mila al giorno (con punte di 60 mila), raggiungendo totali di milioni in paesi come Gran Bretagna (2,5 milioni), Francia (1,3 milioni), Spagna (1,1 milioni) e oltre 250 mila in Italia; che anche prima di Amsterdam vi sono state centinaia di “incidenti antisemiti” cioè gravi attacchi fisici in grado di mettere in difficoltà individui e gruppi o addirittura di minacciare la loro vita (44 in Gran Bretagna, 39 in Germania, 34 in Francia, 13 in Italia nell’ultimo anno). Dall’analisi israeliana emerge quello che chiunque poteva intuire, ma che qui è dettagliatamente documentato: non si tratta di un’ondata spontanea dell’opinione pubblica, ma di una campagna organizzata, che ha autori ben precisi, i cui principali sono elencati nel documento. Da un lato agiscono “influencer”, a partire da politici di primo piano come il leader dell’estrema sinistra francese Melanchon e l’ex segretario dei laburisti inglesi Corbyn – come del resto i loro pari italiani. Ma vi sono anche coloro senza cariche ufficiali si mobilitano nella campagna contro Israele e gli ebrei, come il pregiudicato cuoco Gabriele Rubini, il solo italiano citato nel rapporto. E poi vi è una galassia ben finanziata di organizzazioni, gruppi, associazioni, che agiscono sia nella diffamazione sul web che nell’aggressione fisica.

• COME REAGIRE?
  L’apparato messo in piedi dagli antisemiti difficilmente sparirà presto. È probabile dunque che la situazione denunciata dalla ricerca israeliana continuerà probabilmente anche al di là della fine della guerra. Per fronteggiarlo bisogna innanzitutto essere molto fermi nello spiegare che non vi è differenza fra antisionismo e antisemitismo; che il primo è la forma contemporanea più ipocrita del secondo. Bisogna poi sapere e far sapere che Israele difende tutto il popolo ebraico, sia quello che risiede in Israele sia quello che si trova altrove. Questa è una garanzia fondamentale per la vita di tutto l’ebraismo. Infine bisogna capire che non vi è solo l’antisemitismo evidente e rabbioso di chi cerca di colpire gli ebrei fisicamente o sul piano comunicativo, che dà la caccia ai sostenitori delle squadre di calcio israeliano e se la prende coi murales che rappresentano testimoni della Shoah come Liliana Segre, ma anche quello di chi in maniera più ipocrita attacca Israele in nome della “risposta sproporzionata” se non del “genocidio” di Gaza. Bisogna imparare a difendersi da entrambi e denunciare non solo la violenza, ma anche la falsità e l’ipocrisia contro Israele.

(Shalom, 13 novembre 2024)

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Hezbollah colpisce asilo nel nord, sirene mute

FOTO
L'asilo di Nesher

Un drone di Hezbollah si è schiantato nei pressi di un asilo di Nesher, città nel nord d’Israele, danneggiandone muri e finestre. Al momento dell’impatto, nell’asilo erano presenti sei bambini e tre educatori. «Abbiamo assistito a un vero miracolo. Stavamo iniziando il nostro incontro mattutino con i bambini. Abbiamo solo sentito un allarme lontano e abbiamo pensato non fosse il caso di correre rischi. In pochi secondi eravamo tutti nel rifugio. Solo quando siamo usciti con i bambini abbiamo realizzato quanto siamo stati fortunati. Il punto dell’impatto del drone era esattamente nella stanza in cui eravamo poco prima», ha raccontato ai media israeliani Sarah Yassour, educatrice dell’asilo colpito. Secondo le ricostruzioni il drone si è schiantato contro un albero e poi alcuni frammenti hanno colpito la struttura dove si trovavano i bambini. Nell’area non è però scattato l’allarme e le autorità stanno indagando il motivo.
«Stiamo parlando con il Comando del fronte interno per capire perché le sirene non si sono attivate», ha spiegato Roi Levy, sindaco di Nesher, cittadina del distretto di Haifa. «Grazie a Dio non ci sono stati feriti. Abbiamo contattato i genitori dei bambini della struttura colpita, stanno tutti bene e sono stati trasferiti in un altro asilo».

(moked, 12 novembre 2024)

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Hannoun, sanzionato dagli USA, applaude il pogrom di Amsterdam dal palco di Milano

di Giovanni Giacalone

“Per cominciare mandiamo un applauso ai giovani di Amsterdam. Un applauso a tutti i giovani, ragazzi e ragazze, che hanno dato una lezione”. 
E’ così che sabato 9 novembre, a Milano, Mohammad Hannoun, a capo dell’Associazione Palestinesi in Italia si è rivolto ai suoi seguaci che sventolavano bandiere palestinesi e mostravano una foto di Yahya Sinwar, leader di Hamas ucciso a inizio ottobre dall’IDF a Gaza. 
Gli applausi invocati da Hannoun sono chiaramente nei confronti dei delinquenti che giovedì 7 novembre, dopo la partita Ajax-Maccabi Tel Aviv, hanno teso delle imboscate ai tifosi del Maccabi in varie parti della città. I tifosi israeliani sono stati aggrediti, inseguiti, alcuni gettati nei canali, picchiati, accoltellati e investiti con le auto; i loro cellulari e passaporti sono stati rubati e le loro informazioni personali diffuse sul web. Si sente addirittura uno dei tifosi aggrediti urlare: “Non sono ebreo, non sono ebreo”, nel tentativo di salvarsi dai teppisti islamo-nazisti. Una scena agghiacciante che ricorda i tempi più oscuri e drammatici del 20° secolo. 
Aggressioni pianificate, coordinate nelle chat e con la complicità di alcuni tassisti che hanno condotto a tradimento i tifosi nelle mani dei violenti, fornendo anche informazioni sugli spostamenti degli israeliani e su dove pernottavano. 
Tutto ciò per Hannoun sarebbe “una lezione data”. Chi lo conosce non può certo stupirsi, visto che da lungo tempo il soggetto in questione utilizza i propri account di Facebook per glorificare terroristi di Hamas come Yahya Ayyash e Saleh al-Arouri.  
A Hannoun piace invocare applausi dal palco nei confronti di violenti e facinorosi, e infatti nel marzo del 2024, durante una manifestazione in stazione Centrale a Milano, aveva affermato: “Concludo, con un applauso al popolo giordano, ai ribelli in Giordania che hanno obbligato il sistema di chiudere l’ambasciata israeliana. Invitiamo tutti i popoli arabi di fare lo stesso per cacciare via tutte le ambasciate israeliane, di chiudere e di trasformarle in centri per la resistenza. Un applauso alla resistenza dello Yemen, un applauso alla resistenza del Libano, dell’Iraq…”. 
La “resistenza” invocata da Hannoun include Hezbollah, le milizie sciite iraniane in Iraq e gli Houthi. Il 13 ottobre 2023, Hannoun aveva utilizzato il pulpito del Centro Islamico di Genova per attaccare i paesi che sostengono Israele, tra cui l’Italia.  
Appena tre giorni dopo l’eccidio del 7 ottobre 2023, durante una manifestazione pro-palestinese nei pressi di Piazza Duomo a Milano, Hannoun aveva dichiarato ai microfoni di Rai3 che l’attacco di Hamas era “legittima difesa”. 
A questo punto molti si chiederanno come mai a Hannoun sia ancora permesso di tenere comizi, viste le sue esternazioni. La faccenda è in realtà ben più grave, perché a inizio ottobre 2024 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato Hannoun indicandolo come membro e finanziatore di Hamas. Nel comunicato del Dipartimento del Tesoro si legge: 
“Mohammad Hannoun (Hannoun) è un membro di Hamas con sede in Italia che ha fondato la Charity Association of Solidarity with the Palestinian People, o Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP), un ente di beneficenza fittizio situato in Italia che apparentemente raccoglie fondi per scopi umanitari, ma in realtà aiuta a finanziare l’ala militare di Hamas. Come dirigente dell’ABSPP, Hannoun ha inviato denaro a organizzazioni controllate da Hamas almeno dal 2018. Ha sollecitato finanziamenti per Hamas con alti funzionari di Hamas e ha inviato almeno 4 milioni di dollari ad Hamas in un periodo di 10 anni…Hannoun e ABSPP sono stati designati per aver materialmente assistito, sponsorizzato o fornito supporto finanziario, materiale o tecnologico, oppure beni o servizi a sostegno di Hamas”. 
Sempre ad ottobre 2024, la European Leadership Network (Elnet) ha pubblicato un dossier su Hamas in Europa dedicando la parte italiana proprio a Hannoun e soci (tra cui Suleiman Hijazi, Raed Dawoud e Raed al Salahat).  
Nel 2021, dopo diverse segnalazioni all’Antiriciclaggio, l’Unicredit sospese l’operatività sui conti dell’ABSPP per una serie di anomalie: dalla mancata iscrizione al registro dell’Agenzia delle Entrate alla massiccia movimentazione di contante, in alcuni casi a soggetti iscritti nelle black list dei database europei. Nel dicembre 2023 anche Poste Italiane aveva chiuso il proprio rapporto con l’associazione. Subito dopo erano stati PayPal ed altri operatori tra cui Visa, Mastercard e American Express a bloccarne le transazioni. 
In seguito alla chiusura dei conti bancari, Hannoun aveva chiesto ai suoi sostenitori di consegnare direttamente denaro contante presso le rispettive sedi della sua associazione. 
Nel febbraio del 2024, Hannoun aveva poi lanciato una nuova iniziativa per un “convoglio umanitario per Gaza” usufruendo di un IBAN intestato a Modestino Preziosi (testimonial dell’iniziativa), ex maratoneta, guardia privata CPO e che appare anche come “analista” assieme ad altri italiani sul sito di un’università somala con sede a Baidoa, la South West State University. E’ tra l’altro risultato molto difficile avere informazioni su tale università che sembrerebbe non più attiva e che ben pochi a Baidoa sembrano conoscerne presenza e attività.  Nel contempo è anche nata una nuova associazione benefica onlus pubblicizzata da Hannoun sui social e denominata “Cupola d’Oro”, con un nuovo IBAN. Va puntualizzato che le autorità israeliane hanno chiesto in più occasioni a quelle italiane di intervenire sulle attività di Hannoun. 
In seguito alle sanzioni del Dipartimento di Stato USA, la Procura di Genova ha reso noto che potrebbe aprire una nuova inchiesta su Mohammad Hannoun se dagli Stati Uniti dovesse pervenire documentazione utile per ulteriori accertamenti. Ben venga. Alcune domande sorgono però spontanee: in primis, se Hannoun opera in Italia, per quale motivo si è dovuto muovere il Dipartimento del Tesoro americano? Perché sono gli USA a dover fornire documentazione utile? Attenzione, ben venga il coinvolgimento di Washington, è di fondamentale importanza, ma qualche perplessità è lecita. 
In secondo luogo, per quale motivo a Hannoun è ancora permesso di tenere comizi dai contenuti più che evidenti, quando le autorità italiane sono invece intervenute repentinamente su predicatori e internauti che diffondevano contenuti filo-jihadisti? Individui che avevano tra l’altro meno seguito e ruoli certamente non di primo piano in ambito di attivismo, come nel caso di Hannoun? Il soggetto in questione ha “applaudito” i responsabili delle aggressioni di Amsterdam. C’è da augurarsi che nessuno possa essere ispirato da ciò per possibili emulazioni.  

(L'informale, 12 novembre 2024)

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Hamas deve essere sconfitto, non legittimato

Un gruppo terroristico dedito alla distruzione di Israele non dovrebbe avere un ruolo in nessun governo palestinese - non nella cosiddetta “Cisgiordania” e certamente non nella Striscia di Gaza.

di Khaled Abu Toameh

GERUSALEMME - Ottobre 2023, l'Autorità Palestinese continua a considerare il movimento islamista sostenuto dall'Iran come un partner legittimo.
La scorsa settimana, i rappresentanti della fazione di Fatah al governo dell'Autorità Palestinese (guidata dal presidente Mahmoud Abbas) e di Hamas si sono incontrati per un colloquio nella capitale egiziana Il Cairo per discutere la creazione di un governo congiunto per la Striscia di Gaza. Una fonte egiziana ha confermato che i colloqui tra Fatah e Hamas mirano a istituire un comitato per l'amministrazione della Striscia di Gaza e a proseguire gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco.
Un'altra fonte della sicurezza egiziana ha affermato che i colloqui mirano a “unire i ranghi palestinesi e ad alleviare le sofferenze del popolo palestinese”. Secondo la fonte, i negoziatori di Fatah e Hamas si sono dimostrati “più flessibili e favorevoli alla creazione di un comitato per gestire gli affari della Striscia di Gaza”.
Tayseer Nasrallah, un alto funzionario di Fatah che ha preso parte ai colloqui con Hamas, ha dichiarato di essere “ottimista” sul fatto che essi porteranno alla formazione di un comitato per la ricostruzione della Striscia di Gaza. I colloqui, ha detto Nasrallah, avevano lo scopo di unificare “le visioni per la ricostruzione di Gaza” dopo la guerra scoppiata in seguito all'attacco del 7 ottobre che ha ucciso 1.200 israeliani e ne ha feriti migliaia. Durante l'attacco, molti israeliani sono stati decapitati, violentati, torturati e bruciati vivi. Inoltre, più di 240 persone sono state rapite nella Striscia di Gaza, dove 101 di loro - vivi e morti - sono ancora prigionieri.
Hamas, da parte sua, ha dichiarato: “Abbiamo tenuto un incontro con i nostri fratelli della fazione di Fatah e l'atmosfera dell'incontro è stata positiva e aperta”. Il gruppo terroristico ha aggiunto che le due parti “hanno discusso la formazione di un organismo per seguire gli affari e le necessità della Striscia di Gaza” e ha dichiarato che gli incontri con Fatah continueranno.
Il mese scorso, i rappresentanti di Fatah e Hamas hanno tenuto colloqui simili al Cairo per discutere i modi per porre fine alla rivalità tra i due partiti e formare un governo di unità palestinese. L'alto funzionario di Hamas Taher a-Nunu ha dichiarato che i colloqui erano finalizzati a “raggiungere l'unità nazionale palestinese e a rafforzare la sicurezza e il coordinamento politico tra le due parti”. Alcuni rappresentanti di Fatah, senza nome , hanno dichiarato che la loro fazione ha accettato la formazione di un comitato congiunto per gestire gli affari di Gaza.
Negoziando con Hamas sul futuro di Gaza, Abbas sta legittimando il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran e sta inviando un messaggio ai palestinesi e al resto del mondo: non vede alcun problema nel cooperare con assassini e terroristi che hanno commesso i crimini più orribili contro gli ebrei dopo l'Olocausto. Come abbiamo visto di recente con il Partito Comunista Cinese (ad esempio qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), con l'Iran e con l'Afghanistan, semplicemente non funziona negoziare con i terroristi e con i loro simili.
Abbas dovrebbe invece condannare Hamas e prendere le distanze dal gruppo terroristico, invece di mandare i suoi funzionari ad abbracciare e baciare i loro rappresentanti al Cairo. Dovrebbe ritenere Hamas pienamente responsabile della distruzione della Striscia di Gaza come risultato della guerra iniziata dal gruppo terroristico.
Abbas dovrebbe anche chiedere ad Hamas di cedere il controllo della Striscia di Gaza, invece di implorarlo di accettare la formazione di un comitato congiunto Fatah-Hamas per gestire gli affari dell'enclave costiera.
Ad Hamas non dovrebbe essere permesso di svolgere alcun ruolo a Gaza dopo la guerra. Ciò consentirebbe al gruppo terroristico di riarmarsi, riorganizzarsi e prepararsi per un altro attacco a Israele in stile 7 ottobre.
Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, migliaia di palestinesi sono stati uccisi nelle guerre che ha scatenato con Israele. Con l'aiuto dell'Europa, del Qatar e dell'Iran, Hamas ha trasformato la Striscia di Gaza, dove vivono due milioni di palestinesi, in una delle più grandi basi del terrorismo islamico in Medio Oriente. Tutti e tre hanno investito centinaia di milioni di dollari nella costruzione di una vasta rete di tunnel e nella produzione e contrabbando di armi, compresi razzi e droni. L'ipotesi che Hamas rinunci volontariamente al controllo di Gaza a causa di un accordo con Abbas è semplicemente ridicola.
Gli sforzi di Abbas per raggiungere un accordo con Hamas non faranno altro che rafforzare e riattivare il gruppo terroristico, incoraggiandolo a continuare la sua jihad contro Israele. Questi sforzi inviano un messaggio ad Hamas che, nonostante i crimini commessi contro gli israeliani il 7 ottobre e la Nakba (catastrofe) che ha portato sui palestinesi di Gaza, può continuare a svolgere un ruolo chiave a Gaza dopo la guerra. Dal 2007, Hamas ha dimostrato di non preoccuparsi del benessere dei palestinesi che vivono sotto il suo governo. L'unica cosa che conta per Hamas è rimanere al potere e continuare la lotta contro Israele per soddisfare i suoi patroni in Iran.
L'amministrazione statunitense guidata da Biden non ha preso in considerazione gli sforzi di Abbas per legittimare Hamas. Gli Stati Uniti gli hanno offerto un'ancora di salvezza. Un gruppo terroristico dedito alla distruzione di Israele non dovrebbe avere alcun ruolo in nessun governo palestinese, né in Cisgiordania né tanto meno a Gaza. Un gruppo del genere dovrebbe essere completamente distrutto militarmente e politicamente e non dovrebbe essere invitato in nessun governo palestinese.
Dall'inizio della guerra, Israele ha distrutto la maggior parte delle capacità militari di Hamas e ucciso molti dei suoi leader, tra cui l'arci-terrorista Yahya Sinwar, la mente delle atrocità del 7 ottobre. Gli Stati Uniti e il resto del mondo dovrebbero incoraggiare Israele a continuare i suoi sforzi per sradicare Hamas. Dovrebbero anche chiedere ad Abbas e alla leadership dell'Autorità Palestinese di interrompere immediatamente tutti i contatti con il gruppo terroristico. Non c'è alternativa a una vittoria totale su Hamas e anche sugli altri terroristi proxy dell'Iran e, in ultima analisi, sul velenoso regime islamista iraniano.
Finché il regime iraniano resterà al potere e torturerà il suo stesso popolo e altri - fino all'Argentina - purtroppo non ci sarà pace. Questo è l'unico modo per assicurare un futuro veramente pacifico, non solo per gli israeliani, ma anche per i palestinesi e per il mondo libero.

(Israel Heute, 12 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israel Katz: “è il momento buono per colpire il nucleare iraniano”

Ora ci troviamo ... in una situazione in cui l’Iran è oggi più esposto che mai, praticamente e mentalmente al danno, e la consapevolezza non è meno importante qui,

di Darya Nasifi

Il Ministro della Difesa di Israele, Israel Katz, ha incontrato oggi per la prima volta il Forum dello Stato Maggiore Generale, presieduto dal Capo di Stato Maggiore, Generale Herzi Halevi.
Durante l’incontro, Katz ha affermato che “l’ordine di priorità che questo governo vede molto chiaramente è la questione dell’Iran: impedire all’Iran di avere armi nucleari. Ora ci troviamo, a causa dei duri colpi che abbiamo inflitto a Hezbollah e del colpo devastante che abbiamo inflitto all’Iran, in una situazione in cui l’Iran è oggi più esposto che mai, praticamente e mentalmente al danno, e la consapevolezza non è meno importante qui”.
Katz ha anche affermato: “Oggi c’è un ampio consenso sistemico a livello nazionale sul fatto che il programma nucleare iraniano dovrebbe essere contrastato, e c’è anche la consapevolezza che ciò è fattibile, non solo sotto l’aspetto della sicurezza, ma anche sotto l’aspetto politico. Oggi esiste la possibilità di contrastare e rimuovere la minaccia di annientamento sullo Stato di Israele”.
“Abbiamo un’opportunità e bisogna sfruttare la capacità assoluta per realizzarla, e credo e sono sicuro che saprete anche come farlo, in modo che potremo portarla a compimento. Inoltre, freneremo l’aggressione iraniana contro Israele direttamente e attraverso le sue organizzazioni terroristiche per procura, dobbiamo ridurre questa capacità.”
Katz ha fatto riferimento alla possibilità di una soluzione politica in Libano e ha affermato che “in Libano non ci sarà alcun cessate il fuoco e non ci sarà tregua. Continueremo a colpire Hezbollah con tutta la forza finché gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti. Israele non accetterà alcun accordo che non garantisca il diritto di Israele di imporre e prevenire il terrorismo da solo e di raggiungere gli obiettivi della guerra in Libano, il disarmo di Hezbollah, il suo ritiro oltre il fiume Litani e il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case.”
Katz ha anche fatto riferimento agli sforzi per restituire i rapiti e ai combattimenti a Gaza e ha detto: “Per quanto riguarda Gaza, prima di tutto la questione dei rapiti, come ho detto anche come ministro degli Esteri quando ho assunto l’incarico, questo è l’obiettivo di valore più importante del sistema di sicurezza. Faremo di tutto per riportarli a casa e garantire la sconfitta di Hamas”.

(Rights Reporter, 12 novembre 2024)

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Belgio, ragazzo ebreo aggredito da musulmani in un quartiere ebraico

di Michelle Zarfati

Dopo l’attacco ai tifosi del Maccabi Tel Aviv ad Amsterdam in seguito alla partita contro l’Ajax, i sostenitori pro-palestinesi hanno condiviso, nel corso della giornata di ieri, il video di un’aggressione a un ragazzo ultra-ortodosso, avvenuto presumibilmente due settimane fa. Nel filmato il giovane 14enne viene attaccato da rivoltosi musulmani nel quartiere ebraico di Anversa. La famiglia del ragazzo non aveva inizialmente sporto denuncia alla polizia, in quanto attacchi del genere, secondo quanto rivelato dalla Comunità locale, accadono occasionalmente contro gli ebrei della città. Tuttavia, questa volta i video dell’aggressione sono stati pubblicati sui social dal gruppo di arabi. La pubblicazione dei filmati da parte degli aggressori ha spinto i familiari della vittima a sporgere denuncia alla polizia.
  Questi video sono stati pubblicati casualmente in concomitanza con gli annunci della polizia di Anversa, che aveva dichiarato che sei giovani musulmani stavano pianificando una serie di attacchi agli ebrei della città. Gli aggressori sono stati arrestati lunedì e rilasciati dopo alcune ore. I sei avevano pianificato di attaccare gli appartenenti alla Comunità Ebraica in segno di solidarietà con gli aggressori di Amsterdam.
  Il parlamentare Michael Freilich, anch’egli eletto di recente al Consiglio comunale di Anversa, ha rivelato ai media locali che chiederà un aumento delle forze di polizia. Secondo alcune fonti, Freilich avrebbe parlato già con il sindaco della città chiedendo rinforzi di soldati per proteggere i residenti ebrei. Il membro del parlamento ha confermato l’incremento di attacchi contro gli ebrei di recente. Nel frattempo, la polizia sta attuando grandi sforzi per affrontare il problema e oltre 100 poliziotti aggiuntivi sono stati predisposti nei quartieri ebraici.

(Shalom, 12 novembre 2024)

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Il pogrom di Amsterdam coordinato da un ex dipendente dell’UNRWA

Lo rivela una nuova indagine

Le violenze contro i tifosi israeliani ad Amsterdam la scorsa settimana sono state un attacco premeditato e coordinato, orchestrato da reti estremiste legate a un ex dipendente della controversa agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), ha dichiarato lunedì a The Algemeiner un gruppo che traccia la disinformazione online.
L’analisi dell’Istituto di ricerca sul contagio di rete (Network Contagion Research Institute) delle fonti aperte e dei social media ha inoltre “rivelato che le proteste intorno alla partita del Maccabi Tel Aviv ad Amsterdam non erano isolate, ma facevano parte di uno sforzo più ampio e coordinato”, ha dichiarato il cofondatore del gruppo, Joel Finkelstein.
Ayman Nejmeh, residente ad Amsterdam, che si è identificato sui social media come un ex dipendente dell’UNRWA, “è emerso come un organizzatore chiave, che ha coordinato le azioni di protesta contro obiettivi ebraici”, ha aggiunto Finkelstein.
Centinaia di tifosi del Maccabi Tel Aviv, in visita nella capitale olandese per una partita contro la squadra locale dell’Ajax, sono stati attaccati da folle arabe e musulmane giovedì sera, con diversi ricoveri in ospedale. Si è trattato del più grande incidente antisemita di massa nei Paesi Bassi dai tempi dell’Olocausto: gli aggressori hanno lanciato petardi e granate stordenti, invocando la “caccia all’ebreo” e costringendo gli israeliani a dire “Palestina libera” prima di picchiarli.
In precedenza, i tifosi del Maccabi Tel Aviv erano stati registrati mentre scandivano slogan anti-arabi e rimuovevano una bandiera palestinese, spingendo alcuni organi di informazione a inquadrare la violenza che ne è seguita come una risposta. Ma Israele aveva avvertito i servizi di sicurezza olandesi, prima della partita, che la violenza sarebbe stata probabile dopo che i gruppi islamici sembravano coordinare un attacco su più fronti sui social media.
Secondo Finkelstein, il numero di telefono del siriano Nejmeh era indicato come amministratore di un gruppo WhatsApp utilizzato dal gruppo della diaspora palestinese PGNL. Nejmeh è subentrato nel gruppo al cittadino palestinese-olandese Amin Abou Rashed, arrestato l’anno scorso con il sospetto di aver convogliato fondi al gruppo terroristico palestinese Hamas.
In passato il PGNL aveva ospitato in un evento online il defunto capo di Hamas Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran all’inizio dell’anno. Il gruppo, il cui nome in olandese sta per “Comunità palestinese nei Paesi Bassi”, è stato anche coinvolto nell’organizzazione di una protesta anti-Israele in piazza Dam domenica 10 novembre, sfidando il divieto temporaneo imposto dopo le violenze di giovedì sera e provocando decine di arresti.
Il coordinamento dietro questi eventi riflette una strategia ben affinata da parte dei gruppi radicali di utilizzare gli incontri pubblici per incitare e far crescere la violenza, ha detto Finkelstein, avvertendo che l’odio organizzato sta superando di gran lunga la capacità di risposta delle autorità.
Il “contagio del pogrom” che si sta diffondendo in Europa non è un caso: attori legati al terrorismo stanno deliberatamente usando le armi dei raduni e dei social media per accelerare la diffusione della violenza contro le comunità ebraiche”, ha dichiarato Finkelstein a The Algemeiner. “Questa infrastruttura dell’odio si sta evolvendo più velocemente delle difese democratiche e, se non controllata, queste minacce si moltiplicheranno attraverso i confini e le etnie”.
Il profilo Facebook di Nejmeh, che conteneva almeno un post che esaltava un agente di Hamas per l’ala militare Al Qassam del gruppo terroristico, è stato negli ultimi giorni ripulito da qualsiasi riferimento ai suoi legami con l’UNRWA.
“Se Nejmeh sta ripulendo i suoi social media da queste affiliazioni passate, questo solleva domande significative sul perché”, ha detto Finkelstein.
Il mese scorso, il parlamento israeliano ha approvato una legge che vieta all’UNRWA di operare in Israele e impedisce alle autorità israeliane di collaborare con l’organizzazione, citando i legami dell’agenzia ONU con Hamas e ciò che i critici hanno descritto come la sua “influenza velenosa” in Medio Oriente.
Marcus Sheff, capo di IMPACT-se, un istituto di ricerca che monitora l’UNRWA, ha affermato che i risultati sono un’ulteriore prova della corruzione dell’agenzia per i rifugiati.

(Bet Magazine Mosaico, 12 novembre 2024)

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"L’Occidente si difende sotto le mura di Israele"

Volli, il filosofo temuto dalle tv: “Oggi essere antisemiti è tornato di moda. Troppa solidarietà con Hamas, la magistratura agevola l’arrivo della base sociale del terrorismo”.

di Aldo Torchiaro

Filosofo e semiologo, Ugo Volli è il prosecutore ideale del lavoro di Umberto Eco, con cui ha iniziato a collaborare nel 1971 per la rivista Versus – Quaderni di studi semiotici. Oggi è tra i più prolifici filosofi del linguaggio con oltre trenta saggi pubblicati. Insegna all’Università di San Marino, tenendosi le mani libere anche nelle prese di posizione pubblica, mai banali. Per anni è stato presidente della sinagoga riformata Lev Chadash a Milano.
  Di recente ospite di “PiazzaPulita” su La7, mantiene la sua proverbiale calma serafica anche quando viene circondato dal fuoco incrociato delle grida. Ha tenuto in particolare a smentire la fake news dei 40mila morti a Gaza e a denunciare tra i primi quanti siano invece i palestinesi – omosessuali, tra i primi – ad essere stati torturati e uccisi da Hamas. Temi che però purtroppo alle televisioni interessano poco.

- Professore, sono tornati i pogrom. In Europa, in Olanda. Che tempi stiamo attraversando?
  «È un momento molto difficile. Capisco ora i racconti dei miei genitori e nonni: in particolare quel che non avevo mai compreso, cioè come il fascismo avesse potuto buttarli fuori da scuola, dal lavoro, dalle associazioni sportive e culturali cui erano iscritti, senza che nessuno intorno a loro protestasse. Oggi essere ebrei è di nuovo problematico».

- Il sette ottobre ha sfidato la civiltà occidentale. La colpisce che tanti fingano di non vedere, di non capire?
  «Peggio che non capire, molti solidarizzano. Il terrorismo islamico piace alla sinistra (non solo quella più estrema purtroppo) perché sfida la civiltà occidentale, si oppone al capitalismo, al liberalismo economico, alla democrazia politica, all’America: perché è ‘rivoluzionario’. All’inverso, come diceva Spadolini, «la civiltà occidentale si difende sotto le mura di Gerusalemme».

- E i media non stanno esattamente aiutando…
  «Il sistema dei media ha abbandonato da tempo la missione di informare il proprio pubblico, di riferire i fatti, belli o brutti che siano. Cerca invece di educarlo alle “idee giuste” secondo un modello sovietico o fascista, che ormai è quasi totalitario anche in Europa e negli Usa. Questo totalitarismo pedagogico è in larghissima parte di sinistra, quindi purtroppo nemico di Israele. È difficilissimo spiegare sui giornali o in TV anche le cose più elementari, come il fatto che Israele agisce per autodifesa contro un nemico che non è “il popolo palestinese” ma i terroristi armati e diretti dall’Iran; che ha fatto sforzi mai compiuti da altri per salvaguardare la popolazione civile, che non vi è nessun genocidio a Gaza, che anche ammettendo le cifre montate della propaganda di Hamas, 40 mila morti in un anno sarebbero l’1% della popolazione, molto meno dei costi di guerre come il Vietnam o l’Ucraina».

- Lei da ebreo si sente sicuro?
  «Io sì, mi sento sicuro. Ho fiducia nelle forze dell’ordine. Francamente meno nella magistratura, che sta agevolando l’importazione in Italia di persone che finiranno con essere la base sociale del terrorismo, se non i suoi operativi. Sarei meno sicuro se dovessi ancora lavorare nella mia università, dove agli estremisti di sinistra dei centri sociali è concesso di impedire l’accesso, la parola e il pensiero di tutti coloro che non la pensano come loro».

- Israele nasce per difendere gli ebrei dalla persecuzione. Oggi crescono quelli che lo considerano un fastidio della storia. Il mondo ha esaurito lo shock per Auschwitz, ha dimenticato l’orrore nazista?
  «Israele nasce per realizzare il diritto del popolo ebraico a uno stato nazionale. Ha l’obbligo, come tutti gli stati, di difendere il suo popolo: è un fastidio solo per chi li vuole di nuovo sterminare. L’Europa non si è quasi accorta di Auschwitz prima del processo Eichmann, nel ‘61. Primo Levi, subito dopo la guerra si è visto rifiutare due volte “Se questo è un uomo” da Einaudi, perché “il tema non interessava”. Molti ex fascisti e razzisti sono diventati predicatori democratici. Giorgio Bocca ha firmato il “Manifesto della Razza”, prolifici e premiati ex fascisti come Scalfari e Calvino sono diventati maestri di democrazia, il presidente del “tribunale della razza”, Azzariti, ha finito la carriera come presidente della Corte Costituzionale».

- C’è chi distingue tra antisemitismo e antisionismo. Due facce, invece, della stessa medaglia?
  «L’antisionismo è l’antisemitismo di oggi. Dopo quello religioso, economico, razziale, da settant’anni si è diffuso un antisemitismo statale, l’antisionismo. Il sionismo è il patriottismo del popolo ebraico, un movimento analogo al Risorgimento italiano. Chi nega al popolo ebraico il diritto alla sua espressione nazionale, non lo fa perché non gli piace il movimento, ma perché non vuole che gli ebrei siano liberi e sicuri».

- Il sionismo di Teodor Herzl nacque come risposta al caso Dreyfus. Oggi quelle premesse – e quell’esigenza di autodifesa – sembrano rafforzate…
  «Dreyfus era un leale ufficiale francese, l’espressione di un patriottismo statale che c’è stato moltissimo anche in Italia, in Germania, in tutt’Europa. I nostri nonni e bisnonni si illudevano di poter essere cittadini come gli altri, solo con un’altra religione. Le leggi razziste e poi la Shoah li hanno duramente delusi. La mia generazione si è illusa che il problema fossero solo le dittature fasciste, dunque che fosse sparito. Il presente mostra che l’accettazione degli ebrei è di nuovo assai precaria, soprattutto a sinistra. La differenza oggi è che se qualcuno cercasse di nuovo di sterminarci, avremmo una difesa nello stato di Israele. È questa è la ragione vera per cui tanti lo odiano: non solo è l’ebreo degli stati, ma lo stato capace di difendere gli ebrei».

- Il movimento sionista socialista fu molto importante. Ben Gurion era uno dei suoi esponenti. E poi Golda Meir. Da dove nasce questo testacoda nella storia della politica, con la sinistra che si fregia di essere antisionista?
  «Il sionismo maggioritario era socialista. Dal ‘48 alla crisi economica degli anni ‘90 Israele è stato il solo stato democratico davvero socialista. I kibbutz, istituzioni collettiviste, erano la spina dorsale politica e sociale, non solo economica dello stato. Ma l’appoggio della sinistra cadde quando Stalin si accorse che Israele non era disposto a entrare nel suo blocco, voleva essere libero. Dal 1956 il PCUS cambiò cavallo e si mise ad appoggiare contro Israele i regimi arabi più infami e reazionari, dall’Egitto alla Siria. Tutta la sinistra si allineò e ha mantenuto questo orientamento. L’invenzione di un popolo “palestinese” (che non c’era, fino a quegli anni si definivano siriani meridionali o immigrati arabi o egiziani) avviene a Mosca negli anni ‘60. Per fare solo un esempio, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen si forma all’università per stranieri di Mosca e si laurea lì con una tesi negazionista della Shoah».

- Vede una soluzione possibile?
  «La premessa di ogni soluzione è che Israele vinca e che avvenga un cambiamento di regime in Iran, liberando le donne e i giovani dall’orrida dittatura clericale degli ayatollah. Così potranno svilupparsi di nuovo quegli accordi di Abramo che i terroristi hanno cercato di distruggere».

- E in Italia cosa si può fare?
  «Quanto all’Italia e all’Occidente, è necessaria una grande battaglia culturale non solo contro l’antisemitismo, ma contro il suo brodo di cultura woke, politicamente corretto, “intersezionale”. Per difendere Israele bisogna anche capire i meriti della cultura europea, della libertà, della democrazia, in genere dei valori della nostra tradizione. Credo che questa battaglia oggi sia aperta. Il paradosso è che non sono i cosiddetti “progressisti” o i “democratici” di tutte le nazionalità a difendere questi valori che hanno lasciato cadere, ma la destra».

(Il Riformista, 12 novembre 2024)
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La cosa peggiore di questo articolo è il titolo con cui si presenta Israele come una città sotto le cui mura”si difende l’Occidente”. Quale occidente? Anche Volli, che indubbiamente dice cose molto giuste, fa riferimento in ultimo a “una grande battaglia culturale”. Ma contro chi? Sotto quale bandiera? Quella dell’Occidente? Ma il brodo di cultura woke e “intersezionale” che ha spinto il diritto all’omosessualità dichiarata e sbandierata fino agli estremi confini della scelta arbitraria e stagionale del sesso, che difende il diritto all’aborto fino ai limiti ormai prossimi dell’infanticidio, che discute seriamente della possibilità di gestire uteri in affitto e parla di libertà di suicidio assistito, non è forse brodo occidentale? Brodo andato a male, dirà qualcuno, ma pur tuttavia brodo di autentica fattura occidentale. E’ questo che Israele dovrebbe difendere a nome della società occidentale?  E’ sotto questa bandiera che dovrebbe combattere? Fa parte della tradizione biblica e storica di Israele? Ha qualcosa a che vedere non solo con il Tanach, patrimonio biblico degli ebrei, ma anche con la tradizione ebraica giunta a noi fino all’altro ieri? Non fa piacere, ma forse il sionismo rigidamente e coerentemente laico è davvero finito. M.C.

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Varese, 1979: l'inizio di una triste storia

Lettera a "Il Foglio"

Pochi lo ricordano ma è stata proprio la stessa squadra del Maccabi di Tel Aviv a subire per prima slogan inneggianti al genocidio a Varese nel lontano 1979 durante la partita di basket con la squadra locale Emerson Varese. I tifosi varesini avevano esposto uno striscione con scritto "Hitler lo ha insegnato, uccidere l'ebreo non è reato" e scandito slogan come "Ebrei saponette saponette". Quelli individuati erano stati condannati in base alla legge n. 962 del 1967 contro il genocidio e la sua apologia per la prima volta applicata in Italia. Il Presidente della Corte d'assise che aveva emesso la sentenza era Francesco Saverio Borrelli, allora giudice prima di diventare il procuratore capo di Mani pulite.
Ora, dopo i fatti di Amsterdam, le gesta dei tifosi varesini, nazistoidi che avevano allora l'esclusiva dell'odio contro gli ebrei, sembrano solo squallido teppismo da stadio. E la diga a difesa delle vittime dell'Olocausto è ormai crollata. In Olanda intorno allo stadio non c'erano solo striscioni ma ronde armate. In tutta Europa e anche in Italia aspettiamoci il peggio.
Guido Salvini 
ex magistrato

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Perché parliamo oggi di pogrom

di Ugo Volli

• CHE COS’È UN POGROM?
  L’orribile strage del 7 ottobre 2023 nei villaggi israeliani al confine di Gaza è stato definito un pogrom. Anche la caccia all’ebreo che si è svolta giovedì sera ad Amsterdam era un pogrom. E così tanti episodi del passato più o meno recente, dalla “Notte dei Cristalli” del 1938 al “Farhud”, il massacro degli ebrei di Baghdad del 1° giugno 1941, organizzata da quello stesso Al Husseini, muftì di Gerusalemme, che aveva diretto e promosso i pogrom di Hebron, Zfat, Gerusalemme nei vent’anni precedenti. Vi furono molti episodi analoghi: nel 1948 in Egitto, Siria, Libano, Yemen Libia e poi di nuovo in Libia nel 1967. Ma cos’è esattamente un pogrom?

• “DISTRUZIONE”
  Iniziamo dal significato della parola. Come “antisemitismo”, anche “pogrom” è un vocabolo recente, nato circa 150 anni fa, ma che descrive fenomeni analoghi anche molto precedenti. Il termine ha avuto origine dal nome russo погром (pogrom) che deriva dal verbo громи́ть (gromit), che significa “distruggere, provocare il caos, demolire violentemente” e si è diffuso dopo il 1881 in tutto il mondo, passando per la parola yiddish פאָגראָם. Dunque pogrom significa “distruzione”, “catastrofe”: un significato che corrisponde all’ebraico “Shoah” che oggi usiamo solo per il genocidio nazista.

• I POGROM DELL’EST EUROPA
  Le stragi di Odessa durante la settimana pasquale del 1871 furono le prime persecuzioni ad essere ampiamente definite “pogrom”; gli eventi del 1881-82 introdussero il termine nell’uso comune in tutto il mondo. Si tratta dei massacri che seguirono l’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881. Sebbene l’assassino non fosse ebreo, la propaganda zarista incolpò gli ebrei, inducendo attacchi in più di duecento città con centinaia di vittime. Questi torbidi si ripeterono con frequenza variabile negli anni successivi. Il culmine fu il pogrom di Kishinev in Moldavia (allora parte della Russia) nell’aprile 1903. Per due giorni migliaia di teppisti, ispirati dai leader locali che agivano con il supporto governativo, uccisero, saccheggiarono e distrussero senza alcuna resistenza della polizia o dei soldati. Quando finalmente arrivarono le truppe furono e la folla si disperse, oltre quarantacinque ebrei erano stati uccisi, quasi seicento erano stati feriti e 1.500 case ebraiche erano state saccheggiate. I responsabili e gli istigatori non furono puniti. Dopo la prima guerra mondiale, fra il 1918 e il 1921, vi fu un’ondata terribile di pogrom nel territorio dell’attuale Ucraina: vi furono centinaia di stragi di ebrei, compiute soprattutto dalle truppe “bianche” controrivoluzionarie e dai nazionalisti ucraini; ma anche i polacchi e l’Armata Rossa commisero crimini analoghi. I morti alla fine si contarono in centinaia di migliaia. E vi furono alcuni terribili pogrom in Polonia dopo la Shoah ai danni degli ebrei che cercavano di tornare a casa. I più noti avvennero nelle città di Jedwabne e Kielce.

• NELLA STORIA
  In sostanza un pogrom è un’ondata di violenza omicida, di saccheggi, di stupri, di omicidi e ferimenti compiuta ai danni di una minoranza da folle apparentemente spontanee e non inquadrate militarmente, anche se la loro azione è spesso il frutto di un incitamento organizzato o quantomeno è tollerato da parte delle autorità. Furono pogrom dunque anche quelli voluti da Maometto a Medina fra il 625 e il 628, quello ancora musulmano di Granada nel 1066, le persecuzioni della prima crociata nel 1097, la rivolta di Chmel’nyc’kyj in Polonia e Ucraina nel 1648 (forse il più terribile di tutti, con 100 mila uccisi) e tantissimi altri episodi della storia ebraica. Probabilmente gli assalti e i saccheggi “spontanei” delle popolazioni e soprattutto quelli promossi da autorità intermedie (vescovi, nobili locali, predicatori religiosi) produssero più vittime e danni delle persecuzioni ufficiali dei papi e dei sovrani, presso cui talvolta le comunità ebraiche cercavano rifugio. Questa terribile continuità delle stragi “popolari” di ebrei è un tratto caratteristico della storia ebraica. Per questa ragione è inappropriato estendere il termine, come talvolta si usa fare, ad agitazioni analoghe che di tanto in tanto hanno colpito anche altre popolazioni, soprattutto in regioni contese fra diversi stati.

(Shalom, 11 novembre 2024)

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Sono un’orgogliosa ebrea e sionista - Perché sono odiata?

Una volta pensavo che l'Olocausto sarebbe dovuto bastare al mondo per giustificare il diritto all'esistenza di Israele. Ora penso che il mondo non sia mai stato particolarmente interessato.

di Oriel Moran

GERUSALEMME - Ho trascorso la mia infanzia in Texas. Ho sempre saputo che l'essere ebreo comportava dei pericoli. Lo riconoscevo nei racconti biblici, come quando il Faraone fece gettare nel Nilo tutti i neonati maschi ebrei o quando la regina Ester chiese di annullare il decreto di annientamento di tutti gli ebrei. Questi eventi non sono stati episodi isolati, ma si sono susseguiti all'infinito e non sono terminati il 7 ottobre 2023.
Cosa ho fatto per essere odiata così tanto?

• EMIGRATA IN ISRAELE

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Oriel Moran

Come ragazza ebrea dagli occhi azzurri in mezzo a cristiani texani favorevoli a Israele, non riuscivo a capire perché qualcuno potesse avere un motivo per non andare d'accordo con la mia famiglia. Quando arrivammo in Israele, il risveglio fu brusco e deludente. I tempi erano piuttosto tesi durante la Seconda Intifada. Ricordo che in autobus mi mancava il fiato, perché mi aspettavo che salisse un attentatore suicida. E ricordo che mi sentivo triste per il muro di protezione, anche se era necessario per proteggerci dagli attacchi. Tuttavia, non riuscivo a capire perché l'odio dei palestinesi fosse tanto profondo da volermi morta. Ma come ebrea si impara presto a mantenere un profilo basso quando è necessario.
Quando viaggiavo all'estero, riuscivo a passare gli aeroporti con il mio passaporto americano senza problemi. Ma il passaporto israeliano desta sospetti. Se dico da qualche parte che vengo da Israele, mi aspetto sempre una reazione poco amichevole. Molti israeliani che viaggiano all'estero dicono di venire da Malta. Evitano di parlare in ebraico. Gli uomini nascondono la kippah sotto un copricapo.

• ANTISEMITISMO
  È codardia? Forse è soltanto prudenza. Dato l'aumento dell'antisemitismo,  c’è una buona probabilità che gli israeliani non tornino a casa indenni.
L'Università di Tel Aviv riferisce che a New York, la città con la più grande popolazione ebraica al mondo, la polizia ha registrato 325 crimini di odio anti-ebraico nel 2023. 261 nel 2022, rispetto ai 165-86 di Los Angeles e ai 50-39 di Chicago. L'ADL ha registrato 7.523 incidenti nel 2023 rispetto ai 3.697 del 2022 (e, secondo una definizione più ampia, 8.873); il numero di aggressioni è aumentato da 111 nel 2022 a 161 nel 2023 e il numero di episodi di vandalismo è passato da 1.288 a 2.106.
L'antisemitismo non è limitato a singoli luoghi, come la Columbus University di New York o le manifestazioni anti-Israele sul London Bridge. L'odio per gli ebrei, mascherato da “antisionismo”, si è diffuso ovunque.

• “IN ALTO LE MANI SE SEI SIONISTA!”.
  Una scena particolarmente inquietante si è verificata di recente nella metropolitana di New York. Gli antisemiti, con il volto e la testa avvolti in sciarpe palestinesi bianche e nere, sono saliti a bordo di un vagone della metropolitana mentre il “leader” gridava:
“Alza la mano se sei sionista!”, al che gli altri manifestanti hanno ripetuto: ‘Alza la mano se sei sionista!’. Poi: “Questa è la tua occasione per uscire!” e l'eco: “Questa è la tua occasione per uscire!”. - “Ok, niente sionisti qui”. I passeggeri sono rimasti in silenzio, paralizzati dalla paura della folla mascherata. Chissà quanti ebrei o “sionisti” erano bloccati in quella metropolitana - dopo tutto, ci sono 1,6 milioni di ebrei a New York.
Quando ho visto questo video, sono rimasta profondamente turbata e francamente spaventata. Cosa farei se mi trovassi di fronte a una situazione del genere? Mi allontanerei per evitare il caos? Resterei in silenzio? Aprirei la bocca? Confessare le mie convinzioni sioniste difficilmente avrebbe giovato a me o alla mia famiglia se fossi stata picchiata fino a perdere i sensi o riportata indietro in un sacco per cadaveri.
Gli ebrei hanno affrontato lo stesso dilemma durante l'Olocausto, prima di essere saccheggiati, perseguitati e infine portati con la forza nei campi di sterminio. Chi avrebbe protetto un ebreo negli anni '30?

• VIVERE IN SICUREZZA
  In Israele gli ebrei possono vivere in sicurezza senza nascondere la loro etnia e, se sono minacciati, c'è un protettore che viene in loro aiuto. Ma (quasi) ovunque nel mondo non c'è garanzia che le autorità proteggano un ebreo. Ironia della sorte, sebbene Israele viva fianco a fianco con i suoi nemici e ne sia circondato, c'è un solo luogo sicuro per gli ebrei nel mondo: Israele.
Altri dati, elaborati dall'Università di Tel Aviv: in Francia, il numero di incidenti è passato da 436 nel 2022 a 1.676 nel 2023 (il numero di attacchi fisici è salito da 43 a 85); nel Regno Unito da 1.662 a 4.103 (attacchi fisici da 136 a 266); in Argentina da 427 a 598; in Germania da 2.639 a 3.614; in Brasile da 432 a 1.774; in Sudafrica da 68 a 207; in Messico da 21 a 78; nei Paesi Bassi da 69 a 154; in Italia da 241 a 454; in Austria da 719 a 1.147. In Australia, nei mesi di ottobre e novembre 2023 sono stati registrati 622 incidenti antisemiti, rispetto ai 79 dello stesso periodo del 2022.

• HAMAS contro ESTHER
  Come persona di fede, ritengo che la mia identità di “Regno” sia più importante della mia nazionalità o identità culturale. E non equiparo la domanda se sono sionista con quella se credo in Yeshua. Ma forse dovrebbe essere la seconda domanda quella più importante.
Prima dell'attuale guerra, quando sentivo la parola “sionista” ero infastidita, anche se non sapevo perché. Forse la associavo a fanatici e radicali, o forse avevo un pregiudizio inconscio; e questo  dimostra quanto facilmente gli ebrei non istruiti (come la sottoscritta) possano cadere in ideologie autodistruttive. Tuttavia, se mi chiedessero se ritengo che noi ebrei abbiamo diritto alla nostra patria, risponderei che su quel monte sarei stata disposto a morire.
Oggi “sionista” è un insulto, alla pari di “nazista”, “comunista” o “terrorista”. Gli ignoranti si appropriano dei termini e ne modificano le definizioni per protestare in nome della “giustizia”. E non ci è voluto molto per galvanizzare milioni di persone in un movimento basato sull'odio e sullo sterminio degli ebrei. Questo è il potere dell'antisemitismo: un Haman amareggiato che convince Assuero e intere nazioni che tutti gli ebrei sono malvagi e devono essere uccisi.
Mentre la mano di ferro della morte si stringe attorno al collo del popolo ebraico, cerco di ricordare come Mardocheo ammonì Ester con parole a cui gli ebrei si sono aggrappati nei momenti di pericolo da allora:
“Se ora taci, la liberazione e la salvezza per gli ebrei verranno da un'altra parte, ma tu e la casa di tuo padre perirete. E chi sa se non sei arrivata alla regalità proprio per un momento come questo?” (Ester 4:14)
Sono ebrea e orgogliosamente sionista. Israele è la mia patria, e tale rimane.

(Israel Heute, 11 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it) 

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Difendere Israele sui media, tra like e complessità

di Nathan Greppi

In un’epoca in cui i mezzi di comunicazione mutano e si evolvono costantemente, molte persone fanno fatica a stare al passo e a tenersi aggiornate. In un periodo come quello attuale, in cui oltre alla guerra vera e propria Israele deve subire anche una guerra mediatica, restare indietro significa lasciare che i nemici dello Stato Ebraico impongano la loro narrazione.
  Per capire quali sono le tattiche per poter contrastare la disinformazione che circola nei media e sui social, giovedì 7 novembre si è tenuto presso la Sala Segre della Scuola Ebraica di Via Sally Mayer un incontro curato dai responsabili del sito Progetto Dreyfus assieme all’Adei Wizo e alla Comunità Ebraica di Milano, dal titolo Tra like e complessità. Istruzioni per la difesa di Israele sui media.

• RAV ALFONSO ARBIB: IL PACIFISMO HA SOSTITUITO L’ETICA DELLA GUERRA
  Nell’introdurre la serata, il Rabbino Capo di Milano Rav Alfonso Arbib ha sottolineato che, sebbene non esista una formula magica per risolvere i problemi che stiamo affrontando, “esistono alcune cose a cui non possiamo rinunciare. Per prima cosa, non possiamo rinunciare a ragionare”, ha spiegato, rimarcando il fatto che gran parte dell’odio a cui assistiamo è il frutto di pregiudizi, non di ragionamenti, “ed è difficile affrontare l’odio, perché siamo davanti ad un sentimento”. Ma è comunque indispensabile farlo, per convincere non tanto chi ci odia, quanto quella maggioranza di persone che non ha un’opinione consolidata sull’argomento.
  Un altro aspetto assai trattato nel dibattito pubblico è il concetto di “crimini di guerra”. A tal proposito, Rav Arbib ha rimarcato il fatto che “la definizione di ‘crimini di guerra’ non è così scontata”. Paradossalmente, la nostra è la prima epoca in cui nessuno si occupa più di “etica della guerra”, perché oggi “il discorso che si fa è un discorso pacifista, che ti dice che la guerra è essa stessa un crimine. I discorsi che si facevano nei secoli passati dicevano ‘le guerre ci sono, bisogna stabilire cosa è permesso e cosa è vietato in una guerra’”.

• ROBERTA VITAL: L’ODIO NEI CONFRONTI D’ISRAELE HA RADICI PROFONDE
  Dopo i saluti istituzionali di Ilan Boni, Vicepresidente della Comunità Ebraica di Milano, il quale ha sottolineato come occorra interfacciarsi con quelle persone che credono in buona fede alla disinformazione su Israele ma alle quali si possono spiegare le nostre ragioni, la prima relatrice a parlare è stata Roberta Vital, Vicepresidente dell’Adei Wizo di Milano.
  La Vital ha ricordato che la guerra diplomatica che si è abbattuta su Israele dopo il 7 ottobre “affonda radici lontane. Possiamo individuare nel 1975 l’inizio della delegittimazione dello Stato d’Israele in quanto Stato Ebraico: quell’anno ci fu la famosa risoluzione dell’ONU, votata in blocco dai paesi arabi e sovietici, in cui si equiparò il sionismo al razzismo. Una risoluzione che rimase in essere per un po’ di anni, poi fu abolita ma trovò la sua massima espressione durante la Conferenza di Durban, nel 2001. Una conferenza che, sotto l’egida dell’ONU, avrebbe dovuto trattare temi importanti come la lotta al razzismo e la difesa dei diritti umani, ma che invece si trasformò in un’arena di antisionismo”.

• ALEX ZARFATI: COME DIFENDERE ISRAELE ATTRAVERSO LA COMUNICAZIONE
  Per combattere la disinformazione online, fare rete tra più persone anziché lavorare da soli è fondamentale. A tal proposito Alex Zarfati, responsabile di Progetto Dreyfus e consigliere UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), ha spiegato quali sono, secondo lui, i capisaldi “per organizzare una qualsiasi difesa nei confronti d’Israele”.
  Innanzitutto, ha messo in risalto il fattore generazionale: dai più anziani non ci si aspetta che sappiano utilizzare al meglio i nuovi social, ma allo stesso tempo i giovani hanno una memoria storica limitata: “Sono nati che Israele era già forte, non riescono neanche a concepire un Israele debole. Chi è più grande, invece, lo sa che Israele è stata sotto scacco diverse volte nella sua storia”. Pertanto, Zarfati ha suggerito che i più anziani non dovrebbero esporsi in prima linea su social che non sanno maneggiare bene, correndo il rischio di esporre anche i loro cari, ma dovrebbero fornire ai loro nipoti contenuti e testimonianze che questi saprebbero riportare nel giusto formato per i loro contenuti.
  Ha spiegato che nella Scuola Ebraica di Roma, “noi abbiamo ragazzini che sono vittime da stress post-traumatico come quelli che vanno in guerra”. Questo perché i video dei massacri del 7 ottobre, “che hanno viaggiato sui telefonini, hanno avuto degli effetti devastanti, e non ce ne rendiamo nemmeno conto. E gli adulti non sanno come gestire quel tipo di informazione”. In genere, i genitori tolgono il telefono ai figli o si deresponsabilizzano lasciando loro fare quello che vogliono. “Invece, una educazione corretta all’uso del telefono è fondamentale”.
  Zarfati ha inoltre messo in evidenza la questione della “psychological warfare”, un metodo non convenzionale di fare la guerra, per le quale “le menti degli occidentali sono territorio di conquista da parte di una certa parte del mondo”. Il modo in cui vengono realizzati determinati video e contenuti online è mirato al preciso scopo di dipingere Israele come la causa di tutti i mali del mondo.

• STEFANO FIANO: INTERNET HA CAMBIATO IL NOSTRO CERVELLO
  Oggi, la diffusione dell’informazione non avviene più attraverso gli stessi canali di una volta: la crescente preponderanza del web e degli influencer ha fatto sì che, per fare un confronto, un personaggio fortemente antisionista come Alessandro Di Battista può contare oltre 1,6 milioni di follower, mentre programmi televisivi come Piazzapulita possono contare in media 900.000 spettatori.
  Stefano Fiano, esperto di strategie di comunicazione, ha spiegato che la connessione perenne in particolare dei ragazzi ha “cambiato il modo di pensare, ma non solo: abbiamo cambiato il nostro cervello, perché siamo connessi, qualcosa che vent’anni fa non c’era”. E secondo lui, “oggi siamo andati un passo ancora più avanti: l’intelligenza artificiale si forma su quello che c’è già in rete. Questo vuol dire che tra un po’ non andrò più nemmeno su Google, ma crederò a quello che ha detto l’intelligenza artificiale, cioè la media di tutti noi. Nel nostro caso, la media di quello che pensano su Israele nel mondo, quando ci sono due terzi del mondo che a prescindere non pensa bene d’Israele”.
  Un ulteriore problema è che i giornalisti stanno imparando a scrivere con l’IA, anche se “teoricamente il giornalista dovrebbe essere quello che intermedia e si informa. Ma se la sua fonte sarà l’intelligenza artificiale o, peggio, la percezione che la società ha di quell’argomento, invece di fare informazione va verso la massa per prendere i like”. Ha inoltre spiegato che, anche se la maggior parte degli anziani in sala non possedeva TikTok, in realtà già adesso essi ne sono influenzati senza saperlo: questo perché, per frenare l’emorragia di lettori, i giornali tendono sempre di più ad imitare lo stile semplice e sensazionalistico dei contenuti di questa piattaforma.

(Bet Magazine Mosaico, 11 novembre 2024)

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Come hanno reagito i palestinesi alla vittoria di Trump

La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane è stata accolta con reazioni relativamente moderate da parte degli alti funzionari palestinesi e dei media palestinesi.
In una dichiarazione pubblicata dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, si è congratulato con Donald Trump per la sua vittoria e gli ha augurato successo, ha aggiunto che “attende con impazienza la cooperazione con il presidente Trump per promuovere la pace e la sicurezza nella regione” e ha concluso dicendo: “Rimarremo fermi nel nostro impegno per la pace e siamo fiduciosi che tale impegno persisterà anche sotto la vostra guida, e che sosterrete le legittime aspirazioni del popolo palestinese”.
Secondo uno studio del Memri Institute for Middle East Media Research, Ahmed Majdalani, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha dichiarato: “Rispettiamo la volontà dei popoli nella scelta dei loro presidenti e non abbiamo problemi con nessun presidente al mondo, purché vi sia rispetto per la volontà del popolo palestinese di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, di stabilire il proprio Stato indipendente e di rimuovere l’occupazione dalla sua terra”. Majdalani ha invitato l’amministrazione Trump a “trattare seriamente la questione palestinese in quanto” – aggiunge – “la precedente amministrazione americana è passata da un pregiudizio a favore di Israele al sostegno e alla collaborazione con l’occupazione nella sua aggressione contro il nostro popolo nella guerra di annientamento”.
Sabri Seidam, vicesegretario del Comitato Centrale di Fatah, ha chiarito le aspettative della leadership palestinese rispetto al secondo mandato di Trump. Ha dichiarato al quotidiano “Al-Quds” che “noi tutti speriamo di vedere un Trump diverso da quello che conoscevamo, che sarà. in grado di affrontare i cambiamenti nella realtà palestinese e regionale”.
Seidam ha espresso la speranza che Trump non si concentrerà solo sulla normalizzazione tra Israele e i paesi arabi ignorando i palestinesi, ma affronterà le radici del conflitto. Inoltre ha invitato Trump a “fermare la guerra contro la Palestina”, come aveva promesso ai suoi elettori arabi, e a compiere gesti di buona volontà nei confronti dei palestinesi per “ristabilire l’equilibrio nelle relazioni e fare chiarezza. che gli Stati Uniti rispettino i loro obblighi internazionali”.
Secondo l’analisi di Memri, alcuni media palestinesi hanno espresso indifferenza per la vittoria di Trump e hanno trasmesso il messaggio che la politica americana nei confronti della “Palestina” non cambierà probabilmente sotto la sua guida.

(Rights Reporter, 11 novembre 2024)

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A Milano in Piazza San Babila manifestazione contro le violenze antisemite di Amsterdam

“Avete ragione”, ha detto il rabbino capo Alfonso Arbib rivolgendosi agli studenti universitari della Statale che erano appena intervenuti in solidarietà in piazza San Babila, dove almeno 300 persone, secondo gli organizzatori, hanno partecipato alla manifestazione – blindata da un impressionante numero di poliziotti – in risposta alle violenze antisemite di Amsterdam avvenute tre giorni prima in seguito alla partita tra Ajax e Maccabi Tel Aviv.
“Avete ragione, antisemiti e antisionisti sono una minoranza rumorosa. Avete ragione, ma io chiedo alla maggioranza silenziosa di iniziare a farsi sentire”.
“Gli scontri”, ha sottolineato Alessandro Litta Modignani, segretario dell’Associazione milanese Pro Israele, “non sono avvenuti ‘tra ultras del calcio’, questo è un tentativo di certa stampa e di alcuni esponenti politici di sminuire quanto successo”. Lungo i canali della città olandese è andata in scena una vera caccia all’ebreo, il riferimento al titolo del recente volume scritto da Pierluigi Battista, e distribuito nella nostra scuola, non è casuale.
Come affrontare e prevenire questa violenza ed evitare che si manifesti anche nel nostro Paese? “Non servono leggi speciali, basta applicare le leggi esistenti”, ha detto Franco Modigliani dell’associazione Sette Ottobre e animatore dell’evento.
Molti rappresentanti delle diverse aree politiche hanno preso la parola. Lia Quartapelle, parlamentare del Partito Democratico ed esponente della Sinistra Per Israele, ha parlato della necessità di essere uniti contro l’odio antisemita. Le ha risposto Daniele Nahum, consigliere comunale e fuoriuscito proprio dal PD, che ha parlato della tolleranza che alcuni partiti hanno verso propri esponenti che partecipano alle manifestazioni milanesi Pro Pal del sabato, dove si è inneggiato alla violenza contro gli ebrei e si è applaudito ai fatti di Amsterdam.
Dal palco hanno parlato anche la senatrice Gelmini già in Azione e ora in area centrodestra, Alessandro Colucci di Noi con l’Italia e Gianmaria Radice di Italia viva. Per Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica e animatore dell’associazione Ponte Atlantico, dopo aver pensato negli anni passati di poter esportare la democrazia in Medio Oriente, ci ritroviamo col rischio di importare il fondamentalismo islamico e dovremmo allora riunirci sotto lo slogan “Free Europe from Hamas”. A margine della manifestazione, lo storico David Bidussa commentava che la violenza si subisce, ancor prima dei calci e dei pugni, già quando devi per paura cambiare il tuo stile di vita e limitarti. “Anche negli anni Trenta c’era chi diceva che gli ebrei stessero esagerando con la paura”, ammoniva dal microfono rav Arbib.
“Noi vogliamo solo continuare a vivere”, ha detto il professor Ugo Volli ed Eyal Mizrachi, dell’Associazione Amici di Israele, ha dunque intonato Am Israel Hai.

(Bet Magazine Mosaico, 10 novembre 2024)

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Bibi sceglie Leiter per l'ambasciata Usa

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In una fase cruciale di grandi cambiamenti negli Stati Uniti, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato chi ricoprirà il delicato ruolo di ambasciatore d’Israele negli Usa. Sarà Yechiel Leiter, 65 anni, in passato vice direttore generale del ministero dell’Istruzione, capo staff dell’allora ministro delle Finanze Netanyahu e presidente ad interim dell’Autorità dei porti. Nato negli Stati Uniti, Leiter a novembre ha perso il figlio, il maggiore Moshe Leiter, 39 anni, ucciso in un combattimento nel nord di Gaza.
  «Yechiel Leiter è un diplomatico di grande talento, un oratore eloquente e ha una profonda conoscenza della cultura e della politica americana», ha dichiarato Netanyahu. «Sono convinto che rappresenterà Israele nel miglior modo possibile e gli auguro di avere successo nel suo ruolo».
  Padre di otto figli, Leiter vive oggi nell’insediamento israeliano di Alon Shvut, in Cisgiordania. È nato a Scranton, in Pennsylvania, in una famiglia sionista religiosa. Ha raccontato di essere stato influenzato dal libro La rivolta di Menachem Begin nella sua scelta di compiere nel 1978 l’aliyah (l’immigrazione in Israele). In Israele studiato in una scuola religiosa di Kiryat Arba ed è stato ordinato rabbino. Nel 1986 ha fondato la Fondazione Hebron e tra il 1989 e il 1992 è stato presidente del comitato per gli insediamenti ebraici a Hebron. È stato inoltre nel 2001 tra i fondato dell’organizzazione One Jerusalem, riporta ynet, contraria agli accordi di Oslo. Nel 2004 è stato nominato capo dello staff di Netanyahu, allora ministro delle Finanze, incarico che ha ricoperto fino al 2005.
  Attualmente è docente di filosofia presso l’Ono Academic College, ricercatore presso lo Shalem Center e consulente strategico di diverse organizzazioni, tra cui l’Ancient Shiloh.
  La nomina di Leiter, commenta ynet, «può essere considerata una benedizione per Netanyahu, perché è l’uomo giusto al momento giusto: ha ampie conoscenze nel Partito Repubblicano e riceverà un orecchio attento alla Casa Bianca». L’incarico di ambasciatore negli Stati Uniti al momento è affidato a Mike Herzog, fratello del presidente d’Israele Isaac. Il passaggio di testimone con Leiter, scrive Maariv, avverrà poco prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca.

(moked, 8 novembre 2024)

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10 NOVEMBRE - ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI LUTERO

Ricorre oggi il 541° anniversario della nascita di Martin Lutero. Riportiamo due citazioni delle sue parole, fatte in contesti e tempi diversi.
    «Oh volesse Iddio che le mie interpretazioni e quelle di tutti i maestri andassero perdute, purché ogni cristiano conservi sempre dinanzi agli occhi la sola Scrittura e la divina Parola! Tu vedi dal mio parlare come la Parola divina sia immensamente diversa da ogni parola umana e come nessun uomo, nonostante tutte le sue parole, sia in grado di raggiungere o dichiarare un solo detto divino. A chi riuscisse di penetrarvi senza interpretazione umana, il mio commento o quello di chiunque altro sarebbero inutili, anzi d'ostacolo. Perciò, leggete, leggete la Sacra Scrittura, cristiani cari, e considerate sia la mia che qualsiasi altra interpretazione come un 'impalcatura di legname dell'edificio stesso, affinché noi possiamo comprendere e gustare la pura e semplice Parola divina e ad essa attenerci».
    «Perciò sappi, caro cristiano, e non avere dubbi a riguardo, che, subito dopo il diavolo, tu non hai nemico più acre, più velenoso, più acceso, di un vero ebreo, il quale voglia seriamente essere un ebreo. Tra loro ci possono forse essere anche quelli che credono in ciò in cui crede una mucca, o un’oca, tuttavia la stirpe e la circoncisione gravano su tutti loro. Perciò nelle storie si dà spesso a loro la colpa, di aver avvelenato i pozzi, di aver rapito e seviziato bambini […]. Essi negano decisamente. Però – che sia vero o no – io so bene che, se potessero realmente farlo, di nascosto o apertamente, a loro non ne mancherebbe la completa, piena e pronta volontà».
Come si vede, l'accostamento è davvero sgradevole. Non per tutti, certamente: non lo sarà per un incallito antisemita cristiano che vede confermata la sua ripulsa "teologica" degli ebrei; non lo sarà forse neppure per un convinto ebreo che vedrà confermata in quelle parole la sua diffidenza verso tutto ciò che si presenta come cristiano. Per un convinto cristiano non cattolico, che proprio per la sua fede evangelica avverte una spinta d'amore verso gli ebrei come popolo eletto da cui proviene Gesù, l'accostamento di queste due parole provoca una tensione dolorosa, perché approva fermamente la prima dichiarazione e rigetta totalmente la seconda. Chi scrive dichiara con chiarezza che considera la prima ispirata da Dio e la seconda ispirata dal Diavolo; considera Lutero un potente strumento di Dio che proprio per la sua importanza è stato attaccato dal Nemico in un punto importante della fede che era rimasto spiritualmente scoperto. Per avvertire i fratelli in Cristo del rischio che si corre a trattare con leggerezza un tema scottante come Israele, quindici anni fa abbiamo pubblicato nel sito una documentazione sul collegamento Lutero-Hitler che adesso ripresentiamo in un nuovo formato.

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Hitler e Lutero, un accostamento sgradevole

a cura di Marcello Cicchese

GERMANIA 1933 - Hitler è al potere da qualche mese, ma il suo governo deve ancora ottenere stabilità all'interno e riconoscimento internazionale. Lo storico Joachim Fest, nel suo libro "Hitler. Una biografia", presenta un quadro dei rapporti della Germania con le altre nazioni in quel momento.
    «Hitler optò dapprima per una politica di gesti concilianti, e fece di tutto per sottolineare la continuità con la moderata politica di revisione della repubblica di Weimar. [...] Per almeno sei anni, affermò in presenza di uno dei suoi intimi, con le potenze europee doveva mantenere una sorta di "buon vicinato", soggiungendo che le grida guerresche dei circoli nazionalistici erano quindi fuori posto. Culmine della sua politica di sincere offerte di intesa fu il grande "Friedensrede", il "discorso della pace" del 17 maggio 1933, ancorché Hitler non rinunciasse certo all'occasione di protestare contro l'illimitato mantenimento di una discriminazione tra vinti e vincitori, minacciando perfino di ritirarsi dalla conferenza per il disarmo e addirittura dalla Lega delle Nazioni, qualora alla Germania si continuasse a negare la effettiva parità di diritti. [...]
         Il 14 ottobre, poco dopo che il ministro degli esteri britannico, Sir John Simon, gli aveva reso note le nuove posizioni degli alleati, ed era ormai evidente la loro decisione di imporre alla Germania, ove fosse necessario, il quadriennio di prova al tavolo stesso delle trattative, Hitler rese noto il proprio proposito di abbandonare la Conferenza per il disarmo, in pari tempo annunciando il ritiro della Germania dalla Lega delle Nazioni. [...]
        Significativamente, Hitler collegò subito l'uscita dalla Lega delle Nazioni con una nuova iniziativa, mediante la quale si spinse ben oltre i moventi iniziali: sottopose la propria decisione al primo plebiscito plenario, inscenato tra grandi rumori propagandistici, facendone dipendere anche la rielezione del Reichstag, costituito il 5 marzo e che in parte era ancora anacronisticamente determinato dalla struttura partitica dell'epoca di Weimar.
        Hitler in persona inaugurò la campagna il 24 ottobre, con un grande discorso al Palazzo dello Sport di Berlino; le votazioni erano fissate per il 12 novembre, giorno successivo al quindicesimo anniversario dell'armistizio del 1918. [...]
        Anche questa volta, come l'anno prima, venne scatenata una furiosa "guerra dei manifesti" sotto la parola d'ordine "vogliamo onore e uguali diritti!" A Berlino, a Monaco, a Francoforte, furono fatti sfilare, sulle loro carrozzelle, mutilati di guerra recanti cartelli che dicevano: "I caduti della Germania vogliono il tuo voto!" Ampia diffusione in Germania trovavano anche, significativamente, frasi pronunciate dal ministro della difesa britannico Lloyd George: «Il diritto è dalla parte della Germania» e «per quanto tempo l'Inghilterra tollererebbe una simile umiliazione?».
        Il 95% dei votanti approvarono la decisione del governo, e, pur ammettendo che il risultato fosse manipolato e ottenuto mediante il ricorso a misure terroristiche, non si può negare che desse voce in maniera abbastanza esatta allo stato d'animo del pubblico. Nelle concomitanti elezioni per il Reichstag, dei quarantacinque milioni di cittadini aventi diritto di voto, trentanove milioni lo diedero alla lista unica nazionalsocialista.»1
In data 29 ottobre 1933, cioè dopo l'uscita della Germania dalla Lega delle Nazioni e prima dell'annunciato plebiscito, compare un commento a questi avvenimenti su "Zeitspiegel" (Specchio dei tempi), allegato di un settimanale evangelico dal titolo "Heilig dem Herrn" (Santo al Signore). Il responsabile dell'allegato, Wilhelm Goebel, è un anziano cristiano evangelico (63 anni), con buone conoscenze di storia e letteratura e ben informato sui fatti politici in corso. E' uno dei tanti evangelici di quel tempo che, pur avendo buone conoscenze bibliche, non soltanto non intuì che nella persona e nel movimento di Hitler ci poteva essere qualcosa che non andava, ma anzi rimase catturato e addirittura affascinato dalla figura del Führer, individuando in lui un autentico salvatore della Germania donato dalla misericordia di Dio al popolo tedesco. E, cosa degna di riflessione, il fascino per Hitler e la repulsione per gli ebrei sono elementi che nei suoi pensieri si sostengono e si confermano a vicenda. Riportiamo qualche estratto dai suoi commenti.
    «L'uscita dalla Conferenza del disarmo e dalla Società delle Nazioni non è stata fatta in modo affrettato, avventato e arrogante, ma soltanto dopo aver usato tutta la pazienza necessaria. Hitler e i suoi consiglieri sono certamente ben consapevoli delle conseguenze che ci possono essere anche nel caso peggiore.
        Di quello che adesso è avvenuto dobbiamo ringraziare soprattutto gli ebrei e gli amici degli ebrei. Io intendo gli ebrei che dalla loro cattiva coscienza sono fuggiti per paura all'estero quando la Germania si è risvegliata. Adesso siedono all'estero, pieni di veleno e di bile e aizzano con la satanica abilità e mancanza di scrupoli che appartiene alla parte degenerata di questo popolo. Naturalmente dispongono anche di ricchi mezzi finanziari e di ottime relazioni. I loro compagni di popolo e di sentimenti occupano all'estero le posizioni più influenti. Una cosa ci deve essere ben chiara: che questi ebrei vogliono aizzare il mondo in una guerra di sterminio contro la Germania. Per gli ebrei la vittoria del nazionalsocialismo in Germania è un terribile colpo che deve essere neutralizzato. Nel suo discorso Hitler ha detto giustamente:

      "Decine di migliaia di americani, inglesi e francesi sono stati in questi mesi in Germania e hanno potuto constatare con i loro occhi che non esiste paese al mondo in cui c'è più calma e ordine che nell'odierna Germania, che in nessun paese al mondo la persona e la proprietà vengono più rispettate che in Germania, e inoltre che forse in nessun altro paese al mondo viene condotta una lotta più accanita contro quegli elementi criminali che credono di poter lasciare libero sfogo ai loro più bassi istinti a danno dei loro simili. Sono queste persone, e i loro aiutanti e amici degli aiutanti comunisti, che oggi come emigranti (profughi) fanno di tutto per aizzare uno contro l'altro gli onesti e rispettabili popoli. Il popolo tedesco non ha alcun motivo di invidiare il resto del mondo per questo guadagno. Noi siamo convinti che pochi anni basteranno per aprire bene gli occhi agli onesti membri degli altri popoli sul vero valore di quegli onorati elementi che sotto la bandiera dei profughi politici hanno ripulito le zone della loro più o meno grande mancanza di scrupoli economica."

         Nel frattempo ho ascoltato già due volte il grande discorso di Hitler. Una volta dalla sua bocca, una volta dal disco e se potessi ascoltarlo una terza volta, non sarebbe certo tempo perso. Questo discorso rimarrà di imperitura importanza storica, comunque andranno a finire le cose. Questo discorso al mondo stabilisce fondamenti del tutto nuovi per i rapporti dei popoli fra di loro. Non sarà più l'intrigante e totalmente falsa diplomazia, i cui fili sono sempre tirati da persone cattive, false ed egoiste, a decidere su guerra e pace, ma sarà il proprio popolo e i popoli della terra che dovranno essere appellati. E questo oggi è possibile attraverso il miracolo tecnico della radio. Il nostro Führer e Cancelliere del popolo ha fatto quello che poteva e continuerà a fare quello che può. Il discorso mi ha toccato fin nel mio più intimo, anche se non conteneva niente che non sapessi già e che non mi fossi già detto più volte. E come a me, questo sarà accaduto a molti, molti altri. Ma il modo in cui è stato espresso ha toccato l'anima tedesca nel più profondo. Quando Hitler ha finito, abbiamo fatto quello che certamente anche molti altri hanno fatto nella stessa ora: abbiamo pregato e lodato Dio. Quale meravigliosa forza di schiettezza, di verità, di assennatezza, di riconoscimento e giustizia nei confronti di altri popoli, di disponibilità alla pace e nello stesso tempo di irremovibile volontà di non lasciarsi sospingere mai e da nessuno oltre il limite sopportabile per l'onore e il bene del popolo tedesco! [risalto nell'originale]
         In cuor mio l'ho lodato ancora una volta, ma adesso voglio farlo anche qui, pubblicamente, davanti alle decine di migliaia che leggono questo articolo:
         A favore di quest'uomo [ Hitler ] inviatoci da Dio io mi pongo in modo fermo e irremovibile. A lui va la mia incondizionata fiducia e niente mi potrà confondere, nessuna paurosa, meschina o perfino maligna critica, ma anche nessuna umana imperfezione, nessun errore o avventatezza, sì neppure evidenti peccati come si trovano nel grande movimento nazionalsocialista. Fino a quando Hitler camminerà sulla via su cui finora ha camminato, io camminerò con lui con la più profonda e intima convinzione, e parteggerò per lui ovunque e come io potrò. E facendo questo sono convinto di compiere un servizio secondo la volontà di Dio e nel senso migliore per il bene del mio popolo e della mia patria. Ma so anche che su questa via Dio sarà con lui, anche se la via dovesse passare attraverso gravi difficoltà [risalto nell'originale] .
        Questo è il mio voto [Gelöbnis], e non m'importa se alcuni diranno che è "cieca soggezione".»
Segue un invito accorato a votare Hitler nel prossimo plebiscito del 12 novembre e a sostenerlo in preghiera:
        «Ma ora invito tutti i miei lettori e lettrici a fare la stessa cosa. Basta adesso con tutte le perplessità! Basta con tutte le paure! Basta con tutto questo meschino rimaner attaccati a piccolezze e a singoli fatti accaduti! Basta con questo star a sentire critici e disfattisti che affossano la fiducia di cui adesso il Cancelliere del popolo ha più che mai bisogno e che procurano sconforto al cuore del popolo! [risalto nell'originale]
        E se non fosse presente un istinto più elevato, almeno l'istinto di conservazione dovrebbe indurre ciascuno a mettersi dietro a Hitler in modo fermo e deciso. La Germania adesso in effetti è legata a lui nella buona e nella cattiva sorte. Ricordo la frase del Kaiser Guglielmo II: «Adolf Hitler è l'unico uomo che può salvare la Germania.» E hanno anche riferito che quel monarca così duramente provato prega ogni giorno per colui che adesso istituzionalmente occupa il suo posto. E questo non significa una svalutazione del grande, venerando Hindenburg. Anche il Kaiser appartiene dunque alle "SA oranti", e io invito coloro che appartengono alla schiera dei nostri lettori a fare altrettanto: insistete nella preghiera! [risalto nell'originale]. Adesso si deve formare una catena di preghiera per il Cancelliere. Che immane peso di responsabilità grava su di lui, che alla fin dei conti è soltanto un uomo! Di quale incalcolabile portata è ogni sua parola, ogni sua decisione! Pregate anche per i suoi collaboratori e consiglieri. Un loro intervento sbagliato, una precipitazione, un ritardo occasionale, un'errata valutazione della situazione può provocare un danno che forse neanche Hitler potrebbe rimediare. Pregate anche per la sua guardia del corpo! Avete pensato a quanti piani di omicidio contro di lui saranno già stati preparati? Quel tipo di persone che hanno incendiato il Reichstag non indietreggia certo davanti a simili progetti diabolici. Anche la migliore protezione non può bastare se Dio non tiene la mano sulla sua vita. E ancora una volta invito a fare qualcosa di totalmente naturale!
         Il 12 novembre ciascuno deve sostenere Hitler davanti al mondo con il suo voto SI! Ciascuno deve anche fare pressioni affinché tutte le persone a lui accessibili facciano la stessa cosa. Perché se c'è una cosa che può fare ancora fare impressione sui popoli intorno a noi è la