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Venezia, i profumi del Ghetto

di Giuseppe Milano

Venezia - Campo del Ghetto Nuovo
C'è chi è arrivato a definirla l'ultima parte genuina di Venezia. Sempre cosmopolita, come è storicamente la Serenissima, ma ancora non soffocata dal turismo di massa. Qui i tempi non sono dettati dall'apertura o dalla chiusura delle bancarelle di souvenir ma dai ritmi di una religione antica e fiera come l'ebraismo. Stiamo parlando del Ghetto di Venezia, una piccola parte della città lagunare che ha segnato, nel bene e nel male, la storia del popolo prediletto. La stessa parola «ghetto» nasce qui, tra questi calli e campielli, dove nel 1516 venne stabilito dovessero risiedere tutti gli ebrei della città.
   Il Ghetto, che non ebbe subito il nome attuale, era l'area del Sestriere di Cannaregio dove si «gettavano», si fondevano, i metalli. Da allora, sino al 1797, gli ebrei abitarono qui, rinchiusi, ogni notte, dietro pesanti cancelli. Un modello poi tristemente replicato in tante città d'Europa. Ma l'avere concentrato in questo piccolo spazio tante persone, in alcuni periodi anche 5000, ne ha fatta una realtà unica e assolutamente originale. Una parte di Venezia che oggi il turismo culturale e gastronomico sta scoprendo, senza fortunatamente raggiungere quei numeri che, di fatto, ne snaturerebbero l'essenza. Passando sotto il varco del Sotoportego del Ghetto, dove ancora sono visibili i buchi dei cardini dei cancelli che chiudevano il quartiere di notte, si è non semplici turisti ma ospiti di una comunità molto attiva e di cui vanno rispettati tempi e modi di vita.
   I ristoranti, ad esempio, non serviranno di Shabbat, il sabato riservato alla preghiera e al riposo, mentre nelle due graziose botteghe dove si vendono rispettivamente dolci e gelati tutto è rigorosamente kosher, ovvero prodotto e conservato secondo i dettami della Legge e certificato dal Rabbino che alloggia pochi portoni più in là. Sarà quindi facile immergersi fra le bellezze di uno spazio unico e ricchissimo di opere d'arte e viverle a 360 gradi assaporando anche gli aromi ed i sapori che hanno amato coloro che questi luoghi li hanno pensati e creati. Raggiungere il Ghetto è poi facile se si arriva in treno o in auto a Venezia. Una passeggiata di dieci minuti dalla stazione di Santa Lucia verso la chiesa di San Geremia, un solo ponte da valicare, quello delle Guglie, e subito di fronte, in caratteri ebraici, un cartello giallo indicherà l'ingresso al quartiere. Pochi metri lungo il calle del Ghetto Vecchio e sulla sinistra ecco la sinagoga di «scola» (rito) spagnola, poi, dopo un piccolo campiello, la grande sinagoga di scola levantina e la più minuta scola Luzzato; infine, dopo un secondo ponte purtroppo deturpato da un tappeto di gomma antiscivolo, il Campo del Ghetto Nuovo con il museo ebraico, le altre tre sinagoghe del quartiere (scole Canton, Tedesca ed Italiana) ed i caratteristici palazzi di otto piani. Forse i più alti dell'antica Venezia, edificati in verticale proprio per dare alloggio alla popolazione ebraica che cresceva di numero ma non aveva altro spazio. In una di queste costruzioni, sul lato est della piazza, erano ospitati al piano terra i banchi dei pegni dove gli ebrei prestavano denaro. E' ancora possibile leggere l'insegna di uno di questi esercizi, il «Banco Rosso». Pochi metri più in là c'è invece l'ingresso del museo ebraico, spazio espositivo dove si possono anche prenotare le visite alle sinagoghe, e la fornitissima libreria Alef.
   Poi la Locanda del Ghetto, romantico albergo di sole sei stanze, gettonatissimo dai turisti israeliani. A sinistra del Banco Rosso c'è invece la stanza dove, durante il giorno, gli ebrei ortodossi si riuniscono in preghiera, avvolti nel bianco talled, il tradizionale mantello con le frange. Molti di loro sono stranieri, qui per studiare o per una vacanza. Non mancano nemmeno le giovani coppie, perché per gli ebrei sposarsi nelle sinagoghe di Venezia è talmente romantico che addirittura è stato creato un sito internet specializzato (www.kiddushinvenice.com). Gettonato, fatti i doverosi scongiuri, anche l'eterno riposo nel cimitero al Lido, uno dei più antichi d'Europa insieme al più famoso e visitato cimitero di Praga. Non resta che il cibo. A pranzo, nel ristorante Kosher Gam Gam, va assaporata la lunga sequenza di antipasti che, tradizione vuole (ma non è obbligatorio!), si degustano con tè o infusi alla cannella o allo zenzero. Lo spuntino è invece riservato alla panetteria Volpe con le dolci «orecchiette di Amman», ripiene di frutta, e le «Azzime al cioccolato» dalla forma a ciambella, magari sfogliando uno dei meravigliosi libri antichi della bottega di John Francis Phlimore (un luogo che merita una visita al pari di un museo).
   Infine, per la cena, meglio il menù del raffinato Ristorante Le-Balthazar nel Campo del Ghetto Nuovo, fra la casa di riposo ed una parte del monumento che ricorda l'Olocausto. Per concludere la serata con un caffè macchiato però ci si dovrà accontentare del latte di soia (le regole non permettono di servire latticini) oppure spostarsi oltre il Ghetto, lungo la Fondamenta degli Ormesini, dove pub, enoteche e piccoli locali vi faranno ripiombare nei tradizionali abbinamenti della cucina internazionale.

(Gazzetta di Parma, 3 maggio 2011)