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Israele e l'universalismo ideologico postmoderno

di Marcello Cicchese

Nel suo articolo "Il secolo ebraico e l'assimilazione" l'autore Ugo Volli vede nell'universalismo ideologico il più grande nemico dell'ebraismo, perché a suo parere "ogni universalismo non può che proporsi la distruzione delle minoranze consapevoli; non può provare a realizzarsi se non proponendosi la loro distruzione".
   Da molto tempo questo non è più vero. Era vero nell'Ottocento e nel primo Novecento, ma almeno a partire dalla fine della seconda guerra mondiale le cose sono cambiate. E' cambiato il linguaggio: il modernismo assegnava alle nazioni progredite il compito di portare al mondo la civiltà, il postmodernismo invece impone al mondo il dovere di rispettare le culture. E queste possono, anzi devono, essere diverse: la piramide modernista è stata sostituita dalla rete postmodernista. L'universalismo odierno persegue la composizione armoniosa di un variopinto "mazzolin di fiori" in cui ogni cultura è un fiore che deve occupare ordinatamente il suo posto senza pretendere di essere lei a dare il colore dominante. E nel variopinto mazzolino dell'universalismo postmoderno c'è posto anche per la minoranza ebraica con la sua cultura. Ma qual è la cultura autentica del popolo ebraico? Qui le strade si dividono e la quantità di risposte date, insieme a quelle che si potrebbero dare, è "come la rena del mare, tanto numerosa che non si può contare" (Genesi 32:12). Ma forse - dirà qualcuno - è proprio questa la caratteristica distintiva della cultura ebraica: quella di essere in se stessa un piccolo mazzolin di fiori, precursore in miniatura del grande variopinto mazzo dei popoli della terra. Insomma, una sorta di bonsai del mondo.
   Proprio questo è il punto da cui la riflessione può partire. "Israele siamo noi", è il titolo di un libro di Fiamma Nirenstein, e al di là delle particolari intenzioni politiche con cui l'autrice ha scritto il libro, la frase ha un suono profetico: cioè descrive la realtà in un modo che supera l'intenzione e la comprensione stessa di chi l'ha pronunciata. E' un fatto che non dovrebbe sorprendere chi ha dimestichezza con la Bibbia. Un'altra frase dello stesso genere è stata scritta recentemente da Deborah Fait: "Israele resisterà a tutto perché non è solo una nazione democratica e civile ma perché è un'IDEA". In entrambi i casi non si usano i termini "ebrei" e "popolo ebraico", ma semplicemente "Israele". Ed è giusto che sia così, perché Israele, appunto, è un'idea. Ma un'idea di Dio. E il termine "Israele", nella sua estensione semantica, contiene contemporaneamente i concetti di nazione, popolo e terra. E qualcosa di più.
   Il qualcosa di più è la particolarità unica della sua posizione universale: un popolo particolarissimo che occupa una posizione universalissima. E' strano allora che sia odiato da tutti? E' strano che molti suoi membri desiderino uscire da questa posizione esposta e cerchino di mimetizzarsi fra tutti gli altri meno "privilegiati"? No, non è strano: anzi è più che comprensibile. E i "non privilegiati" dovrebbero stare bene attenti a non ergersi a giudici quando vedono che qualcosa del genere accade.
   L'universalismo ideologico attenta alla particolarità ebraica? Sì, è vero, perché è universalismo pagano, immerso in una molteplicità di idoli (o idee o ideali o ideologie, hanno tutti la stessa radice) in perpetua lotta fra di loro. L'universalismo biblico invece parte sempre da una chiamata particolare per arrivare a un destino universale. Dio sceglie, chiama e ordina di andare. E l'universalità del compito non fa mai sparire la particolarità dello strumento eletto.
   L'origine biblica della particolarità d'Israele può essere riconosciuta in un passo come questo:
    "Poiché tu sei un popolo consacrato all'Eterno, che è l'Iddio tuo; l'Eterno, l'Iddio tuo, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. L'Eterno ha riposto in voi la sua affezione e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, ché anzi siete meno numerosi d'ogni altro popolo; ma perché l'Eterno vi ama" (Deuteronomio 7:67).
E il destino biblico dell'universalità d'Israele è rivelato in un passo come questo:
    "Avverrà negli ultimi giorni che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sulla vetta dei monti, e sarà elevato al disopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno ad esso. Molti popoli v'accorreranno, e diranno: 'Venite, saliamo al monte dell'Eterno, alla casa dell'Iddio di Giacobbe; egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri'. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell'Eterno. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; ed essi delle loro spade fabbricheranno vomeri d'aratro, e delle loro lance, roncole; una nazione non leverà più la spada contro un'altra, e non impareranno più la guerra" (Isaia 2:2-4).
Si difende la peculiarità distintiva d'Israele ribadendo innumerevoli volte che il fiore ebraico ha un colore particolarissimo, e che nessuno deve permettersi di sbiadirlo, e che non deve essere costretto a mescolarsi indistintamente nel mazzolino universale delle culture dei popoli? Almeno in linea teorica l'universalismo postmoderno si dichiara ben contento di accogliere nel suo mazzolino anche il coloratissimo fiore ebraico. A patto che accetti davvero di essere soltanto uno dei tanti fiori colorati del mazzetto. Quello che i gentili, e anche gran parte degli ebrei, non sono disposti ad accettare è la particolarità biblica di Israele. Particolarità che rappresenta anche l'aspetto fondante della sua universalità. In linguaggio geografico-politico la particolarità ebraica potrebbe essere espressa così: Il centro del mondo è Israele; il centro di Israele è Gerusalemme; il centro di Gerusalemme è il monte Sion.
   Accetterebbe il mondo questa presentazione della particolarità di Israele? L'accettano gli stessi ebrei? No, il mondo non l'accetta e gli ebrei o non ci credono o hanno timore a dirlo. Ed è comprensibile, perché in una dichiarazione di questo genere il mondo vedrebbe subito la conferma dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion.
   Il sionismo laico che riduce il riferimento a Dio a una questione di identità culturale e storica del popolo ebraico è in fondo una forma di assimilazionismo corporativo. I padri storici del sionismo, come Pinsker, Herzl, Ben Yehuda e altri, erano in fondo degli assimilazionisti frustrati, che dopo aver toccato con mano che gli ebrei non riuscivano ad essere accolti come tutti gli altri all'interno delle loro relative nazioni, hanno deciso di provare a costituire una nazione ebraica che fosse accolta, come tutte le altre, nella comunità delle nazioni. Fecero bene a volere questo, e nel loro proposito trovarono sempre e trovano ancora oggi il sostegno dei sionisti cristiani. Fecero bene perché Israele è stato sempre una nazione, anche quando non ha avuto una terra su cui esercitare la sua sovranità. Ma non è, non è mai stato e non sarà mai una nazione come tutte le altre.
   Naturalmente bisognerebbe continuare il discorso ed esporre le ragioni di questa singolarissima particolarità di Israele. Nel breve spazio di un articolo questo non si può fare, ma si può almeno dire che Israele non è soltanto una nazione, ma è stata e tornerà ad essere un Regno. E di questo Regno la persona più importante è il Re, indicato nella Bibbia come Messia, che significa Unto, cioè consacrato dal Signore. Se, come abbiamo detto, Sion è il centro del mondo, questo è vero perché esso è la sede designata da Dio per il Re dei re, come affermano le Scritture:
    "... [Dio] dirà: io ho stabilito il mio Re sopra Sion, monte della mia santità" (Salmo 2:6).
In questo salmo il Re è presentato anche come l'Unto del Signore, cioè come Messia:
    "I re della terra si ritrovano e i principi si consigliano assiame contro l'Eterno e contro il suo Unto" (v.2).
e come Figlio di Dio:
    "L'Eterno mi disse: Tu sei mio Figlio, oggi io t'ho generato" (v.7).
Il sionismo nasce come movimento laico e per qualche aspetto addirittura antireligioso, ma la scelta del nome si è rivelata provvidenziale, perché il riferimento a Sion ha stabilito un'inaspettata e certamente non voluta corrispondenza non solo con la terra d'Israele, non solo con la città di Gerusalemme, ma anche e precisamente con quel "monte della mia santità" sul quale Dio ha stabilito il suo Unto, cioè il suo Messia, che ha presentato al mondo come suo Figlio e ha istituito come Re con un suo preciso decreto.
   Se dunque la figura del Messia è parte importante, se non addirittura essenziale, della cultura ebraica, e in particolare anche del sionismo, perché se ne parla così poco? Se il sionismo è collegato a Sion, e Sion è collegato al biblico Unto dell'Eterno, perché i sionisti non si oppongono ai "principi" delle nazioni, che oggi si apprestano a decretare la costituzione sulla terra d'Israele di uno stato privo di ogni legittimità divina ed umana, con le parole del salmo 2? E' un salmo che appartiene alla loro propria cultura biblica, quindi ha valore e portata universali:
    "Perché tumultuano le nazioni e meditano i popoli cose vane?
    I re della terra si ritrovano e i principi congiurano insieme contro l'Eterno e contro il suo Unto.
    E dicono: "Rompiamo i loro legami e gettiamo via da noi le loro catene."
    Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro.
    Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti.
    E dirà: "Sono io che ho stabilito il mio re sopra Sion, monte della mia santità."
    Io spiegherò il decreto: L'Eterno mi disse: "Tu sei il mio figlio, oggi io t'ho generato.
    Chiedimi, io ti darò le nazioni per la tua eredità e le estremità della terra per tuo possesso."

    (Salmo 2:1-7)     
Sono parole pesanti: minacciose per chi le ascolta e impegnative per chi le dice. Ma qualunque cosa se ne pensi, resta il fatto che nella trattazione della questione ebraica, e in particolare del sionismo, la figura del Messia non può essere trascurata. Chi è? E' una persona o una metafora? E' realtà o favola? E' già venuto o deve ancora venire? Si presenterà come agnello o come leone? Non potrebbe trovarsi proprio nella figura del Messia la vera spiegazione della particolarità universale di Israele?
    Più in generale, il rapporto che collega fra loro Messia, Israele e nazioni dovrebbe essere oggetto di attento studio, almeno da parte di chi dà credito agli scritti biblici. Una traccia di ricerca potrebbe essere trovata svolgendo il seguente compitino, presentato in forma scolastica: "Verificare se e in quale misura è valida seguente equivalenza: Israele sta al Messia come il mondo sta a Israele."
E' soltanto un suggerimento, un hint direbbero gli inglesi.

(Notizie su Israele, 15 agosto 2011)