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Il Dio d’Israele è diverso

da un libro di Jacob Damkani

Una mattina squillò il telefono. Era Joan, un caro amico dall'Olanda. «Jacob», esclamò con il suo tipico entusiasmo, «sono arrivato dall'estero all'aeroporto Ben Gurion con un gruppo di venti amici. Possiamo venirti a trovare?»
   Joan è una di quelle persone che ha uno charme irresistibile. Non accetta che si risponda "no". Del resto, chi direbbe "no" a uno che ama così tanto il Signore e il popolo ebraico?
   Poco dopo ero in compagnia dei miei nuovi amici. Dopo una breve presentazione cominciammo a cantare inni di lode al Signore. Grande era la gioia! Pregammo e leggemmo insieme incoraggianti brani delle Scritture. Poi spiegai ai miei amici il modo di pensare degli Israeliani e come bisogna presentare il vangelo in una prospettiva ebraica, nel contesto dell'Antico Testamento, e in modo particolare della Torah. Riempimmo le nostre borse di opuscoli evangelistici che volevamo distribuire agli angoli delle strade.
   Mentre stavamo all'incrocio di Allenby Street con Rotschild Boulevard, improvvisamente si sentì un tumulto dall'altra parte della strada. Un vecchio ebreo ortodosso, con la bianca barba tremante per l'eccitazione, gesticolava con le mani e gridava a squarciagola: «Oh vey, Yeeden! Aiuto! Missionari! Oscenità!»
   In pochi minuti una folla fremente e arrabbiata si radunò intorno a una delle ragazze del nostro gruppo. Era una scandinava e non sapeva una parola di ebraico, oltre shalom. Non aveva la minima idea del motivo di tanta attenzione per lei. La folla ostile avanzò verso di lei a pugni chiusi e con occhi pieni di odio.
   «Tu, sporca missionaria!»
   «Torna a casa tua, troia nazista! Sei peggio dei nazisti! I nazisti bruciavano i nostri corpi, tu vuoi annientare le nostre anime!»
   «Ci mancavano pure i missionari!»
   Quando vidi in distanza che stavano per linciarla, traversai di corsa la strada e cercai di attirare l'attenzione su di me.
   «Ebrei!» gridai alla folla infuriata, «Ebrei, che cosa state facendo, per amor del cielo? Non avete cuore? Non vedete che non capisce una parola di quello che dite? Lasciatela in pace, lasciatela andare!»
   La folla si rivolse subito verso di me.
   «E' una cristiana! Una missionaria! Ci porta Gesù!» protestarono.
   «E allora?» dissi io, «è contro la legge? è un buon motivo per queste violenze? Non è da ebrei comportarsi in questo modo!»
   «Ma lei predica Yeshu e ci invita a credere in lui!» disse il vecchio, tremando per l'indignazione.
   «Mio caro signore, si calmi. Lei non ha parlato a nessuno di Yeshu. Il Suo nome è Yeshua, ed è il Salvatore d'Israele!»
   Il tumulto aumentò, e adesso la folla arrabbiata prese a gridare oscenità contro di me. Per loro era chiaro: Yeshua appartiene ai gentili, non agli ebrei! Questo hanno imparato dai rabbini, e questo credono che sia.
   Gli insulti diventavano sempre più pesanti e io gridavo sempre più forte: «Voi state facendo esattamente quello che i vostri padri hanno fatto ai profeti. Allora hanno lapidato, e adesso voi, loro figli, non prestate attenzione alla Parola di Dio. Oggi, esattamente come allora, vi fate il vostro dio a vostra immagine e somiglianza, come lo volete voi. E' un dio che vi permette di mentire, commettere adulterio e uccidere. Ma non è il Signore e Dio d'Israele! Il Dio di Abraamo, d'Isacco e di Giacobbe vuole abitare in voi con il Suo Santo Spirito. Per questo ha mandato Yeshua: per perdonare i vostri peccati, se vi pentite e credete in Lui!»
   La sommossa aveva attirato l'attenzione. Una folla di curiosi accorse per vedere quello che stava succedendo e chiese i nostri opuscoli. Questo rese la folla ancora più furiosa:
   «All'inferno voi e i vostri profeti! Questo vostro Gesù Cristo! Maledetti voi e tutti i profeti!» imprecò uno di loro tremando di rabbia. «Noi crediamo solo in Dio, hai capito? Solo in Dio!»
   «Sì, sì, solo in Dio!» ripeté la folla piena d'ira, attizzando ancora di più il fuoco. «Qui non abbiamo bisogno di voi! Voi, fetenti missionari! Tornate al vostro paese! Andate a raccontare ai gentili del vostro Gesù!»
   L'accesa discussione tra me e la massa di cinquanta persone che mi gridava contro andò avanti. Alla fine capii che era impossibile riuscire a far ragionare con un minimo di buon senso tutte quelle persone arrabbiate. Cercai quindi di rompere l'assedio e di svignarmela. Alcuni però mi inseguirono per diversi isolati, lanciandomi dietro oscene imprecazioni che risuonarono per le strade.
   «Tu, traditore, provocatore di Israele! Hai venduto l'anima ai gentili! "I tuoi distruttori, i tuoi devastatori verranno dalle tue fila".
   Sobillati dall'iniziatore del tumulto, diversi giovani religiosi cominciarono a colpirmi e tentarono di strapparmi dalle mani la borsa con gli opuscoli. Io resistevo e tenevo stretta la borsa con tutte le mie forze. Poi tre giovani mi buttarono a terra, mentre il vecchio sopra di loro dava istruzioni: «Continuate, strappategliela dalle mani! Dev'essere bruciata con tutto il suo contenuto!»
   Io mi piegavo a terra e cercavo di proteggermi la testa con la borsa che continuavo a tenere stretta fra le mani. Alla fine i giovani mi sopraffecero e riuscirono a strapparmi di mano la borsa. Buttarono i foglietti evangelistici sul marciapiede, accesero un fiammifero e in pochi secondi gli opuscoli presero fuoco. Qualcuno trovò sul marciapiede un Nuovo Testamento. Lo sollevò, lo sventolò in alto trionfante e gridò: «Ehi, guardate qui che cosa ho! Questo ci voleva portare!» E lo buttò nel fuoco.
   Non tentai nemmeno di fermarlo. Sapevo che se anche fosse riuscito a incenerire tutti i libri del mondo che parlano di Yeshua, non avrebbe potuto distruggere la verità di Dio. "La volontà dell'Eterno prospererà nelle sue mani" (Isaia 53:10). Solo dopo essere riusciti a strapparmi gli opuscolii e aver sfogato tutta la loro ira sul pacco dei foglietti, mi lasciarono andare.
   Mi alzai. Avevo contusioni e ferite in tutto il corpo. Qualcuno aveva chiamato la polizia, ma quando alla fine arrivò, la folla si era già dispersa. Era rimasto solo un giovanotto con la kippà, che stava lì a godersi il risultato della rissa. Dopo un breve interrogatorio, i poliziotti ci caricarono entrambi sull'auto della polizia e ci portarono al commissariato.
   Lì fummo interrogati, e quando il funzionario di polizia fu convinto che il giovane aveva partecipato attivamente al pestaggio e al rogo degli opuscolii, accettò la mia denuncia e stese un verbale d'accusa contro di lui per "disturbo della quiete pubblica" e "aggressione".
   «Ma quest'uomo è un missionario! Predica Gesù alla gente!» insistette il giovane.
   «Questo in Israele non è vietato. La distribuzione di scritti e materiale di propaganda non è contro la legge, a meno che non metta in pericolo la sicurezza dello Stato o contenga materiale pornografico o scandaloso. Da quel che vedo, la letteratura distribuita non rientra in nessuna di queste categorie.»
   «Ma questi opuscoli inducono le persone a convertirsi ad un'altra religione! Costituiscono un'offesa ai nostri sentimenti religiosi!»
   «Se lei riteneva che si stesse commettendo una pubblica offesa», disse il poliziotto pazientemente, «avrebbe dovuto prendere il telefono e chiamare la polizia. In nessun caso avrebbe dovuto prendere la legge nelle proprie mani e usare i pugni!»
   «Ma io non ero solo!» cercò di difendersi il giovane. «C'erano almeno cinquanta persone là, e tutti gridavano. Io non sapevo nemmeno di che si trattava!»
   «Questo non la scarica della sua responsabilità. Pensa davvero che io le creda quando mi dice che si è messo a picchiare qualcuno senza nemmeno sapere perché l'ha fatto? Su, su, mi aspettavo un po' più di buon senso da lei!»
   Il giovane mi faceva davvero pena. Dopo che le dichiarazioni furono protocollate e dopo essermi reso conto della cifra elevata che avrebbe dovuto essere pagata come ammenda mi rivolsi al funzionario di polizia: «Senta, sono pronto a un compromesso. Se questo giovane si scusa, ammette la sua colpa e chiede perdono, sono disposto a dimenticare tutto e a ritirare la denuncia.»
   Quattro occhi mi fissarono sorpresi. Sia il funzionario, che certamente non si aspettava una simile reazione, sia il giovanotto, non credevano alle loro orecchie. Il primo mi lanciò un'occhiata interrogativa; il secondo arrossì e annuì col capo. Lo guardai negli occhi e gli tesi la mano. Esitò un momento, poi mi strinse la mano.
   Lasciammo insieme la stanza e il giovane mi rivolse la parola: «Apprezzo molto quello che ha fatto per me. Avrei potuto avere seri guai. Sono veramente dispiaciuto per tutto quello che è successo.»
   «Non è il caso di parlarne, io avevo perdonato tutto già prima che me lo chiedesse. In fondo, non ce l'avevo con lei. Probabilmente al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Volevo soltanto che si rendesse conto della gravità del fatto. Anche Dio non ignora i nostri peccati e non ci passa sopra. Lui sa che per i nostri peccati meritiamo la morte. Ma Dio ama lei e me così tanto che ha preso su di Sé la punizione per i nostri peccati. Per questo ci ha mandato Yeshua. Lei adesso è felice perché l'ha scampata, ma ancora non sa che cos'è la vera felicità. Lei può trovarla soltanto nel perdono dei peccati che può ricevere attraverso il Messia!»
   Mi fece un sorriso, agitò la mano e sparì dietro l'angolo.

(da "Leone di Pietra, Leone di Giuda", cap. 21)