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Salmo 109

Riflessioni sul Salmo 109

di Marcello Cicchese

  1. Per il maestro del coro. Salmo di Davide.
    O Dio della mia lode, non tacere,
  2. perché bocca di malvagio e bocca d'inganno si sono aperte contro di me; hanno parlato contro di me con lingua di menzogna.
  3. Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo;
  4. in risposta al mio amore mi accusano. E io resto in preghiera.
  5. Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore.
  1. Costituisci un empio sopra di lui, un accusatore si tenga alla sua destra.
  2. Sia giudicato ed esca condannato; la sua preghiera gli sia imputata a peccato.
  3. Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo ufficio.
  4. Siano orfani i suoi figli e vedova sua moglie.
  5. Vadano errando i suoi figli e accattino; cerchino pane lontano dalle loro case in rovina.
  6. Getti l'usuraio le sue reti sui suoi beni; facciano preda gli estranei delle sue fatiche.
  7. Nessuno mostri a lui benevolenza, e non si trovi chi abbia pietà dei suoi orfani.
  8. Sia distrutta la sua progenie; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome!
  9. Sia ricordata dall'Eterno l'iniquità dei suoi padri, e il peccato di sua madre non sia cancellato.
  10. Restino sempre davanti all'Eterno quei peccati e faccia Egli sparire dalla terra la sua memoria.
  11. Perché non ha voluto aver pietà, ma ha perseguitato il povero e bisognoso, chi aveva il cuore spezzato, per ucciderlo.
  12. Ha amato la maledizione, ricada essa su di lui; non ha gradito la benedizione, resti essa lontana da lui.
  13. Si è avvolto di maledizione come di un vestito, penetri essa come acqua in lui, come olio nelle sue ossa.
  14. Sia per lui come un manto che lo ricopre, come una cintura che sempre lo cinge!
  15. Tale sia da parte dell'Eterno la ricompensa dei miei accusatori, e di quelli che proferiscono del male contro l'anima mia.
  1. Ma tu, Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amore del tuo nome;poiché buona è la tua misericordia, liberami!
  2. Perché povero e bisognoso son io e il mio cuore è ferito dentro di me.
  3. Me ne vado come un'ombra che s'allunga, sono scosso via come una locusta.
  4. Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, la mia carne deperisce e dimagra.
  5. Son diventato un obbrobrio per loro; mi guardano e scuotono il capo.
  6. Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami secondo la tua benignità.
  7. E sappiano essi che questa è la tua mano, che sei tu, o Eterno, che agisci.
  8. Essi malediranno, ma tu benedirai; s'innalzeranno, ma saranno confusi, e il tuo servo esulterà.
  9. I miei accusatori saran vestiti di vituperio e avvolti nella vergogna come in un manto!
  10. Ad alta voce io celebrerò l'Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo a molti;
  11. perché Egli sta alla destra del povero per salvarlo da quelli che lo condannano a morte.

Se il salmo 23 è uno dei più noti e amati del salterio, il salmo 109 è uno dei più negletti e quasi temuti. Se il primo si svolge in un clima pacato e dolce, il secondo erompe in un tono impetuoso e aggressivo. Il salmo appartiene - secondo un'approssimata classificazione - al genere dei cosiddetti "salmi imprecatori", contenenti violente maledizioni, minacciose esecrazioni, gridi di vendetta. Eppure in sostanza il Salmo 109 è una preghiera: è il grido appassionato di un supplicante che chiede a Dio di intervenire in suo favore.
  E' in forma personale, ma certamente non è un puro sfogo intimistico, perché Davide è re d'Israele, e le parole di questa preghiera sono presentate al maestro del coro per essere cantate dalla comunità nel servizio di culto al Signore. Certo, come scrive Charles H. Spurgeon (1834-1892) nel suo The Treasury of David, il suo monumentale commentario ai Salmi, "Yet it is by no means easy to imagine the whole nation singing such dreadful imprecations". Ma se le cose stanno così, bisogna prenderle per quel che sono.
  Nel commentario evangelico di William MacDonald, dopo le spiegazioni sul salmo 109 l'autore sente il dovere morale di fare un apposito excursus sui salmi imprecatori. Comincia così: "Sarebbe intellettualmente disonesto procedere senza affrontare il problema presentato dai salmi imprecatori. La difficoltà, naturalmente, sta nel conciliare lo spirito aggressivo e giudicante di questi salmi con lo spirito di perdono e amore affidato altrove al popolo di Dio. E poiché il Salmo 109 è il «re» dei Salmi imprecatori, questo sembra il posto giusto per affrontare questo argomento." Dopo di che l'autore indica tre o quattro chiavi di lettura di questo salmo presenti in letteratura, avvertendo che nessuna di esse lo convince. Alla fine ne aggiunge una sua, che però a chi scrive non appare più convincente delle altre.
  Esiste poi un tipo popolare di interpretazione di passi difficili come questo che spiega tutto presentando il Dio dell'Antico Testamento degli ebrei diverso dal Dio dei Nuovo Testamento dei cristiani: il primo sarebbe severo e duro, il secondo misericordioso e amabile. E' un tipo di lettura "cristiana" certamente da scartare, ma in che modo gli ebrei la contraddicono? Prendiamo un esempio dal libro dei Numeri:

    "Mentre i figli d'Israele erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva della legna in giorno di sabato. Quelli che l'avevano trovato a raccogliere la legna lo portarono a Mosè, ad Aaronne e a tutta la comunità. E lo misero in prigione, perché non era ancora stato stabilito che cosa gli si dovesse fare. E l'Eterno disse a Mosè: 'Quell'uomo dev'essere messo a morte; tutta la comunità lo lapiderà fuori del campo'. Tutta la comunità lo condusse fuori del campo e lo lapidò; e quello morì, secondo l'ordine che l'Eterno aveva dato a Mosè" (Numeri 15:32-36).

Questa non è una descrizione di fallibili comportamenti umani, questa è Torah: ordine di Dio. E' anche strano che gli israeliti non sapessero che cosa si dovesse fare in un caso simile, perché Dio l'aveva già detto nell'ordine solenne con cui aveva concluso il discorso fatto a Mosè quando gli aveva consegnato le due tavole di pietra che sancivano l'originario patto del Sinai (Esodo 31:12-18). Per ben due volte in quel passaggio Dio ripete che chi trasgredisce il sabato deve essere messo a morte. Il precetto dunque ha un valore fondante per il patto, ed è per questo infatti che la sua puntigliosa osservanza è stata mantenuta viva nel corso dei secoli. Ma non si può fare a meno di sottolineare che nella forma originaria del patto del Sinai il mettere a morte il trasgressore del sabato fa parte dell'osservanza del precetto del sabato. Viene osservato oggi il precetto?
  Riportiamo poi un altro passaggio del discorso di Mosè al popolo che si appresta ad entrare nella terra promessa:

    "Se tuo fratello, figlio di tua madre, o tuo figlio o tua figlia o la moglie che riposa sul tuo seno o l'amico che ti è come un altro te stesso t'inciterà in segreto, dicendo: 'Andiamo, serviamo ad altri dèi': dèi che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto, dèi dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani, da una estremità all'altra della terra, tu non acconsentire, non gli dar retta; l'occhio tuo non abbia pietà per lui; non lo risparmiare, non lo nascondere; anzi uccidilo senz'altro; la tua mano sia la prima a levarsi su di lui, per metterlo a morte; poi venga la mano di tutto il popolo; lapidalo, e muoia, perché ha cercato di spingerti lontano dall'Eterno, dall'Iddio tuo, che ti trasse dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. E tutto Israele l'udrà e temerà e non commetterà più in mezzo a te una simile azione malvagia" (Deuteronomio, 13:6-11).

Passi come questo appaiono brutali ai nostri occhi, ma la soluzione non sta nel chiudere gli occhi. Si tenga presente comunque che sono un problema non solo per gli ebrei, ma anche per i cristiani che non fanno distinzione tra il Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento. Liberi pensatori e teologi storico-critici risolvono presto la questione inserendo il tutto in un quadro culturale in cui collocano vari modi umani di immaginare la divinità, ma chi crede nell'autorità divinamente ispirata della Sacra Scrittura non può che sentirsi obbligato a dare spiegazioni testuali che facciano riferimento alla Bibbia, e soltanto ad essa. Purtroppo invece molti evangelici, anche tra quelli più rigorosamente "fondamentalisti", risolvono la cosa evitando di parlarne.
  E' un fatto comunque che al problema della "violenza" di Dio nei testi biblici non si può dare una risposta semplice e immediata, perché dipende dal modo in cui si considera la Bibbia nel suo insieme e se ne indica il centro del messaggio. Affrontare un testo "terribile" come il salmo 109 può essere visto come un tentativo di muoversi verso l'individuazione di questo centro.
  Inizieremo ad esaminare il testo così come si presenta.

  1. O Dio della mia lode, non tacere,
Davide rivolge la sua parola a Dio esprimendogli ammirazione per quello che è e che fa; perché allora Dio a sua volta non rivolge la sua parola a lui, che adesso si trova in mezzo ai guai? Perché tace, come se quello che capita al suo servo (v. 28) non lo riguardasse? La supplica "non tacere" può significare "non restare inerte, prendi posizione, fatti sentire".
  1. perché bocca di malvagio e bocca d'inganno si sono aperte contro di me; hanno parlato contro di me con lingua di menzogna.
Davide non dice di essere perseguitato da delinquenti e impostori, ma indica i suoi nemici a partire dalla bocca. E' quella che li rivela come malvagi e ingannatori; sta lì il corpo del reato. Qualunque sia il motivo del contrasto, i nemici pensano di vincere a forza di colpi diffamatori diretti contro la persona stessa di Davide. Non  ricercano suoi eventuali punti deboli per colpirlo con parole veritiere, ma facendo un uso sconfinato della menzogna lanciano accuse su accuse inventando storie di ogni tipo, tanto più efficaci quanto più risultano devastanti per l'equilibrio della persona e il valore della sua reputazione.
  1. Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo;
E' fatta dunque di parole l'artiglieria di guerra dei suoi nemici. Lo attaccano da tutte le parti; lo circondano di invettive; ad ogni spiegazione che prova a dare lo colpiscono con nuove accuse; non gli danno scampo. Davide avverte con dolore e sconforto che alla base della furia con cui si scagliano contro di lui c'è l'odio, un odio puro che non ha bisogno di altri motivi per muovere guerra all'oggetto odiato.

  1. in risposta al mio amore mi accusano. E io resto in preghiera.
Qui emerge un aspetto che rende ancor più grave l'atteggiamento di questi nemici. Non hanno motivi validi di accusa, non possono dire di aver subito dei torti da parte di Davide, ma anzi è vero il contrario: Davide sostiene di aver avuto espressioni e comportamenti d'amore verso di loro, e adesso ne viene ripagato con attacchi violenti e immotivati. Davide non risponde ai suoi nemici sulla stessa lunghezza d'onda, non apre la bocca contro di loro, ma rivolge le sue parole in preghiera a Dio. Chiede a Lui di parlare. Ma come Giobbe si lamenta di un silenzio di Dio per lui incomprensibile.
  1. Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore.
Se le cose stanno come Davide le descrive, la malvagità dei suoi nemici è di una gravità estrema. E' stato detto che rispondere al male col male è umano, ma rispondere al bene col male è diabolico. Di questo appunto si tratta. Come nel caso di Giobbe, nello scontro umano tra Davide e i suoi nemici si svolge una guerra il cui vero campo di battaglia è sovrumano.  Questo spiega quel "io resto in preghiera" di Davide, che non è una semplice richiesta di aiuto, ma un invito a Dio a coinvolgersi attivamente nella battaglia, perché la guerra è sua. Alla fine del salmo infatti dice: "Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami ... e sappiano essi ... che sei tu, o Eterno, che agisci". Davide è un servo di Dio (v. 28), dunque un combattente del suo esercito, ma la guerra è guerra di Dio, dunque la vittoria deve risultare a Sua gloria e a vituperio dei nemici di Dio, che nella lotta si presentano come nemici di Davide (v. 29).
  "Odio in cambio d'amore": sta forse qui la chiave dell'enigma di questo salmo?

- 2 -

Dal versetto 6 fino al 15 la preghiera di Davide si trasforma in una violenta requisitoria contro un imprecisato lui. Il passaggio dal plurale al singolare è brusco,  ma più avanti, nei versetti 20 e 29, Davide tornerà a nominare i "miei accusatori", a conferma del fatto che contro di lui si è formata una congiura di più elementi ma con una mente unica che pensa e dirige le operazioni. Non si sa nulla di specifico sulle circostanze e le persone a cui si riferisce la preghiera, ma anche questo dev'essere considerato indicativo: non è necessario saperlo. Dio lo sa, e questo basta. Chi legge o recita questa preghiera deve trarre istruzione dal modo in cui è vissuta ed espressa la relazione fra i tre elementi principali del salmo: Davide, l'Eterno e "lui", il capo dei congiurati.
  Certo, per Charles Spurgeon come per molti altri è difficile "to imagine the whole nation singing such dreadful imprecations", ma potrebbe essere vero il contrario: è meno urtante pensare a questo testo come a una sorta di inno nazionale con cui il popolo celebra la gloria del suo Dio usando le parole sofferte del suo re Davide. Si pensi per esempio al primo "inno nazionale" cantato dai figli d'Israele dopo essere usciti dall'Egitto: 

    Allora Mosè e i figli d'Israele cantarono questo cantico all'Eterno, e dissero così: «Io canterò all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere [...] Egli ha gettato in mare i carri di Faraone e il suo esercito, e i migliori suoi condottieri sono stati sommersi nel mar Rosso. Gli abissi li coprono; sono andati a fondo come una pietra [...] E Miriam, la profetessa, sorella d'Aaronne, prese in mano il timpano, e tutte le donne uscirono dietro a lei con dei timpani, e danzando. E Miriam rispondeva ai figli d'Israele: 'Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere' (Esodo 15:1,4,21,22).

Israele eleva il suo primo inno corale a Dio della storia  avendo sotto gli occhi i corpi dei cavalli e dei cavalieri egiziani gettati in mare e arenati sulla terra asciutta: 

    Così, in quel giorno, l'Eterno salvò Israele dalle mani degli Egiziani, e Israele vide sul lido del mare gli Egiziani morti (Esodo 14:30).

Quando si è in guerra si desidera la sconfitta del nemico e ci si rallegra quando avviene. Nel salmo 109 il re d'Israele eleva la sua voce a Dio dall'interno di una situazione di guerra. Non una guerra politica fra popoli e nazioni, dove Davide si era sempre dimostrato forte e valido, ma una lacerante guerra spirituale combattuta dal nemico non con lance e pietre, ma con le frecce avvelenate della menzogna. E soprattutto è una guerra non contro nemici esterni, ma contro lui, un tremendo e determinato nemico interno. Più precisamente: un traditore.
  Si dice che la guerra è spirituale non perché riguardi forme morali di comportamento, ma perché non si esaurisce nella sua parte visibile orizzontale, ma contiene invisibili collegamenti verticali con il mondo di sopra, dove si trova il trono di Dio. 
  Si può fare un collegamento con quella preistoria israeliana che è il libro di Giobbe, in cui si rivela che c'è un Satana nei "luoghi celesti" (Efesini 6:12) che dialoga e compete con l'Eterno su tutto ciò che avviene sulla terra. La radice ebraica סטן (satan) compare 4 volte in questo salmo (vv. 4, 6, 20, 29), in termini che qui abbiamo sempre tradotto usando la radice italiana "accusa".
  Anche se abbiamo detto che non si può sapere chi sia questo lui, è legittimo ricercare nella Bibbia esempi che possano accostarsi a quanto qui è descritto.
  Il primo esempio a cui si può avvicinare questo lui  è Saul. Ma anche se non fosse Saul, l'importante è che l'offensiva accusatoria contro Davide sia compresa come un attacco alla sua legittimità di re designato dall'Eterno. Questo spiega la violenza delle "bocche aperte", che non lanciano generici insulti, ma attacchi giuridici di grossa portata con l'uso spregiudicato della menzogna in tutte le sue tonalità.
  La questione dunque è politica. Riguarda il progetto di Dio di instaurare il suo regno sulla terra. Ma è un progetto a cui si oppone tenacemente Satana,  a cui Dio concede, come ha fatto con Giobbe, un uso condizionato di certe armi al fine di portare  a compimento il Suo progetto nei modi da lui scelti e nei limiti che si è dato.
  Come nei casi di Giobbe e Giona, anche qui abbiamo un servo di Dio che ha con il suo Signore un rapporto sofferto. Quando Davide fu unto re da Samuele per ordine di Dio, in Israele quasi nessuno lo sapeva. Soltanto gli anziani di Betlemme e la famiglia di Isai assistettero alla strana cerimonia con cui Samuele, dopo aver passato in rassegna tutti i figli di Isai, insediò il giovane Davide come re d'Israele. 

    Poi Samuele disse ad Isai: 'Sono questi tutti i tuoi figli?' Isai rispose: 'Resta ancora il più giovane, ma è a pascere le pecore'. E Samuele disse ad Isai: 'Mandalo a cercare, perché non ci metteremo a tavola prima che sia arrivato qua'. Isai dunque lo mandò a cercare, e lo fece venire. Egli era biondo, aveva dei begli occhi e un bell'aspetto. E l'Eterno disse a Samuele: 'Alzati, ungilo, perché è lui'. Allora Samuele prese il corno dell'olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli; e, da quel giorno in poi, lo spirito dell'Eterno investì Davide. Poi Samuele si alzò e se ne andò a Rama. Ora lo spirito dell'Eterno si era ritirato da Saul, che era turbato da un cattivo spirito da parte dell'Eterno (1 Samuele 16:11-14).

L'azione dello spirito dell'Eterno su Davide e dello spirito cattivo su Saul fa capire che la guerra fra i due si svolge su due livelli: uno terrestre, uno celeste. In poche parole: Davide è l'uomo di Dio, Saul è l'uomo di Satana. 
  Che sia o no Saul il lui a cui si riferisce il salmo, in ogni caso si può pensare che sia qualcuno in cui Satana ha visto la possibilità di farne un suo strumento per contrastare l'istituzione del regno di Dio sulla terra sotto la sovranità di Davide. E si può anche pensare che questo lui sia riuscito ad arrivare talmente avanti nel suo progetto da indurre Davide a chiedersi preoccupato: ma il Signore che fa? Perché non interviene? Di qui la sua supplica accorata: O Dio della mia lode, non tacere! 
  La guerra si combatte anche in cielo, ma è sulla terra che se ne vedono i risultati. Davide, che si trova sulla terra, osserva l'empio eseguire le sue macchinazioni e ottenere risultati promettenti che sembrano far fallire il piano del regno di Dio. Davide è un servitore del Signore, ma anche per lui arriva il momento in cui comincia a temere che le cose non vadano a finire come si aspettava. Allora si rivolge in preghiera a quel Dio per cui lavora; e non si limita a chiedergli aiuto, ma comincia a suggerirgli quello che dovrebbe fare per sventare il piano di quell'empio.

  1. Costituisci un empio sopra di lui, un accusatore si tenga alla sua destra.
  2. Sia giudicato ed esca condannato;  la sua supplica  gli sia imputata a peccato.
  3. Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo ufficio.
   Quell'empio occupa nella società un posto alto, da cui ritiene di poter accusare e giudicare Davide con la semplice forza delle sue parole, anche se sono pure menzogne. "Ripagalo allora con la stessa moneta - sembra dire Davide -: metti un empio come lui in una posizione superiore alla sua e in concorrenza con lui, che lo accusi con parole menzognere e lo giudichi e lo condanni con motivazioni ingiuste come quelle che ha usato contro di me. E la sua condanna sia definitiva, tanto che se provasse a chiedere uno sconto di pena, la sua stessa supplica gli sia considerata come una colpa che aggrava la sua pena. Perda poi la sua posizione pubblica; sia abbreviata la sua carriera e conosca il disonore della destituzione dal suo ufficio per essere sostituito da un altro". 
  Chi prova a difendere Davide spesso invoca questioni di giustizia del tipo "chi sbaglia, paga", ma sono spiegazioni moralistiche che mal si applicano alle successive imprecazioni su figli, progenie e genitori. Qui non è in gioco una questione di giustizia generale, ma di concreta politica. Politica del regno di Dio, dunque riguardante cielo e terra. Quell'empio sta tentando di mettere le mani su questo regno; Davide ne avverte la pericolosità e chiede a Dio di distruggere tutte le relazioni che lo  legano oggi, l'hanno legato ieri, e potrebbero ancora legarlo domani alla società che costituisce il regno di Dio. 
  Dopo aver chiesto a Dio di rompere i rapporti istituzionali di quell'empio con la società, Davide passa ai rapporti familiari.

  1. Siano orfani i suoi figli e vedova sua moglie.
  2. Vadano errando i suoi figli e accattino; cerchino pane lontano dalle loro case in rovina.
Parlando di orfani e vedova è chiaro che Davide chiede a Dio, in forma indiretta, di far morire quell'empio. Non chiede la morte di moglie e figli, ma il loro permanere in vita sulla terra dovrà esprimere nelle sue conseguenze familiari l'originario giudizio di Dio su lui. La moglie si adatti a vivere senza lamenti nella sua posizione di vedova; i figli vaghino senza fissa dimora per il mondo vivendo di elemosina. Il livello del loro rapporto con la società dovrà essere basso.

  1. Getti l'usuraio le sue reti sui suoi beni; facciano preda gli estranei delle sue fatiche.
Dopo aver toccato  temi istituzionale e familiare, Davide affronta il tema dei rapporti di lavoro e proprietà. Non dovranno rimanere aziende o capitali che ricordano il suo nome nel mondo degli affari; i suoi beni dovranno cadere in mano agli strozzini, e di tutto quello che in qualche modo è riuscito ad accaparrarsi si dovrà vedere che non sarà lui a trarne profitto. E neppure i suoi figli, il cui posto non sarà certamente fra gli eredi, ma fra gli accattoni. 

  1. Nessuno mostri a lui benevolenza, e non si trovi chi abbia pietà dei suoi orfani.
  2. Sia distrutta la sua progenie; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome!
Qui Davide alza lo sguardo sul futuro: pensa al dopo. Non dovrà avvenire che la compassione sollevata dalla misera vita dei suoi orfani possa spingere le persone a ricordare con nostalgia i tempi in cui c'era lui, il rimpianto campione che alcuni, chissà perché, vollero abbattere. No, il suo ricordo non può, non deve essere in benedizione. Quindi dopo aver concesso agli orfani di sopravvivere, nella seconda generazione sia cancellato il loro nome e sia distrutta in eterno la progenie di quell'empio.

  1. Sia ricordata dall'Eterno l'iniquità dei suoi padri, e il peccato di sua madre non sia cancellato.
  2. Restino sempre davanti all'Eterno quei peccati  e faccia Egli sparire dalla terra la sua memoria.
Da queste parole si deduce che Davide conosce la famiglia da cui proviene lui e ritiene che i suoi genitori siano responsabili di come lo hanno educato e istruito. Forse l'hanno allevato sperando di avere in lui il vanto della famiglia, quindi incoraggiandolo e sostenendolo nel suo ambizioso progetto di supremazia. Davide chiede allora che il ricordo di lui e della sua famiglia sia interamente cancellato dalla memoria degli uomini; e viceversa chiede che non sia mai più cancellato dalla memoria di Dio il ricordo delle loro iniquità e dei loro peccati.
  E' indubbiamente un giudizio durissimo, che così com'è non è trasferibile in nessuna relazione puramente orizzontale tra uomini: è inutile quindi ricamarci sopra con fili psicologici. Ogni tentativo di spiegazione deve assolutamente far intervenire in forma diretta il personaggio principale della Bibbia, cioè Dio stesso. E chi lo fa deve sempre tener presente che lo fa a proprio rischio e pericolo.
  1. Perché non ha voluto aver pietà, ma ha perseguitato il povero e bisognoso, e chi aveva il cuore spezzato, per ucciderlo.
Davide qui mostra di conoscere per esperienza la persona di cui sta parlando, perché il povero e bisognoso (עני ואביון) che quell'empio ha perseguitato e tentato di uccidere è proprio lui, Davide, che infatti più avanti si rivolge a Dio con le stesse parole: povero e bisognoso (עני ואביון) io sono. E aggiunge: il mio cuore è ferito dentro di me (v. 22), ma lui non ha avuto alcuna pietà; infatti era prontissimo a uccidere chi aveva il cuore spezzato (v. 16).
  Il riferimento al cuore ferito e spezzato fa capire che Davide si sente colpito alle spalle da qualcuno che considerava suo amico, qualcuno che aveva amato (v. 4), a cui aveva fatto del bene (v. 5), di cui aveva avuto fiducia. Esperienze simili sono davvero laceranti, e Davide ne può dare testimonianza:

    “Anche l’amico con cui vivevo in pace, nel quale confidavo, che mangiava il mio pane, si è schierato contro di me” (Salmo 41:9);
    “Se mi avesse offeso un nemico, l’avrei sopportato; se un avversario avesse cercato di sopraffarmi, mi sarei nascosto da lui; ma sei stato tu, l’uomo ch’io stimavo come mio pari, mio compagno e mio intimo amico”
    (Salmo 55:12,13).

Dunque quell'empio non è un semplice nemico: è un traditore.

  1. Ha amato la maledizione, ricada essa su di lui; non ha gradito la benedizione, resti essa lontana da lui.
  2. Si è avvolto di maledizione come di un vestito, penetri essa come acqua in lui, come olio nelle sue ossa.
  3. Sia per lui come un manto che lo ricopre, come una cintura che sempre lo cinge!
La situazione in cui si trova quell'empio traditore è spaventosa. Può essere ben descritta da un passaggio del Nuovo Testamento:

    "La terra che beve la pioggia che viene spesse volte su lei, e produce erbe utili a quelli per i quali è coltivata, riceve benedizione da Dio; ma se porta spine e triboli, è riprovata e vicina ad esser maledetta; e la sua fine è di essere arsa" (Ebrei 6:7-8).

La pioggia della benedizione di Dio che cadeva sull'empio quando Davide gli manifestava amore, a contatto con la sua falsa coscienza si è trasformata in maledizione. A questa lui non ha cercato di resistere, anzi l'ha accolta: ha trovato interessante essere maledetto da Dio; la Sua benedizione non lo interessava. Dunque resti essa lontana da lui. Per sempre.
   Si è fatto vanto della maledizione di Dio e se ne è avvolto "come di un vestito", traendone tutta la diabolica forza che gli era utile per i suoi scopi. Così è arrivato a un punto di non ritorno. Penetri dunque la maledizione come acqua in lui, come olio nelle sue ossa, esclama Davide. Accada a lui quello che ha voluto. Ha voluto avvolgersi di maledizione come di un vestito, sia dunque la maledizione l'ultimo, definitivo vestito che lo avvolge. Gli serva la maledizione anche come cintura che lo stringe e lo lega per sempre
  Davide poi conclude la sua sofferta invettiva con una tremenda esecrazione:

  1. Tale sia da parte dell'Eterno la ricompensa dei miei accusatori, e di quelli che proferiscono del male contro l'anima mia.
Qui le cose si fanno difficili per i cristiani, ma per altro verso anche per gli ebrei. Davide, il re d'Israele, l'archetipo del Signore Gesù, invoca da Dio il male su tutti coloro che gli fanno o gli augurano del male, e lo fa con le terribili parole riportate sopra. Come si inserisce tutto questo nella dottrina cristiana o nella prassi ebraica? Naturalmente ci sono diversi tentativi di spiegazione, ma sono degni di essere presi in considerazione solo quelli che non girano intorno al problema, ma l'affrontano di petto e propongono una soluzione. 
  Il problema dunque esiste, bisognerà riparlarne.

- 3 -

Dopo aver dato suggerimenti a Dio su come trattare il traditore che capeggia la schiera dei suoi accusatori, Davide chiede al Signore di rivolgere a lui la sua attenzione. 
  La richiesta di aiuto di Davide non è generica, ma si basa su tre motivi.
  Il primo riguarda Dio stesso.

  1. Ma tu, Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amore del tuo nome; poiché buona è la tua misericordia, liberami!
Qui è in gioco il nome di Dio, perché è nel Suo nome che Davide sta combattendo questa guerra e adesso si trova assediato dai suoi nemici in una posizione senza via d'uscita. Liberami, supplica allora Davide, per amore del tuo nome, (le stesse parole del Salmo 23), perché è in gioco quello che si dirà di Te, e si dovrà riconoscere che la tua misericordia (חסד chesed) verso il tuo servitore è buona, cioè vincente contro tutti i suoi oppositori.
  Il secondo motivo riguarda Davide stesso.

  1. Perché povero e bisognoso io sono e il mio cuore è ferito dentro di me.
  2. Me ne vado come un'ombra che s'allunga, sono scosso via come una locusta.
  3. Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, la mia carne deperisce e dimagra.

"Il mio nemico mi ha visto povero e bisognoso, - potrebbe dire Davide - e invece di impietosirsi di me ha voluto sfruttare proprio la mia situazione di debolezza per colpirmi al cuore, e adesso il mio cuore è ferito dentro di me. La mia vita appare senza speranze, sono come un'ombra che s'allunga con il calar del sole, e quando il sole sparirà, sparirò anch'io senza che nessuno vi ponga attenzione. Mi scuotono di dosso come si fa con un insetto fastidioso."
  Come reagisce Davide a questo stato di cose? Come vive la misera situazione in cui si trova? Io resto in preghiera, aveva detto all'inizio del Salmo, e certamente ha continuato. Ha praticato anche il digiuno, per essere meglio udito dall'Eterno e convincerlo a non tacere, a far sentire a tutti la Sua autorità. Ma come risultato ha ottenuto che adesso è prostrato non solo nell'animo (il mio cuore è ferito dentro di me), ma anche nel corpo (la mia carne deperisce e dimagra). 
  Davide ha cercato di impietosire il Signore. E' sbagliato? Certamente no, ma quando la cosa a quel che sembra "non funziona" la fede è messa duramente alla prova.
  Il terzo motivo riguarda i suoi accusatori.

  1. Sono diventato un obbrobrio per loro; mi guardano e scuotono il capo.
  2. Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami secondo la tua benignità.
  3. E sappiano essi che questa è la tua mano, che sei tu, o Eterno, che agisci.

La valanga di accuse scatenata sulla vittima scelta da "bocca di malvagio e bocca d'inganno" ha ottenuto il suo effetto: agli occhi dei suoi nemici Davide ormai è un relitto che provoca avversione. Lo "guardano e scuotono il capo".  Per gustare il senso di questo modo biblico di esprimersi si può pensare a Geremia che ascolta le esclamazioni di coloro che vedono le rovine di Gerusalemme dopo la sua distruzione da parte dei Babilonesi:

    "Tutti i passanti battono le mani al vederti; fischiano e scuotono il capo al vedere la figlia di Gerusalemme: 'È questa la città che la gente chiamava una bellezza perfetta, la gioia di tutta la terra?" (Lamentazioni 2:15).

Un atteggiamento simile hanno i nemici di Davide vedendo come ormai lui è ridotto: scuotono il capo con parole di scherno commiserante: "E sarebbe questo l'unto del Signore che dovrebbe regnare su Israele?"
  Si capisce allora il grido di Davide: "Aiutami, o Eterno," perché non sono io che mi sono fatto avanti, sei Tu che mi hai scelto, "questa è opera della tua mano". Loro mi guardano e non ci credono: per questo ti dico: salvami secondo la tua benignità, affinché sappiano essi, che non sono io ad avere la capacità di vincere, ma sei tu, o Eterno, che agisci." 
  Come già detto, nel  salmo 109 la questione è politica. Politica di Dio, perché si tratta del Suo regno. E poiché è in gioco il re da Lui designato, l'Eterno non si limita ad osservare, sentenziare, giudicare, ma alla fine agisce.
  Nel salmo tuttavia l'azione di Dio in soccorso del suo servitore non si vede; si vede però la solida fede di Davide nel credere che prima o poi Dio farà scendere su di lui la Sua benedizione: ad esultare  per la vittoria alla fine sarà lui, non i suoi accusatori.

  1. Essi malediranno, ma tu benedirai; s'innalzeranno, ma saranno confusi, e il tuo servo esulterà.
  2. I miei accusatori saranno vestiti di vituperio e avvolti nella vergogna come in un manto!

Anche se il detto popolare "tutti i salmi finiscono in gloria" non è vero per tutti i salmi, si applica però particolarmente bene al salmo 109. Davide, che ha iniziato la sua supplica in modo personale con le parole O Dio della mia lode, alla fine annuncia che darà gloria a Dio in modo pubblico e a chiare lettere: 

  1. Ad alta voce io  celebrerò l'Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo a molti;
  2. perché Egli sta alla destra del povero per salvarlo da quelli che lo condannano a morte.

Davide ha sentito sulla sua pelle che chi lo odia desidera e cerca la sua morte. La sentenza su di lui è già pronunciata: per i suoi nemici è come un morto che cammina in attesa di giacere per sempre. Ma Davide conosce il Signore e sa che "Egli sta alla destra del povero", dunque sta alla sua destra, perché nella sua preghiera gli aveva detto implorando: povero e bisognoso io sono. E poiché sta scritto “L'Eterno è colui che ti protegge; l'Eterno è la tua ombra; egli sta alla tua destra” (Salmo 121:5), se i nemici di Davide lo condannano a morte, lui sa che alla sua destra si trova l'Eterno che lo protegge per salvarlo da quelli che lo condannano a morte. È questo il motivo della sua esultanza. 

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Dopo questa analisi puntuale del contenuto del salmo, versetto per versetto, si può cominciare a fare qualche riflessione. 
  La problematicità del salmo si trova in sostanza nel versetti da 6 a 20. Se si prova a toglierli, il discorso scorre via liscio e si otterrebbe un salmo collocabile nel genere delle lamentazioni, come se ne trovano diversi nel Salterio. Naturalmente per gli studiosi storico-critici della Bibbia questa potrebbe essere la soluzione giusta, come nel caso del libro di Giobbe: si taglia. Nello splendido mosaico della rivelazione biblica molti che non ne capiscono o non ne accettano il messaggio trovano intelligente staccare tessere qua e là, spostarle, ridipingerle, adattarle, reincastrarle, o del tutto buttarle via. E quello che ottengono li soddisfa. Del resto ne hanno motivo, perché è opera delle loro mani, e ha una debolissima attinenza con l'opera originale. 
  Il metodo qui usato è diverso. Il mosaico non si tocca: si possono comprenderne parti particolari soltanto riuscendo a scoprire qual è il loro significato all'interno del tutto. Ma se non si capisce il tutto, è vano sperare di capirne le parti. Non è detto che sia sempre facile scoprire qual è il significato del particolare all'interno del tutto, ma è in questa direzione che va fatto lo sforzo.
  Se stacchiamo dal Salmo 109 i "versetti terribili" da 6 a 20, e lo mettiamo così ridotto a confronto col Salmo 22, si possono scoprire interessanti analogie espressive tra i due testi. Elenchiamone alcune:

SALMO 109  SALMO 22 
1. O Dio della mia lode, non tacere, 2. O Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
3. Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo. 12. Grandi tori mi hanno circondato; potenti tori di Basan mi hanno attorniato; aprono la loro gola contro di me,
21. Ma tu, o Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amore del tuo nome; poiché la tua misericordia è buona, liberami, 20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane; salvami dalla gola del leone.
24. Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, la mia carne deperisce e dimagra. 15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi si attacca al palato; tu mi hai posto nella polvere della morte.
26. Aiutami, o Eterno, mio Dio, salvami secondo la tua benignità, 11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.
29. I miei accusatori saranno vestiti di vituperio e avvolti nella vergogna come in un manto! 29. Tutti i potenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendono nella polvere e non possono mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
30. Ad alta voce io celebrerò l'Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo a molti; 22. Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.

La tradizione cristiana più ampia, sia cattolica sia evangelica, riconosce il salmo 22 come "salmo messianico", prefigurante la sofferenza di Cristo sulla croce e la sua successiva glorificazione, in compimento della profezia di Isaia 53. 
  Dopo un confronto come quello presentato nella tabella precedente, e magari ancora più approfondito, sarebbe plausibile assegnare anche al "salmo 109 emendato" la qualifica di "salmo messianico", perché nelle parole accorate di Davide si può vedere una prefigurazione delle sofferenze morali di Cristo prima della sua condanna a morte.
  Ma se il testo deve rimanere intatto, come si giustifica la presenza di quei versetti terribili in un salmo che certamente Gesù ha letto e recitato durante il suo percorso di sofferenza sulla terra? E' una domanda che ha tormentato Charles Spurgeon nel suo commentario: 

    «Non si può ammettere - scrive - che questo salmo contenga quello che un autore ha osato definire 'uno spietato odio, una raffinata e insaziabile malignità'. A una simile conclusione non possiamo cedere, no, neppure un momento. Ma che altro si può dire di questo strano linguaggio? Veramente, questo è uno dei posti più duri della Scrittura, un passaggio che l'anima trema a leggere [...] Ascrivere questa amara denuncia al nostro Signore nell'ora della sua sofferenza è più di quello che osiamo fare. Questo non è coerente col suo silenzio di Agnello di Dio, che non apre la bocca quando viene condotto al macello.»

In conclusione si può dire che con la sua spiegazione Spurgeon "gira intorno" al problema senza indicarne una soluzione. Collega le parole imprecatorie di Davide con riferimenti culturali di vario genere per poi riconoscere di aver forse contribuito assai poco alla chiarificazione del testo. E alla fine si chiede: "Che dire? Non è forse bene per noi avvertire, ogni tanto,  che non siamo capaci di capire tutte le parole e i pensieri di Dio?" E questa sua sincerità è forse la parte migliore del suo commento al salmo. Il problema c'è - ha detto - ed è ancora lì. 
  Una proposta di soluzione al problema si può trovare invece in ambito cattolico:

    «L'antica tradizione cristiana non ha esitato a ravvisare nel giusto perseguitato del salmo il Cristo e a considerare il salmo come una profezia della sua passione, e come lamento di Cristo, il quale rimprovera ai suoi nemici e specialmente ai Giudei e a Giuda di averlo circondato con parole di odio, e di averlo combattuto senza motivo, di aver ricambiato il suo amore con accuse, il bene con il male e l'amore con odio, mentre egli pregava per essi,
    Ora, se il salmo è considerato dalla tradizione preghiera di Cristo, possiamo ancora una volta domandarci come si giustifichino sulla bocca di Cristo le maledizioni contenute nel salmo.
    La risposta sta nel fatto che i Giudei non credendo a Cristo, ma volendo che il suo sangue ricadesse su di loro e sui loro figli (cf Mt 27,25), e condannandolo a morte, per ciò stesso, hanno rifiutato la benedizione di Dio. 
    Dice il salmo: « Perché ha rifiutato di usare misericordia e ha perseguitato il misero e l'indigente, per far morire chi è affranto di cuore. Ha amato la maledizione: ricada su di lui! Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani! (16-17).»
    (I Salmi, preghiera di Cristo e della Chiesa, Spirito Rinaudo, Elledici, 2004)  

Il commentario prosegue presentando la maledizione invocata da Davide sui suoi avversari come espressione del rigetto da parte di Dio di un Israele che aveva rigettato la benedizione offertagli da Gesù. E' una spiegazione che si inserisce bene nella tradizionale dottrina cattolica antigiudaica; e indipendentemente dalla sua validità, ha in ogni caso il merito di mettere in evidenza che per essere accettata o respinta si deve fare riferimento al centro del messaggio biblico nella sua totalità. La spiegazione proposta infatti  fa intervenire in modo essenziale elementi biblici fondamentali come il posto di Israele nella Bibbia e la figura del suo Messia. Questo conferma che quando si affrontano certi passaggi difficili della Bibbia, non si può capire la parte se non si capisce il tutto. 
  Ma poiché, stando al circolo ermeneutico, è anche vero che non si può arrivare al tutto senza passare per le parti, lo sforzo da fare deve partire dalla decisione irremovibile di non togliere dal tutto la parte scomoda, né di accantonarla con motivazioni al limite dell'onestà, ma di far partire proprio da lì il tentativo di arrivare non soltanto a dare una qualche spiegazione della parte, ma di capire meglio il centro del tutto.
  E' quello che si tenterà di fare nel seguito.

- 4 -

Spiegare un passo difficile della Bibbia significa riuscire a collocarlo all’interno di un tutto di cui si è individuato il centro. In questo caso il tutto è l'intera rivelazione dell’opera di Dio nella creazione e nella storia; il centro è la persona e l’opera di Gesù, Messia d’Israele e Signore del mondo.
  I tentativi di spiegazione operati all'interno di questa cornice sono diversi, e quindi molti saranno sbagliati, ma tuttavia legittimi come tentativi, perché non esiste un'autorità umana che possa dire l'ultima parola. Quelli invece operati al di fuori di questa cornice restano fuori della realtà e sono da prendere come semplici esercizi letterari, atti al più a stimolare qualche riflessione.
  In letteratura si possono trovare anche elenchi di "brani difficili" della Bibbia con relative spiegazioni. In molti casi possono effettivamente servire a togliere dubbi fornendo informazioni non a disposizione di chi legge, ma qualche volta appaiono come un maldestro tentativo di inserire forzatamente il brano in questione nella propria visione biblica, mentre invece potrebbe essere proprio quella particolare visione a doversi modificare e adattarsi meglio al testo biblico nella sua totalità.
  Si parla qui di "visione biblica", più che di dottrina biblica, perché spesso non è la formulazione dottrinale ad essere in gioco ma il peso e il posto che occupano certi elementi particolari nella comprensione del tutto. 
  Uno di questi elementi è la "pia violenza" verbale di Davide (ma non solo) in certe preghiere.
  Per non girare intorno al problema, dichiariamo subito la tesi di questo studio: il salmo 109 è nella sua interezza un salmo messianico, al pari del salmo 22, cioè prefigura nelle sofferte parole di Davide re d'Israele, le sofferenze di Gesù Messia d'Israele.
  La disturbante violenza del salmo 109 è contenuta nei quindici "versetti scandalosi" compresi tra il 6 e il 20. A ragione si possono chiamare scandalosi, perché sono un intoppo su cui alcuni inciampano. Uno di questi è Charles Spurgeon, perché non riesce a capacitarsi che quelle violente parole possano essere passate per la mente di Gesù. Quindi inciampa, si blocca, non riesce più ad andare avanti per quella via.  
  Un passo del Nuovo Testamento a cui forse non si dà il dovuto peso è quello in cui si parla della sostituzione di Giuda con Mattia:

    "In quei giorni, Pietro, alzatosi in mezzo ai fratelli (il numero delle persone riunite era di circa centoventi), disse: Fratelli, bisognava che si adempisse la profezia della Scrittura pronunciata dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fu la guida di quelli che arrestarono Gesù. Poiché egli era annoverato fra noi, e aveva ricevuto la sua parte in questo ministero [...] Poiché è scritto nel libro dei Salmi: Divenga la sua dimora deserta, e non vi sia chi abiti in essa; e: Un altro prenda il suo ufficio" (Atti 1:15-19). 

Pietro considera le parole "un altro prenda il suo ufficio" del Salmo 109 come anticipazione profetica delle parole di Gesù; dunque vede in Giuda un'attualizzazione della figura di quell'empio contro cui si scaglia Davide.
  Cita poi come parole profetiche anche il salmo 69, contenente anch'esso dei versetti "scandalosi":

  1. Sia la mensa, che sta davanti a loro come un laccio; e sia per loro un tranello quando si credono sicuri.
  2. Gli occhi loro si offuschino, sì che non vedano più; e fa' che i loro lombi continuamente vacillino.
  3. Riversa su di loro la tua ira, e li colga l'ardore del tuo furore.
  4. La loro dimora sia desolata, nessuno abiti nelle loro tende,
  5. poiché perseguitano colui che tu hai percosso, e si raccontano i dolori di quelli che tu hai feriti.
  6. Aggiungi iniquità alla loro iniquità, e non abbiano parte alcuna nella tua giustizia.
  7. Siano cancellati dal libro della vita, e non siano iscritti con i giusti.

Leggendo il Salmo 69 con attenzione, si potrebbe dire che è una parafrasi del Salmo 109. Anche in esso sono presenti, e ampliati, tutti gli elementi che mettono in relazione Davide col Servo sofferente dell'Eterno. C'è perfino un probabile riferimento alla crocifissione di Gesù:"Mi hanno dato fiele per cibo, e nella mia sete mi hanno dato a bere dell'aceto" (v. 21). Come si spiega allora la presenza in entrambi i salmi, accanto a lamentazioni e palpitanti suppliche al Signore, di un ardente desiderio di vedere colpiti da Dio i propri avversari. Com'è possibile, nel salmo 69, che nella stessa preghiera Davide chieda l'aiuto di Dio per sé: "Salvami, o Dio, poiché le acque mi sono giunte fino alla gola" (v. 1) e l'ira di Dio per i suoi nemici: "Riversa su di loro la tua ira, e li colga l'ardore del tuo furore" (v. 24); che Dio abbia comprensione per i suoi peccati: "O Dio, tu conosci la mia follia, e le mie colpe non ti sono nascoste" (v. 5), ma sia spietato coi suoi nemici: "Aggiungi iniquità alla loro iniquità, e non abbiano parte alcuna nella tua giustizia" (v. 27).
  Si potrebbe anche pensare che in entrambi i salmi in una parte si ode la voce del Messia sofferente e in un'altra quella del Messia trionfante. La congettura sarebbe legittima perché salti di significato di questo tipo sono presenti nella Bibbia. Nella seconda parte del libro di Isaia, per esempio,l'espressione "mio servo" può indicare, con salti di significato senza preavviso, sia il popolo d'Israele sia la persona del Messia.
  Particolarmente importante è un passo del profeta Isaia:

    "Lo spirito del Signore, dell'Eterno è su di me, perché l'Eterno mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la libertà a quelli che sono in schiavitù, l'apertura del carcere ai prigionieri,  per proclamare l'anno di grazia dell'Eterno, e il giorno di vendetta del nostro Dio" (Isaia 61:1-2).

In queste parole di chiaro riferimento messianico sono accostati due modi opposti dell'agire di Dio: la grazia e la vendetta. Gesù cita questo passo nella sinagoga di Nazaret:

    "E venne a Nazaret, dov'era stato allevato; e com'era solito entrò in giorno di sabato nella sinagoga; e alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia; e aperto il libro trovò quel passo dov'era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra me; per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunciare liberazione ai prigionieri, e ai ciechi ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l'anno accettevole del Signore.»  Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si pose a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui.  Ed egli prese a dir loro: Oggi, s'è adempiuta questa scrittura, e voi l'udite" (Luca 4:16-21).

Nella sua citazione Gesù si ferma alla grazia (l'anno accettevole del Signore) evitando di nominare il giorno di vendetta del nostro Dio. Come mai? Qualcuno potrebbe pensare che col suo silenzio Gesù annunci l'abolizione del giorno di vendetta e quindi metta fuori legge ogni ricorso a qualsiasi forma di vendetta. Sarebbe l'annuncio del passaggio dal Dio severo e spietato degli ebrei al Dio comprensivo e misericordioso dei cristiani.
  Ma non è così: è solo questione di tempo. Sia per gli ebrei, sia per i cristiani. Dicendo "Oggi si è adempiuta questa scrittura, e voi l'udite", Gesù annuncia che nel programma di Dio è cominciato oggi il tempo della grazia, senza che con ciò sia stato abrogato per il domani il tempo della vendetta. 
  E' la parola "vendetta" che disturba. Suona male. Se proprio si deve punire qualcuno, si preferisce parlare di "giustizia". Ogni tanto si sente l'appello di persone che hanno subito un torto: "Non vogliamo vendetta, vogliamo giustizia". Questo è buono, nei rapporti fra uomini, ma vale anche nei rapporti fra uomini e Dio? Possiamo rimproverare a Dio il suo annunciato proposito di fare vendetta? E' soltanto il Dio dell'Antico Testamento che parla così? Ai credenti in Roma l'apostolo Paolo scrive: 

    "Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore" (Romani 12:19).

La vendetta appartiene a Dio, è una sua esclusiva. Quando gli uomini "fanno le loro vendette" manifestano il desiderio di sostituirsi a Dio. 
  E' bene allora dirlo con chiarezza: chi ha accolto la grazia del perdono dei peccati e della salvezza eterna in Cristo Gesù ha accolto anche l'obbligo di abbandonare non soltanto ogni proposito, ma anche ogni pensiero di fare vendetta per sé. E neppure può chiedere a Dio di fare vendetta per lui, perché sarebbe una forma di maledizione.
  La vendetta è distinta dalla giustizia. Se non si può chiedere a Dio di fare vendetta, si può chiedergli di fare giustizia (Salmo 26:1, Luca 18:1-8). Attenzione però, perché mentre la vendetta mira a un preciso obiettivo, la giustizia si estende su tutto; e chi chiede a Dio di fare giustizia non può poi pretendere di essere trattato come caso a parte.
  Per togliere infine dalla figura di Gesù quella patina caramellosa che la tradizione religiosa gli ha appiccicato, è bene ribadire che se la vendetta appartiene a Dio, allora appartiene anche al programma di Gesù. L'apostolo Paolo consola con queste parole i credenti di Tessalonica che per la loro fede subiscono afflizioni:

    "E' cosa giusta presso Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione;  e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per fare vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al Vangelo del nostro Signore Gesù" (2 Tessalonicesi 1:6-8).

  Gesù un giorno farà vendetta, su questo non c'è dubbio.
  Quello che nel salmo 109 può disturbare (come anche nel salmo 69) è che il pensiero della vendetta non è rinviato a un tempo futuro, quando sarà compiuto il tempo della grazia, ma è invocato dal Messia durante la preghiera, nel tempo stesso della sua sofferenza. I versetti terribili si trovano infatti non alla fine del salmo, ma nel mezzo, per concludersi poi con parole di celebrazione a Dio. 
  Si può immaginare allora un Gesù che usa i salmi con versetti "scandalosi" per rivolgersi al Padre nelle sue preghiere? 
  E' questa la forma che ha assunto adesso il problema.

- 5 -

"Si può immaginare un Gesù che usa i salmi con versetti  'scandalosi' per rivolgersi al Padre nelle sue preghiere?"
  Con questa domanda termina la puntata precedente di questa serie di riflessioni. Il modo stesso in cui è formulata vuol mettere in evidenza che una spiegazione valida della singolare presenza dei salmi imprecatori nella Bibbia non può prescindere dal fare riferimento esplicito alla persona di Gesù.
  L'apostolo Paolo fa sapere ai credenti di Colosse che sta pregando per loro affinché "ottengano tutta la ricchezza della piena intelligenza per la perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti" (Colossesi 2:3). Comprendere meglio il posto e il valore delle urtanti violenze verbali di certi salmi significa incamminarsi verso la perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo. Chi s'incammina per altre vie è libero di farlo, ma può capitare che i luoghi in cui arriva siano più strani di quelli da cui è partito. E se così non gli appare, vuol dire che è arrivato in posti sbagliati e non lo sa.
  Dopo il Concilio Vaticano II la presenza di salmi imprecatori nella liturgia cominciò a creare qualche fastidio nelle autorità ecclesiastiche, anche perché alcuni di questi potevano essere usati, e lo furono effettivamente in molti casi, in chiave antigiudaica. Dopo diverse discussioni fatte nelle opportune sedi ecclesiastiche, fu lo stesso Papa Paolo VI a disporre che nelle celebrazioni liturgiche fossero interamente omessi tre salmi: 58, 83, 109.
  Nel commentario ai salmi di Spirito Rinaudo citato nella puntata precedente se ne dice il motivo: "L'omissione di questi testi si spiega per una certa qual difficoltà psicologica, sebbene questi salmi imprecatori si ritrovino nella pietà del Nuovo Testamento, per esempio in Apocalisse 6:10". E più avanti si ribadisce che "il motivo per cui furono omessi i brani in discussione è puramente psicologico".
  Il problema insomma nascerebbe dal fatto che con tutta probabilità l'orante "disconosce il genere letterario del salmo", e nel suo pregare potrebbe essere indotto ad esprimere sentimenti cattivi con le sue parole. Si aggiunge però una precisazione: "Sarebbe tutt'altra cosa, se in una orazione - con il suo genere letterario del tutto diverso - si pronunciasse una maledizione contro i nemici della Chiesa". Quelli, evidentemente, possono essere maledetti.
  Contro questa decisione di carattere ecclesiastico-pastorale si è alzata la voce, sempre in ambito cattolico, di alcuni biblisti, tra cui quella di Erich Zenger. Nel suo libro Un Dio di vendetta? - Sorprendente attualità dei "salmi imprecatorii (Àncora, 2005) difende la presenza di questi salmi nella liturgia ecclesiastica con una trattazione in stile storico-critico che alla fine fa più male che bene perché i motivi per mantenere quei salmi sono peggiori di quelli che li hanno spinti ad ometterli.
  Il libro di Erich Zenger viene poi citato anche in un libro più recente di André Wénin, presente in italiano dal 2017: Salmi censurati - Quando la preghiera assume toni violenti, EDB. Il libro inizia con queste parole:

    «È difficile non essere colpiti, leggendo i salmi, dal gran numero di empi, malvagi o nemici che vi si incontrano. I termini che servono a indicare questo genere di personaggi sono incredibilmente ricchi. Abbondano le metafore, derivanti soprattutto dal mondo animale. È impossibile contare tutte le grida, le lamentazioni o le lacrime che strappano ai salmisti. Per lo più essi pensano che Dio arda di collera contro di loro, li disperda, li schiacci, li riporti nel nulla dal quale non avrebbe dovuto trarli. Questo perché egli è immancabilmente a fianco di coloro che, quando non gridano verso di lui, celebrano la sua vittoria e la sua salvezza: il messia, gli umiliati, i poveri o il suo popolo Israele. In realtà, il mondo dei salmi è un mondo molto conflittuale, teatro di una guerra permanente che contrappone i giusti e i malvagi e in cui Dio è vittorioso a favore dei giusti.»

E più avanti, continuando nell'introduzione, l'autore aggiunge:

    «Sia come sia, bisogna riconoscere che, più di altri, alcuni salmi sono particolarmente inaccettabili. O perché mostrano di Dio l'immagine arcigna di un essere intollerante, vendicativo e violento, o perché trasudano da ogni parte vendetta, o ancora perché con evidente piacere invitano a godere della sconfitta cocente subita da altri esseri umani, queste preghiere (!) producono uno scontro frontale con ciò che ci si aspetta normalmente da una religione: essere fattore di pace e di concordia fra gli esseri umani. Esse contraddicono anche la morale più elementare. Soprattutto sono sottese da una visione di Dio che la grande maggioranza dei credenti giustamente rifiuta. Oggi non si potrebbe forse dire che preghiere del genere riflettono la mentalità di un terrorista che, convinto di essere religioso, tira Dio dalla sua parte nella sua rabbia assassina? Decisamente questi salmi di vendetta, di imprecazione o di esecrazione, comunque li si voglia chiamare, restano di traverso nella gola.»

Continuando nella lettura si può accertare che in tutto il libro non compare mai, neppure una volta, neppure nelle citazioni o nelle note, il nome "Gesù". Per essere più precisi si può dire che se ne fa una citazione indiretta nell'ultima frase del libro, espressa in forma di domanda:

    «La rivolta, tanto violenta quanto orante, dei salmi di maledizione non conferisce forse tutto il peso di umanità alla domanda del Padre nostro: "Liberaci dal male"?»

Un po' poco come contributo teologico. All'inizio l'autore ha ammesso che i salmi di vendetta gli sono rimasti di traverso nella gola, e a conti fatti rimane quello il suo problema. In quei salmi vede per gli uomini una valvola di sfogo, «uno spazio di preghiera dove liberare la belva della loro aggressività, perché possa mostrarsi e quindi essere riconosciuta, essere detta». E qui siamo a Freud. Sul piano ecclesiastico invece ricorda che

    «nella grande tradizione cristiana i salmi sono stati considerati non una preghiera individuale, bensì preghiera della  Chiesa, addirittura una scuola di preghiera. [...] Se la preghiera dei salmi è quella della Chiesa, è giusto, mi sembra, che i suoi membri portino insieme la preghiera e la sofferenza di coloro il cui corpo e la cui anima sono straziati dall'ingiustizia e dalla violenza al punto che l'unica preghiera che può ancora salire alle loro labbra è questo grido rabbioso che reclama da Dio il rinvio di coloro che compiono il male al loro nulla».

E qui siamo ad una religiosità umanistica psico-sociale, caratteristica di un approccio letterario cattolico che vede Dio come un problema, più che una soluzione. E questo naturalmente è di grande soddisfazione per gli esteti intellettuali, perché in quest’ottica il centro del problema sta nella reazione dell'uomo che legge, non nella rivelazione di Dio che parla.
  Ma affrontare in forma religiosa, anche biblicamente religiosa, problemi che in realtà nascono da interessi puramente umani è la forma più sottile di inganno idolatrico. Ed è  quello che inevitabilmente avviene quando si vuol esaminare la rivelazione biblica con strumenti culturali che esprimono, già nei loro principi e nei loro metodi, la hybris dell'uomo, cioè la sua ferma volontà di mantenere la piena autonomia in fatto di bene e di male.
  E' sorprendente allora la quantità di interrogativi fondamentali che sorgono da un esame esteso dei passi della Scrittura in cui si vede all'opera un Dio che manifesta uno standard di moralità apparentemente inferiore a quello degli uomini. I salmi imprecatori ne costituiscono un'intera antologia di esempi. Ma è anche dal modo in cui sono trattati questi testi che si vede qual è la considerazione che si ha del Dio della Bibbia. Da una parte quei salmi "scandalosi" rivelano agli uomini chi è il Dio che parla, e dall'altra rivelano a Dio chi sono gli uomini che leggono.
  La chiesa cattolica ha cancellato alcuni salmi dalla sua liturgia perché inadatti ad essere recitati come "preghiera della Chiesa". Ma chi ha detto che tutti i salmi debbano essere  recitati? E perché in quella forma e in quel contesto? Inoltre, sono soltanto i salmi imprecatori ad essere difficili da recitare come preghiera? Prendiamo il salmo 126:

    "Quando l'Eterno fece tornare i reduci di Sion, ci pareva di sognare. Allora la nostra bocca fu piena di sorrisi e la nostra lingua di canti di gioia".

Qui non c'è vendetta, non si vede un Dio torvo e vendicativo, dunque il salmo si potrebbe recitare come preghiera. Lo possono recitare tutti? Proprio tutti? Posso recitarlo anch'io? Non mi dite di no, perché è così bello! Dopo essermi commosso fino alle lacrime cantando il "Va' pensiero sull'ali dorate" di Giuseppe Verdi, partecipando con languore al pianto nostalgico degli esuli lontani dalla loro terra, volete privarmi dei sorrisi e dei canti di gioia di coloro che vedono tornare in patria i reduci di Sion? Certo però che se torno indietro col pensiero agli esuli piangenti presso i fiumi di Babilonia e mi rendo conto che quei profughi, oltre che piangere, scagliano maledizioni sulla città che li tiene prigionieri e proclamano "Beato chi piglierà i tuoi piccoli bambini e li sbatterà contro la roccia" (Salmo 137:9), l'immedesimazione con loro mi diventa più problematica.
   Con ironia si vuol dire che è vano cercare immedesimazioni emotive o attualizzazioni forzate su testi che hanno il loro senso primario in una precisa serie di concreti avvenimenti. Perché i salmi, come tutta la Bibbia, nella loro essenza non sono in primo luogo né moralità né devozione: sono storia. Storia di Dio, innanzi tutto, cioè narrazione dei Suoi interventi in mezzo agli uomini in un continuo e tempestoso rapporto con loro. Soltanto questa sacra storia, compresa ed accolta in uno spirito di riverente disponibilità, può generare forti spinte morali e favorire sincere devozioni. Perché sono frutto dell'azione di Dio verso l'uomo, e non slanci dell'uomo verso un Dio variamente immaginato.
  La Bibbia rivela all’uomo il Dio che agisce, ma noi ci soffermiamo ad osservare l'uomo che reagisce. E dopo un po' le cose nel panorama cambiano: è l’uomo che per primo agisce e si sorprende perché Dio non reagisce come lui vorrebbe. Di qui nascono tutti i problemi. Anche la comprensione dei salmi imprecatori. Perché al Dio che agisce si sostituisce il Dio che insegna. E ci si interroga e si discute su quale sia l'insegnamento migliore, se quello dato agli ebrei o quello dato ai cristiani. E si confronta la legge sul Sinai di Mosè col sermone sul monte di Gesù. Per arrivare a concludere, da parte cristiana, che l'insegnamento di Gesù è moralmente superiore a quello di Mosè. Anche se adesso alcuni cristiani, soprattutto tra gli ebrei messianici, reagiscono e tentano  in vari modi di recuperare spezzoni di legge mosaica da inserire nell'insegnamento ai cristiani. Se non proprio a tutti, almeno a quelli che si considerano e vogliono restare ebrei.
  Ma è questo il problema? Dobbiamo continuare a cercare nei salmi e in tutta la Bibbia i migliori insegnamenti da estrarre per poterli applicare a noi? Se è così, allora i salmi imprecatori sono destinati a rimanere di traverso nella gola a tutti: ebrei e cristiani.
  Per gli ebrei il problema gira intorno all'interpretazione di quello che richiede la Halakhah, dove "con questo termine si indica il materiale giuridico dell'insegnamento tradizionale, trasmesso in origine oralmente e successivamente codificato nella Mishnah e nel Talmud" (Piccolo dizionario dell'ebraismo", ed. Gribaudi). E' interessante allora quello che scrive in proposito "un gigante dell'ebraismo del XX secolo, il rabbino e pensatore di origine lituana Joseph Dov Beer Soloveitchk", nel suo libro La solitudine dell'uomo di fede, tradotto in italiano da Salomone Belforte pochi anni fa:

    «Il principale scopo della Rivelazione, secondo la Halakhah, è collegato al dono della Legge. Il dialogo tra l'essere umano e Dio è finalizzato a uno scopo didattico. La Halakhah, da tempo immemore, ha guardato a Dio come all'insegnante per eccellenza. Questo compito educativo è a sua volta stato affidato al profeta, la cui massima ambizione è quella di insegnare alla comunità di alleanza. In breve, la parola di Dio è ipso facto la norma e la legge di Dio.»

Comunque la si intenda, la raffigurazione di un Dio docente che trasmette le sue istruzioni in modo prioritario al suo popolo, il quale a sua volta ha l'onore e l'onere di trasmettere istruzioni agli altri popoli, fa nascere una quantità di problemi ed è stato smentito dalla storia. Tremenda a questo riguardo è la parola che un ebreo colto di antica origine rivolge a un suo ipotetico connazionale:

    "Ora, se tu ti chiami Giudeo, e ti riposi sulla legge, e ti glori in Dio, e conosci la sua volontà, e discerni la differenza delle cose essendo ammaestrato dalla legge,  e ti persuadi di esser guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre,  educatore dei semplici, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la formula della conoscenza e della verità, come mai, dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu che predichi che non si deve rubare, rubi? Tu che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che hai in abominio gli idoli, saccheggi i templi? Tu che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge?"

E' l'apostolo Paolo (Romani 2:17-23), il quale con queste parole non vuole disprezzare il posto che occupa i suo popolo e l'insegnamento della legge nell'opera di Dio, ma ribadisce con fermezza che l'insegnamento morale in sé, sia ricevuto che dato, non può compiere appieno quella che è la volontà originaria di Dio. Non è il "peso di moralità" del precetto, valutato con bilance tutte da registrare, che può far capire qual è la volontà dell'unico Dio che ha creato i cieli e la terra e quel che ne è seguito.
  Per i cristiani abbiamo già detto qualcosa sul "problema liturgico" che i salmi di vendetta pongono alla chiesa cattolica.
  Quanto  agli evangelici, tra i quali anche chi scrive si riconosce, la questione dei salmi imprecatori si presenta in modo articolato, sfumato, quasi sfuggente si potrebbe dire. Poiché per loro la Bibbia, oltre a essere integralmente ispirata da Dio, è anche autosufficiente, non è ammesso che per la spiegazione di elementi biblici fondamentali si faccia ricorso in modo determinante a puntelli esterni. Si possono ricevere da fuori utili supporti e avere all'interno differenti e legittime interpretazioni, ma si deve comunque restare lì: dentro i testi.
  Sarà per questo che di solito il problema degli spinosi salmi imprecatori viene risolto semplicemente non parlandone, o liquidandolo con poche battute. Ma quando si prova seriamente a prenderlo in esame, come ha fatto onestamente Charles Spurgeon nel suo commentario ai salmi, i problemi non mancano ad emergere.
  Il tipo di spiegazione più diffusa tra gli evangelici conservatori forse è quella presentata con qualche esitazione da William MacDonald nel suo commentario alla Bibbia:

    «La spiegazione che più mi convince è che i salmi della vendetta corrispondono a uno spirito che si adatta ad un ebreo che vive sotto la legge, ma non ad un cristiano che vive sotto la grazia. Il motivo per cui i salmi ci appaiono scostanti sta nel fatto che noi li consideriamo alla luce del Nuovo Testamento.»

Prosegue poi citando un altro autore:

    «Sarebbe bene riconoscere subito che la precedente "Dispensazione " [della legge] è inferiore alla presente [della grazia]. La legge non è contraria al vangelo, ma non è nemmeno uguale ad esso. Quando Cristo è venuto per adempiere la legge, è venuto anche per superarla.»

Convincente? Ci si può chiedere innanzi tutto se il dualismo superiore-inferiore applicato a questioni in cui si fanno pesate di moralità è adatto ad esprimere il fondamentale passaggio storico da una fase all'altra del programma salvifico di Dio avvenuto con Gesù. Quello che comunque si può dire è che anche da questa interpretazione emerge che non si può dare una risposta soddisfacente al problema dei salmi imprecatori senza coinvolgere elementi fondamentali della rivelazione biblica. In linguaggio teologhese si potrebbe dire che il problema dei salmi imprecatori, come quello di Israele, appartiene alla cristologia.
  Bisognerà dunque continuare a parlarne, perché resta sempre aperta la domanda: "Si può immaginare un Gesù che usa i salmi con versetti 'scandalosi' per rivolgersi al Padre nelle sue preghiere?"

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Si può immaginare un Gesù che usa i versetti "scandalosi" di questo salmo per rivolgersi al Padre celeste nelle sue preghiere?
  A questa domanda si può rispondere senza esitazione SÌ.
  Il credente in Dio è autorizzato fare proprie queste richieste del salmista nelle sue preghiere?
  A questa domanda si deve rispondere con decisione NO.
  In questo salmo, e in altri simili a questo, il servitore del Signore che si trova sulla terra dà voce all'ira di Dio che freme nel cielo contro i suoi nemici che spavaldamente si muovono sulla terra contro di Lui. Dio freme nell'udire le parole accorate del suo servitore che soffre nell'adempimento del suo servizio, ma nel piano di Dio è previsto che per un certo tempo il Cielo taccia e anche di questo silenzio il suo servitore sulla terra debba soffrire.
  Il primo esempio di una simile situazione si trova in quell'uomo "integro e retto" che Dio chiama "il mio servo Giobbe" (Giobbe 1:8). E' il primo uomo a cui viene accordato questo titolo, e come servo di Dio sperimenta, stando sulla terra, con lamenti ad alta voce, una sofferta relazione col suo Signore che è nel cielo e tace: "Io grido a te, ma tu non mi rispondi; ti sto davanti, ma tu non mi consideri!" (Giobbe 30:20).
  Ma dove sono i nemici di Giobbe? si chiederà qualcuno. Sulla terra non appaiono, ma ce n'è uno in cielo: Satana.
  Il libro di Giobbe appartiene alla preistoria israeliana, infatti non fa alcun riferimento alla Torah o a Israele. Forse si trova lì, in un tempo che precede tutta la storia del popolo eletto, per indicare che di tutte le guerre che in seguito si svolgeranno sulla terra nel nome di Dio, la guerra madre di tutte è quella che si combatte in cielo tra Dio e Satana. La sua origine e la sua radice si trovano nel cielo, ma i fatti della sua storia si svolgono sulla terra, fra gli uomini, con la partecipazione dell'invisibile mondo angelico.
  Il peccato originale ha causato il crollo di una diga che ha permesso l'entrata del male nella creazione, e Satana è diventato "il principe di questo mondo" (Giovanni 14:30). Da quel giorno la situazione sulla terra è inevitabilmente e costantemente di tipo bellico, in tutti i suoi aspetti. La Bibbia è piena dall'inizio alla fine di battaglie, scontri, uccisioni, violenze di tutti i tipi, umane e divine: bisogna leggere i salmi imprecatori per accorgersene?
  La realtà caratteristica del mondo è la guerra, non la pace. E le situazioni di guerra si affrontano e si risolvono in ambito politico, cioè con l'uso adeguato delle forze in gioco, non con morali declamazioni o lirici slanci. Il compimento del piano salvifico di Dio si presenta in termini di guerra, ma come una guerra di liberazione, non come una contesa fra contendenti di pari legittimità, come avviene in ambito sportivo.
  Non si può trattare qui in modo esteso la questione di Satana nella Bibbia, ma vi faremo riferimento con naturalezza durante la spiegazione, a conferma del fatto che non si può esaminare il problema dei salmi imprecatori isolandolo e passandolo al microscopio. Vale sempre la regola: o si capisce il tutto o non si capisce niente.
  Limitandoci al salmo 109, si può dire anzitutto che se deve essere visto come semplice espressione di rapporto fra uomini, religiosi o no, quel testo è moralmente irrecuperabile. Avrebbe ragione André Wénin a dire che è un salmo di vendetta e che quelle parole "restano di traverso nella gola". Sarebbe pienamente giustificata la sua domanda: "Oggi non si potrebbe forse dire che preghiere del genere riflettono la mentalità di un terrorista che, convinto di essere religioso, tira Dio dalla sua parte nella sua rabbia assassina?" Sì, si potrebbe dire.
  Non sarebbe recuperabile neppure come espressione di una legislazione moralmente primitiva, perché nella legge di Mosè non si contemplano punizioni di simile crudeltà come quelle invocate da Davide sul suo avversario. Al contrario, la legge mosaica condanna l'odio per il fratello, anche se solo covato internamente;

    Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua (Levitico 19:17).

Sul piano poi della comune psicoterapia, Davide sarebbe da esaminare e curare come soggetto pericoloso per sé e per gli altri. Dice di amare qualcuno, ma poiché si sente trattato male da loro (senza dirne il perché) il suo cosiddetto amore si trasforma improvvisamente in un odio sfrenato che lo porta ad auspicare le più dure disgrazie su qualcuno che prima diceva di amare tanto.
  Affermare allora che il salmo 109 è un salmo messianico, come il salmo 22, e quindi che quelle parole possono essere state un nutrimento della preghiera di Gesù al Padre celeste, trasforma la questione dei salmi imprecatori da problema morale a problema cristologico. Non si chiede soltanto chi è il Messia, ma anche come pensa e prega il Messia.
  Prima ancora di procedere nell'argomentazione, si può far notare che una soluzione come quella qui proposta farebbe sparire di colpo il dualismo superiore-inferiore in fatto di moralità. Se Gesù può usare, anche solo nella sua mente e nelle sue preghiere, espressioni che sono state sulla bocca di re Davide, cessa la possibilità di contrapporre l'"alta moralità" del sermone sul monte alla "primitiva moralità" della legge del Sinai. Ebrei e cristiani si troverebbero intrigati nello stesso tipo di problema: perché Davide ha parlato così? può Gesù aver pensato così? E la risposta potrebbe avvicinare in modo inaspettato Davide e Gesù.
  Ebrei e cristiani hanno in comune un Dio che agisce, non un Dio che insegna. E' insegnamento morale la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù del Faraone? E' insegnamento morale la nascita di Gesù da una giovane ebrea per la liberazione di Israele e di tutta l'umanità dalla schiavitù di Satana?
  Parlando di liberazione, in senso totale e non solo personale, si arriva inevitabilmente a parlare di guerra, perché la liberazione da un potere malvagio che non vuol cedere può avvenire soltanto con la guerra.
  Nella guerra che Dio combatte contro Satana per la piena riconquista del mondo, la sua azione prevede la presenza sulla terra di uomini che combattano per conto suo. Quando indica uno di loro, Dio usa un'espressione carica di significato: "mio servo". Questo non significa che si tratti di qualcuno particolarmente buono secondo metri umani, ma di una precisa persona che Dio ha scelto secondo suoi criteri per il combattimento della sua guerra. Davide è uno di questi: "Ho trovato Davide, mio servo; l'ho unto con l'olio mio santo" (Salmo 89:20).
  Davide aveva ricevuto da Dio grandi capacità per poter vincere i popoli nemici di Israele, e le fece vedere fin dall'inizio sconfiggendo con un atto di guerra eccezionale il campione filisteo che aveva osato "insultare le schiere del Dio vivente" (1 Samuele 17:26). Dovette però arrivare ad occupare il suo posto di re d'Israele superando difficili prove provocate dall'opposizione perfida e violenta di molti nemici interni, a cominciare da Saul.
  Se Dio si era "cercato un uomo secondo il suo cuore" (1 Samuele 13:14) e l'aveva trovato in Davide, anche Satana si era cercato e trovato "uomini secondo il suo cuore" per tentare di vanificare il progetto di Dio. Tra questi il più importante nella storia di Davide, a cui altri poi si riferiranno, è stato probabilmente Saul, che da un certo momento in poi Satana avrebbe potuto chiamare a ragione "mio servo".
  Ma se in politica estera Dio ha concesso a Davide la capacità di usare le armi della forza per difendere la sua sovranità contro nemici esterni, in politica interna Dio non gli ha dato una pari delega: deve combattere con le sole armi della giustizia e della verità, perché Dio vuol fare di Israele un "regno di sacerdoti, una nazione santa" (Esodo 19:6). Dunque colui a cui è affidato l'uso del potere deve dar prova di volerlo usare in piena sottomissione a Colui che lo ha prescelto. Se verso l'esterno Davide esprime la forza di Dio, all'interno deve esprimere la debolezza in Dio. E come banco di prova per il servo di Dio, viene concessa all'interno del regno anche la presenza di servi di Satana con un delimitato spazio di manovra
  La guerra che si combatte all'interno del regno di Dio in formazione è di natura giuridica: chi ha il diritto di governare? Ma è duro per il re designato da Dio dover combattere la guerra con le sole armi della giustizia e della verità contro nemici che invece fanno un uso spregiudicato di menzogne e inganni per far cadere chi si oppone. E a volte sembra che ci riescano; e deridono quelli che danno ormai per sconfitti.
  Il servo di Dio allora volge il suo sguardo in alto e chiede: ma Tu, che fai? perché taci? perché non intervieni? E arriva al punto di suggerire a Dio quello che dovrebbe fare con quella gente, e in particolare con l'empio che li guida. E lo fa con parole dure, che "restano di traverso nella gola", ma è possibile che sia stato fin troppo delicato nelle sue esecrazioni, perché anche Davide non poteva immaginare fino a che punto può arrivare l'ira di Dio quando decide di far vendetta dei suoi nemici: "È spaventoso cadere nelle mani del Dio vivente" (Ebrei 10:31).
  Qualcuno si chiederà: ma che c'entra Gesù in tutto questo? E' strano questo interrogativo, perché all'inizio del libro degli Atti la Scrittura pone un chiaro collegamento tra il rapporto di Davide con l'empio del salmo e il rapporto di Gesù con Giuda. E' un'analogia profetica naturalmente, quindi non si devono ricercare puntuali corrispondenze in ogni particolare, ma la volontà che Davide esprime nelle sue parole, anche le più dure, può essere vista come un'anticipazione della volontà che Gesù esprime nella preghiera al Padre, pur rimanendo in sottomissione a Lui.
  Se Gesù si è espresso con parole del salmo 22 sulla croce, è possibile che Gesù si sia espresso con le parole del salmo 109 nelle sue notti di solitario combattimento in preghiera.
  Ma si può pensare che una persona come Gesù abbia potuto formulare, anche solo in preghiera, pensieri e desideri di male così forti e netti contro un essere umano? Il problema, come si vede, è cristologico.
  Riportiamo allora un passo del Vangelo di Luca, al capitolo 19, nella versione Riveduta Luzzi:

    «Or com'essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio stesse per essere manifestato immediatamente. Disse dunque: 'Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. E chiamati a sé dieci suoi servitori, diede loro dieci mine, e disse loro: Trafficate finché io venga'».

Al ritorno i servitori mostrano le mine in più che erano riusciti a guadagnare con il loro traffico. Tutti tranne uno:

    «Poi ne venne un altro che disse: Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quel che non hai messo, e mieti quel che non hai seminato. E il padrone a lui: Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi ch'io sono un uomo duro, che prendo quel che non ho messo e mieto quel che non ho seminato; e perché non hai messo il mio danaro alla banca, ed io, al mio ritorno, l'avrei riscosso con l'interesse? Poi disse a coloro che erano presenti: Toglietegli la mina, e datela a colui che ha le dieci mine: Essi gli dissero: Signore, egli ha dieci mine. - Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Quanto poi a quei miei nemici che non volevano che io regnassi su loro, conduceteli qui e scannateli in mia presenza».
Da questa parabola sono stati tratti molti edificanti sermoni sull'importanza del servizio al Signore, ma di solito non si sottolinea abbastanza l'ultimo versetto, e in particolare le ultime parole: "conduceteli qui e scannateli in mia presenza". E' un po' imbarazzante per "il buon Gesù".
  Forse per questo nella maggior parte delle versioni italiane si attutisce un po' la cosa traducendo il verbo con un "uccideteli". Nell'originale greco il termine è un hapax, cioè uno di quelli che compaiono una sola volta nella Bibbia, quindi non si possono fare paragoni con altri passaggi. Resta comunque il fatto che con questo termine si vuol esprimere qualcosa di più che il semplice togliere la vita. Le versioni inglesi usano "slay", non "kill". La versione di Lutero usa addirittura il verbo "erwürgen", che significa strangolare; un'altra versione tedesca più moderata traduce con "erschlagen" che significa colpire (a morte).
  Ma quel servo un po' infingardo non aveva bisogno anche lui di comprensione e perdono? Gesù non è forse venuto a portare l'amore sulla terra? Di nuovo, un problema cristologico. Il fatto è che qui si tratta del regno di Dio, quindi di sovranità, non di grazia. Gesù è il Figlio di Dio, il Re d'Israele, come ha riconosciuto Natanaele, che era "un vero israelita in cui non c'è frode" (Giovanni 1:45-51). E quel servo infingardo non è un debole peccatore bisognoso d'aiuto, ma un caparbio nemico che si oppone e rifiuta la grazia di Dio perché rifiuta la sua sovranità. E in questo modo rivela di essere un servo di Satana, un nemico di Gesù al servizio del Nemico di Dio. E contro i nemici militanti che contrastano apertamente la sua sovranità il Re d'Israele non fa giustizia, ma vendetta.
  Parlare di Satana è inevitabile se si vuol seguire e comprendere la storia di Gesù, perché la figura di questo essere angelico occupa fin dall'inizio un posto fondamentale. Le tentazioni di Gesù nel deserto (non riuscite) sono il corrispondente della tentazione di Adamo nel giardino di Eden (riuscita). Satana poi ha proseguito nei suoi tentativi di fuorviare la missione di Gesù attraverso i suoi inconsapevoli servi umani. E se con le tentazioni nel deserto non è riuscito ad "ingaggiare" Gesù, ha cercato poi di far fallire la sua missione riuscendo ad ingaggiare uno dei suoi discepoli: Giuda. Ha l'occhio fino Satana, sa scegliere bene i suoi uomini: amore dei soldi e disposizione all'inganno sono elementi sicuri.
  Eppure anche Giuda era stato scelto da Gesù. Non è necessario supporre che Gesù abbia capito fin dall'inizio che tipo era, ma quando l'ha capito, per Lui è stata certamente una delle più grandi sofferenze d'amore.
   A un certo punto del suo ministero, quando il suo successo tra il popolo cominciava a diminuire, ha detto chiaramente ai suoi discepoli: "Non ho io scelto voi dodici? eppure uno di voi è un diavolo" (Giovanni 6:70). Chiamandolo "diavolo", Gesù mostra di aver riconosciuto in Giuda l'azione diretta di Satana. Ha detto qualcosa di simile anche a Pietro, quando con le sue obiezioni avrebbe potuto fuorviarlo dalla sua missione: "Vattene mia da me, Satana, tu mi sei di scandalo" (Matteo 16:23). Ma Pietro era inconsapevole e sincero, mentre Giuda era consapevole e bugiardo.
  Satana attiva in modo decisivo il suo servo nell'ultimo seder che Gesù celebra coi suoi discepoli:
    "Durante la cena, quando il diavolo avea già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio, se ne cinse. Poi mise dell'acqua nel bacino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto" (Giovanni 13:2-5).

Giuda andò alla cena sicuro che nessuno sapesse quello che aveva deciso di fare, ed era così: nessuno aveva capito. Nessuno, tranne Gesù. Ma durante la cena avvenne qualcosa che Giuda non si aspettava:

    "Dette queste cose, Gesù fu turbato nello spirito, e apertamente si espresse così: In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardavano l'un l'altro, non capendo di chi parlasse. Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava. Simon Pietro quindi gli fece cenno e gli disse: Di', di chi è che parla? Ed egli, chinatosi così sul petto di Gesù, gli domandò: Signore, chi è? Gesù rispose: È quello al quale darò il boccone dopo averlo intinto. E intinto un boccone, lo prese e lo diede a Giuda figlio di Simone Iscariota. E allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Per cui Gesù gli disse: Quello che fai, fallo presto" (Giovanni 13:21-27).
Perché Gesù ha agito così? Perché non ha cercato di trattenerlo? Perché ha addirittura accelerato l'esecuzione di un tale misfatto? Come nel salmo 109, se qui si descrive soltanto un rapporto fra uomini, il comportamento di Gesù è moralmente indifendibile. Ma nella persona di Gesù è in gioco Dio; e in quella di Giuda è in gioco Satana. E' un momento della guerra fra Dio e Satana, combattuta nei rispettivi servi. E a prima vista sembrerebbe che ha vinto Satana.
  Qui il problema cristologico, che in realtà è un problema messianico, si sposta sul suo punto centrale: la croce. E' lì che avviene la vittoria di Dio. Di lì bisogna passare, se si vuole capire il salmo 109 e tutto il resto della Bibbia. Prendere o lasciare.
  Le esecrazioni di Davide sull'empio del salmo 109 appaiono inaccettabilmente violente, ma sentiamo che cosa dice Gesù di Giuda in un versetto che si ripete uguale in due Vangeli:
    "Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato" (Matteo 26:24, Marco 14:21).
"Guai a quell'uomo". Gesù non nomina questi guai, ma sono guai grossi, molto più grossi di quelli auspicati da Davide all'empio del salmo 109. E sono guai che Gesù stesso, come Figlio di Dio e Re d'Israele, gli procurerà: «A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione!» (Ebrei 10:30).
  Sorge allora la domanda: Gesù ha veramente amato Giuda? La risposta è sì, perché Dio ama tutti gli uomini, fin dall'inizio. Ma non fino alla fine, dipende da loro.
  Nel Vangelo di Giovanni, prima dell'episodio della lavanda dei piedi sta scritto:
    "Ora, prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (Giovanni 13:1).
Gesù ha amato i dodici lavando i piedi a tutti, anche a Giuda, mostrando così di avere amore anche per lui, fino a quel momento. Ma Giuda aveva già preso la decisione di tradire Gesù, e questo l'ha esposto all'azione di Satana, che è entrato in lui e ne ha preso il posto di comando. A quel punto Giuda ha manifestato definitivamente a Gesù di non essere dei suoi, ma di appartenere al Nemico. E Gesù non l'ha amato fino alla fine.
  Infatti nella successiva "preghiera sacerdotale" (Giovanni 17) Gesù dice al Padre di avere custodito tutti quelli che Egli gli ha dato, e che nessuno di loro è perito "tranne il figlio di perdizione", perché ha respinto l'amore di Gesù e ha scelto di arruolarsi nell'esercito di Satana, il nemico di Dio.
  Come nel salmo 109, Dio ha messo alla prova il suo servo Gesù lasciandolo in una posizione di debolezza in mezzo all'imperversare apparentemente vittorioso dei suoi nemici. Il Padre celeste ha mandato il suo Figlio sulla terra a combattere la sua guerra disarmato. Ma in tutti i suoi movimenti, Gesù si è sempre mosso come Re. All'inizio le nazioni sono venute a Gerusalemme ad onorarlo come Re dei Giudei (Matteo 2:2). Davanti a Pilato l'ha detto chiaramente: "Io sono Re" (Giovanni 18:37). E il rappresentante dell'impero mondiale del momento l'ha mandato a morte con la pubblica motivazione: "Gesù Nazareno Re dei Giudei".
  Nel corso del suo ministero Gesù ha sofferto di una sofferenza unica al mondo: ha dovuto osservare con occhi lucidi e puri tutta la melma di menzogne, inganni, violenze, ingiustizie che lo circondavano sapendo di avere in Sé l'autorità di fare quello che Giovanni Battista aveva annunciato: pulire col ventilabro la sua aia e bruciare la pula "con fuoco inestinguibile" (Luca 3:17). Ma avendo deciso, in comunione col Padre, di non farlo a motivo degli eletti, ha superato la tentazione per l'amore che l'aveva spinto ad accettare il compito di raccogliere il grano nel suo granaio.
  E' possibile però che in quelle notti di solitaria sofferenza in preghiera si sia "sfogato" col Padre celeste anche con parole provenienti dai salmi imprecatori.
  In relazione a Giuda si pone anche una domanda teologica: può Dio amare Satana? La questione è fastidiosa, e non pochi la risolvono eliminando del tutto il fattore Dio; altri invece lasciano Dio ma tolgono Satana, il fattore più intrigante. In ogni caso per loro il problema non si pone. Grave errore, perché quando si fa intervenire l'amore nella realtà dei fatti, certi quesiti possono rimanere senza risposta.
  Sul piano umanistico si pensa all'amore come a un'enorme riserva di energia positiva a cui i buoni attingono, mentre altri, detti cattivi, ne fanno poco uso per costituzione propria o per scelta errata. Così si pensa che tutti, anche i più delinquenti o i più disgraziati, potrebbero essere soccorsi o rieducati se trovassero qualcuno provvisto di una sufficiente dose di energia positiva d'amore che fosse disposto ad usarla a beneficio di chi ne ha bisogno.
  Per questa via si possono trovare parziali rimedi in certi casi, ma non in tutti. Espressioni di amore genuino possono anche provocare risposte di odio altrettanto genuino. Più amore si dona, più odio si riceve in cambio. Questo accade quando l'amore umano, che rimanda comunque all'amore di Dio anche nelle sue forme più imperfette, incontra qualcuno che per potersi avvalere delle armi efficaci messe a disposizione da Satana ha dovuto indossare una corazza, proveniente dalla stessa ditta, imposta ai combattenti di quell'esercito al fine di proteggersi dagli attacchi del campo avverso: un'autentica corazza contro ogni possibile "freccia d'amore". Perché Satana, che odia il Dio d'amore, si sente minacciato ogni volta che avverte indizi che rivelano la presenza del suo Avversario. E reagisce duramente, o con più violenza o con più menzogna.
  "Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore": non è forse questa l'esperienza di Davide nel salmo 109? Come servo di Dio, Davide ha amato quelli che considerava amici perché combattevano insieme a lui le medesime battaglie, ma le loro parole e le loro azioni li hanno alla fine rivelati come servi di Satana. Allora l'amore di Davide è finito e si è trasformato in odio.
  E questo è giusto, perché Satana non si può amare. Non è possibile un "processo di pace" fra i due campi avversi. E' invece tuttora in corso un processo di guerra per la conquista degli uomini e del mondo. Ma di questo si conosce già il nome del vincitore: Gesù Cristo.
  In conclusione, si può sperare di comprendere il salmo 109 nella sua incredibile stranezza soltanto inserendolo nella storia di Gesù Messia. E poiché questa ha il suo centro nella "pazzia" della croce, terminiamo con una citazione tratta dalla prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi (1:18-25):
    «La parola della croce è pazzia per quelli che periscono; ma per noi che veniamo salvati è la potenza di Dio. Poiché sta scritto: "Io farò perire la sapienza dei savi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti." Dov'è il savio? Dov'è lo scriba? Dov'è il disputatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa pazza la sapienza di questo mondo? Poiché, visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione. Poiché i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza; ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Gentili pazzia; ma per coloro che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini».


(Notizie su Israele, agosto-settembre 2022)

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