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Approfondimenti
Israele, erede sfruttato, raggirato e bastonato
di Marcello Cicchese
Il nocciolo del problema mediorientale, anche e proprio nella forma in cui è vissuto oggi, si trova negli avvenimenti successivi alla prima guerra mondiale.
Partiamo dunque da questa guerra, che è "prima" non solo e non tanto perché ne è seguita una seconda, ma perché niente di simile era mai accaduto in precedenza. A ragione una volta veniva chiamata semplicemente la Grande Guerra. E anche se la seconda è stata più orribile e funesta per le tragedie che ha provocato, a ragione può essere considerata soltanto come una continuazione e una conclusione della prima, la quale resta dunque, nel suo significato, uno spartiacque fondamentale nel corso della storia.
La Grande Guerra ha prodotto il crollo di ottiche imperiali e la conclusione di ottiche coloniali. E' crollato l'impero austro-ungarico degli asburgo, l'impero germanico degli Hohenzollern, è imploso l'impero zarista dei Romanov, e, da ultimo, si è disintegrato l'impero islamico dei turchi ottomani. Quest'ultimo crollo è particolarmente significativo per il nostro discorso. Si sente dire oggi che «l'islam dominerà il mondo», ma si dimentica che l'islam ha avuto diversi secoli davanti a sé per vincere la sua religiosa "jihad", ma invece di andare avanti è tornato indietro. L'islamico impero turco è crollato di fronte alle infedeli potenze occidentali, e il fatto interessante è che i popoli arabi musulmani che di tale impero islamico facevano parte non si sono schierati a sostegno del loro stato islamico, che per tanti anni aveva ospitato la sede del califfato, ma si sono messi dalla parte degli infedeli e hanno contribuito a far crollare quello che poteva essere considerato il centro del governo islamico del mondo. In poche parole, invece di difendere l'impero islamico hanno voluto far nascere nazioni arabe. E a questo fine hanno scelto di appoggiare le nazioni contro l'impero islamico
Le nazioni occidentali, che per tutto l'Ottocento avevano fatto a gara a chi si piglia la fetta più grossa di territori africani o balcanici, all'inizio della guerra intravidero la possibilità proseguire la loro politica coloniale con la conquista di quello che ancora rimaneva dell'Impero turco ottomano.
Ha cominciato Gran Bretagna a fare le prime mosse diplomatiche. Risale alla fine del 1915, quindi dopo circa un anno di guerra, il carteggio tra Sir Henry MacMahon, Alto commissario britannico al Cairo e Al-Hussein ibn Ali, Grande Sceriffo di Mecca. Nei vaghi e ambigui termini della diplomazia, i britannici fecero balenare all'Emiro la possibilità di costituire, a guerra finita, uno stato arabo su tutti i territori abitati da arabi, in cambio di una sollevazione degli arabi contro il governo turco.
Ma bisognava tener conto della concorrenza francese. Il 16 maggio 1916, in un'ottica ancora di tipo squisitamente coloniale, Francia e Inghilterra conclusero un accordo segreto di spartizione del Medio Oriente, noto come "Accordo Sykes-Picot".
Al 1917 risale infine la ben nota Dichiarazione Balfour, con cui la Gran Bretagna promise la sua benevola attenzione per la costituzione di una "Jewish National Home" in Palestina.
La guerra finì e con essa finì il colonialismo. O meglio, finì il colonialismo aperto, quello che si poteva fare in buona coscienza assecondando il "sacro egoismo nazionale". Non è che fossero diventati tutti più buoni, ma dopo cinque anni di carneficine, anche le nazioni vincitrici si convinsero che era meglio cercare di evitare il ripetersi di orrori come quelli appena passati. Inoltre, alla guerra vittoriosa avevano partecipato anche due nazioni non europee, Stati Uniti e Giappone, che non avevano l'interesse, e forse neppure la possibilità, di amministrare colonie in una zona da loro lontana.
Nacque allora, su idea e proposta degli Stati Uniti, la Società delle Nazioni. Si tratta certamente di una novità storica di valore epocale. Questa organizzazione però non è quella superiore autorità sovranazionale che oggi alcuni pensano, a cui le nazioni dovrebbero sottomettersi. In questa visione l'autorità sovrana rimane sempre nelle mani delle Potenze alleate vincitrici, le quali si accordano e stringono un Patto solenne, aperto a tutte le nazioni civilizzate. La Società delle Nazioni diventa la custode di questo Patto, con il compito di controllare l'adempimento degli obblighi internazionali assunti e di contribuire a scongiurare per quanto possibile la guerra. Si tratta dunque di compiti di arbitrato, sorveglianza, suggerimento e stimolo, ma non di sovranità. In particolare, non rientra certo fra i poteri di questa Società il far nascere o morire una nazione.
Quello che sarà conosciuto come "Patto della Società delle Nazioni" venne stipulato nella Conferenza di Pace di Parigi del 1919 organizzata dai vincitori della prima guerra mondiale, e precisamente come integrazione del Trattato di Versailles. Anche dopo la firma di questo Patto la sovranità resta nelle mani delle Potenze alleate vincitrici, le quali, dopo aver dichiarato che gli Stati sconfitti avevano perso la sovranità sui territori da loro governati prima della guerra, stabilirono le norme secondo cui dovevano essere assegnate nuove forme di sovranità sui territori conquistati.
Elemento guida nell'attribuzione della sovranità su territori conquistati non doveva essere più la prassi coloniale dell'annessione, ma il principio dell'autodeterminazione dei popoli, secondo il quale ogni popolo sottoposto una volta a dominazione straniera aveva ora il diritto di ottenere l'indipendenza e di scegliere autonomamente il proprio regime politico.
Fondamentale è l'articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni (p. 68):
Alle colonie e ai territori che in seguito all'ultima guerra hanno cessato di trovarsi sotto la sovranità degli Stati che prima li governavano, e che sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da sé, nelle difficili condizioni del mondo moderno, si applicherà il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli è un compito sacro della civiltà, e le garanzie per l'attuazione di questo compito dovranno essere incluse nel presente patto.
Ma quali sono i popoli dell'ex Impero turco ottomano a cui la civiltà deve applicare "il compito sacro" di favorire il benessere e lo sviluppo? Qualcuno aveva già pronta la risposta, preparata ancora prima che iniziasse la Conferenza di Parigi. I popoli sono due: il popolo ebraico per la Palestina, e il popolo arabo per tutto il resto del territorio mediorientale. Era questa la proposta preparata di comune accordo da due altissimi e influenti personaggi dei due popoli: il dottor Chaim Weizmann, Presidente dell'Organizzazione Sionista mondiale, per gli ebrei; e il Grande Sceriffo di Mecca, sua Altezza Reale, Emiro Feisal Ibn al-Hussein, (figlio di quel Hussein che aveva corrisposto con MacMahon), per gli arabi.
Quel faticoso processo di pace che oggi si porta penosamente avanti, esortando con promesse ed ammonendo con minacce quei due poveretti di Netanyahu e Mahmoud Abbas, spingendoli a dialogare fino alla consunzione affinché arrivino a dividersi da bravi fratelli quel pezzetto di terra che si trova a ovest del Giordano, quell'appassionata brama di vedere "due stati per due popoli che vivono l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza", tutto questo era già pronto prima ancora che le nazioni vincitrici, ansiose di portare la civiltà ai popoli oppressi, si sedessero al tavolo della pace. La Conferenza di Parigi si aprì il 18 gennaio 1919; quindici giorni prima, il 3 gennaio 1919, i due altissimi personaggi del popolo arabo e del popolo ebraico sottoscrivevano di pari consentimento un accordo che oggi nemmeno le più candide colombe di Peace Now oserebbero formulare.
Ricordiamone il preambolo e alcuni articoli:
Sua Altezza Reale l'Emiro Feisal, in nome e per conto del Regno Arabo di Hedjaz, e il Dr. Chaim Weizmann, in nome e per conto dell'Organizzazione Sionista, memori dell'affinità razziale e degli antichi legami esistenti fra gli Arabi ed il Popolo Ebraico, comprendendo che il modo più sicuro di portare a compimento le loro aspirazioni nazionali passa attraverso una strettissima collaborazione allo sviluppo dello Stato Arabo e della Palestina, ed essendo desiderosi di confermare ulteriormente la buona intesa che esiste fra loro, si sono accordati sui seguenti Articoli.
Si notino i due binomi: Arabi e Popolo Ebraico, Stato Arabo e Palestina. Il termine Palestina equivaleva a dire Stato Ebraico.
ARTICOLO I
La più cordiale buona volontà e comprensione regoleranno tutte le relazioni e gli impegni fra lo Stato Arabo e la Palestina, e a questo fine agenti arabi ed ebrei debitamente accreditati saranno posti e mantenuti nei rispettivi territori.
ARTICOLO II
Immediatamente dopo il completamento delle delibere della Conferenza di Pace, i confini definiti fra lo Stato Arabo e la Palestina saranno determinati da un'apposita Commissione, gradita ad ambo le parti.
ARTICOLO III
Nello stabilire la Costituzione e l'Amministrazione della Palestina si adotteranno tutte le misure possibili per garantire l'applicazione della Dichiarazione del Governo Britannico del 2 novembre 1917.
ARTICOLO IV
Si prenderanno tutte le misure per incoraggiare e stimolare l'immigrazione su larga scala degli Ebrei in Palestina e per insediare il più presto possibile gli immigranti ebrei sul territorio, mediante insediamenti contigui e coltivazione intensiva della terra. Nel prendere tali misure i diritti dei contadini e dei proprietari di tenute arabi saranno salvaguardati, ed essi saranno assistiti nel portare avanti il loro sviluppo economico. [...]
Firmato a Londra, Inghilterra, il 3 gennaio 1919.
Chaim Weizmann
Feisal Ibn al-Hussein.
Favorire lo sviluppo dello Stato ebraico significava dunque, per l'influente Sceriffo arabo della Mecca, incoraggiare e stimolare l'immigrazione su larga scala degli Ebrei in Palestina e per insediare il più presto possibile gli immigranti ebrei sul territorio, mediante insediamenti contigui e coltivazione intensiva della terra. Il Re arabo raccomanda dunque quello che oggi fanno i disprezzati "coloni" ebrei.
Perché non si è cercato di dare effetto a questo accordo di pace, che avrebbe creato "due stati per due popoli che vivono l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza"? E' ovvio: perché Gran Bretagna e Francia pensavano più al loro interessi veterocolonialistici che al bene dei popoli. Si è arrivati allora a stabilire il cosiddetto "Sistema dei Mandati".
Sostanzialmente si tratta di questo: le potenze vincitrici non si annettono terre che appartengono ad altri popoli, ma costituiscono, scegliendoli fra di loro, dei "tutori" che abbiano il compito di far crescere i popoli da loro "liberati", ma ancora bambini, fino a che, una volta diventati adulti, siano in grando di "autodeterminarsi", cioè di essere indipendenti. Come tutori per il Medio Oriente furono scelti, guardacaso, Gran Bretagna e Francia, e prima di riconoscere chi fossero e quanti fossero i popoli che aspiravano all'autodeterminazione, le due potenze si suddivisero le zone territoriali di influenza, dentro le quali avrebbero dovuto cercare e trovare qualche popolo che aspirava ad "autodeterminarsi". Quel Feisal Hussein che aveva stilato l'accordo con Chaim Weizmann, era anche quello che aveva contribuito con i britannici a liberare Damasco dai turchi, e una volta entrato a Damasco si era "autodeterminato" Re di Siria, mentre suo fratello, Abdullah Hussein, aveva deciso di accaparrarsi l'Iraq. Quanto all'Iraq, la cosa poteva andare, perché la zona rientrava nel Mandato per la Mesopotamia assegnato alla Gran Bretagna, con cui gli Hussein avevano contrattato. Ma per la Siria le cose stavano in modo diverso, perché era stato stabilito che in quella zona dovevano essere i francesi ad aiutare i popoli ad autodeterminarsi. Dopo aver aspettato per due anni che Feisal Hussein se ne andasse da solo, furono i francesi a decidersi e buttarono fuori Feisal da Damasco manu militari. E così finì quel regno di Siria che si era autodeterminato in modo non conforme alle regole coloniali.
La Gran Bretagna allora si trovò nei pasticci, perché da una parte non poteva mettersi contro la Francia, con cui aveva stipulato l'accordo segreto Sykes-Picot, e dall'altra doveva fronteggiare lo scontento degli arabi Hussein che si sentivano traditi dai britannici.
Qui venne fuori la sublime, secolare arte politica degli inglesi. Oltre al Mandato per la Mesopotamia, la Gran Bretagna aveva ricevuto anche il Mandato per la Palestina, il quale, a differenza degli altri mandati, conteneva l'indicazione precisa del popolo beneficiario: il popolo ebraico, per la costituzione della sua "National Home". Bisogna notare che con il termine "Palestina" era sempre stato inteso un territorio che si estende anche a est del Giordano, e in effetti il Mandato britannico riguardava un'ampia zona che comprendeva l'intera attuale Giordania. I britannici allora presero l'arrabbiato ex Re arabo di Siria Feisal Hussein, sfrattato in malo modo da Damasco, e per calmarlo gli diedero il governo dell'Iraq. Dopo di che sorse il problema del fratello di Feisal, Abdullah, che ormai aveva accarezzato l'idea di essere lui a diventare il governatore dell'Iraq. La decisionista Gran Bretagna risolse allora il problema in questo modo: prese tutta la zona a est del Giordano, cioè i quattro quinti del territorio assegnato dal Mandato per la Palestina al popolo ebraico, e la mise a disposizione di Abdullah Hussein. E così il problema fu risolto. A scapito del popolo ebraico, naturalmente. Ma che importa? Gli ebrei non sono potenti. E poi, a loro la parte a ovest del Giordano basta e avanza, pensavano i britannici.
E' la prima delle "dolorose privazioni" che il popolo ebraico deve subire per sperare di poter vivere in pace sulla sua terra.
Il Regno di Feisal Hussein è poi diventato l'odierno Iraq e il Regno di Abdullah Hussein è diventato l'odierna Giordania. Ci si può chiedere allora: Quali sono i popoli che aspiravano ad autodeterminarsi su quelle terre che ora occupano? Dove sono i loro legami storici con quelle terre? Esiste nella storia un popolo arabo iracheno che si è autodeterminato? Esiste un popolo arabo giordano che si è autodeterminato? No, non si sono autodeterminati per il semplice fatto che non sono mai esistiti.Ma se si vuol dire che adesso esistono, bisogna dire che si tratta di un fenomeno prodigioso. Meno di cento anni fa due popoli sono stati generati da due fratelli, e in poco tempo sono diventati due nazioni. Un autentico prodigio di biologia etnica! Hanno fatto molto più in fretta delle bibliche coppie Isacco-Ismaele e Giacobbe-Esaù.
Ma se il popolo iracheno e il popolo giordano non esistevano prima della Grande Guerra, il popolo arabo palestinese invece esiste da tempo immemorabile, da tempi anteriori alle piramidi d'Egitto, dicono i suoi attuali governanti.
Quanto alla Francia, anche da lei sono usciti due popoli per due nazioni. Per suoi interessi coloniali divise in due il territorio a lei assegnato e inventò la Siria e il Libano.
Il sistema dei Mandati escogitato dalle potenze alleate vincitrici della Grande Guerra è quindi, certamente, espressione di un residuo atteggiamento colonialistico delle nazioni occidentali, ma ha dato luogo, comunque, a un'elaborazione del diritto internazionale che arriva fino ai nostri giorni.
Se ci si rifiuta di considerare come fonte di diritto internazionale le decisioni prese dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale perché frutto di un'illegale occupazione del territorio turco, allora bisognerebbe anche dire che nazioni come Siria, Libano, Iraq, Giordania, Arabia Saudita non hanno diritto di esistenza e decidersi a ridare tutto a Erdogan con tante scuse.
In caso contrario bisogna dire che il Mandato per la Palestina ha la stessa, se non superiore, validità legale degli atti costitutivi delle altre nazioni mediorientali. Tra tutti i popoli che sono nati in conseguenza della disintegrazione dell'Impero islamico, quello che più di tutti, o forse l'unico, a cui sarebbe stato naturale applicare l'articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, cioè "il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli è un compito sacro della civiltà", era il popolo ebraico. Esso aveva:
- una collettiva identità religiosa costituita da un comune richiamo, mantenutosi vivo nei secoli, a ben precisi scritti, tradizioni e costumi ebraici;
- una collettiva identità storica annualmente ricordata nelle feste ebraiche e ravvivata nell'impegno unitario assunto nella Conferenza di Basilea del 1897;
- una connessione storica con un zona ben definita dell'ex territorio turco, i cui confini non dovevano essere inventati secondo il capriccio dei vincitori, ma esistevano già delineati in documenti esistenti da secoli in antichi testi sacri che le stesse nazioni vincitrici consideravano autorevoli.
E qui bisogna dire che avvenne uno dei primi miracoli che hanno punteggiato la storia del sionismo. Si direbbe che le Potenze Alleate vincitrici, nonostante tutti i loro calcoli politici, e pensando di perseguire i propri interessi nazionali, siano state spinte dagli eventi a riconoscere gli elementi identitari presenti nel popolo ebraico. Il testo del Mandato per la Palestina, come elaborato nella Risoluzione di Sanremo del 1920, e successivamente approvato all'unanimità dal Consiglio della Società delle Nazioni nella riunione del 1922, è l'espressione chiara di questo riconoscimento, e, insieme all'Articolo 22 del Patto delle Nazioni, costituisce la fondamentale base giuridica della legittimità internazionale dello Stato d'Israele.
Riportiamo alcuni commi del Preambolo del Mandato per la Palestina (p. 56):
... le principali Potenze Alleate si sono accordate, al fine di dare effetto alle disposizioni dell'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, per affidare a un Mandatario, scelto dalle dette Potenze, l'amministrazione del territorio della Palestina che precedentemente appartenne all'Impero turco entro i confini che potranno essere da loro determinati.
Si noti che il Mandante non è costituito dalla Società delle Nazioni, ma dalle Potenze Alleate che, avendo costituito un Patto registrato da detta Società, si accingono ora a dare effetto a uno dei suoi articoli. Sono infatti le principali Potenze Alleate quelle che prendono le decisioni.
In un Mandato, gli elementi fissi sono due: il Mandante, cioè le Potenze Alleate, e il Supervisore, cioè il Consiglio della Società delle Nazioni. Gli elementi variabili sono invece: il Mandatario e il Beneficiario. Nel caso del Mandato per la Palestina il Mandatario era la Gran Bretagna e il Beneficiario era il popolo ebraico. Il Preambolo continua così:
... le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebraico...
Dopo aver chiaramente indicato Mandatario e Beneficiario, il Preambolo indica i motivi di questa scelta:
... con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebraico con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese...
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Queste parole sono di un'importanza capitale: per nessun'altra nazione nata in Medio Oriente dopo la Grande Guerra si potrebbero dire le stesse cose. Le Potenze Alleate riconoscono una connessione storica esistente da secoli tra un popolo e una terra: questo significa che la connessione precede i fatti recentemente avvenuti e non è determinata ma soltanto riconosciuta dalle nazioni. Non si dice all'ebreo Weizmann: "Se ti comporti bene e resti nostro amico ti concediamo di diventare Re di una nazione che costituiremo su quella terra per quelli che stanno lì", come più o meno hanno fatto con i fratelli arabi Hussein, ma riconoscono che esistono già le basi per ricostituire la loro nazione in quel paese. La nazione ebraica in Palestina quindi non è stata inventata dalle Potenze Alleate vincitrici, ma riconosciuta come appartenente storicamente al popolo ebraico sulla terra che in quel momento era chiamata Palestina.
Gli articoli che regolano il Mandato sono tutti finalizzati a determinare il procedimento che avrebbe dovuto portare alla ricostituzione della nazione ebraica.
Articolo 1 - Il Mandatario avrà i pieni poteri di legislazione e di amministrazione, fatta salva la loro limitazione derivante dai termini di questo mandato.
Il Mandatario agisce come il tutore di un erede che al raggiungimento della maggiore età assumerà l'intero potere sulla sua eredità. Nel tempo di transizione il tutore, cioè il Mandatario britannico, ha i pieni poteri di legislazione e di amministrazione, ma dentro la limitazione derivante dai termini di questo mandato, il che significa che il tutore non può agire come se fosse l'erede: nel periodo di transizione il tutore esercita gli attributi della sovranità, mentre la sovranità de jure appartiene all'erede, cioè al popolo ebraico.
Questo significa che la nazione ebraica è nata de jure nel momento stesso in cui sono stati definiti e approvati i termini del Mandato per la Palestina.
L'erede ebreo ancora bambino è rappresentato dall'Organizzazione Sionista, che, proprio perché deve prepararsi ad assumere i compiti ora svolti dal tutore, è chiamato a dialogare e collaborare con lui:
Articolo 4 - Un'apposita agenzia ebrea sarà riconosciuta come persona giuridica con lo scopo di consigliare e cooperare con l'Amministrazione della Palestina in questioni economiche, sociali e altre concernenti la costituzione della nazione ebrea e gli interessi della popolazione ebrea in Palestina e, sempre soggetta al controllo dell'Amministrazione, assistere e prendere parte allo sviluppo del paese.
L'Organizzazione Sionista, fin tanto che la sua organizzazione e costituzione siano adeguate nell'opinione del mandatario, sarà riconosciuta come tale agenzia. Procederà alla consultazione col Governo di Sua Maestà Britannica per assicurare la cooperazione di tutti gli ebrei disposti a collaborare alla costituzione della nazione ebrea.
La crescita dell'erede bambino ebreo non deve avvenire soltanto in termini di istruzione, ma anche di statura fisica, cioè deve crescere numericamente come popolo:
Articolo 6 - L'Amministrazione della Palestina, nell'assicurare che i diritti e la posizione di altre parti della popolazione non siano pregiudicate, faciliterà l'immigrazione ebrea sotto condizioni appropriate e incoraggerà, in co-operazione con l'agenzia ebrea indicata nell'Articolo 4, la prossima sistemazione degli ebrei sulla terra, incluse terre dello Stato e terre incolte non richieste per scopi pubblici.
E questo dovrà avvenire non soltanto in termini di facilitazioni all'immigrazione, ma anche in termini di agevolazioni giuridiche:
Articolo 7 - L'Amministrazione della Palestina sarà responsabile per decretare una legge sulla nazionalità. Sarà incluso nelle disposizioni di questa legge quadro come facilitare l'acquisizione della cittadinanza palestinese da parte di ebrei che prendano la loro residenza permanente in Palestina.
La Gran Bretagna aveva dunque il dovere (sarà responsabile) di emanare una legge sulla nazionalità che facilitasse agli ebrei sparsi nel mondo la possibilità di acquisire... la cittadinanza palestinese. In altre parole, la legge sul ritorno avrebbe dovuto farla la Gran Bretagna durante il suo Mandato.
Quindi è mistificante presentare gli ebrei come una minoranza aggressiva che s'impadronisce con la forza di ciò che non è suo, costringendo la comunità internazionale a prendere provvedimenti punitivi. Le Potenze Alleate che hanno sconfitto l'Impero turco islamico e hanno determinato la creazione ex novo di nazioni come Siria, Libano, Iraq, Giordania, Arabia Saudita, sapevano bene che con il Mandato per la Palestina avevano deciso di ricostituire la nazione per il popolo ebraico. E sapevano benissimo che in quel momento gli ebrei su quella terra erano ancora in minoranza, e proprio per questo avevano deciso di favorire l'immigrazione degli ebrei perché potessero arrivare ad essere maggioranza. Si sapeva benissimo che, di fronte ad altri interessi, questo poteva essere un punto debole, dal momento che per qualcuno autodeterminazione significava soltanto tener conto del numero di abitanti presenti in una certa regione, ed è chiaro che in quel momento gli ebrei in Palestina erano in minoranza. Ma proprio per questo è importante sottolineare che le nazioni in quel tempo avevano riconosciuto l'esistenza di un popolo ebraico disperso e avevano deciso di favorire il suo reinserimento nella terra che storicamente gli apparteneva.
Ma per questo era necessario un periodo di tutela, affinché l'erede bambino potesse crescere e non fosse ammazzato da piccolo, prima di diventare adulto. E questo era stato pensato nel momento stesso in cui era stato elaborato il Mandato per la Palestina ed era sta scelta la Gran Bretagna come Mandatario-tutore. Nel febbraio del 1919, scrivendo al Primo Ministro britannico Lloyd George, Balfour usò queste parole:
Il punto debole della nostra posizione è che nel caso della Palestina abbiamo deliberatamente e giustamente rifiutato di accettare il principio dell'autodeterminazione [come generalmente inteso, ndt]. Se gli attuali abitanti fossero consultati, indubbiamente darebbero un giudizio antiebraico. La giustificazione per la nostra politica sta nel fatto che noi consideriamo il caso della Palestina come assolutamente eccezionale, perché giudichiamo la questione degli ebrei fuori dalla Palestina come un fatto di importanza mondiale e crediamo che gli ebrei abbiamo un'aspirazione storica ad una sede nella loro antica terra.
Per quanto riguarda i confini, la questione non fu definita nella conferenza di Sanremo, ma in successivi accordi franco-britannici. Ma anche in questo caso, sia pure nell'accanita discussione che Gran Bretagna e Francia fecero per evidenti interessi nazionali, dai britannici veniva usata spesso l'ebressione biblica "da Dan a Beersheba", ricordando con ciò, non si sa quanto consapevolmente e sinceramente, che per delimitare i confini "naturali" dello Stato ebraico è ovvio fare riferimento alla storia biblica. In ogni caso, se qualche discussione poteva sorgere sui confini settentrionali con la Siria e l'attuale Libano, era evidente che per l'Organizzazione Sionista, Palestina significava tutta la parte a occidente del Giordano e una discreta parte a oriente. Questo era stato promesso e questo era stato inteso inizialmente anche dagli interlocutori britannici.
Che cosa accadde, di fatto, in seguito? Accadde che il tutore britannico, che forse all'inizio aveva pensato di far crescere l'erede bambino sotto le sue amorevoli cure per ritrovarselo poi, da adulto, come fedele e riconoscente alleato, si accorse che intorno al bimbo si erano accumulate brame minacciose di altri aspiranti all'eredità. E allora, come spesso accade, il tutore cominciò a farsi gli affari suoi a spese del tutelato. Cominciò col rivendersi una parte consistente dell'eredità (Transgiordania), falsificò i documenti che stabilivano i diritti dell'erede (Libro bianco), prese a trattare male il bambino perchè voleva concludere affari vantaggiosi con i suoi nemici.
Alla fine del Mandato, la Gran Bretagna avrebbe dovuto concludere il suo periodo di tutela presentando al mondo, tra feste e canti, il passaggio alla maggiore età del tutelato, che lei aveva allevato e fatto crescere con amorevoli cure. Fuor di metafora, la fondazione dello Stato ebraico autonomo avrebbe dovuto avvenire sotto le ali del tutore Gran Bretagna. Accadde invece che il tutore, il quale durante il periodo di tutela aveva pensato di perseguire i suoi personali interessi cercando di salvare capra e cavoli, si spinse sempre di più verso i nemici del bambino piuttosto che verso il bambino, ma non riuscendo a zittire le grida di scontento e a evitare i calci rabbiosi del bambino, che nel frattempo era diventato un robusto e risoluto ragazzetto, diede forfait. E consegnò il tutto nelle mani del Supervisore, che nel frattempo aveva cambiato nome e si chiamava Nazioni Unite.
Il supervisore Nazioni Unite, invece di stigmatizzare l'operato del tutore e difendere legalmente l'erede nella sua legittima proprietà, decise di tagliare anche lui un'altra fetta dell'eredità, dopo quella già tagliata dal tutore, per metterla a disposizione dei nemici dell'erede, offrendo loro, su un piatto d'argento, uno stato nuovo di zecca, inventato di sana pianta: uno stato arabo palestinese. Ma i nemici dell'erede non accettarono nemmeno quello: volevano l'eredità e la morte dell'erede.
Ma l'erede non morì. E invece di ricevere la corona della sovranità nazionale dalle mani di chi fino ad allora l'aveva esercitata per suo conto, cioè il Mandatario britannico, se la mise in testa da solo, come Napoleone, e immediatamente si trovò contro i nemici di prima appoggiati dal suo ex tutore, ansioso di partecipare anche lui all'imminente bottino. Ma il bottino non ci fu, e i nemici dell'erede, insieme all'ex tutore che maneggiava in seconda fila, si ritirarono scornati.
Conclusioni riassuntive:
- Lo Stato d'Israele non è il frutto tardivo del colonialismo delle potenze occidentali, ma, al contrario, le sue difficoltà sono dovute al perdurare di atteggiamenti colonialstici europei che hanno favorito la nascita di Stati arabi come Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita, mentre hanno danneggiato la fondazione dello Stato ebraico.
- La legittimità nazionale dello Stato ebraico non nasce nel 1947 con la Risoluzione 181 dell'Onu, ma nel 1920 con la Risoluzione di Sanremo stabilita dalle potenze alleate vincitrici della prima guerra mondiale:
- La Risoluzione di spartizione 181 non è la benevola dichiarazione che ha fatto nascere lo Stato d'Israele, ma, al contrario, è la malevola prevaricazione che ha causato l'illegale decurtazione di una parte consistente della terra che già apparteneva, de jure, allo Stato ebraico.
- L'Olocausto non è la molla che ha spinto le nazioni, per rimorso e volontà di compensazione, a dare agli ebrei una nazione, ma, al contrario, è la tragedia che ha costretto l'Organizzazione Sionista e l'Agenzia Ebraica ad accettare, obtorto collo, la spartizione della loro terra perché era assolutamente urgente dare asilo alle migliaia di profughi ebrei scampati all'Olocausto, e che nessuno, a cominciare dalla Mandataria Gran Bretagna, voleva accogliere.
- Uno Stato palestinese, nel senso geografico del termine, esiste già, ed è lo Stato ebraico d'Israele. Uno stato arabo palestinese non ha alcuna legittimità nella terra che, fin dall'inizio delle trattative successive alla prima guerra mondiale, è stata destinata dalle potenze alleate vincitrici ad essere la sede della nazione ebraica.
- Il costituendo stato arabo nella cosiddetta Palestina non nasce con l'intenzione di vivere accanto allo Stato ebraico, ma, al contrario, con il solo scopo di arrivare a distruggerlo. Chi pensa di dar prova di moderazione parlando di "due stati per due popoli che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza" contribuisce, che lo voglia o no, in buona fede o no, al raggiungimento dell'obiettivo arabo.
- Per anni la politica d'Israele è stata "terra in cambio di pace": non ha ottenuto niente. Ma il guaio ancora più grande è che Israele ha dato "diritti in cambio di pace". La terra, la vedono tutti. Per vedere i diritti invece bisogna leggere, documentarsi, studiare, se si vuole restare sul terreno della verità e della giustizia. Se invece si predilige la via della forza e della real politik, studiare non serve: basta sparare, quando si può; e mentire, quando non si può. Meglio ancora quando si possono fare le due cose insieme.
Con gli accordi di pace i nemici di Israele, non riuscendo ad abbatterlo subito con la violenza, sono riusciti a metterlo su un piano inclinato. Con piccoli, graduali scossoni provano ripetutamente, con pazienza e tenacia, a farlo scivolare dolcemente sempre più in basso, aspettando soltanto il momento in cui sarà arrivato abbastanza in basso da non esserci più bisogno del piano inclinato: una mazzata e via. Lasciando che si sfilasse da Israele un diritto dopo l'altro, era inevitabile che si arrivasse a parlare di "diritto all'esistenza". Molti lo stanno già facendo, ma evidentemente c'è bisogno che il coro aumenti. E la prossima assemblea generale dell'Onu sarà un'altra prova del coro, con l'inserimento dei nuovi coristi.
Termino, come cristiano evangelico che s'interessa di questi argomenti per motivi strettamente legati alla sua fede, con una mia breve personale interpretazione biblica di questi fatti.
Dopo la distruzione del primo Tempio, Dio non ha più promesso a Israele il suo sostegno per guerre di conquista o riconquista. Con la presa di Gerusalemme da parte dei babilonesi hanno avuto inizio i cosiddetti "tempi dei gentili", durante i quali Dio continua a proteggere l'esistenza del suo popolo, ma lo fa esercitando il suo potere su e attraverso i gentili. Il primo rientro a Gerusalemme degli ebrei non fu una "riconquista", ma la benevola concessione di un monarca pagano persiano, di cui la Bibbia dice che l'Eterno gli destò lo spirito:
Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché s'adempisse la parola dell'Eterno pronunziata per bocca di Geremia, l'Eterno destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale, a voce e per iscritto, fece pubblicare per tutto il suo regno quest'editto: 'Così dice Ciro, re di Persia: L'Eterno, l'Iddio dei cieli, m'ha dato tutti i regni della terra, ed egli m'ha comandato di edificargli una casa a Gerusalemme, ch'è in Giuda. Chiunque tra voi sia del suo popolo, sia il suo Dio con lui, e salga a Gerusalemme, ch'è in Giuda, ed edifichi la casa dell'Eterno, dell'Iddio d'Israele, dell'Iddio ch'è a Gerusalemme (Esdra 1:1-3).
Il Mandato per la Palestina può essere visto come qualcosa dello stesso tipo. Le Potenze vincitrici sono state spinte a riconoscere l'identità storica del popolo ebraico e hanno deciso di favorirne il rientro sulla sua terra. Considero questo come un'espressione della sovranità di Dio che si esercita sugli uomini e attraverso gli uomini, che essi ne siano consapevoli o no, che essi lo vogliano o no.
E considero la marcia indietro delle nazioni come una manifestazione di ribellione degli uomini, che Dio permette per il compimento pieno della sua opera.
Se dopo la distruzione del primo Tempio Dio non ha promesso e non ha dato a Israele il suo appoggio per guerre di conquista, è però intervenuto direttamente e miracolosamente in sua difesa ogni volta che i popoli hanno manifestato l'intenzione di annientarlo. Questo è avvenuto almeno tre volte nella storia: nella guerra dei Maccabei, nella guerra d'indipendenza del 1948 e nella guerra dei sei giorni del 1967.
Potrebbe sembrare che questo non sia avvenuto contro la volontà sterminatrice dell'Impero romano nel '70 e nel 135, ma questo è solo apparente. La sussistenza del popolo ebraico per quasi duemila anni in condizioni impossibili fa capire che per Dio è soltanto una questione di tempo. La ricostituzione dello Stato ebraico ne è una conferma: "Israele esiste".
Ma esiste anche, rinnovata e rinforzata, la volontà delle nazioni di distruggerlo. Nient'altro significa oggi l'assemblea generale delle Nazioni Unite di questi giorni. La costituzione dello stato arabo in Palestina non ha altra motivazione e altro obiettivo che la distruzione dello stato d'Israele. Questo proposito viene alla luce in modo sempre più chiaro, ma questo accade affinchè le nazioni raggiungano l'adeguato livello di iniquità e siano mature per il giudizio. Ad Abramo Dio rivelò inaspettatamente, in una notte tremenda, che i suoi discendenti non sarebbero entrati subito nella Terra Promessa, ma che sarebbero stati schiavi per quattrocento anni e sarebbero rientrati soltanto alla quarta generazione "perché l'iniquità degli Amorei non è giunta finora al colmo" (Genesi 15:6).
L'iniquità delle nazioni contro Israele non è ancora, forse, giunta al colmo. Ma al colmo si sta velocemente avvicinando.
(Notizie su Israele, 25 settembre 2011)
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