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Notizie 16-30 aprile 2020


La kippah trasformata in mascherina contro il Covid-19

Così gli ebrei texani aiutano i più poveri

di Paolo Castellano

L'ebraismo e la sua creatività in soccorso dei più deboli. In Texas, per la precisione a Houston, una famiglia ebraica sta trasformando le kippot di scorta in mascherine anti-Coronavirus per i senzatetto americani. La diffusione incontrollata del Covid-19 negli Stati Uniti ha prodotto una vera e propria emergenza sociale, causando molte vittime il cui numero supera quello delle perdite avvenute durante la guerra del Vietnam.
   Come altre comunità ebraiche sparse per il mondo, la famiglia americana dei Jason ha creato un procedimento per trasformare le kippot in mascherine. Su Youtube si trova un video che racconta il progetto ed è stato registrato dai fratelli della famiglia ebraica texana. È stato inoltre creato un video tutorial per chi volesse trasformare la propria kippah in mascherina.
   Ogni venerdì, Matthew e Jeremy Jason fanno i volontari per aiutare l'organizzazione benefica di Houston Food Not Bombs. Questa associazione no-profit opera in mille città di 65 paesi, offrendo pasti ai poveri. Dal 24 aprile, la famiglia Jason ha deciso di trasformare le proprie kippot di scorta in mascherine contro il Covid-19. Come riporta Algemeiner, quest'idea è nata durante una cena di Shabbat.
   I fratelli Jason hanno chiesto alla loro sinagoga, la comunità Brith Shalom, di aiutarli a raccogliere le kippot. Infatti all'interno del luogo di preghiera è stato creato un contenitore per chi volesse donare la propria kippah di scorta. La campagna di donazione ora ha anche un nome: Kipphas to the Rescue.
   Come si fa a trasformare una kippah in mascherina? Inizialmente, la famiglia Jason ha cucito delle strisce elastiche su entrambi i lati del copricapo ebraico per consentire un'efficace aderenza al volto mediante un aggancio alle orecchie. La cucitura però si è rivelata un procedimento lento e così si è passati all'applicazione delle clip con gli stessi risultati.
   «In meno di una settimana siamo riusciti a raccogliere abbastanza kippot per realizzare 160 maschere. I miei genitori, i miei fratelli e io abbiamo lavorato molto duramente per cucire gli elastici», ha dichiarato Matthew. «È stato sorprendente vedere come sono stato in grado di dare una mano, e le persone sono state così riconoscenti».
   Grazie al supporto della comunità ebraica texana, in particolare il Brith Shalom, la famiglia Jason ha già raccolto 700 kippot e fabbricato 300 mascherine per il viso. Matthew si augura che il suo esempio possa ispirare altre comunità a fare gesti simili al suo.

(Bet Magazine Mosaico, 30 aprile 2020)


Netanyahu potrebbe annullare il monitoraggio di pazienti in quarantena

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sta valutando la possibilità di sospendere la normativa che consente il monitoraggio via cellulare dei pazienti in quarantena positivi al nuovo coronavirus da parte dei servizi di sicurezza interni, lo Shin Bet. Lo ha dichiarato oggi il vice procuratore generale Raz Nizri. Lo scorso marzo, nel pieno della diffusione del virus Sars-Cov-2, il governo ha approvato un decreto d'emergenza per consentire allo Shin Bet di monitorare lo smartphone dei pazienti positivi al coronavirus. La decisione del governo aveva provocato un ampio dibattito in merito al rispetto della privacy.

(Agenzia Nova, 30 aprile 2020)


La Germania vieta Hezbollah. Raid della polizia nelle moschee per arrestare militanti

di Giordano Stabile

La Germania ha bandito l'Hezbollah libanese sul suo territorio e ha designato il gruppo come «organizzazione terroristica». La polizia ha condotto raid mattutini nelle moschee di numerose città per arrestare sospetti militanti. Il ministero dell'Interno ha rivelato di stimare fino a 1050 le persone in Germania che appartengono all'ala militante del gruppo sciita libanese. La Germania aveva finora distinto tra il braccio politico di Hezbollah e le sue unità combattenti. In Libano ci sarebbero fino a 60 mila miliziani, e migliaia sono stati inviati dal 2012 a combattere in Siria a fianco dell'esercito del presidente Bashar al-Assad contro i ribelli. Hezbollah, Partito di Dio, è stato fondato all'inizio degli anni Ottanta con il sostegno, logistico e finanziario, dell'Iran. Ha condotto azioni di guerriglia durante l'occupazione israeliana del Sud del Libano fino al 2000 e una guerra aperta nell'estate del 2006, finita con un sostanziale «pareggio». L'ala politica fa parte del governo del nuovo premier Hassan Diab ed esprime tre ministri.

 «Nemico dell'ordine internazionale»
  Israele e Stati Uniti contestano però la distinzione fra ala politica e ala militare e considerano l'intera organizzazione un gruppo terroristico. Lo scorso dicembre il Parlamento tedesco ha approvato una mozione che esortava la cancelliera Angela Merkel a vietare tutte le attività di Hezbollah sul suolo tedesco. Durante un viaggio a Berlino, sempre lo scorso anno, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha invitato Berlino a seguire l'esempio della Gran Bretagna, che già a febbraio aveva messo fuorilegge anche l'ala politica del Partito di Dio sciita. La decisione di oggi accoglie quindi queste richieste, in quanto, ha spiegato il ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer, «le attività di Hezbollah violano il codice penale e l'organizzazione si oppone all'ordine internazionale». In base ai provvedimenti sarà anche proibito esporre simboli del partito in pubblico mentre beni e pubblicazioni potranno essere confiscate.

 Il plauso di Israele
  L'azione di Seehofer, esponente della Csu bavarese alleata della Merkel, ha suscitato il plauso di Israele. «E' una decisione molto importante - ha sottolineato il ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Israel Katz -. Invito tutti i Paesi europei e anche l'Unione europea a fare lo stesso. Tutte le componenti di Hezbollah, incluse quelle sociali, politiche, militari sono organizzazioni terroristiche e debbono essere trattate come tali». Hezbollah conta anche su una rete di servizi sociali, come scuole tecniche e ambulatori, e si è mobilitato, con ambulanze e medici militari, nella lotta al coronavirus. Queste azioni mantengono un consenso ancora abbastanza diffuso nel Sud del Libano, anche se incrinato dalla crisi economica. Dall'Iran arrivano circa 700 milioni di dollari all'anno, soprattutto per sostenere le azioni dei miliziani in Siria e Iraq, nell'ambito dell'asse della «resistenza» contro Stati Uniti e Israele.

(La Stampa, 30 aprile 2020)


Canada. Il partito conservatore: "Israele, modello democratico"

"Se andremo al governo sposteremo l'ambasciata a Gerusalemme"

di Paolo Castellano

 
Andrew Scheer
Il 28 aprile, il partito conservatore canadese ha dichiarato di essere orgoglioso dell'amicizia con Israele e che sposterà a Gerusalemme l'ambasciata del Canada, se un giorno governerà il paese nordamericano. Andrew Scheer, leder dei conservatori canadesi, ha rilasciato tali considerazioni per celebrare Yom Ha'Azmaut, l'anniversario dell'indipendenza d'Israele.
   «Oggi la comunità ebraica del Canada e del mondo celebra Yom Ha'Azmaut, la festa dell'indipendenza di Israele. Come canadesi, siamo orgogliosi di essere stati una delle prime nazioni a riconoscere lo Stato d'Israele», ha scritto Scheer. «Come capo dei conservatori canadesi, ho annunciato che il nostro partito avrebbe già trasferito l'ambasciata canadese a Gerusalemme e avrebbe riconosciuto la città come legittima capitale di Israele».
   Come riporta Israel National News, nella sua lettera d'amicizia per lo Stato ebraico, Scheer ha poi aggiunto di essere molto felice per gli "incredibili risultati raggiunti da Israele": «Israele non è diventato solo un modello di democrazia ma anche di una società libera e pluralistica».
   «A nome dei conservatori canadesi, vorrei augurare ai nostri amici israeliani e a tutti i membri della comunità ebraica, sia in Canada che nel mondo, un felice 72esimo anniversario dell'indipendenza israeliana. Possa Israele essere benedetto con pace, salute e prosperità», queste le parole conclusive del messaggio di Scheer.
   Dopo la decisione degli Stati Uniti di spostare la loro sede diplomatica a Gerusalemme, il partito conservatore canadese ha votato una risoluzione interna che approvava il comportamento dell'amministrazione Trump e che riconosceva Gerusalemme come capitale legittima di Israele. Il documento stilato nel 2018 impegna un eventuale governo conservatore canadese a trasferire l'ambasciata del Canada nell'attuale capitale israeliana.
   Anche Peter MacKay, candidato alla leadership del partito conservatore canadese, ha recentemente dichiarato che se verrà votato, cambierà la sede israeliana dell'ambasciata canadese. «È sempre stata una mia posizione personale che Gerusalemme sia la capitale indiscussa dello Stato di Israele ed è lì che dovrebbe trovarsi l'ambasciata del Canada sotto la mia guida», MacKay ha scritto sul suo profilo Twitter a febbraio.

(Bet Magazine Mosaico, 30 aprile 2020)


Una festa diversa a causa dell’isolamento

Gli auguri di Giacomo Kahn, Direttore di Shalom, per una festa diversa a causa dell'isolamento, ma ancora più importante per l'esempio che Israele offre anche di fronte a questa emergenza sanitaria.

(Facebook, 30 aprile 2020)


Una petizione per cancellare da Goodreads i libri che negano la Shoah

di Paolo Castellano

Goodreads è una delle più importanti piattaforme di recensioni e consigli di libri. La sua comunità è molto attiva. Julianna Goldberg, una lettrice e frequentatrice del sito web, ha lanciato una petizione per bandire i titoli che mettono in discussione la veridicità della Shoah.
   Il 24 aprile, Goldberg ha infatti pubblicato un appello su Change.org per chiedere agli amministratori di Goodreads di intervenire sulle valutazioni e le recensioni di "volumi negazionisti". L'autrice della petizione si riferisce in particolare ai libri intitolati The Six Million: Fact or Fiction? di Peter Winter e Did Six Million Really Die? di Richard E. Harwood. Questi due titoli sono tra i primi risultati di ricerca della piattaforma digitando le parole "sei milioni".
   Nella sua petizione, Goldberg fa notare che questi libri hanno recensioni molto alte, ovvero 5 stelle da 100 utenti. Questo meccanismo potrebbe dar credito a uno scrittore revisionista e antisemita, favorendo così la diffusione di teorie complottiste, razziste ed antisemite nella Rete. In questo caso, i due autori sopracitati mettono in dubbio verità storiche come l'avvenimento della tragedia ebraica.
   Goldberg si è appellata dunque a Goodreads per contrastare l'antisemitismo su Internet che "distorce e cancella la sofferenza di 6 milioni di ebrei" uccisi dal nazismo prima e durante la seconda guerra mondiale. «Se ti interessa la verità, il rispetto per i sopravvissuti e il contrasto all'antisemitismo e all'odio, firma questa petizione chiedendo a Goodreads di rimuovere per sempre questi libri dai suoi scaffali», si legge nella descrizione della petizione.
   Al momento, 242 utenti hanno firmato l'appello che è stato pubblicato la scorsa settimana. Nessun portavoce di Goodreads ha risposto alle accuse. Tuttavia Mathilde Frot, giornalista di Jewish News, ha contattato un responsabile della piattaforma per chiedere un commento sul problema sollevato dalla petizione.
   «Come sito di recensioni di libri, il nostro scopo è quello di fornire un luogo dove le persone possano esprimere le loro opinioni sui libri, anche nel caso di libri controversi e con contenuti discutibili. Ci assumiamo la responsabilità di supportare seriamente la nostra comunità di lettori, ascoltando attentamente le preoccupazioni sollevate dai nostri iscritti», ha detto il portavoce di Goodreads. «Non tolleriamo i discorsi d'odio e le recensioni o i commenti che contengono frasi d'odio verranno eliminati».
   Nel 2013 Amazon ha comprato Goodreads, il social dedicato alla lettura. Secondo i dati della piattaforma, il sito ha 45 milioni di visitatori attivi ogni mese. La maggior parte è americana.

(Bet Magazine Mosaico, 29 aprile 2020)


Giorno dell'Indipendenza di Israele - 72 anni in 72 secondi

72 anni e non sentirli


In occasione del Giorno dell'Indipendenza dello Stato di Israele, contiamo insieme 72 anni in 72 secondi, per celebrare un Paese bellissimo e il suo popolo.

(Facebook, 30 aprile 2020)


Attacco terroristico in Israele

Accoltellata una donna a Kfar Saba il giorno di Yom HaZikaron da un 19enne palestinese

di Roberto Zadik

Dopo tanto tempo la violenza e la paura tornano in Israele, nel pieno dell'emergenza Coronavirus e dello Yom HaZikaron, giorno di ricordo dei soldati caduti nelle varie guerre e una delle ricorrenze più sentite in Israele. A questo proposito il Times of Israel riporta la grave notizia del ferimento di una 62enne nel pieno centro della cittadina di Kfar Saba, martedì 28 aprile verso mezzogiorno e mezzo. Stando alle ricostruzioni dell'accaduto, la donna si trovava alla stazione degli autobus quando sarebbe stata assalita da un ragazzo palestinese di 19 anni, armato di coltello e proveniente da Tulkarem.
   Il Jerusalem Post ha specificato che questo grave episodio è successo, vicino al centro commerciale G Mall, a Galgalei Haplada street, pochi minuti prima della cerimonia, che per una strana coincidenza, commemora sia i militari che le vittime degli attacchi terroristici. La testata sottolinea che, nonostante la violenza subita, la vittima, colpita dall'aggressore in vari punti del corpo si troverebbe in discrete condizioni, grazie alle cure infermieristiche del Magen David Adom ricoverata attualmente al Centro Medico Meir della cittadina. Secondo il capo dell'unità traumatologica, Uri Yusolevitch, le è stata fatta una trasfusione di sangue poco dopo il suo arrivo in ospedale e, la paziente, dovrebbe essere dimessa mercoledì. Se non fosse stato per la prontezza non solo dell'ambulanza ma anche della polizia, avrebbe potuto finire decisamente peggio. Infatti il giovane terrorista, è stato prontamente bloccato dalle forze dell'ordine che hanno chiuso le strade circostanti.
   Secondo alcune testimonianze riportate dal sito Arutz Sheva, la donna è miracolosamente sopravvissuta alle lesioni. "Quando siamo arrivati sul luogo, abbiamo visto la donna, pienamente cosciente, che giaceva sulla strada" ha raccontato l'infermiere Eliazar Havani. "Abbiamo svolto diversi esami clinici ritrovando ferite in vari punti del corpo" ha aggiunto "apportando una serie di interventi, portandola successivamente all'ospedale". Stando alle accurate ricostruzioni del sito di Haaretz , nell'efficace articolo del cronista Bar Peleg sembra che l'aggressore si chiamasse Mohammed Risha residente in Israele senza autorizzazione e che sia letteralmente saltato addosso per poi colpirla diverse volte con un oggetto molto appuntito, finché un residente nella zona, coraggiosamente ha sparato immobilizzando il terrorista, senza però ferirlo gravemente, fino all'arrivo degli infermieri e della polizia. Il marito della donna, ha affermato che "è stata ferita mentre aspettava l'autobus e ha perso molto sangue. Malgrado ciò ha parlato con i dottori ed è cosciente". Dispiaciuto il sindaco di Kfar Saba, Rafi Saar che ha sottolineato "la gravità di questo incidente in una città che è sempre stata sicura" e la poca chiarezza su chi sia questo terrorista "non abbiamo dettagli su di lui e non sappiamo cosa faccia qui". Attualmente sono in corso le indagini per appurare la dinamica dell'accaduto e di questo episodio, inaspettato in questa situazione e in una cittadina che è sempre stata molto tranquilla come Kfar Saba.

(Bet Magazine Mosaico, 29 aprile 2020)


Biden spaventa Israele: "Se sarò eletto niente annessioni"

L'ex vicepresidente americano Joe Biden, in corsa per la Casa Bianca, è sempre stato contrario a passi unilaterali nell'ambito del processo di pace in Medio Oriente, compresa l'annessione delle colonie in Cisgiordania da parte di Israele.
Lo ha ribadito il suo consigliere per la politica estera Tony Blinken, specificando però che questo "non andrà a pregiudicare quello che potremo o meno fare nell'ambito di un'amministrazione Biden" perché molto potrebbe cambiare per allora.
L'annessione delle colonie in Cisgiordania è stata inserita nell'accordo per un governo di unità nazionale firmato la settimana scorsa da Benjamin Netanyahu e Benny Gantz: in base all'intesa, il leader del Likud potrà portare avanti il progetto dal 1 luglio del prossimo anno, previo sostegno di Washington.

 "Se Biden verrà eletto presidente non riporterà l'ambasciata Usa da Gerusalemme a Tel Aviv"
  Blinken, durante un seminario online organizzato dal Jewish Democratic Council of America, ha poi riferito che Biden, se eletto presidente, non riporterà l'ambasciata Usa da Gerusalemme a Tel Aviv perché "non avrebbe senso né da un punto di vista pratico né politico".
La rappresentanza diplomatica è stata spostata nel 2018 dopo il riconoscimento da parte del presidente americano Donald Trump di Gerusalemme come capitale d'Israele. Una decisione che ha provocato un'ondata di proteste in tutto il mondo dal momento che la città è uno dei nodi centrali della disputa tra israeliani e palestinesi e il suo status dovrebbe essere regolato all'interno di negoziati tra le parti, al momento bloccati.

(Affaritaliani.it, 29 aprile 2020)


Festa nazionale in Israele: frecce sorvolano ospedali

di Giacomo Kahn


Gli israeliani celebrano oggi a casa il Giorno dell'Indipendenza - che commemora la nascita dello Stato di Israele nel 1948 - per il lockdown imposto dalle autorità per cercare di rallentare la diffusione della pandemia di coronavirus. La festa nazionale in Israele è solitamente un'occasione per festeggiare con parenti e amici in spiaggia, intorno a un barbecue o ammirando i fuochi d'artificio, ma quest'anno non è stato possibile a causa del coronavirus. Ma l'aeronautica israeliana ha dedicato il volo delle sue "frecce" agli operatori sanitari impegnati contro l'epidemia: gli aerei hanno attraversato il Paese prima di eseguire le acrobazie su ospedali e centri medici. Molte le immagini di gruppi di medici dello Sheba Medical Center che salutano, bandiere israeliane alla mano, il passaggio delle squadriglie acrobatiche a Ramat Gan. Altri eventi saranno trasmessi online, senza pubblico dal vivo. Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Sanità dello Stato ebraico, in Israele i casi accertati di coronavirus sono 15.782 dall'inizio dell'epidemia e il bilancio dei decessi è di 212. Attualmente il trend dei contagi è in progressivo e netto calo.

(Shalom, 29 aprile 2020)


*


Yom ha Atzmaut: quando il tempo delle lacrime incontra quello della gioia

Quando la Alef potrà svelarsi in tutta la sua magnificenza

di Rav Scialom Bahbout

Yom ha Atzmaut: quando il tempo delle lacrime incontra quello della gioia. Ogni Stato stabilisce le sue feste nazionali e Israele ha stabilito il 5 del mese ebraico Iyar come Giorno dell'Indipendenza, così come l'Italia ha fissato come giorni festivi il 25 aprile e il 2 giugno, feste della Liberazione e della Repubblica. La festa della Liberazione e quella dell'Indipendenza cadono sempre nello stesso periodo dell'anno e hanno in comune elementi simili, ma sono tra loro profondamente diverse.
   Ciò che caratterizza Yom ha Atzmaut è il fatto che fin dall'inizio non è mai stata vissuta solo come una festa nazionale, ma piuttosto come una festa in cui il sacro e il profano si incontravano e si incrociavano. Questo è il motivo per cui la festa viene celebrata sia in Israele che nelle Comunità ebraiche di tutto il mondo.
   Coloro che non si limitano a leggere e ad ascoltare la Dichiarazione con cui fu fondato lo Stato di Israele, hanno cercato nelle fonti bibliche le allusioni al ritorno del popolo ebraico nella Terra Promessa.
   Quelle che ci sembrano più significative sono le parole del Profeta Ezechiele (cap. 37) che vive in Babilonia dopo la deportazione degli ebrei: lì ha una visione in cui il Signore lo conduce in una valle piena di ossa secche e gli chiede se queste ossa torneranno a vivere. Di fronte allo scetticismo di Ezechiele il Signore fa sì che uno spirito nuovo soffi in quelle ossa e queste riprendono vita. Ezechiele sa che l'esilio sarà destinato a finire, anche se in quel momento la situazione del popolo sembra suggerire che la fine sia vicina e , come dicono gli altri esuli "è finita la nostra speranza" (Avdà tikvatenu).
   Esilio in ebraico si dice Golà (גולה) e redenzione Gheullà (גאולה): due parole che differiscono per una sola lettera, la Alef. La vita e la storia ebraica si sono svolte tra due poli: l'Esilio e la Redenzione. Per superare questa dicotomia e l'esilio bisogna collegarsi alla Alef, la lettera con cui iniziano i Dieci comandamenti e il nome di Dio e che danno eternità alla presenza ebraica nel mondo, un fatto che J. J. Rousseau osserva con meraviglia perché fa del popolo ebraico e delle sue leggi un unicum nella storia dell'uomo.
   Non deve infine sfuggire che la lettera Àlef trasforma le עצמות (‘Atzamòt) le ossa secche della visione di Ezechiele), in Indipendenza ‘Atzmaùt עצמאות: quando sembrava che oramai “la speranza fosse persa” (sono queste le parole delle ossa secche, cioè gli ebrei dispersi e sottomessi nella diaspora) la storia prende un’altra direzione: le ossa salvate dalla schiavitù dei Campi di sterminio sono tornate a rivivere. Allora la Golà diventa Gheullà e le ‘atzamòt raggiungono ‘atzmaùt, indipendenza. L'inno israeliano Hatikvà (la speranza) sembra riprendere le parole del profeta allorquando afferma: “Ancora non è persa la nostra speranza di essere un popolo libero nella nostra terra”.
   Per realizzare questa speranza è necessario che la Alef con cui inizia la parola אדם incontri quella della parola ¬א ¬- לוקים , l’uomo creato a immagine di Dio. Sta all’uomo far sì che la sua Alef incontri quella del nome divino. Compito dell’uomo è portare a compimento il senso delle parole delle Genesi per cui tutte le persone sono state create a immagine divina.
    Così fin dall’inizio della fondazione, Yom ha Atzmaut ha assunto un significato in cui è difficile distinguere il momento “laico” da quello “religioso”. La partecipazione degli ebrei della Diaspora e di molti amici non ebrei non può essere ricondotta all’espressione nazionalista di mera identificazione con lo Stato d’Israele; essa rappresenta piuttosto un momento di sintesi religiosa, che come tale viene intesa, magari solo sul piano dell’inconscio, anche dai “laici”.
   In un momento tragico come quello attuale che coinvolge il mondo intero – la pandemia del Covit 19, – uomini di fede e uomini che non lo sono, devono collaborare affinché, superata la tempesta, l’Arca in cui tutta l’umanità si trova riprenda a galleggiare con sicurezza. La società moderna deve recuperare i valori insiti nell’essenza dell’uomo e della sua funzione nel creato, per dare un senso e una direzione alla sua esistenza.
   Per il popolo ebraico, in modo particolare, Yom ha Atzmaut rappresenta dunque un punto di incontro del suo destino, dove la storia incrocia lo spirito, l’immanente il trascendente, e il “tempo delle lacrime”, “il tempo delle risa”.
   Con l’augurio che ciò possa accadere per l’umanità intera presto ai nostri giorni: ma solo se ognuno di noi lo vorrà …

(Progetto Dreyfus, 29 aprile 2020)


«Soli, al lavoro in remoto riscopriamo il valore dei nostri riti collettivi»

Il rabbino Di Segni, che da medico vide la Sars

di Gian Guido Vecchi

«Se dopo il disastro delle vite ci sarà il disastro economico, non sappiamo quali scenari dovremo affrontare. La questione è importante e non solo dal punto di vista religioso. Ne va della tenuta sociale».
  Riccardo Di Segni, 70 anni, è dal 2001 rabbino capo di Roma nonché medico, oggi in pensione e a lungo primario di Radiologia al San Giovanni. «Ho attraversato il ciclone Sars, nel 2003, il primo caso passò proprio dal mio reparto. Ma allora fu tutto molto limitato, finì presto. Ora invece ... ».
  Anche rappresentanti dell'ebraismo parteciperanno alla riunione con le religioni organizzata dal Viminale, si è parlato di domani.

- È possibile ricominciare le riunioni di preghiera?
  «Si possono trovare delle soluzioni, con grande attenzione e autodisciplina. Tutti dobbiamo rispettare le regole di salute pubblica. Dai settori produttivi ai trasporti, si sta parlando di come ricominciare tenendo conto delle misure di sicurezza e sanitarie. Non vedo perché non sia possibile con le pratiche religiose».

- Quando?
  «Mi auguro che i tempi siano brevi ma soprattutto spero che al più presto precipiti la curva di infezioni e decessi».

- Come la vede?
  «Mi preoccupa l'incertezza: i dati che ancora ci sfuggono dal punto di vista scientifico sono molti più di quelli che conosciamo. Ci vorrà tempo per chiarire, e il tempo non c'è, l'impatto sociale ed economico è spaventoso».

- Come avete vissuto queste settimane?
  «La pandemia è arrivata tra due feste molto importanti, Purim e poi Pesach, la Pasqua. Comportano doveri religiosi che si svolgono nella socialità, coinvolgono i bambini, grandi gruppi... E' saltato un intero sistema. E questo fa capire una cosa importante».

- Quale?
  «Nel sistema ebraico, ad esempio, la preghiera è individuale e collettiva. Quella collettiva va fatta da almeno dieci persone il "minian" ovvero il quorum. E non si 'può raggiungere un quorum telematico, tanto più il sabato. Ecco: proprio questa apparente rigidità del sistema religioso serve a tutelare la socialità che rischiamo di perdere».

- In che senso?
  «Quando usciremo da questa crisi, avremo dimostrato che moltissime cose che prima facevamo andando disperatamente in giro o viaggiando, come le riunioni di lavoro, si possono fare più comodamente e magari meglio da casa. Tutto questo avrà delle conseguenze sulla società».

- E qui diventa importante il ruolo delle fedi?
  «Sì. Scopriamo la comodità delle telecomunicazioni e insieme si disgrega il sistema, il tessuto sociale. In una situazione simile, e con tutte le loro differenze, le organizzazioni religiose avranno ancora di più un ruolo di cemento della nazione».

(Corriere della Sera, 29 aprile 2020)


Israele procede con l'annessione, dagli Usa mezza luce verde

Amman protesta a vuoto: i giordani inascoltati, come i palestinesi

Ami Ayalon
L'annessione danneggerà la stabilità regionale
Mike Pompeo
È una decisione di Israele, noi comunicheremo le nostre opinioni

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - L'annessione unilaterale a Israele di una buona porzione della Cisgiordania distruggerà, tra le altre cose, il trattato di pace israelo-giordano del 1994 e minerà le fondamenta del regno hashemita? La possibilità è concreta, spiega l'ammiraglio in pensione Ami Ayalon, ex capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza, che assieme ad altri 220 ex alti ufficiali delle forze armate israeliane ha avviato una campagna contro l'annessione prevista dal piano dell'amministrazione Trump concepito per assegnare a Israele gran parte dei Territori del 1967 e negare uno Stato sovrano ai palestinesi.
   «L'annessione danneggerà la stabilità in Medio Oriente - avverte Ayalon - Il trattato di pace con l'Egitto e quello con la Giordania sono i due cardini della nostra politica (regionale) e della nostra sicurezza negli ultimi 30 o 40 anni», aggiunge alludendo a rischi anche per Israele. Ma Benyamin Netanyahu non ha i dubbi di Ayalon. La partita con i palestinesi, pensa il premier, è ormai vinta grazie ai colpi inferti dagli Stati uniti al diritto internazionale. E la Giordania, ne è convinto, si adeguerà. Netanyahu, pronto ad assumere la guida del governo in via di formazione grazie al via libera ricevuto dal suo ex avversario irriducibile Benny Gantz, non bada alle condanne al progetto di annessione. Dei palestinesi e quelle, ribadite a ogni occasione, dalla Giordania. Stretta alleata di Israele nelle questioni di sicurezza, Amman ha bocciato il piano Trump e insiste per la nascita di uno Stato palestinese sovrano, garanzia alla sua stabilità.
   La popolazione della Giordania è in buona parte di origine palestinese e re Abdallah sa che a Washington e Tel Aviv qualcuno sta rispolverando la vecchia «Opzione giordana»: il regno hashemita come Stato palestinese in modo che Israele possa conservare il controllo di tutta la Palestina storica.
   Ad Amman perciò sono in allerta da quando, lo scorso 28 gennaio, Trump ha annunciato il suo piano, l'Accordo del secolo. I media israeliani riferiscono: dal Dipartimento di Stato fanno sapere che gli Usa sono pronti a riconoscere l'annessione a Israele della Valle del Giordano e delle parti di Cisgiordania dove sono situate le circa 150 colonie ebraiche costruite dopo il 1967 in violazione del diritto internazionale.
   «Abbiamo già chiarito che siamo pronti a riconoscere l'estensione della sovranità israeliana e l'applicazione della legge israeliana alle aree della Cisgiordania che (il piano Trump) indica come parte dello Stato di Israele», spiega un funzionario americano citato dal Times of lsrael. E una settimana fa il segretario di Stato Mike Pompeo aveva affermato che l'annessione è solo «una decisione di Israele, noi lavoreremo a stretto contatto con gli israeliani per condividere con loro le nostre opinioni». Quindi Netanyahu si è detto fiducioso di ottenere al più presto dagli Usa la luce verde ufficiale all'annessione. Il 1 luglio è la data che con ogni probabilità Netanyahu sceglierà per avviare alla Knesset l'iter legislativo per «l'estensione della sovranità» di Israele. Intanto in casa i suoi guai politici e giudiziari si stanno risolvendo.
   Tra un mese dovrà presentarsi in tribunale per rispondere delle accuse di corruzione, frode e abuso di potere. Ma i tempi del processo si prevedono molto lunghi e nel frattempo godrà dell' appoggio di Gantz. Ieri Blu Bianco, il partito del suo nuovo alleato, ha chiesto alla Corte suprema di respingere le sette petizioni presentate da varie organizzazioni contro Netanyahu premier.
   Blu bianco appena qualche settimana fa ripeteva che Israele non può essere guidato da un primo ministro «corrotto e nemico della democrazia». Ora ritiene che le «circostanze speciali di profonda crisi politica, economica e sanitaria (coronavirus) impongono la formazione di un governo di emergenza» con a capo l'uomo che Gantz definiva l'incarnazione del male.
   
(il manifesto, 29 aprile 2020)


Un narcotrafficante vicino a Hezbollah al governo con Maduro

Il presidente nomina iI"chavista" Tarek El Aissimi ministro del Petrolio. Contro di lui gli Usa hanno spiccato un mandato di cattura internazionale. Figlio di un immigrato siriano. La sua famiglia ha avuto legami diretti con Saddam Hussein.

di Emiliano Guanella

SAN PAOLO - Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha nominato ministro del petrolio, Tarek El Aissimi, uno dei più discussi funzionari del chavismo, accusato dagli Stati Uniti di far parte di una rete internazionale dedita al narcotraffico e al finanziamento di gruppi terroristici come Hezbolah e Hamas. El Aissimi, che sarà il primo non militare da anni a guidare l'attività petrolifera venezuelana, è un nome molto conosciuto a Washington; sulla sua testa l'amministrazione Trump ha messo una taglia di 10 milioni di dollari ed è stato dichiarato persona non grata anche da Gran Bretagna, Canada e Svizzera. Classe 1974, Tarek è figlio di Zaidan el Aimil el Aissimi, un immigrato siriano appartenente al partito Baath, mentre suo zio Shibli El Aissami è stato stretto collaboratore di Saddam Hussein. Leader di un movimento studentesco di estrema sinistra, ha festeggiato nel 2001 l'attacco alla Torri gemelle. Ad appena 35 anni è nominato ministro dell'interno da Hugo Chavez; di allora la decisione di cacciare dal Venezuela gli ufficiali della Dea, l'antidroga statunitense. Nel 2013 è accusato di aver consegnato migliaia di passaporti a militanti di gruppi terroristici arabi provenienti da Libano, Siria, Egitto e Pakistan. Secondo il dipartimento di Stato americano avrebbe poi fondato una rete di società offshore tra Panama e altri paradisi fiscali nei Caraibi per riciclare i proventi del narcotraffico, tonnellate di droga colombiana arrivata in Messico e poi negli Stati Uniti via Venezuela.
   La sua forza, secondo molti, si fonda sulle informazioni raccolte e accuratamente catalogate di alleati e nemici attraverso il Sebin, i servizi segreti venezuelani, che ha controllato per anni. Nel 2017 gli Stati Uniti emettono un ordine di cattura internazionale e la confisca di qualsiasi suo bene all'estero.
   Il suo arrivo nello strategico posto di ministro del Petrolio è concomitante alla decisione di aprire ulteriormente a capitali privati le attività di perforazione e raffinazione della compagnia statale Pdvsa, dalle cui entrate dipende il 90% del Pil venezuelana. A causa della crisi economica in corso da anni, Caracas ha perso più della metà della sua produzione di greggio, passando da oltre 2 milioni di barili del 20 17 a meno di 700.00 barili odierni, parte dei quali sono spediti direttamente in Cina per pagare i prestiti concessi al governo di Maduro.
   Col prezzo del petrolio in picchiata il Venezuela è ancora più in ginocchio e sembra essere arrivato il momento di nuove concessioni. Fra gli interessati ci sono le compagnie che già operano nel paese come la Chevron, la russa Rosneft e la cinese Cnpc, ma fremono anche gli iraniani, forti alleati di Maduro. Negli ultimi mesi sono sbarcate a Caracas decine di missioni diplomatico-militari da Teheran. Con il suo passato e le sue connessioni El Aissimi potrebbe diventare un uomo chiave sull'asse mediorientale, cosa che ovviamente non piace all'amministrazione Trump, ma nemmeno ai paesi dell'Opec, ad iniziare dall'Arabia Saudita.

(La Stampa, 29 aprile 2020)


Serie tv sugli ebrei arabi. Ed è subito dibattito

Per alcuni è normalizzazione con Israele, per altri la storia del Medio Oriente

di Michele Giorgio

 
Un appuntamento consueto del mese di Ramadan è la mosalsal, la serie tv che tante famiglie arabe guardano dopo l'eftar, il pasto che al tramonto rompe il digiuno dei fedeli musulmani. Negli ultimi anni le mosalsal sono cresciute di numero e, grazie a produzioni milionarie, sensibilmente migliorate. Il Ramadan 2020 sarà ricordato anche per l'impatto che il coronavirus ha avuto sulla realizzazione di queste serie, alcune delle quali non sono state ultimate a causa del distanziamento sociale.
   E per Umm Haroun (La madre di Aaron), mosalsal saudita che si apre con un lungo monologo in ebraico. Umm Haroun, girata prima della pandemia dal canale satellitare Mbc, di proprietà statale, è la storia di un'ostetrica ebrea kuwaitiana, interpretata dall'attrice Ha yat al-Fahd. Attraverso la vicenda tormentata della donna, che a causa delle vessazioni subite sceglierà di trasferirsi nel neonato Stato di Israele, racconta le relazioni negli anni '40 tra musulmani e comunità ebraica in Kuwait (circa 200 famiglie a quel tempo). La messa in onda della serie durante il Ramadan ha colto di sorpresa Serie tv sugli ebrei arabi. Ed è subito dibattito milioni di telespettatori arabi e generato accese polemiche.
   Per tanti Umm Haroun è una «falsificazione della storia» e un altro capitolo della normalizzazione dei rapporti tra l'Arabia saudita, e il mondo arabo in generale, e Israele che da alcuni anni porta avanti il potente principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. Nonché un tentativo di mostrare come vittime gli ebrei nel mondo arabo, al pari dei profughi palestinesi cacciati o fuggiti dalla loro terra prima e durante la nascita dello Stato ebraico. «Israele produrrà mai una serie su una donna musulmana chiusa nelle sue prigioni?», domanda su Twitter Ahmed Madani. Altri, al contrario, ritengono giusto parlare delle comunità ebraiche, parte integrante della popolazione in vari paesi arabi, che soffrirono intimidazioni e furono accusate di tradimento per ciò che accadeva in Palestina senza che, in gran parte dei casi, avessero legami con il movimento sionista di origine europea.
   «Gli ebrei arabi sono parte della nostra storia. Dobbiamo distinguere tra sionismo ed ebraismo. Non c'è alcun problema con l'ebraismo», spiega Yousef al-Mutairi, professore di storia all'Università del Kuwait, intervistato da Al-Jazeera.net. Tuttavia è arduo credere che sia un caso la scelta della Mbc di trasmettere Umm Haroun sotto Ramadan, quando l'audience sale in tutto il mondo arabo-islamico, a maggior ragione quest'anno con la pandemia che costringe le famiglie a rimanere a casa e a rinunciare alle tradizionali visite a parenti e amici dopo l'eftar. Non ci sono dubbi peraltro sull'intenzione di MbS di continuare a stringere i rapporti (dietro le quinte) tra Riyadh e Tel Aviv, unite contro il nemico comune, l'Iran. L'erede al trono non prova simpatia per i palestinesi e in varie occasioni ha lasciato capire di considerarli un ostacolo sulla strada di un nuovo ordine mediorientale fondato sull'alleanza tra Arabia saudita e Israele e il ridimensionamento, anche con una guerra, della potenza iraniana. Riyadh peraltro non respinge, come altri Stati arabi, l'«Accordo del secolo», il piano di Trump che prevede l'annessione a Israele di larghe porzioni di Cisgiordania palestinese.
   Mbs però deve fare i conti con le conseguenze economiche della pandemia che per il suo regno sono rappresentate dal crollo del prezzo del petrolio e dalla drastica riduzione delle entrate di valuta pregiata. Difficoltà che probabilmente metteranno in stand by i programmi di sviluppo sauditi contenuti nel suo piano "Vision 2030" e i suoi disegni strategici.

(il manifesto, 28 aprile 2020)


"Heil Hitler", neonazisti irrompono nella videoconferenza sulla Torah

di Carlo Breme

Questi giorni che hanno visto Israele e le comunità ebraiche di tutto il mondo celebrare il Memorial Day dell'Olocausto, i neo-nazisti hanno fatto irruzione in alcune videoconferenze ospitate dall'app Zoom

 Raphael Evers
  Attivisti neo-nazisti hanno fatto irruzione e così violato le lezioni online della Torah impartite dal rabbino Avichai Apel, il rabbino capo di Francoforte, nonché le lezioni impartite dal rabbino Mordechai Bala, il rabbino capo di Lipsia, il rabbino Raphael Evers, il rabbino di Dusseldorf e Lezioni di Torah condotte dall'organizzazione Morasha.

 Mordechai Bala
  I neo-nazisti hanno gridato "Heil Hitler" e altre grida dispregiative mentre inviavano foto di simboli, atrocità e svastiche naziste, secondo quanto riferito da Israel National News . I rabbini hanno immediatamente chiuso la trasmissione in diretta, istituendo un meccanismo di registrazione privato per lezioni future, per evitare un altro incidente.

(Italia Israele Today, 28 aprile 2020)


La possibilità di irrompere in modo violento, o peggio ancora fraudolento, nelle videoconferenze ospitate dall’app Zoom dovrebbe far riflettere chi pensa di adottare questa tecnologia per usi edificanti. M.C.


Israele raggiunge 9,19 milioni di abitanti

GERUSALEMME - La popolazione israeliana ha raggiunto i 9,19 milioni di abitanti alla vigilia del 72mo anniversario dell'indipendenza (che quest'anno cade il 29 aprile). E' quanto emerge dai dati diffusi dall'Ufficio centrale di statistica. In particolare, la popolazione israeliana è costituita da 6,806 milioni di ebrei (pari al 74 per cento), da 1,93 milioni di arabi (21 per cento) e 454 mila (5 per cento) considerati "altri". La popolazione araba è composta da circassi, arabi cristiani (compresi gli armeni) e drusi. Non include i palestinesi che vivono in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza o a Gerusalemme Est che non sono cittadini o residenti in Israele. Nella popolazione araba sono inclusi gli ebrei che vivono negli insediamenti in Cisgiordania. Con la dicitura "altri", secondo l'ufficio statistico, vengono indicati cristiani non arabi, membri di altre religioni e persone di cui non è specificata la religione, di solito immigrati dall'ex Unione Sovietica che non sono registrati come ebrei. Rispetto allo scorso anno, la popolazione è aumentata di 171 mila unità, ovvero dell'1,9 per cento. Durante il periodo di riferimento sono nati 180 mila bambini e bambine, 32 mila persone si sono trasferite in Israele e 44.000 persone sono morte. Nel 2030, la popolazione israeliana dovrebbe raggiungere gli 11,1 milioni e nel 2040 13,2 milioni, secondo le stime. In occasione del centesimo anniversario dell'indipendenza di Israele nel 2048, si prevede che la popolazione raggiungerà i 15,2 milioni. La popolazione israeliana è giovane: circa il 28 percento è costituito da bambini di 14 anni, mentre il 12 percento ha più di 65 anni. I dati rivelano anche che il 45 per cento della popolazione ebraica nel mondo vive in Israele e circa il 78 per cento degli ebrei in Israele è nato nel paese.

(Agenzia Nova, 28 aprile 2020)


Antisemitismo Usa: gli ebrei si sentono meno sicuri e più minacciati

di Ilaria Ester Ramazzotti

Quasi due terzi degli ebrei americani credono di essere meno sicuri oggi di quanto non lo fossero dieci anni fa. Lo svela un nuovo sondaggio dell'Anti-Defamation League sull'antisemitismo negli Stati Uniti.
   Oltre la metà degli ebrei americani, il 54 %, ha sperimentato o assistito a un episodio che ritengono scaturito dall'antisemitismo, mentre il 63 % pensa che la sua comunità sia meno sicura rispetto a dieci anni fa. "Il nostro monitoraggio mostra che le aggressioni antisemite, letali e non letali, sono in aumento - ha dichiarato Jonathan Greenblatt, direttore di ADL -, e ora abbiamo anche scoperto che gli ebrei americani sono profondamente preoccupati per la loro sicurezza personale e per quella delle loro famiglie e comunità, in un modo che non avevano mai provato in più di un decennio". "È triste che, di fronte alla diffusa ansia per gli attacchi antisemiti, alcuni ebrei americani stiano modificando le loro routine ed evitando manifestazioni ebraiche pubbliche per ridurre al minimo il rischio di essere presi di mira".
   Il nuovo sondaggio è stato condotto da ADL nel gennaio 2020, prima dello scoppio della pandemia di Covid-19. Questi i principali risultati:
  • circa la metà degli ebrei statunitensi (49 per cento) afferma di essergli capitato di ascoltare commenti antisemiti, insulti o minacce contro altri. Uno su cinque degli intervistati (21 percento) è stato direttamente preso di mira con commenti antisemiti
  • uno su cinque (22 percento) degli intervistati frequenta un'istituzione ebraica che è stata vandalizzata, danneggiata o deturpata a causa dell'antisemitismo
  • uno su sette (14 per cento) conosce qualcuno che è stato aggredito fisicamente perché ebreo
  • circa il 14% ha subito molestie antisemite online
  • circa la metà degli intervistati ha affermato di essere preoccupato dal fatto che chi indossi una kippah o mostri in pubblico altri elementi ebraici possa venire aggredito fisicamente o molestato verbalmente per strada o in luoghi pubblici
  • circa un ebreo americano su quattro (27 percento) ha adottato delle accortezze nei comportamenti per evitare di essere preso di mira: la più comune (12 percento) consiste nell'evitare di poter essere identificato come ebreo, scegliendo di non mostrare nulla di ebraico, incluso il proprio cognome, o di non indossare simboli come il maghen David o di esporsi come ebreo sui social media
  • uno su dieci (11 per cento) ha riferito di avere problemi a dormire o concentrarsi o di sentirsi ansioso dopo aver subito episodi di odio o molestie online
Gli episodi di antisemitismo, in America, sono notevolmente aumentati negli ultimi tre anni. L'audit annuale di ADL ha registrato oltre 1.800 episodi nel 2018, il terzo risultato più alto degli ultimi quarant'anni. Nel 2017 era stato rilevato un aumento del 57% rispetto all'anno precedente, il tasso più alto mai registrato.

(Bet Magazine Mosaico, 28 aprile 2020)


L'Autorità Palestinese dovrà rimborsare le famiglie di persone uccise in attentati palestinesi

La Corte distrettuale di Gerusalemme ha stabilito venerdì che l'Autorità Palestinese deve pagare 500 milioni di shekel (142 milioni di dollari) alle famiglie di persone uccise in attentati terroristici palestinesi, soprattutto durante la seconda intifada (2000-2005). Il giudice Moshe Drori aveva stabilito lo scorso luglio che l'Autorità Palestinese è responsabile per danni fino a 1 miliardo di shekel (284 milioni di dollari). Da allora l'organizzazione israeliana Shurat HaDin ha lavorato per dimostrare i danni per conto di otto famiglie rappresentanti 17 casi in cui 34 israeliani furono uccisi e sette feriti, per lo più tra gli anni 2000 e 2002, compreso il famigerato linciaggio perpetrato in una stazione della polizia palestinese a Ramallah nell'ottobre 2000. Sebbene alcuni degli attentati fossero opera di Hamas e Jihad Islamica palestinese, la Corte ne ritiene responsabile l'Autorità Palestinese in base alle esplicite rivendicazioni di tutti gli attacchi di terroristi della seconda intifada (ai quali l'Autorità Palestinese dedica regolarmente luoghi ed eventi pubblici, ha sottolineato la Corte) e al sostegno logistico e finanziario da essa garantito ai responsabili. A causa delle "complesse implicazioni diplomatiche" della decisione, la Corte ha stabilito che l'importo non superi per ora i 500 milioni di shekel, con pagamenti rateizzati nel tempo, e che il denaro venga ricavato dal gettito fiscale che viene trattenuto da Israele perché usato dall'Autorità Palestinese per pagare vitalizi ai terroristi. L'idea è che ogni mese venga utilizzata solo una parte dei fondi fiscali, mentre la maggior parte di essi continuerà ad andare all'Autorità Palestinese. Al momento non è ancora chiaro quale sia la posizione del governo israeliano in ordine alla sentenza e alle sue complesse implicazioni diplomatiche.

(israele.net, 28 aprile 2020)


Coronavirus in Israele: grave una undicenne. E i morti salgono a 202

di Roberto Zadik

Sono giorni molto complessi in Israele, fra parziali riaperture di attività e aumento dei casi di Coronavirus, in una situazione che stando ai numeri forniti dal Ministero della Salute e dai media israeliani continua a essere decisamente grave. E non sarebbero più solo gli appartenenti alla terza età i bersagli di questa insidiosa patologia. Stando dai dati forniti dal Times of Israel e da Ynetnews lunedì 27 aprile (ora 11.40), i contagi continuano a salire, ora sono 15.466 e le vittime sarebbero 202. Sembra però che la fase critica stia calando.
   Fra i casi peggiori, il Times, racconta di una bambina di 11 anni che sembrerebbe versare in condizioni particolarmente critiche, ricoverata da venerdì prima a Tiberiade al Centro Medico Poriya e ora a Haifa, al Rambam Medical Center e attaccata a un ventilatore sotto effetto di sedativi. Febbre, nausea, inappetenza, questi i primi sintomi e un cuore indebolito e subito dopo la diagnosi di Covid 19. Precedentemente fra i giovani colpiti da questa malattia c'era stato solo un 19 enne e sembrava un'eccezione a una media di over 70.
   In tema di notizie cupe, sempre stando al Times of Israel, il mondo ortodosso continuerebbe a essere gravemente afflitto da questa malattia, con la tragica scomparsa di una coppia di coniugi proveniente dal quartiere haredi di Gerusalemme di Mea Shearim. Lunedì scorso è morta la 52enne Bayla Porush e venerdì 24 aprile è mancato suo marito Zvi, 58enne lasciando orfani cinque dei sei figli, uno di essi, secondo Ynet è scomparso due anni fa per cause ignote. Fra le vicende tragiche di questi giorni il suicidio di un negoziante di Gerusalemme per problemi finanziari, con successivo messaggio di condoglianze del sindaco Moshe Leon definitosi "molto scosso da questa notizia" e le forti tensioni e proteste degli esercenti delle attività commerciali della capitale israeliana nell'area del mercato di Mahane Yehuda, una delle principali aree commerciali della città. Stando alle notizie del Times, domenica 26 aprile, i negozianti esasperati avrebbero vivamente protestato contro le restrizioni governative da Coronavirus con scontri con la polizia, dopo la chiusura prolungata delle loro attività e la crisi economica che sta colpendo numerose famiglie.
   Un periodo decisamente duro per tutto il mondo e per Israele, dove in questi giorni si è dimesso anche il suo Ministro della Salute, Yaakov Litzman. Dato positivo sono le guarigioni che si aggirano a 6.796 casi.
   Il clima nel Paese sembra essere molto confuso. Da una parte l'autorizzazione governativa alla riapertura di un gran numero di parrucchieri, saloni di bellezza, ristoranti che per ora stanno effettuando soprattutto take away anche se altrettante attività continuano a rimanere chiuse come gesto di protesta per le restrizioni precedenti. Dall'altra parte, l'aumento dei casi, i più di 300 pazienti che verserebbero in gravi condizioni, tanto da spingere il Ministero della Salute a prendere speciali provvedimenti per alcune zone "rosse", soprattutto cittadine abitate da haredim come Beit Shemesh e Netivot, in cui è stato imposto un rigido lockdown dalle 6 di domenica mattina.

(Bet Magazine Mosaico, 27 aprile 2020)


L'Alta Corte blocca lo Shin Bet: non è compito dei servizi segreti monitorare i contagi

di Fabio Scuto

Un mese dopo l'ordine operativo del premier Benjamin Netanyahu che autorizzava lo Shin Bet - lo spionaggio interno - a monitorare gli spostamenti via cellulare dei contagiati dal Covid-19, la Corte Suprema ne ha ordinato il blocco. Secondo l'Alta Corte - intervenuta dopo molte petizioni presentate dalla società civile - una decisione del genere richiede una legislazione ad hoc, il Parlamento resta il luogo dove discutere queste decisioni che investono la vita dell'intero Paese.
   Troppi i risvolti sulla integrità della privacy, dell'uso e la gestione di questi dati, e il tempo per la loro conservazione. Un tempo questo monitoraggio era in uso solo i sospetti terroristi di Hamas, loro parenti, amici e anche vicini di casa. Lo stesso parametro adottato su 6,5 milioni di israeliani ha fatto correre a molti un brivido.
   La sentenza dell'Altra Corte afferma, tuttavia, che se il processo legislativo fosse avviato, sarebbe possibile estendere per un periodo limitato l'uso del servizio di sicurezza interno negli sforzi per arginare la diffusione del virus.
   "Dobbiamo stare attenti affinché gli eventi insoliti di cui ci stiamo occupando in questi giorni non ci portino giù da un pendio scivoloso dove tali insolite misure invasive vengono utilizzate senza giustificazione", ha detto la presidente della Corte Esther Hayut. "Lo Shin Bet", scrive "non sarà autorizzato ad aiutare in questo modo la lotta contro il coronavirus" dal 30 aprile, "se il paese vuole adottare le misure previste dallo Shin Bet, la Knesset deve prima legiferare su una tale decisione".
   L'Alta Corte ha anche limitato la sorveglianza dei giornalisti da parte dello Shin Bet per preservare la riservatezza delle fonti giornalistiche. Secondo la sentenza, un giornalista a cui è stato diagnosticato il coronavirus dovrà dare il consenso alla divulgazione dei propri dettagli allo Shin Bet e avrà anche la possibilità di opporsi a tale divulgazione di fronte a un giudice.
   Silenzio del premier Netanyahu, ma i suoi mentori attaccano i giudici. Il ministro dell'Energia Yuval Steinitz ha definito la sentenza dell'Alta Corte un "intervento eccessivo e inutile".

(il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2020)


Parlare con gli israeliani? A Gaza non è possibile e Hamas arresta attivisti palestinesi

di Emanuele Calò

Mi sembra sia passato sotto silenzio che sarebbe scoppiata una disputa nella comunità palestinese dopo che Hamas ha arrestato sei attivisti locali per aver chattato in video conferenza con attivisti israeliani di sinistra.
   Hamas, come noto, è nell'elenco dell'Unione Europea delle organizzazioni terroristiche, nell'elenco aggiornato al 22 aprile 2020: EU reference number: EU.3524.75 Legal basis: 2020/19 (OJ L8I) Programme: TERR - Terrorist Groups other than Al Qaeda Name: Hamas • Name: Hamas-Izz al-Din al-Qassem.
   La Carta di Hamas, all'art 17, recita fra l'altro:
"Pertanto li vedete perseguire questo scopo attraverso i mezzi di comunicazione e il cinema, l'educazione e la cultura, utilizzando come intermediari i loro manutengoli che sono parte dell'organizzazione sionista e assumono vari nomi e forme, come la massoneria, i Rotary Club, e le cricche spionistiche, tutti covi di sabotatori e di sabotaggi. Queste organizzazioni sioniste hanno grandi risorse materiali, che permettono loro di svolgere la loro funzione nelle diverse società al servizio dei loro scopi sionisti, e di introdurre concetti che fanno il gioco del nemico. Queste organizzazioni operano laddove l'islam è assente ed è lontano dal popolo. Pertanto, i militanti islamici adempiono al loro obbligo quando si oppongono agli schemi di questi sabotatori. Dove l'islam riesce a controllare la vita dei musulmani, elimina queste organizzazioni, che sono ostili all'umanità e all'Islam".
   Quindi, anche il Rotary diventa sionista; forse bisognerebbe chiedere loro un obolo.
   Gli attivisti palestinesi sopra citati sono stati accusati di tradimento e di normalizzazione nei rapporti con lo Stato ebraico. Questi arresti hanno dato luogo ad una polemica che ha coinvolto una donna che fa parte di Amnesty, una notissima organizzazione mondiale che si occupa di diritti umani, la quale Signora avrebbe criticato detti attivisti su Facebook, taggando diverse autorità di Hamas affinché ne prendessero conoscenza. Tuttavia, Hamas ha dichiarato di esserne venuta a conoscenza per altre vie, mentre l'organizzazione umanitaria di cui faceva parte la citata persona ha informato che costei non ne fa più parte, condannando gli arresti.
   Nella teleconferenza di due ore via Zoom, i partecipanti avrebbero discusso le vicende della loro vita quotidiana, esprimendo la speranza di un cambiamento delle loro rispettive leadership.
   Rami Aman, di anni 36, fondatore del Comitato Giovani di Gaza, è stato arrestato ed accusato di tradimento, assieme ad altri cinque dopo aver parlato a dozzine di attivisti israeliani online.
   Il Ministro dell'Interno di Gaza avrebbe affermato che i contatti con l'occupazione israeliana costituiscono reato. In realtà, se Israele ha abbandonato Gaza da tanti anni, è arduo configurarla come occupante (vedi Hoffmann, Tamàs, Is the Gaza Strip Still an Occupied Territory? Divergent Approaches in International Humanitarian Law (April 20, 2011). Nemzetkozi Jog Es Europa: Uj Metszespontok, Gàbor Kajtàr & Gàbor Kardos, eds., Saxum, pp. 28-44, 2011), se non altro visto che la rifornisce ed atteso anche che Gaza ha preso Rafah una frontiera con l'Egitto, della quale si discorre assai poco, et pour cause.
   Lo Stato ebraico ha combattuto diverse guerre in Gaza, mantenendo un blocco costiero, sostenendo che sia dovuto a ragioni di sicurezza.
   Nei social media, alcuni palestinesi hanno condannato gli arresti mentre altri avrebbero stigmatizzato il tentativo di normalizzazione.
   Purtroppo, la notizia di cui sopra non ha avuto alcuna eco degna di questo nome, anche nell'ambiente ebraico della Diaspora. Eppure, se vi è un ambito in cui i pacifisti possono muoversi è proprio questo.

(Shalom, 27 aprile 2020)


Coronavirus. Rinviato il convegno per il centenario della Conferenza di Sanremo

di Emanuel Segre Amar

Nello scorso autunno, come presidente del Gruppo Sionistico Piemontese pensai di organizzare un convegno in occasione del centenario della Conferenza di Sanremo. Venne scelta la data del 26 aprile, giorno della chiusura della Conferenza, giacché il 25, anniversario della firma dei documenti che diedero la legittimità internazionale al futuro Stato di Israele, quest'anno cadeva di Shabbat.
   Devo ringraziare l'amico Maurizio Molinari, che fu la prima persona cui parlai del mio progetto, perché fin dal primo momento aderì entusiasta all'iniziativa sollecitandomi a portarla avanti.
   Quando a novembre, a Parigi, in un convegno organizzato dal Likud International, il direttore di Hayom Israel parlò della Conferenza di Sanremo e sottolineò la sua importanza storica, politica e giuridica, non potei non notare che, anche in quel pubblico presente, ben pochi ne conoscevano l'esistenza. Fui quindi ben contento di presentare agli astanti il progetto che, in quel momento, si stava concretizzando in collaborazione con EDIPI, l'Associazione degli Evangelici d'Italia amici di Israele, e il direttore di Likud International mi assicurò la sua presenza a Torino. Anche l'Ambasciatore di Israele, col quale ne parlai personalmente, mi assicurò una collaborazione dell'Ambasciata, pur avendo egli in fase organizzativa, come ha oggi ricordato, un convegno da tenersi, nello stesso giorno, a Sanremo.
   Coronavirus ha impedito che si svolgessero entrambi i Convegni, quello di Sanremo, organizzato dall'Ambasciatore Dror Eydar, e quello di Torino, Organizzato dal Gruppo Sionistico Piemontese.
A Sanremo l'Ambasciata spera di ricordare quanto si decise in quella città nel 1920, il prossimo 2 novembre, data anniversario della Dichiarazione Balfour, ed a Torino il Gruppo Sionistico Piemontese ha scelto come data per un nuovo Convegno il 29 novembre, giorno in cui, nel 1947, l'ONU deliberò la nascita di uno Stato degli Ebrei e di uno Stato Arabo.
   Siete tutti invitati a questi due Convegni, nella speranza che a novembre si possano tenere, in sale prestigiose o almeno in rete.

(Shalom, 26 aprile 2020)


Il premier israeliano Netanyahu interviene sulla Conferenza di Sanremo

La "storica dichiarazione di Sanremo ha riconosciuto che il popolo ebraico non è un'entità colonialista straniera nella terra dei suoi avi"

La "storica dichiarazione di Sanremo ha riconosciuto che il popolo ebraico non è un'entità colonialista straniera nella terra dei suoi avi". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu in un messaggio inviato alla Commemorazione dei 100 della Risoluzione di Sanremo organizzata dall"European Coalition for Israel' e diffusa oggi in video streaming per il coronavirus.
   Netanyahu ha poi ricordato che il presidente Usa Trump si è "impegnato a riconoscere la sovranità di Israele sulle comunità ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr) e sulla valle del Giordano. Fra due mesi, ne sono certo, quell'impegno - ha concluso - sarà onorato e potremo così celebrare un altro momento storico, a 100 anni da Sanremo".
   Per la stessa occasione il presidente Reuven Rivlin ha detto di ritenere " che ora 100 anni dopo c'è l' occasione di fare dei cambiamenti che daranno vita a un nuovo Medio Oriente, una regione di stabilità, prosperità, sicurezza e libertà per tutti i popoli, indipendentemente dalla loro fede, dalla lingua e dalla cultura".

(primaLaRiviera, 26 aprile 2020)


Misterioso addio di Litzman in piena pandemia

Il ministro ultraortodosso, criticato per non aver chiuso le sinagoghe, reclama il dicastero dell'Edilizia nell'esecutivo di unità.

di Fabio Scuto

GERUSALEMME - Il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman ha annunciato ufficialmente al primo ministro Benjamin Netanyahu le sue dimissioni. Dopo oltre un decennio passato nel ministero Litzman è stato pesantemente criticato per la sua gestione della crisi del coronavirus. Nelle sue prime fasi, ha escluso la comunità ultra-ortodossa dalle norme sul distanziamento sociale del paese, consentendo i bagni rituali pubblici e alle sinagoghe di rimanere aperte, promettendo che il messia sarebbe arrivato e avrebbe posto fine all'epidemia.
   La stragrande maggioranza del pubblico israeliano ritiene Litzman responsabile della dolorosa mancanza di preparazione del ministro per la crisi del coronavirus, un simbolo di tutto ciò che è sbagliato nella politica della coalizione israeliana e un parafulmine per l'avversione dei laici verso i loro compatrioti ultra-ortodossi. Positivo al test, come la moglie, ha costretto alla quarantena metà governo e anche il capo del Mossad.
   In Israele il pericolo del contagio è ancora alto. Il bilancio delle vittime ha raggiunto i 200 ieri pomeriggio, i casi sono saliti ieri a 15.398, con un aumento di 250 rispetto alle 24 ore precedenti. Israele ha registrato 23 morti per milione di cittadini, che lo colloca al 40esimo posto nel mondo, leggermente migliore della media mondiale che è di 26 morti per milione. Ieri la maggior parte dei negozi, parrucchieri e saloni di bellezza è stata autorizzata a riprendere le attività, i ristoranti e i negozi di alimentari possono vendere prodotti da asporto se una barriera fisica è posta tra la cassa e i clienti, consentita la consegna a domicilio. Certo alcune direttive del governo di Benjamin Netanyahu sono vagamente formulate, altre si contraddicono. Anche l'applicazione della polizia e degli ispettori non è uniforme. Ieri mentre le code si snodavano attorno all'Ikea di Rishon Lezzyon, la polizia ha condotto un eroico inseguimento a un surfista solitario al largo della spiaggia di Tel Aviv. Il decreto impone la chiusura dei cimiteri militari nel Memorial Day - da stasera a domani sera - e un possibile blocco delle città, cosa che impedirà ai familiari dei caduti nel giorno più difficile dell'anno di ritrovarsi per un ricordo.
   Il ministro Litzman, pur essendo dimissionario dalla Sanità, ha fatto pero trapelare di essere pronto per un altro dicastero - Forse l'Edilizia - nel governo che Benjamin Netanyahu e Benny Gantz stanno cercando di mettere insieme dopo la nascita di una inaspettata coalizione, con una rotazione del premier dopo 18 mesi. L'intesa di governo consta di 14 pagine, le prime 8 riguardano salvaguardie per Netanyahu dai processi che deve affrontare (prima o poi). Litzman è leader di uno dei tre partiti religiosi che sostengono questa coalizione, e quindi reclama un posto - e di peso - per sé.
   Le cose però per lui stavano andando male ancor prima che il coronavirus fuggisse da Wuhan. La polizia e il procuratore hanno chiesto che sia processato per corruzione, frode e violazione della fiducia per una serie di interventi impropri nel suo lavoro di ministro. Litzman è sospettato di aver spinto gli psichiatri del suo ministero a dichiarare l'ultra-ortodossa Malka Leifer - una ex preside di una scuola per ragazze accusata di reati sessuali a Melbourne - pazza per bloccare così la sua estradizione in Australia. Il cielo è poi caduto quando il coronavirus è apparso all'orizzonte dello Stato ebraico. Gli israeliani hanno scoperto che il loro ministro della Salute non aveva alcuna istruzione o esperienza nel trattare i loro problemi sanitari, non aveva nessun rispetto per la scienza. Come la maggior parte degli ebrei religiosi, Litzman si fida innanzitutto di Dio, delle mitzvoth e delle preghiere. Ha fatto pressioni affinché sinagoghe e yeshiva ultraortodosse fossero aperte il più a lungo possibile, anche se il coronavirus stava già devastando le roccaforti degli Haredim a Bnei Brak e Gerusalemme, ignorando le linee guida precauzionali stabilite dal suo ministero. Politicamente è una mina vagante ma Benjamin Netanyahu non può rimuoverlo per paura di sconvolgere la maggioranza nella Knesset faticosamente raggiunta. Resterà ministro, "per grazia di Dio".
   
(il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2020)


L'OLP taglia i fondi al FPLP

Il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Fplp, è sull'orlo del fallimento dopo che il presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha tagliato i fondi all'organizzazione, fondata nel 1967 da George Habash.

di Antonio Albanese

L'Fplp, organizzazione laica marxista, è il secondo gruppo più grande che forma l'Olp. Fatah di Abbas è la fazione più grande e dominante dell'Olp; Fplp è entrato a far parte dell'OLP nel 1968, ma negli ultimi anni i suoi rappresentanti hanno boicottato la partecipazione al Comitato Esecutivo dell'Olp, che conta 15 membri in rappresentanza di tutte le fazioni membri dell'Olp, Abbas è presidente di Fatah e del Comitato Esecutivo dell'Olp.
   I funzionari del Fplp hanno accusato Abbas di usare i fondi come un mezzo di "ricatto" per costringere la loro organizzazione a cambiare le sue politiche e a fare "concessioni politiche". I funzionari hanno affermato che Abbas e Israele stavano lavorando insieme per "eliminare" il Fplp.
   Fplp, che non riconosce lo stato di Israele, riporta The Jerusalem Post, si è opposta agli accordi di Oslo che sono stati firmati tra Israele e l'OLP nel 1993. Tale opposizione, tuttavia, non ha impedito al Fplp di partecipare alle elezioni parlamentari palestinesi del 2006. Ha vinto tre dei 132 seggi del Consiglio legislativo palestinese.
   Negli anni '60 e '70, Fplp era famoso per le sue eclatanti operazioni di dirottamento di aerei, è oggi considerato il principale gruppo di opposizione palestinese in Cisgiordania dopo Hamas.
   Una massiccia repressione della sicurezza israeliana contro le infrastrutture militari, politiche e finanziarie del Fplp in Cisgiordania ha ulteriormente intensificato la crisi dell'organizzazione.
   «Il Fplp sta affrontando una crisi finanziaria molto grave», riporta il quotidiano israeliano citando fonti interne, «I leader e i dirigenti sono nelle prigioni israeliane, e Abbas e la leadership dell'OLP hanno tagliato i finanziamenti».
   Il Fplp ha un nemico molto potente che è il Fronte Popolare: «Per molti anni, il Fronte Popolare è stato una spina nel fianco di Israele e dell'Autorità Palestinese (…) Entrambi sarebbero felici di veder scomparire il Fronte Popolare», riporta il Jerusalem Post.
   Il Segretario generale del Fplp Ahmad Sa'adat sta attualmente scontando una pena di 30 anni nelle carceri israeliane per il suo ruolo nell'assassinio del ministro del turismo Rehavam Ze'evi a Gerusalemme nell'ottobre 2001; Sa'adat è stato arrestato dall'Id nel 2006.
   Nel 2017 il Fondo nazionale palestinese, istituito nel 1964 per finanziare le attività dell'Olp, avrebbe informato il Fplp della sua decisione di sospendere tutti i fondi all'organizzazione a causa di una crisi finanziaria.
   «Non venderemo le nostre posizioni politiche o i nostri martiri per placare Abbas», ha detto Abdel Alim Da'na, membro del Comitato centrale del Fplp: «I pagamenti che riceviamo dall'Olp sono un nostro diritto in quanto secondo gruppo dell'Olp (…) Il Fplp ha affrontato una guerra feroce a causa delle sue posizioni politiche e del rifiuto dei negoziati con Israele», ha proseguito Da'na.

(AGC COMMUNICATION, 27 aprile 2020)


Cinque opinioni sul governo Netanyahu - Gantz

Prospettive temporali (incluso il meccanismo della rotazione del primo ministro), la legge elettorale e il ruolo di Lieberman del nuovo esecutivo

Cosa pensate del nuovo governo israeliano? Certamente ha evitato di portare il paese a una quarta tornata elettorale e di affrontare l'emergenza covid-19. Un governo di unità nazionale composto dai leader dei due schieramenti contendenti, Netanyahu e Gantz, che apre un nuovo scenario nella politica israeliana. Una tregua o un accordo duraturo? Abbiamo raccolto alcune opinioni, che vi presentiamo qui. Attendiamo le vostre.

Secondo voi che orizzonte temporale avrà questo governo, quello di una legislatura o quello dell'emergenza covid-19 e del rischio di andare al voto per la quarta volta?
Stefano Jesurum: Non penso che la legislatura sarà legata all'emergenza Covid, ma dubito fortemente che possa durare l'intera legislatura.
Walker Meghnagi: Non credo avrà la durata dell'emergenza covid-19, magari non arriva fino alla fine della legislatura, ma molti punti del programma convergono e sono vicini alle due diverse parti. Nelle precedenti campagne elettorali Gantz e anche gli altri candidati hanno espresso un punto di vista molto personale che doveva servire a evitare che Netanyahu prendesse nuovamente in mano il governo. Se il programma verrà rispettato, questo governo potrebbe essere una buona occasione per Israele, che non è solo Tel Aviv: ha grossi problemi sociali, un'emergenza sui confini e personalmente ritengo che aver fatto tre elezioni in un anno sia una vergogna per un paese in stato d'allerta.
Davide Riccardo Romano: Viviamo in un'epoca dove l'ideologia prevalente tra i politici è il sondaggismo: ovvero la costante ricerca di consenso, giorno per giorno. Succede in Italia come in Israele e nel resto delle democrazie mondiali. Dunque credo che la durata del governo dipenderà da quanto i suoi membri ne beneficeranno in termini elettorali. Se tra un anno e mezzo Netanyahu e i suoi alleati saranno elettoralmente cresciuti, e Gantz crollato, dubito che avverrà il passaggio di consegne. In tal caso Bibi preferirà rinegoziare l'accordo, o passare all'incasso con il voto. Ma non bisogna sottovalutare un tema: il piano di pace trumpiano. Per portarlo avanti, Netanyahu ha bisogno dei voti di Gantz e dei Laburisti, solo con essi non sarà ricattabile dai partiti alla sua destra. Con i voti di destra e sinistra, Bibi sarebbe più libero di procedere con il progetto di Trump, che prevede da un lato alcune annessioni di territori, ma dall'altro anche il riconoscimento di uno Stato Palestinese. Quest'ultima è una mossa che non sarebbe digerita da parte della destra israeliana, e per cui sarebbe indispensabile il contributo della sinistra governativa. Certo, se Trump non fosse rieletto a novembre, il piano di pace salterebbe. Bibi a quel punto avrebbe meno bisogno della sinistra. E le elezioni anticipate sarebbero più probabili.
Andrea Jarach: Nonostante le premesse non siano delle migliori, mi auguro che questo governo abbia la durata prevista e che avvenga il passaggio di ruolo da premier nei tempi stabiliti. Le variabili sono tali e tante che credono si possa fare di più che augurarsi una stabilità di lungo periodo.
Claudio Vercelli: La formazione del nuovo governo è un successo, sia pure in zona Cesarini, ossia con il rischio concreto di andare alla quarta verifica elettorale in un anno, di Benjamin Netanyahu. Comunque si giudichi e si valuti l'operato politico di quest'ultimo che, di fatto, occupa la scena politica - sia pure con andamenti altalenanti - da venticinque anni, la sua longevità è sorprendente. Il punto da cui partire, se si vuole ragionare sull'orizzonte temporale del nuovo esecutivo, deve essere questo. Poiché è assai improbabile che di qui ai prossimi diciotto mesi - la durata accordata al premierato di Netanyahu - che un tale protagonista della scena pubblica non sia tentato di riprendersi, prima a poi, la palla, cercando di scompaginare i precari equilibri determinatisi con gli accordi tra Likud e ciò che resta di Kahol Lavan. Di certo, una variabile che andrà considerata, in Israele così come nel resto del mondo, sono gli effetti di lungo periodo della pandemia, sia sul piano economico che sociale. Al momento, sono difficilmente prevedibili, soprattutto nella loro durata. Rimane il fatto che «King Bibi» sia ancora il centravanti di sfondamento della politica israeliana, a fronte di contendenti fragili, comunque incapaci di costruire tra di loro una coalizione alternativa. Si inaugura una nuova stagione politica, quindi, con la capacità di Netanyahu di occupare il centro della politica israeliana stessa, piegandone molti aspetti al suo operato, in una sorta di oramai permanente conflittualità che intrattiene non solo con i suoi avversari ma anche con una parte delle istituzioni nazionali, a partire dal procuratore generale Avichai Mandelblit. Il vero fuoco del nuovo governo, infatti, al netto dell'emergenza pandemica, sarà il rapporto tra poteri, soprattutto tra l'esecutivo e il giudiziario, nel tentativo, di una parte del primo, di limitare le prerogative del secondo. In tutta plausibilità, se in futuro dovesse rompersi la nuova coalizione parlamentare che sorregge il nuovo dicastero Netanyahu-Gantz, ciò avverrà proprio sulla questione degli equilibri tra poteri concorrenti.

Che ruolo ha oggi Lieberman, fino ad ora definito come l'ago della bilancia nella politica israeliana?
Stefano Jesurum: israel Beytenu è senza dubbio fondamentale per la composizione di una maggioranza. Tuttavia la sua "anima" è complessa e contraddittoria: laica e anti haredim da un lato, e insieme affine alla destra nazionalista.
Walker Meghnagi: Lieberman ha sempre giocato per se stesso e fino alla fine non ha voluto fare accordi con gli altri partiti. Un grave errore: avremmo evitato la terza elezione. Ora però è completamente fuori gioco e non può avere un ruolo significativo in questo governo.
Davide Riccardo Romano: Lieberman ha puntato sulla laicità, ed è riuscito a rappresentarla con successo. Elettoralmente ha vinto, ma ha perso politicamente restando escluso dal governo. Resta comunque viva la domanda di laicità (nel suo caso tendenzialmente - ma non esclusivamente - di destra) che ha ben rappresentato e che, se questo governo non soddisferà, si ripresenterà alle prossime elezioni in cerca di risposte.
Andrea Jarach: Lieberman si è posto come il rappresentante del laicismo, contro le interferenze religiose nella gestione dello stato. Buona parte dei cittadini di Israele lo appoggiano per questo. Eventuali eccessivi sbilanciamenti del governo e ricatti da parte dei partiti religiosi giocherebbero contro la stabilità faticosamente raggiunta. La presenza parlamentare di Lieberman, dunque, è garanzia tra stato e religione.
Claudio Vercelli: Continuerà a cercare di giocare il ruolo del grande oppositore. Anzi, cercherà di modellare una contro-leadership, dal momento che la coalizione elettorale Blu e bianco è la vera vittima sacrificale di questo accordo di governo. La sua frantumazione, che si è già consumata nei giorni scorsi, porta con sé grandi delusioni in quella parte dell'elettorato, anche di sinistra, che aveva comunque confidato in una sorta di "soglia di sbarramento" che l'accordo tra le tre formazioni politiche confluite nel listone dei "generali", avrebbe dovuto garantire dinanzi al rullo compressore di Bibi. Dopo un lungo, defatigante braccio di ferro nulla di ciò è invece avvenuto, per di più con la resa di ciò che resta dei laburisti, di fatto destinati a farsi ingoiare da un governo che non è di centro-destra ma di destra-destra. Al netto dell'effettiva collocazione delle singole formazioni politiche all'interno dello spettro politico nazionale. Lieberman - tuttavia - non riuscirà in ciò, per più ragioni: intercetta il voto "laico" (in altre parole, una parte di quanti vedono la presenza degli ultra-ortodossi come un fatto urticante) ma sta perlopiù dentro un recinto "etnico", quello dei russi; la grossolanità e la scarsa amabilità lo rendono indigeribile per un numero elevato di elettori; non ha un programma politico differente da quello del Likud che, invece, più e meglio riesce a rappresentare rispetto ad un segmento di elettori - molto consistente in Israele - che identifica nella destra la garanzia della sicurezza nazionale.

Come immaginate possa avvenire la rotazione nel ruolo di primo ministro tra due leader di partiti contendenti fino all'ultima elezione?
Stefano Jesurum: Questa soluzione è, a mio modesto avviso, priva di senso se non quello (giusto) di risparmiare al paese una nuova tornata elettorale in un momento così difficile e quello (sbagliatissimo) di salvare Netanyahu che non ha vinto le elezioni e continua a rimandare in maniera vergognosa il suo appuntamento con chi lo dovrà giudicare circa i gravissimi reati di cui è accusato.
Walker Meghnagi: Verranno rispettati gli accordi. Se Bibi dovrà ritirarsi a causa dei processi a suo carico o meno, ci sarà comunque l'alternanza e sarà un fattore positivo.
Davide Riccardo Romano: Se sapranno vincere le reciproche diffidenze e i personalismi, e non sarà facile, potrebbe funzionare. In fondo Gantz non ha idee molto diverse da quelle di Netanyahu. E' il motivo per cui il leader di Bianco e Blu era stato scelto come candidato premier: rassicurare gli elettori di centro con un candidato primo ministro non di sinistra, e comunque non accusabile di essere cedevole sulla linea della sicurezza. Inoltre, stando insieme al governo ed essendo entrambi patrioti, non credo ci saranno molte divisioni quando - e purtroppo succede spesso, da quelle parti - ci saranno da fare scelte vitali per lo Stato di Israele. Per intenderci, una staffetta tra Netanyahu e Lapid sarebbe stata molto più difficile, visto che oltre alla reciproca antipatia personale, anche le idee sono molto distanti.
Andrea Jarach: L'alternanza è ovviamente uno strumento irrituale che scontenta tutti, adottato per raggiungere un accordo a qualunque prezzo. Possiamo solo augurarci che la levatura umana e morale dei due protagonisti sia tale da consentire loro di lavorare insieme nell'interesse del paese.
Claudio Vercelli: Non avverrà. Non almeno se Netanyahu non avrà ottenuto i risultati ai quali aspira, a partire da un vero e proprio salvacondotto giudiziario. In tutta plausibilità, auspice e complice anche il «Piano Trump», il Paese sarà chiamato in causa da una serie di priorità di agenda su cui il Premier giocherà le sue carte: l'annessione di una parte degli insediamenti ebraici del West Bank, la conclusione del mandato presidenziale di Rivlin (che in questi ultimi anni non ha di certo fatto mistero della sua scarsa simpatia per il compagno di partito), le prevedibili ristrutturazioni del campo dei partiti che, in Israele al pari dell'Italia, sono oramai caratterizzati da una forte volubilità, soprattutto nell'area centrista, attualmente occupata soprattutto da Yair Lapid e Moshe Yaloon. Il punto, semmai, è chiedersi se di qui ai prossimi due anni possa costituirsi una duratura fronda likudista, capace di porre le premesse per la detronizzazione di Netanyahu con una sorta di "inside job" nel suo partito e tra gli elettori della destra. Se mai dovesse avvenire, tuttavia, lo sarà non in ragione di una capacità interna a quel partito bensì in virtù della convergenza di una serie di fattori esterni, al momento imprevedibili e incalcolabili, destinati a pesare sulle condotte dei singoli protagonisti.

Considerata la natura di governo di unità nazionale, pensate possa modificare la legge elettorale per consentire alle prossime elezioni un esito certo?

Stefano Jesurum: Fino a che il centro sinistra non ritroverà un'anima e un leader, Israele continuerà ad essere sostanzialmente diviso in due. Finché le cose rimarranno così a nessuno converrà mettere mano alla legge elettorale
Walker Meghnagi:Non lo faranno. Ci vorrebbe uno sbarramento al 5% in modo che nessuno possa essere messo nella condizione di non governare, ma cadrebbe il governo.
Davide Riccardo Romano: Purtroppo non credo lo faranno. Servirebbe un governo di unità nazionale più ampio e con due partiti, come poteva essere quello Likud (36 seggi) - Bianco Blu (33 seggi), che totalizzando 69 seggi avrebbe avuto un margine di nove seggi per votare una legge elettorale migliore, atta a evitare continue elezioni. Con due grossi partiti cambiare il sistema elettorale sarebbe stato possibile. Visto che Bianco-Blu si è spaccato (sono solo 17 i parlamentari del partito di Gantz che a oggi appoggeranno il governo Netanyahu) il Likud deve per forza andare al governo anche con i suoi storici alleati. Dunque i partiti che sosterranno Bibi non saranno due, ma il triplo. Cosa che già porterà a un governo gigantesco, composto da ben 36 ministri (il governo italiano ne ha 21), segno di elevatissima mediazione politica tra tanti partiti. Con queste premesse, figuriamoci quanto sarebbe difficile trovare un accordo su una legge importante come quella elettorale, che dovrebbe non danneggiare nessuno dei tanti partner della coalizione. Una "mission impossible" degna del protagonista del film con Tom Cruise.
Andrea Jarach:
La legge elettorale israeliana (come quella italiana) richiede un grande ripensamento. I fatti dimostrano che è inefficace. Senza un accordo fantasioso si sarebbe andati alla quarta elezione: assurdo. La legge elettorale è la chiave del funzionamento della democrazia, in Israele come ovunque nel mondo. Il bellissimo libro di Antonio Scurati, dedicato alla morte della democrazia in Italia negli anni '20 del '900 dimostra che la modifica della legge elettorale diede il potere al fascismo. La democrazia israeliana però è saldissima. Possiamo solo augurarci che la modifica (improcrastinabile) non abbia come risultato di indebolire questo miracolo del sionismo. Forse non ci è abbastanza chiaro quanto la coesistenza di una condizione di guerra continua e democrazia sia un vero miracolo.
Claudio Vercelli:
Ogni riforma della legge elettorale è in funzione delle aspettative di beneficio che i promotori coltivano per se stessi. Nel nome di una migliore rappresentatività collettiva, si cerca invece un maggiore favore per la propria lista. Attualmente il sistema elettorale israeliano è un proporzionale di lista con soglia di sbarramento del 3,25% dei voti validamente espressi. L'assegnazione dei seggi a livello nazionale segue il criterio Hagenbach-Bischoff (in Israele conosciuto come metodo Bader-Ofer, dal nome dei due parlamentari che nel 1973 ne proposero l'adozione). Le liste (o partiti) possono stipulare un accordo pre-elettorale per l'assegnazione dei seggi rimanenti, dopo la prima distribuzione, calcolato secondo una procedura specifica. Mi riesce molto difficile immaginare che tra forze differenti, confluite in un accordo di governo che comunque conserva i caratteri dell'eccezionalità (prevedibilmente anche della temporaneità) si possa trovare la maggioranza sufficiente, alla Knesset, per identificare e, soprattutto, approvare un dispositivo elettorale vincolante, ancorché nel nome della «governabilità».

(JoiMag, 27 aprile 2020)


Cento anni fa la firma della risoluzione di Sanremo.

Il premier Conte: l’Italia a fianco dello stato ebraico

di Giacomo Kahn

"Uno dei semi di quell'ulivo che sarebbe diventato il simbolo dell'identità nazionale israeliana venne piantato proprio in Italia, a Sanremo 100 anni" fa. Lo ha detto il presidente Giuseppe Conte in un messaggio inviato alla Commemorazione per i 100 anni della Risoluzione di Sanremo organizzata dalla 'European Coalition for Israel' e diffusa in video streaming per le restrizioni imposte dal coronavirus. "La Risoluzione - ha spiegato Conte - incardinò nel diritto internazionale la Dichiarazione Balfour del novembre 1917, confermando il sostegno alla creazione di 'un focolare nazionale' per il popolo ebraico, nel rispetto dei diritti delle comunità non ebree residenti in Palestina". "Nel centesimo della Conferenza - ha aggiunto - l'Italia ricorda il proprio impegno al fianco di Israele e la grande amicizia che lega i nostri due Paesi e popoli. E' tanto più importate farlo oggi, in un momento in cui rigurgiti di antisemitismo, se non di aperto e deplorevole negazionismo, mettono a rischio o persino in discussione l'esistenza stessa dello stato ebraico". "Ed è proprio per sostenere la lotta a questa minaccia crescente che mette in pericolo non solo le comunità ebraiche, protagoniste delle vicende italiane da oltre due millenni ma l'insieme della nostra collettività che abbiamo di recente nominato - ha continuato Conte nel messaggio - una Coordinatrice nazionale per la lotta contro l'antisemitismo". "Citando la nostra senatrice Liliana Segre - ha concluso - la memoria è l'unico vaccino contro l'indifferenza. L'auspicio odierno è che, onorando la memoria storica, si possa lavorare per un futuro condiviso di pace, sicurezza e prosperità".
Oltre all'intervento del premier Conte, la diretta streaming ha visto anche la partecipazione in video del presidente israeliano Reuven Rivlin, del segretario di Stato americano Mike Pompeo e del premier Netanyahu.

(Shalom, 27 aprile 2020)


I laburisti entrano nel governo Netanyahu-Gantz

Il leader dei laburisti israeliani Amir Peretz, al centro.

Con 2248 schede a favore e 1219 contro il Congresso del partito laburista israeliano ha approvato stasera - con un voto mediante computer - l'ingresso nel governo di emergenza paritetico formato da Benjamin Netanyahu (Likud) e da Benny Gantz (Blu Bianco).
Il leader del partito Amir Peretz ha ringraziato della fiducia garantita alla sua linea politica ed ha assicurato che i laburisti "sapranno imprimere al nuovo governo una impostazione economica di stampo social-democratico".
Secondo gli accordi Peretz sarà ministro per l'economia ed il suo compagno di partito Yitzhak Shmuli sarà ministro per l'assistenza sociale. Alla Knesset i laburisti dispongono di 4 seggi su 120. Tuttavia ancora non è noto se due deputati che si oppongono totalmente all'accordo di governo rispetteranno l'esito del voto odierno.

(tvsvizzera.it, 26 aprile 2020)


Israele: anniversario della Risoluzione di Sanremo

Attesi interventi di Rivlin, Conte e Pompeo

ROMA - In occasione del centenario della firma della Risoluzione di Sanremo, l'ambasciata di Israele a Roma invita a seguire l'evento in diretta streaming sulla pagina Facebook dell'European Coalition for Israel, che sarà trasmesso da Gerusalemme oggi, domenica 26 aprile, alle ore 15:00. Lo riferisce la rappresentanza diplomatica di Israele in Italia sulla pagina Facebook. All'evento saranno letti e trasmessi contributi e interventi di alti funzionari da Israele e da tutto il mondo, tra i quali il presidente dello Stato di Israele Reuven Ruvi Rivlin, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo, e l'ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, che interverrà con un suo messaggio speciale per l'occasione. La Risoluzione di Sanremo ha inserito nel contesto del diritto internazionale la Dichiarazione Balfour del 1917, inclusa la promessa al popolo ebraico di un focolare nazionale nella Palestina. Il primo presidente israeliano, Chaim Weizmann, definì la risoluzione come "l'evento politico probabilmente più importante di tutta la storia del movimento sionista e di tutta la storia del popolo ebraico dai tempi dell'esilio". L'attuale presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha scritto: "Uno dei semi dell'ulivo che oggi simboleggia il moderno Stato di Israele è stato piantato a Sanremo"

(Agenzia Nova, 26 aprile 2020)


L'eroismo millenario di un popolo e di una nazione

di Ugo Volli

Nel calendario politico di Israele fra Pesach, la festa della liberazione dalla schiavitù d'Egitto e da tutte le schiavitù di tutte le generazioni e Shavuoth (le "settimane" da cui deriva la pentecoste cristiana), in cui si festeggia il dono della Torah e dunque l'identità etica e la missione spirituale del popolo ebraico, ricorrono tre anniversari solenni. In primo luogo il giorno della Shoà e dell'eroismo, in cui si sono appena ricordate non solo le vittime del genocidio nazista, ma anche coloro che resistettero alla barbarie - e furono tanti, nel ghetto di Varsavia, nelle rivolte dei campi, nelle formazioni della Resistenza in molti paesi, negli eserciti alleati come la Brigata ebraica. Poi vengono due giorni consecutivi, quello del ricordo dei caduti nelle guerre in difesa dello Stato di Israele e delle vittime del terrorismo, un elenco che ancora purtroppo si allunga anno dopo anno; e la festa dell'indipendenza che ricorda l'anniversario della proclamazione dello Stato di Israele. E' un percorso di memoria, non deterministico ma ricco di senso. La Shoà va pensata anche alla luce di tutte le altre persecuzioni subite dal piccolo ma indomabile popolo ebraico per tutti i secoli, a partire dalla prigionia egiziana. Essa non fu la causa della ricostituzione di uno stato ebraico, che era iniziata prima, ma certamente Israele è una garanzia contro l'antisemitismo che ritorna. Questo stato non è stato e non è, come dovrebbe invece essere, la normale espressione dell'autodeterminazione di un popolo nella sua antica patria, accettata dagli altri popoli in nome della comune libertà, ma è stato contrastato con una ferocia unica nella storia ed ha retto solo grazie al sacrificio costante di cittadini e militari. Infine Israele è sì uno stato democratico come tutti, con diritti e doveri, luci e ombre, ma è anche l'espressione di un'eredità spirituale che risale fino al Sinai.

(Shalom, 26 aprile 2020)


Israele, si dimette il ministro della Salute, al via riaperture limitate

Litzman travolto dalla cattiva gestione nelle comunità ultra-ortodosse

di Giordano Stabile

 
Yaakov Litzman
Il ministro della Salute israeliano, Yaakov Litzman, ha annunciato le sue dimissioni dopo un mese di continue polemiche per la gestione dell'epidemia di coronavirus, e dopo aver lui stesso superato la malattia. Litzman era nel mirino del partito di Benny Gantz, Kahol Lavan, impegnato nella formazione di un nuovo governo di unità nazionale con il premier e leader del Likud Benjamin Netanyahu. Litzman avrà forse un altro ministero ma potrebbe essere tagliato fuori del tutto. Esponente della comunità ultra-ortodossa haredi e del partito religioso Yahadut HaTora, con una lunga barba, l'abito tradizionale nero e il cappello a cilindro, Litzman si è sempre opposto a chiusure drastiche per bloccare l'epidemia e ha ritardato la risposta di tutto il governo.

 Partiti religiosi meno influenti
  Nel complesso Israele ha tenuto sotto controllo la pandemia, e oggi conta soltanto 15.398 casi e 200 vittime. Ma ha dovuto arginare focolai pericolosi proprio nelle comunità haredi, poco propense a rispettare le indicazioni dello Stato. Netanyahu a un certo punto ha imposto il coprifuoco e chiuso intere città ultra-ortodosse, dove le misure di distanziamento non venivano rispettate in maniera plateale, con i ragazzi che sfidavano poliziotti e militari e tossivano loro in faccia. Lo stesso Litzman si è contagiato in una riunione religiosa, contravvenendo ai divieti imposti dal suo dicastero. Adesso è a fine corsa, e con lui è destinata a ridursi l'influenza dei partiti della destra religiosa, meno importanti nei nuovi equilibri politici israeliani.

 Verso la fase due, spiagge riaperte
  Oggi il ministero della Salute ha annunciato i criteri per la fase due. Ci dovranno essere meno di 300 nuovi casi confermati al giorno e meno di 300 pazienti nelle unità di terapia intensiva. Se questi numeri fossero superati si tornerà a un lock-down più rigido. Da oggi, dopo piccoli negozi e ristoranti, potranno riaprire anche le spiagge. Si potrà nuotare e anche fare surf, ma da soli e sempre nel rispetto della distanza minima di almeno un metro fra le persone. La speranza è che con l'estate, e il clima caldo umido, il virus diventi meno aggressivo e contagioso e così le riaperture possano ampliarsi.

(La Stampa, 26 aprile 2020)


Il Coronavirus uccide Henri Kichka, ebreo belga sopravvissuto all'Olocausto

Dopo un lungo silenzio, nel 2005 aveva scritto la sua autobiografia dal titolo "Une adolescence perdue dans la nuit des camps". Era sopravvissuto alla 'marcia della morte'.

Henri Kichka, uno degli ultimi ebrei belgi sopravvissuti all'Olocausto, è morto ieri sera a 94 anni per complicazioni da Coronavirus. Dopo un lungo silenzio, nel 2005 aveva scritto la sua autobiografia dal titolo "Une adolescence perdue dans la nuit des camps", con la prefazione dell'avvocato e storico Serge Klarsfeld, noto come "cacciatori di nazisti" per una serie d'indagini nei confronti di criminali tedeschi scampati ai processi intentati nel secondo dopoguerra.;
   La drammatica storica del 'testimone silenzioso' di Auschwitz è stata poi raccontata dal figlio artista, Michel Kichka, nella graphic novel "La seconda generazione. Quello che non ho detto a mio padre", pubblicata nel 2014 in lingua italiana per Rizzoli Lizard, le cui tavole sono diventate oggetto di una mostra che ha girato in Europa ed anche in Italia (Museo Ebraico di Bologna, 2017). Ed è stato proprio il figlio Michel su Facebook a dare la notizia della scomparsa: "Un piccolo e microscopico coronavirus è riuscito dove l'intero esercito nazista aveva fallito. Mio padre era sopravvissuto alla 'marcia della morte', ma oggi ha concluso la sua marcia della vita".;
   Quando Henri Kichka aveva 14 anni, nel maggio del 1940, il Belgio fu invaso dai nazisti. Josek, suo padre, decise che la famiglia doveva lasciare in fretta Bruxelles e quindi presero la direzione del sud della Francia. Tuttavia, furono fermati lungo la strada, e quindi tornarono a Bruxelles ma due anni dopo furono deportati. Henri finì nei lager di Sarkau, Klein-Margersdorf, Tarnowitz e infine a Auschwitz. ;
   Nel gennaio 1945, durante l'avanzata dell'Armata Rossa, Henri Kichka fu costretto alla 'marcia della morte', con la quale le SS costrinsero 5.000 deportati a evacuare Auschwitz in condizioni impossibili (ne sopravvissero 750). Tornato alla vita normale, Henri si sposò e mise al mondo quattro figli, ma non raccontò loro la sua terribile storia: la lasciò trasparire attraverso segni che non si potevano nascondere, come il numero impresso sul braccio, riferimenti sporadici, l'interpretazione di ogni successo scolastico dei figli come una rivalsa su Adolf Hitler.;
   Come si evince dal titolo, la testimonianza della Shoah "La seconda generazione" non è affidata in questo caso alla vittima sopravvissuta ai campi di sterminio, ma a uno dei suoi diretti discendenti, il maggiore dei due figli maschi, che racconta come l'esperienza si sia ripercossa su tutta la vita della sua famiglia e di ciascuno dei suoi famigliari. Michel cresce in una costante atmosfera di rispetto nei confronti del padre e del suo gigantesco estremo passato, nel desiderio di soddisfare le sue aspettative e di non urtare la sua sensibilità divenuta troppo delicata a causa del suo vissuto. Non lascia esplodere, per questi motivi, il naturale conflitto generazionale che oppone un figlio al padre e solo in età matura, dopo il suicidio del fratello minore - "un'altra vittima della Shoah", come lo definirà un amico di famiglia - dopo che il padre stesso, ormai pensionato, avrà pubblicato un libro di memorie e si sarà dedicato a rendere testimonianza in conferenze e viaggi della memoria dedicati soprattutto ai giovani, deciderà di rappresentare la propria esperienza della Shoah: un'esperienza non vissuta direttamente ma filtrata attraverso quella del padre.

(globalist, 26 aprile 2020)


Jan Brokken. Non un eroe: solo un uomo giusto

di Marta Morazzoni

Che peccato aver visto Kaunas un anno prima della lettura del libro di Brokken I giusti! Sono sicura che avrei guardato la città che fu capitale provvisoria della Lituania con occhi più attenti, magari percorrendo il Laisvès alèia dove si trovava il negozio laboratorio della Philips Lituania. Lo gestiva, Jan Zwartendijk, quarantenne di Rotterdam sposato con tre figli, che nel 1940, senza altra ragione che essere olandese e lavorare a Kaunas, venne nominato console dei Paesi Bassi.
   Jan Brokken racconta, senza bisogno di romanzare perché è già romanzesca la realtà, la storia di questo signore, di come finì per imbattersi nella vicenda del popolo ebraico, diventandone un silenzioso, quasi misconosciuto protagonista. Una carica senza retribuzione quella di console, una formalità, ma in una stagione di incertezze, con l'esercito sovietico alle porte, mentre da ovest avanza la minaccia nazista. Zwartendjik non ha tempra d'eroe, è solo un uomo giusto.
   Da qui prende il via la sua tacita avventura, in apparenza fatta solo di burocrazia, il rilascio di una quantità ragguardevole di visti a ebrei, individui, famiglie, coppie, per Curaçao nelle Indie Olandesi. Considerata da questo pezzo di Europa, sembra un'assurda via di salvezza, pressoché impraticabile, se non con l'aiuto del console giapponese a Kaunas, Sugihara, che firma a sua volta visti di transito per il Giappone. È l'inizio di un'intesa tra i due, che non si frequentano, ma si muovono nella stessa direzione, in una spasmodica opera di soccorso per centinaia, forse migliaia di persone, che in modo diverso e in tempi diversi compiranno il viaggio, via transiberiana, verso il Giappone. Raccontare cosa siano state queste vicende chiede un libro della misura di 634 pagine che Brokken ha messo insieme con un itinerario personale di viaggi, di incontri, di ricerca documentaria, organizzando uno sconcertante quadro, l'ennesimo certo!, delle peripezie del popolo di Israele.
   Le testimonianze dei figli e dei nipoti dei protagonisti di vicende dai molteplici risvolti ci aprono a una geografia dell'esodo inattesa e all'incontro con uomini e donne ora provati al limite del tollerabile, ora capaci di costruire un'alternativa alla distruzione morale che connota la loro condizione. Nelle loro vicende si ricostruisce la storia non meno tormentata della Lituania in bilico tra Unione sovietica e Germania nazista, crocevia di culture e teatro di efferatezze. Da lì comincia a dipanarsi il filo rosso di una disperata lotta per vivere, da lì prende le mosse l'odissea di cui Brokken traccia l'itinerario, Non sono i numeri per quanto grandi a coinvolgerci nel racconto, ma è la messa a fuoco di volti, di caratteri, di dettagli a fare di questo libro una sorta di calamita per il lettore.
   La storia dei salvati si affianca a quella dei salvatori, con un esito singolare: se immaginiamo l'apoteosi dei buoni quando, finita la guerra, si ricostruisce una normalità, rimaniamo delusi; nelle favole tutto va come si deve, nella realtà le sbavature sono tante e sconfortanti. La storia di Zwanderdjik soprattutto e in parte di Sugihara parla di un ritorno alla normalità senza pace: nessun riconoscimento dai loro governi per il lavoro fatto al tempo della carica consolare, piuttosto la riprovazione per aver scavalcato le regole e agito in nome di un mero principio umanitario, un principio che in guerra si tende a non applicare.
   È vero che Sugihara, e per ragioni sottilmente politiche, visse infine nel suo Paese una sorta di divinizzazione, ma dopo anni di discredito e di miseria. Per l'olandese invece non ci fu nessun riconoscimento ufficiale, non mentre era in vita, pochissime le notizie dagli scampati allo stermino. Tardi, molto tardi dallo Yad Vashem, l'ente nazionale per la memoria della Shoa, Zwanderdjik venne riconosciuto come Giusto tra le nazioni. Lui era morto nel 1976 col dubbio di non aver fatto nulla di buono, meno che mai di eroico. «Giusta di glorie dispensiera è morte» scrisse il Foscolo.
   Almeno lei!

(Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2020)



Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
    Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi,
    senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi;
    di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo,
    che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te;
    e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati;
    confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo;
    il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me;
    allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque;
    lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno;
    m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita,
    tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina,
    e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato;
    potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me,
    come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge,
    e tutte le mie ossa si sconnettono;
    il mio cuore è come la cera,
    si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta,
    e la lingua mi s'attacca al palato;
    tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato;
    uno stuolo di malfattori m'ha attorniato;
    m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa.
    Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti
    e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti,
    tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada,
    l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone.
    Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
    ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo!
    Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe,
    e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata
    né disdegnata l'afflizione dell'afflitto,
    e non ha nascosta la sua faccia da lui;
    ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea;
    io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati;
    quei che cercano l'Eterno lo loderanno;
    il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno
    e si convertiranno a lui;
    e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno,
    ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno;
    tutti quelli che scendon nella polvere
    e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà;
    si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia,
    e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
--> Predicazione
Marcello Cicchese
settembre 2016

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A Sanremo, quando 100 anni fa si fece la Storia

di Dror Eydar

La Lega delle Nazioni venne istituita alla fine della Prima Guerra Mondiale, e fu la prima organizzazione intergovernativa ad avere come scopo la sicurezza collettiva mondiale, da perseguire attraverso la diplomazia. La Francia, il Regno Unito, l'Italia e il Giappone, membri permanenti del Consiglio Esecutivo, guidavano un nuovo ordine mondiale, in seguito al crollo di tre imperi (tedesco, austro-ungarico e ottomano).
   La Lega delle Nazioni nacque durante la Conferenza di Pace di Parigi (1919-1920), nella quale si riunirono oltre 30 delegazioni nazionali, per definire i dettagli di questo nuovo mondo. La Conferenza ridisegnò la mappa dell'Europa e discusse proposte relative a diverse questioni, tra cui il destino dei territori dell'ex Impero ottomano.
   A questo proposito, il leader arabo, l'Emiro Faysal, chiese l'istituzione di un unico ampio Stato panarabo ( sul territorio che oggi si estende dalla Siria fino allo Yemen), mentre il leader sionista Chaim Weizmann avanzò la richiesta di ricostituire una patria ebraica sul territorio dell'antico Regno d'Israele ( che include anche una parte dell'attuale Giordania).
   In una bellissima ma dimenticata pagina di storia, nel 1919 Weizmann e Faysal si incontrarono e raggiunsero un accordo, per sostenere reciprocamente le proprie richieste. I due leader immaginarono il nazionalismo arabo e il nazionalismo ebraico coesistenti pacificamente nel nuovo mondo post-ottomano.
   A Parigi, tuttavia, non fu raggiunta alcuna decisione sui territori dell'ex impero ottomano e, nell'aprile del 1920, le Potenze si riunirono una settimana a Sanremo, per sistemare la questione. Gli Stati Uniti vi presero parte come osservatori. Quello che oggi conosciamo come Medio Oriente, all'epoca era una vasta distesa senza confini.
   Il 25 aprile 1920 fu firmata la Risoluzione di Sanremo. Le potenze decisero la spartizione del Medio Oriente in tre mandati territoriali, sotto la supervisione di Gran Bretagna e Francia. I mandati su Siria e Mesopotamia sarebbero stati esercitati fino a quando esse sarebbero state in grado di reggersi da sole, come Stati ambi indipendenti.
   La Gran Bretagna, Potenza mandataria in Palestina (il nome dato alla Giudea dall'Imperatore Adriano, a seguito della repressione della rivolta degli ebrei), era responsabile dell'attuazione della Dichiarazione Balfour, che favoriva «la creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico».
   Il 24 luglio 1922, la Lega delle Nazioni, con 51 Stati membri, approvò all'unanimità i Mandati, riconoscendo ufficialmente «il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e le basi per la ricostituzione del loro focolare nazionale in quella terra». La Palestina mandataria includeva anche il territorio di tutta l'attuale Giordania, ma quest'ultimo ne fu in seguito escluso.
   La Conferenza di Sanremo è quindi un evento storico di grande rilievo. Per la prima volta dalla distruzione di Gerusalemme nel primo secolo, le nazioni del mondo riconoscevano a pieno titolo il diritto legale del popolo ebraico alla Terra d'Israele, e gli conferivano l'autorevolezza del moderno diritto internazionale.
   Nel 1946, dopo la Seconda Guerra Mondiale, furono istituite le Nazioni Unite, che subentrarono alla Lega delle Nazioni, sperando di riuscire laddove essa aveva fallito. L'art. 8o della Carta delle Nazioni Unite stabilisce la continuità automatica dei «diritti di qualsivoglia stato e qualsivoglia popolo ... ». In questo modo veniva riaffermato il valore della Risoluzione di Sanremo quale strumento legale del sistema delle Nazioni Unite.
   La Conferenza di Sanremo è divenuta simbolo della profonda e lunga amicizia tra il popolo italiano e il popolo d'Israele. Nel 1945 la Brigata Ebraica della Palestina Mandataria, facente parte delle Forze Alleate, contribuì alla fine dell'occupazione nazista dell'Italia e alla sua Liberazione, raggiunta il 25 aprile 1945, esattamente 25 anni dopo la firma della Risoluzione di Sanremo. Altri tre anni più tardi, il diritto degli ebrei ad avere uno Stato veniva pienamente realizzato, e nasceva lo Stato d'Israele,
   Tra i leader mondiali presenti a Sanremo nel 1920, sulla culla del nascituro Stato ebraico (fra cui il Primo Ministro britannico e quello francese, i rappresentanti giapponese e americano), il Presidente del Consiglio italiano Francesco Nitti fu probabilmente l'unico che visse abbastanza a lungo da poter assistere alla meraviglia della rinascita di Israele. Morì infatti nel 1953- Grazie Presidente Nitti. Grazie Italia

* Ambasciatore di Israele in Italia

(Corriere della Sera, 25 aprile 2020)


La brigata ebraica

di Samuele Rocca

Durante la seconda guerra mondiale, non meno di 35.000 ebrei provenienti dalla Palestina, allora sotto mandato inglese, servirono nell'esercito britannico come volontari. All'inizio questi volontari si arruolarono come singoli, ma presto l'esercito britannico li inquadrò in compagnie autonome, completamente composte da ebrei. Verso la fine della guerra, nel settembre 1944, venne creata una Brigata Ebraica combattente, che servì con onore negli ultimi mesi di guerra sul fronte italiano. Intanto volontari ebrei provenienti dalla Palestina Mandataria servivano nelle più disparate unità dell'esercito inglese, in corpi non combattenti come i pionieri (Ausiliary Military Pioneer Corps), trasporti (Royal Army Service Corps), Genio (Royal Engineers), ma anche Artiglieria (Royal Artillery), Fanteria, il Palestine Regiment formato nel 1942, Commandos, Aviazione (Royal Air Force), Marina (Royal Navy), e naturalmente la Sanità (Royal Army Medical Corps).
   I volontari ebrei della Palestina furono presenti in tutti i teatri bellici in cui combatté l'esercito britannico, dalla Francia nel 1940, Grecia e Creta nel 1941, nei deserti dell'Egitto e della Cirenaica dal 1940 fino al 1943, Etiopia nel 1941, Sicilia ed Italia dal 1943 al 1945. Inoltre vari dottori si trovarono ad operare in India, ed alcuni piloti volarono in missioni di combattimento contro i Giapponesi in Birmania. Varie compagnie di soldati ebrei provenienti dalla Palestina furono stanziate durante la guerra in Iraq, a Cipro, ed in Libano.
   La Brigata Ebraica, attiva sul fronte italiano, dall'estate del 1945 fino alla sua dissoluzione nel 1946 venne stanziata in Europa Nord-Occidentale, in Belgio. Tuttavia va fatto presente che l'arruolamento nell'esercito britannico non era una prerogativa maschile. La società egualitaria creata dai pionieri fece si che molte donne partirono volontarie in vari corpi ausiliari femminile, soprattutto dell'esercito (Auxiliary Territorial Service), ma anche l'aeronautica (Women Auxiliary Air Force). Inoltre, ai 35 .000 volontari nell'esercito britannico, uomini e donne, vanno aggiunti non meno di 15.000 volontari nella JSP (Jewish Settlement Police), un unità della Palestine Police, il cui compito era proteggere gli insediamenti ebraici rurali da possibili attacchi di arabi, o da infiltratori. Di fatto la JSP divenne la vera e propria Home Guard della Palestina mandataria durante gli anni del secondo conflitto mondiale.
   In totale non meno di 50.000 persone servirono nelle forze armate britanniche durante l'intero conflitto. Se si tiene conto che l'Yishuv, il nome dato all'insediamento ebraico nella Palestina Mandataria, contava non più di 5 00.000 persone nel 19 3 9, è chiaro che non meno del 10% della popolazione prese parte direttamente al conflitto.
   Una media molto alta anche rispetto ad altre nazioni come la stessa Gran Bretagna e l'Unione Sovietica. Un numero che fa onore agli ebrei della Terra di Israele, non meno dei 550.000 ufficiali e soldati, G.I. ebrei, dell'esercito U.S.A., ai 500.000 soldati ebrei dell'Armata Rossa, o ai 60.000 ebrei, sudditi inglesi che servirono nell'esercito britannico.

(dal libro “La Brigata ebraica”, di Samuel Rocca e Luca S.Cristini”)


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Brigata Ebraica e 25 aprile: parlano i reduci dell' 'esercito senza Nazione

di Silvia Turin

Il 25 aprile in Italia è l'occasione per ricordare ancora una volta i vessilli della Brigata Ebraica, spesso oggetto di strumentale contestazione nei cortei che celebrano la Liberazione e dimenticano il contributo dato da migliaia di giovani volontari ebrei (vedi "Il 25 aprile e i meriti degli ebrei", di Paolo Mieli) alla lotta contro il nazi-fascismo in quei mesi cruciali del 1945. Quest'anno la memoria della loro partecipazione è sostenuta dalla recente approvazione (in autunno) da parte del Parlamento e poi del presidente Sergio Mattarella del decreto che conferisce alla Brigata la medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza. La Brigata partecipò alla Liberazione d'Italia con circa duemila tra uomini e donne (qui la storia completa, spiegata dal blog «Poche Storie»). Costituita nel 1944 dopo una trattativa tra ebrei palestinesi e Inghilterra (che allora amministrava Gerusalemme e i territori circostanti su mandato dalla Società delle Nazioni), era composta anche da ebrei provenienti da altri Paesi dell'allora Impero britannico, nonché da militari di origine polacca e russa scampati ai rastrellamenti nazisti in Europa. Dopo un periodo di addestramento in Egitto e Cirenaica, la Brigata ebraica fu imbarcata su due navi dirette in Italia. Fu integrata nell'VIII Armata britannica. Il 27 marzo 1945, insieme al Gruppo di Combattimento "Friuli" del rinato esercito italiano, fu tra l'altro protagonista dello sfondamento della linea Gotica nella vallata del Senio, nei pressi di Riolo dei Bagni, dove perse 38 soldati.Oggi i reduci della Brigata Ebraica sono meno di una decina e vivono tutti in Israele.
   Il regista Ruggero Gabbai, specializzato nella produzione di docu-film (ultimo dei quali si intitola "CityZEN", sul quartiere Zen di Palermo), e il professor David Meghnagi, direttore del master in Didattica della Shoah presso l'Ateneo di Roma Tre, hanno intervistato a Tel Aviv Joseph Seltzer, nato nel 1924, che ha combattuto nella zona di Ravenna, e Michael Fosh, nato nel 1926 in una piccola città della Polonia (che oggi si trova in territorio ucraino). Seltzer ha combattuto in molte battaglie ed è celebrato come eroe della Brigata. Lui e suo fratello (morto nel '48 nella guerra di indipendenza israeliana) hanno ricevuto molte onorificenze. Fosh, di due anni più giovane, arrivato in Israele orfano di entrambi i genitori, è stato in Italia quando ormai la guerra volgeva al termine e con la Brigata ha svolto il suo periodo di addestramento.
    Al Corriere della Sera l'anteprima in esclusiva delle loro testimonianze: «Gli italiani pativano la fame, c'era mancanza di cibo e noi lo davamo ai bambini. Davamo carne e formaggio per un po' di pasta da fare con l'aglio. Per noi era fantastico e anche per loro. Ti davano tutto per una sigaretta: gli italiani non le avevano». Diverse regioni italiane furono liberate grazie al contributo di questi combattenti. Complessivamente, la Brigata combatté nel nostro Paese dal 3 marzo al 25 aprile 1945, con una perdita di 30 morti e 70 feriti. Nel cimitero di Piangipane di Ravenna sono stati seppelliti i corpi dei loro caduti.
   Al professor Andrea Bienati, docente di Storia e Didattica della Shoah ed estensore della premessa storica al testo di legge che conferisce alla formazione la medaglia, abbiamo chiesto perché ricordare la Brigata Ebraica e che significato storico ha la sua costituzione: «Dinanzi a un genocidio che li avrebbe visti vittime se fossero stati in Europa, giovani ebrei delle Terre del Mandato britannico in Palestina scelsero di cambiare la propria storia andando a combattere volontariamente dove si stavano consumando i crimini della Shoah. L'eroismo per le imprese militari, effettuate sul fronte italiano nell'ultimo anno di guerra, è solo un aspetto della vicenda e può contribuire a creare un'epica guerresca di quello che era stato pensato come "l'esercito ebraico per ebrei senza stato e di Palestina". Da solo, però, non basterebbe a spiegarne l'unicità. Forse la storia della "stella di Davide" che era sulle mostrine delle uniformi di questi giovani può aiutare a rifletter: da simbolo usato dai nazionalsocialisti per etichettare gli ebrei, resi dalla propaganda e dalle leggi del Terzo Reich "colpevoli di esistere", divenne simbolo della riscossa contro gli aguzzini e di speranza per il futuro».
   «I sopravvissuti al progetto di eliminazione totale con la divisa della cosiddetta "Brigata Ebraica" furono speciali anche tra le rovine fumanti dell'Italia del 1945, al cessare del crepitio delle armi - spiega il professor Bienati - . Si dedicarono al recupero della dignità della vita attraverso il soccorso fisico, educativo e morale dei sopravvissuti ai Lager, attuando un'operazione ante litteram di "search and rescue" destinata alle persone, alla cultura e al sentimento religioso soprattutto nei confronti degli ex deportati ebrei. Penso che anche raccogliere la testimonianza di soldati orgogliosi di vedersi ricordare come membri della "Brigata Ebraica" può diventare una sorta di parziale risarcimento morale per quanto fatto dall'Italia del Ventennio e dalla Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) contro una parte dell'umanità. Il ricordo dei combattenti che parlavano una lingua strana e "vestivano all'inglese" (come venivano descritti nelle zone italiane dove operarono) è anche una doverosa forma di gratitudine verso chi, lasciando volontariamente la sicurezza della propria terra, combatté per la Liberazione».
   I soldati che sopravvissero riuscirono a rientrare in Israele, alcuni vi emigrarono dalle loro città originarie. Per il sostegno dato ai profughi ebrei che volevano raggiungere la Palestina, la Brigata si scontrò con i comandi britannici. Nel luglio del 1946 il governo inglese decise di procedere al suo disarmo, alla sua smobilitazione e al rimpatrio nei Paesi d'origine. «L'approvazione del Parlamento all'unanimità della proposta di legge sulla Brigata Ebraica ha permesso di ricostruire una memoria condivisa su una pagina meno conosciuta della storia della Liberazione italiana ma non meno valorosa. Siamo in attesa del conferimento della medaglia all'associazione dei reduci: sarà un bel momento di memoria e valore», questo l'auspicio della parlamentare Pd Lia Quartapelle, prima firmataria della legge che conferisce la medaglia d'oro.

(Corriere della Sera, 25 aprile 2020)


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La brigata ebraica fu al fianco degli Alleati per liberare il Nord

Dal 1939 al 1946, ne fecero parte trentamila volontari. All'inizio gli inglesi erano contrari per non creare conflitti con i musulmani. Alla fine Churchill si convinse e costituì la divisione.

di Gustavo Ottolenghi

Volontari della Brigata ebraica
La Brigata ebraica del 1944-1945 fu una unità militare formata pressoché totalmente da volontari di religione ebraica che, in quegli anni, operò sul fronte italiano della Seconda guerra mondiale come parte dell'esercito britannico. Costituita nel settembre 1944, venne impiegata in Italia dal marzo al maggio 1945 e, successivamente, a guerra finita, fu destinata a numerosi altri compiti in Belgio, Olanda e Polonia sino al 1946 allorché, trovandosi dislocata al confine italo-austro-jugoslavo di Tarvisio, venne sciolta. Sebbene non sia stata, in senso assoluto, la prima unità militare costituita da ebrei, essa fu tuttavia la prima e l'unica ad aver preso parte attiva ad azioni belliche della Seconda guerra mondiale sotto la bandiera con la stella di Davide.
   Questa bandiera era bianca, gravata al centro con una stella azzurra a sei punte, si differenziava da quella attuale dello Stato di Israele perché priva delle due bande orizzontali azzurre sui lati maggiori del drappo.
   Come si divenne alla creazione di una tale unità combattente composta da ebrei nel contesto delle truppe di Sua Maestà? Occorre rifarsi al settembre 1939 quando, appena scoppiato il secondo conflitto mondiale, Chaim Weizmann, Presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, offrì al Governo britannico la cooperazione degli israeliti allo sforzo bellico inglese contro i nazisti antisemiti e intavolò trattative con il primo ministro Arthur Chamberlain tese alla creazione di una forza combattente ebraica da incorporare nelle fila dell'esercito britannico. Da principio gli inglesi si dimostrarono riluttanti ad accettare questa proposta, nel timore che una unità così formata potesse poi rivendicare richieste autonomiste in Palestina, ma successivamente, nell'estate del 1940, cambiarono opinione, ritenendo che l'istituzione di un contingente esclusivamente ebraico nelle loro Forze armate avrebbe spinto gli ebrei americani ad esercitare pressioni sul governo Roosvelt al fine di ottenere aiuti militari alla Gran Bretagna, a fronte di una opinione pubblica americana allora del tutto incline a disinteressarsi delle vicende europee. In quest'ottica il Governo di Sua Maestà mise allo studio la possibilità di istituire una unità militare da immettere nelle file del proprio esercito, che però non fosse composta esclusivamente da ebrei, nel timore di irritare gli arabi musulmani del Medio Oriente e prospettandosi la costituzione di un contingente misto arabo-ebraico. Ciò non era però quello cui aspiravano entrambe le comunità, ebraica e musulmana, che non intendevano in alcun modo amalgamarsi tra di loro e che protestarono vigorosamente contro tale ipotesi: essa venne pertanto precipitosamente ritirata. Allorché a capo del governo giunse Winston Churchill nell'ottobre 1940, il gabinetto di guerra britannico torna sulla ipotesi di istituire un corpo militare formato esclusivamente da ebrei, nella consistenza di una divisione, le cui reclute sarebbero state formate per lo più da volontari rifugiati o da ebrei americani, oltre a una forte componente di ebrei provenienti dalla Palestina. Tale corpo militare avrebbe dovuto essere aggregato all'esercito senza tuttavia possibilità di impiego diretto in combattimento, ma adibito a compiti di sussistenza o ausiliari. Ossessionato però sempre dal timore di una reazione arabo-musulmana nel Medio Oriente, il governo inglese mutò nuovamente indirizzo e, prima che la formazione ebraica potesse divenire operativa, nel dicembre dello stesso anno sospese l'attuazione del progetto e quindi, nel gennaio dell'anno successivo, lo annullò. Nello stesso gennaio 1941, l'Agenzia ebraica rivolse una nuova richiesta al governo britannico per la creazione di una formazione esclusivamente ebraica da impiegare direttamente al fronte e offrì all'esercito inglese un primo gruppo di 2500 volontari. Sotto l'incalzare delle sconfitte ad opera dei tedeschi e nella necessità di sopperire alle perdite umane, Churchill accettò alfine questa offerta e istituì due compagnie di volontari ebrei, note poi come "Buffs", che vennero aggregate al terzo reggimento fanteria e alcuni gruppi antiaerei e di artiglieria costiera, destinati alle guarnigioni in Palestina; e un corpo di ausiliari per la Royal Air Force. Il 6 agosto 1942 il governo britannico istituì ufficialmente il "Reggimento Palestine", composto da tre battaglioni ebraici e uno arabo. Questa decisione creò nuovi malumori nella popolazione ebraica e molti volontari rifiutarono di far parte del reggimento. A questo punto si determinò un fatto tragicamente nuovo: nel novembre del 1942 cominciarono a giungere in Palestina le prime notizie sui campi di sterminio nazisti in Europa, per cui i contingenti dei volontari ebrei, spinti dallo sdegno e dall'orrore, chiesero fermamente di essere trasferiti dal fronte africano dove combattevano a quello europeo.
   Parte del governo inglese riteneva che un reggimento esclusivamente ebraico non si doveva costituire, altri invece riconoscevano agli ebrei il diritto morale di combattere direttamente coloro che stavano distruggendo il loro popolo in Europa, tenendo anche conto del fatto che gli Alleati non avevano fatto nulla per fermare gli eccidi nazisti.
   Churchill, colpito dalle notizie sui massacri, spinse il gabinetto di guerra ad approvare, il 3 luglio 1944, l'istituzione ufficiale di una brigata esclusivamente ebraica, composta da tre battaglioni di mille uomini l'uno, al comando del brigadiere generale delle guardie di Sua Maestà Ernst Benjamin, ebreo, con facoltà di innalzare la propria bandiera. La brigata venne inviata nella seconda metà del novembre 1944 per il fronte italiano, aggregata alle truppe britanniche. In particolare, venne a far parte della 78esima divisione, schierata su una linea che, da La Spezia, correva, valicando gli Appennini, sino a Ravenna, immediatamente a nord della linea gotica tedesca.
   Per tutto l'inverno del 1944 la linea del fronte rimase ferma, il 9 aprile invece la VIII armata iniziò ad avanzare lungo la linea adriatica sulla scia del corpo d'armata polacco che fungeva da cuneo di sfondamento. Il 20 aprile la divisione ebraica si unì, in quel di Argenta, a est di Imola, alla 56esima divisione neozelandese. Il 23 aprile varcò in forze il Po.
   Il 25 aprile, in concomitanza con i moti insurrezionali che le unità antifasciste avevano scatenato nelle principali città del Nord Italia. Subito dopo, mentre la V armata Usa puntava su Verona, Vicenza, Trento, Brescia e Alessandria, la VIII britannica avanzò verso est e il 27 aprile, superato l'Adige, si diresse verso Padova, Treviso, Venezia e Tarvisio al confine con l'Austria e su questo confine fu stanziata la Brigata ebraica il 25 maggio, dopo che le ostilità si erano concluse il 9 con la resa incondizionata della Germania.
   In seguito, parte della brigata fu trasferita in Belgio e Olanda e 150 militari furono segretamente istruiti e poi destinati a organizzare stazioni di ascolto in funzione antisovietica in Austria e Germania, mentre coloro che erano rimasti a Tarvisio contribuirono nascostamente all'emigrazione clandestina di ebrei in Palestina e all'acquisto di armi da destinare all'esercito ebraico che si andava formando lì. A metà del 1946 il governo britannico, seguendo il piano di smobilitazione generale, decise lo scioglimento della brigata, nonostante l'opposizione dell'Agenzia ebraica.
   In totale gli ebrei che prestarono servizio volontario dal 1939 al 1946 furono oltre 30mila e di questi 710 morirono in battaglia, 7130 furono feriti, 1769 fatti prigionieri, 323 decorati al valore e 182 ottennero promozioni sul campo. Durante la campagna d'Italia i volontari furono 4984.

(Il Dubbio, 25 aprile 2020)


Il ricordo di tre tombe misteriose

di Zeno Saracino

 
Il cimitero ebraico di Trieste
Il primo cimitero ebraico di Trieste risale al 1446, quando un triestino israelita, Michael, comprò un appezzamento di terra in Via del Monte, nella contrada di Santa Caterina.
Il cimitero antico crebbe nelle dimensioni, fino ad occupare nel corso dei secoli parte del colle di San Giusto.
   Quando l'imperatore Giuseppe II ordinò - per ragioni sanitarie - che i cimiteri sorgessero al di fuori delle città, la comunità ebraica iniziò a seppellire i propri morti nell'attuale sede di Via della Pace, a partire dal 1 giugno 1843. Il cimitero è noto nella tradizione ebraica come "bet 'olam", cioè casa dell'eternità; i morti infatti non possono essere riesumati, né le tombe violate. Quando pertanto il Comune di Trieste volle trasformare il colle di San Giusto in un parco - oggi noto come "della Rimembranza" - il cimitero antico venne espropriato (1909). Nell'occasione vennero salvati diversi sarcofagi di rabbini risalenti alla metà del Settecento, così come 800 pietre funerarie. Purtroppo la maggior parte venne affidata al custode, il quale scalpellava via le dediche e sfruttava l'altro lato per incidere il nome del nuovo defunto, "riciclandole".
   Il cimitero ebraico di Trieste, rimasto nell'ottocentesca sede di Via della Pace, mantiene alcune particolarità tutte triestine: a partire dalle tombe "a grotta" ovvero tumuli di pietre del Carso incastrate a secco, molto utilizzate tra l'ultimo quarto dell'ottocento e i primi anni del novecento. La maggior parte di queste tombe sono purtroppo collassate, rivelando lapidi del precedente cimitero di Via del Monte.
   Le pietre funerarie presentano per lo più simboli ebraici, ma non mancano "stemmi" classici, come la clessidra, la falena, l'alfa/omega, l'uroboro; immancabili i simboli massonici caratteristici di molti cimiteri triestini. Particolare di triste attualità, non mancano i morti per "morbo asiatico", cioè per le epidemie di colera, solitamente intere famiglie sotto un'unica tomba.
   Chi conosce la storia della città sarà familiare con i nomi delle famiglie di assicuratori e mercanti che assicurarono a Trieste il suo status di città-porto tra settecento e ottocento: i Morpurgo, i Parente e il barone Fortunato Vivante tra i tanti.
   Molti triestini di origine ebraica dei quali ritroviamo le (imponenti) tombe. Ma tra le lapidi e le steli, non mancano le sorprese: storie di uomini e donne incapsulati nel tempo grazie ai dettagli delle epigrafi, degli stemmi, degli ultimi gesti.
   Frammenti di un mondo lontano, eppure non così diverso da quello attuale.
   Una lapide intestata a Joel Wölfler, morto nel 1843, rivela come venne "ucciso da crudele mano di un assassino non figlio del patto". Di cosa si tratta? Secondo le ricerche in archivio di Livio Vasieri, Joel era all'epoca in carcere dove divideva la cella con un compagno di sventure dall'animo rabbioso. Joel seguiva un corso per lavorare come falegname, mentre il compagno di cella come calzolaio. I due stavano mangiando, quando Joel venne accusato dall'altro di avergli rubato un pezzo di pane; presto la cosa degenerò in una rissa e il compagno di cella lo infilzò allo stomaco con una lesina, un grosso ago ricurvo utilizzato dai calzolai.
   Un'altra tomba che desta curiosità, è quella di Moisè Hierschel detto "l'elemosiniero".
   Hierschel infatti si occupò a lungo di gestire i fondi per la beneficenza della comunità ebraica; ma era a sua volta un filantropo generosissimo. A Trieste, a metà del secolo, gestiva una concentrazione di immobili notevole; dalla casa della Galleria Rossoni, all'edificio pre Tergesteo, all'isolato tra via Roma e via Filzi. E come se non bastasse era anche proprietario del Teatro Grande, oggi Teatro Verdi. Una generosità che nascondeva un cuore in pena: decenni addietro, nel 1807, Hierschel aveva visto proprio nel teatro che avrebbe successivamente comperato consumarsi una terribile tragedia. La giovane moglie e la madre, giunti a Teatro per uno spettacolo, sarebbero state accoltellate a morte da un pazzo nel loro palco.
   Un onesto servitore dello Stato era invece Moses Fuchsel, un cittadino di origine ebraica la cui lapide si distingue per l'emblema di un ramo di alloro intrecciato ad un'ancora spezzata. Morto nel 1894, Fuchsel era infatti un capitano di macchina della marina militare austriaca.
   Tra le sue cose alla sua morte venne ritrovata un'onorificenza messicana, svelando così come avesse partecipato alla spedizione di Massimiliano d'Asburgo, conclusasi nella tragedia della fucilazione.
   Non mancano le donne della comunità ebraica; ad esempio Fiorina Luzzatto Cohen, imparentata con il poeta e storico Samuel David Luzzatto. La figlia, Irene Coen Luzzatto, emigrata negli Stati Uniti, sarà poi la madre di uno dei più grandi sindaci di New York, Fiorello La Guardia, a cui rimane tuttora intitolato uno degli aeroporti della città.
   Oppure Amalia Popper, l'allieva preferita di James Joyce quand'era insegnante a Trieste, il cui padre Leopold, anch'esso sepolto nel cimitero, diventerà l'ispirazione per il Leopold Bloom dell'Ulisse.

(Triest@ll, 25 aprile 2020)


Israele supera i 15 mila contagi e si avvicina alla soglia dei 200 morti

GERUSALEMME - Il ministero della Sanità di Israele ha dichiarato che sono 15.048 i casi confermati di coronavirus nel paese, con un aumento di 255 persone in 24 ore. Le autorità hanno confermato che il bilancio delle vittime è salito a 194 persone, con due decessi in più nella giornata tra giovedì 23 e venerdì 24 aprile, inclusa la morte del rabbino Avraham Yeshayahu Heber, la cui organizzazione per la donazione degli organi ha salvato circa 800 persone negli ultimi dieci anni. Al bilancio ufficiale va aggiunto il decesso di una paziente di 86 anni con malattie pregresse morta ieri sera all'ospedale Kaplan di Rehovot. Come sottolinea il quotidiano "Jerusalem Post", si tratta della terza vittima del coronavirus proveniente dalla casa di cura "Ganey Ora" di Gerusalemme.
   Il governo di Israele ha approvato ieri un ulteriore allentamento delle misure di contenimento anti-coronavirus, consentendo l'apertura di molte aziende, compresi ristoranti e caffè. Le autorità avevano annunciato meno di una settimana fa la riapertura di librerie, ferramenta e negozi di elettrodomestici. A eccezione dei centri commerciali, l'esecutivo ha annunciato che tutti gli altri negozi potranno riaprire da domenica 26 aprile, pur nel rispetto rigoroso delle condizioni sanitarie, tra cui l'obbligo di indossare mascherine protettive e il rispetto delle distanze di sicurezza. I ristoranti e i caffè potranno riaprire, ma solo per vendere pasti da asporto. Anche i parrucchieri e i centri di bellezza potranno riprendere le loro attività, ma con un numero limitato di clienti all'interno dei locali. "Queste misure saranno valide fino al 3 maggio", hanno dichiarato l'ufficio del primo ministro, il ministero delle Finanze e il ministero della Salute in una dichiarazione congiunta.

(Agenzia Nova, 25 aprile 2020)


Cisgiordania via libera Usa all'annessione. L'Europa frena

di Giordano Stabile

Gli Stati Uniti danno il via libera alle annessioni in Cisgiordania da parte di Israele, l'Europa ribatte che sono «illegali» e Abu Mazen minaccia di ritirarsi da «tutti gli accordi», cioè anche da Oslo, se Benjamin Netanyahu andrà avanti come annunciato, «approfittando della crisi del coronavirus». L'accelerazione su questo fronte è arrivata dopo l'intesa di lunedì fra Netanyahu e Benny Gantz, che ha posto fine a oltre un anno di crisi politica e aperto la strada a un governo di unità nazionale. I due si sono accordati anche sulle annessioni nei Territori previste dal piano di pace americano, e cioè degli insediamenti, la Valle del Giordano e altri settori strategici, per un totale di circa un terzo della Cisgiordania. E' un piano che i palestinesi hanno respinto in blocco, ma mercoledì il segretario di Stato americano ha detto che la decisione di procedere «spetta in ultimo a Israele» e che l'amministrazione Trump «lavorerà a stretto contatto» con gli israeliani e darà i suoi consigli, ma «in privato».
   Il succo è un sì immediato alle annessioni, quanto voleva Netanyahu. Il premier è alle prese con l'emergenza coronavirus e lavora sulla composizione e il programma del nuovo esecutivo con Gantz. Il generale vorrebbe coinvolgere almeno in misura minima l'Onu, ma l'appoggio americano finirà per far prevalere la linea decisa di "King Bibi". Il premier più longevo della storia di Israele resterà al potere per altri 18 mesi, fino al novembre del 2021, e vuole lasciare come sua eredità politica la messa in sicurezza del confine lungo il Giordano. Si scontra però sull'opposizione della comunità internazionale, a partire dall'Unione Europea. Ieri l'Alto rappresentante Josep Borrell ha ribadito che «a posizione dell'Ue sullo status dei territori occupati rimane invariata, in linea con risoluzioni Onu 242 del 1967 e 338 del 1973».
   In sostanza «l'Ue non riconosce la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata» e qualsiasi annessione «costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale». Ma il via libera di Pompeo ha fatto suonare l'allarme rosso anche in casa palestinese. Abu Mazen ha replicato che «non resteremo con le mani legate». «Nessuno — ha detto in un discorso in tv - dovrebbe illudersi di sfruttare l'emergenza coronavirus per violare i nostri diritti. Se Israele annuncerà l'annessione di qualsiasi parte della nostra terra, considereremo nulli tutti gli accordi e le intese precedenti». Sarebbe il ritiro da Oslo e dal processo di pace cominciato nel 1993 e fermo ormai da anni.

(La Stampa, 24 aprile 2020)


Economia in ginocchio, stop di Netanyahu al lockdown

Il premier riapre il paese di fronte all'aumento al 26% della disoccupazione e alle previsione cupe dell'Fmi. All'orizzonte c'è l'aumento della povertà, frutto delle conseguenze del virus e delle politiche liberiste promosse dalla destra.

di Michele Giorgio


Yuval Carmi si augura di poter tornare presto a sfamare la sua famiglia. Quando avverrà nessuno può dirlo. In ogni caso le sue parole e la sua immagine rimarranno scolpite nelle cronache dell'emergenza coronavirus in Israele. La disperazione mostrata domenica da Carmi, proprietario ad Ashdod di un chiosco di falafel, davanti alle telecamere della tv Canale 13, ha commosso mezzo paese. E forse ha dato la spinta definitiva al premier di destra Benyamin Netanyahu e il leader del partito Blu e Bianco, Benny Gantz, verso l'accordo per il nuovo governo.
   Centinaia di migliaia di israeliani, come Carmi, sono rimasti senza lavoro e reddito a causa dello stop a buona parte delle attività economiche deciso del governo per contenere il contagio. Pagano il costo più alto i privati, in particolare quelli del turismo, della ristorazione, gli albergatori. Da qualche giorno però la chiusura è meno rigida. Una parte dell'economia è già ripartita tra gli applausi di imprenditori, opinionisti e alcuni ministri che chiedevano di ridimensionare gli ammonimenti di scienziati e medici.
   I numeri decrescenti del contagio (ora intorno ai 14mila), dei pazienti in terapia intensiva (poco più di 100) e la relativa bassa mortalità (meno di 200 decessi), hanno influenzato sul passo fatto dal governo di allentare il lockdown.
   A Netanyahu, che resterà primo ministro per i prossimi 18 mesi, non manca l'intuito. Ha compreso che occorre riporre nell'armadio l'abito del padre della patria preoccupato della salute degli israeliani. Ora deve indossare quello del premier che rimette in marcia l'economia nazionale che lui stesso, quando era ministro delle finanze più di 10 anni fa, ha contribuito a trasformare profondamente abbattendo l'edificio del welfare. Mai come in questi giorni appaiono visibili le direttrici liberiste imposte da Netanyahu e dai suoi successori.
   Secondo dati diffusi a inizio settimana, 1 milione e 93mila israeliani non hanno un lavoro e la disoccupazione ha toccato il 26%: a inizio anno era al 4%. In poche settimane le fasce sociali più deboli hanno bruciato tutto i risparmi. «Se domandassimo agli israeliani se dispongono di almeno 400 dollari per fare fronte a una spesa improvvisa, penso che il 10-15% degli intervistati risponderebbe di no. E tanti altri non posseggono molto di più di quella somma di denaro. La mancanza di liquidità in questo momento è il problema più urgente per molte famiglie israeliane», ci dice Momi Dahan, economista e docente all'Università ebraica. A sentire la crisi, aggiunge, è anche la "start up economy", fiore all'occhiello di Israele.
   La "fase 2" perciò è già cominciata. Ritorneranno subito al lavoro il 30% degli impiegati e potranno riaprire librerie, negozi di elettronica, ottica e forniture per ufficio. Altre restrizioni saranno revocate nei prossimi giorni. Sulle decisioni di Netanyahu, economiche e politiche, hanno inciso le previsioni del Fondo monetario internazionale, più cupe rispetto a quelle della Banca di Israele.
   L'FMI vede l'economia israeliana contrarsi quest'anno del 6,3%, non in grado di recuperare il terreno perduto fino al 2022 e con il 12% di disoccupazione e un'inflazione negativa dell'1,9% nel 2020. Per il rilancio occorrerebbe una riapertura immediata e completa ma è impensabile mentre il ministro della sanità avverte che una nuova ondata di contagi potrebbe verificarsi già a maggio se non saranno rispettati l'isolamento e il distanziamento sociale.
   Pesa la povertà preesistente al Covid-19, figlia anche del liberismo e tra le più alte (1/4 delle famiglie) tra i paesi dell'orbita occidentale. Si concentra soprattutto tra gli ebrei religiosi ortodossi e nella minoranza palestinese (20% della popolazione) discriminata e destinataria di una quota inferiore di risorse pubbliche rispetto alla maggioranza ebraica.
   «I tanti israeliani ai margini del mercato del lavoro non avranno alcun beneficio dal piano (di aiuti governativi)» spiegava l'analista Noga Dagan-Buzaglo il 6 aprile sul giornale economico Globes «mi riferisco a persone che ricevono assegni di vecchiaia o di invalidità, che vivono in alloggi pubblici con affitti agevolati e a chi fa lavori temporanei, senza busta paga, e non avrà diritto all'indennità di disoccupazione. Il pacchetto di aiuti non è sostenuto da un budget adeguato». In assenza di una risposta concreta, prevede Dagan-Buzaglo, «nel day after forse saranno già tornati al lavoro tanti ora disoccupati ma ci ritroveremo con più poveri e una povertà più profonda».

(il manifesto, 24 aprile 2020)



24 aprile 1920: la Dichiarazione di Sanremo

COMUNICATO STAMPA EDIPI

Sanremo oggi è conosciuta soprattutto per il Festival canoro, ma prima che lo diventasse era ricordata per il luogo della importante conferenza, anche se poco considerata, che rielaborò la controversa storia del Medio Oriente.
   Esattamente un secolo fa al Castello Devachan di Sanremo ebbe luogo il secondo tempo della pace di Parigi dove si erano considerate le sorti delle nazioni che avevano perso la guerra in Europa.
   Infatti i rappresentanti dei Paesi vincitori della Grande Guerra decisero di spartirsi le aree territoriali di riferimento all'ormai dissolto Impero Ottomano.
   Proprio nella città di Sanremo si riunirono i primi ministri britannico e francese, rispettivamente David Lloyd George e Alexandre Millerand, con l'ambasciatore giapponese Keishiro Matsui e, in veste di padrone di casa, il presidente del consiglio italiano Francesco Nitti.
   Durante la conferenza di Sanremo si realizzarono dalla vecchia provincia ottomana della Siria due mandati classificati di prima importanza, cioè di classe "A": la metà settentrionale (Libano e Siria) fu destinata alla Francia mentre quella meridionale (Palestina) alla Gran Bretagna a cui venne affidata anche la provincia della Mesopotamia (Iraq).
   Bisogna considerare che ai sensi di un mandato in classe "A", i singoli paesi erano considerati indipendenti nell'integrità territoriale stabilita, comunque però soggetti ad un potere obbligatorio fino al raggiungimento della maturità politica.
   A tal riguardo è bene ricordare che per l'occasione i mandati della Società delle Nazioni furono ben 12 di cui 5 in classe "A", quelli sopramenzionati, 6 di classe "B", formati da tutti i precedenti "Schutzgebiete" (Territori tedeschi) nelle regioni sub-sahariane dell'Africa centro-occidentale che vennero divisi tra Gran Bretagna, Francia e Belgio e uno di classe "C" che includeva l'Africa sud-occidentale e alcune isole del Pacifico meridionale, tutti precedentemente possedimenti tedeschi, assegnati a Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Australia e Giappone.
   Dopo l'abolizione della Lega delle Nazioni, tutti i vecchi Mandati che rimasero sotto il controllo di una potenza coloniale furono trasformati in Amministrazioni fiduciarie dell'ONU, con uno status pressoché equivalente.
   In sintesi, con riferimento ai Mandati più rilevanti di classe "A", le decisioni di Sanremo non fecero altro che confermare l'assegnazione dei Mandati già decisi precedentemente durante la conferenza di Londra del febbraio 1920, in cui Francia e Gran Bretagna si spartirono i territori dell'ex-impero ottomano e i possedimenti d'oltremare della Germania.
   In più, la risoluzione di Sanremo adottò la Dichiarazione Balfour del 1917. Essa e l'articolo 22 della Convenzione della Società delle Nazioni furono i documenti di base su cui fu costruito e attuato il Mandato britannico della Palestina. In definitiva la Gran Bretagna ricevette il Mandato per la Palestina e l'Iraq, mentre la Francia ottenne il controllo della Siria, compreso l'attuale Libano.
   Come era chiaro Regno Unito e Francia risultavano in quel momento le più forti e la Conferenza di Sanremo finì per avallare le loro posizioni.
   Riguardo all'Italia, ottenne solamente la conferma del possesso di Rodi e del Dodecanneso, retaggio dei territori della Repubblica di Venezia.
   Gli Stati Uniti parteciparono come osservatori neutrali affiancando la delegazione britannica guidata dal primo ministro David Lloyd George e Lord Curzon, che nel 1919 sostituirono Lord Balfour come ministro degli esteri.
   Balfour, tuttavia, era presente alla conferenza come consulente per le questioni relative alla risoluzione definitiva. Negli incontri i francesi furono reticenti sull'inclusione della Dichiarazione Balfour nel trattato di pace, e fu solo dopo lo sforzo della pressione britannica che furono persuasi ad accettarlo.
   Alla conferenza parteciparono anche, in rappresentanza del movimento sionista, Chaim Weizmann e Nahum Sokolow oltre a Herbert Samuel, il primo ebreo a servire come ministro nel governo britannico, nel ruolo di Alto Commissario della Palestina, carica che tenne dal 1920 fino al 1925 e che risultò, in ultima analisi, il primo ebreo a governare il paese storico di Israele in 2000 anni.
   Ebbe un ruolo importante nel riconoscimento della lingua ebraica come una delle tre lingue ufficiali della Palestina Mandataria.
   In ultima analisi, dobbiamo sottolineare l'importanza che proprio a Sanremo il 24 aprile 1920 fu integralmente recepita la "Dichiarazione di Balfour", con cui gli inglesi annunciarono finalmente di voler creare un "focolare ebraico" in Palestina. Era l'alba di Israele nella chiarezza della piena legalità dei diritti ebraici di insediarsi nella sua storica terra.
   Questo certo e buon diritto ha molti aspetti.
   Citando stralci dalla prefazione del prof. Ugo Volli alla seconda edizione del libro "Questa terra è la mia terra" di Eli E. Hertz.

-  E' un dato storico e antropologico, basato sulla storia antica del
   popolo di Israele, che 3000 anni fa ha fondato il primo stato unitario
   e autonomo nella terra tra il fiume Giordano e il Mediterraneo.

-  E' un dato politico e militare in quanto Israele è sottoposto ad un
   conflitto terroristico fin da quando era solo un insediamento

-  E' un dato morale e ancora politico, perchè esso deriva dal diritto
   all'autodeterminazione del popolo ebraico, sottoposto da secoli alle
   persecuzioni in Europa e nel mondo musulmano.

-  E' un dato teologico radicato nel patto della Bibbia

-  E' un dato giuridico, ben radicato nel diritto internazionale.

A tal riguardo quest'ultimo aspetto è quello più importante da attualizzare poiché le accuse più gravi e insistenti che oggi si rivolgono ad Israele sono di carattere giuridico, prodotto dal nuovo antisemitismo: l'antisionismo.
   E' dunque su questo piano che ci si deve muovere per sostenere Israele, piuttosto che su generici considerazioni di sicurezza o di probabili convenienze politiche.

In occasione del 90° anniversario della Dichiarazione di Sanremo che tenemmo proprio nel castello Devachan proprio a Sanremo il 25 aprile 2010 firmai in un'ideale rappresentanza dell'Italia assieme a Gregory Lafitte per la Francia, David Noakes per il Regno Unito, Goldi Steiner per il Giappone e Eli Hertz per gli Stati Uniti, la Seconda Dichiarazione di Sanremo, sottoscrivendo il documento proprio nella sala e sul tavolo degli originari firmatari della prima dichiarazione del 1920.
   In essa si riaffermava l'importanza della Risoluzione del 25 aprile sottolineando che restava irrevocabile, legalmente vincolante e tuttora valida. Inoltre si sottolineava che la risoluzione di Sanremo del 1920 ha riconosciuto i diritti nazionali ed esclusivi del popolo ebraico per la Terra di Israele,in forza della legge internazionale e della connessione storica del popolo ebraico con il territorio in precedenza noto come Palestina. Si ricordava anche che un evento determinante quale la Conferenza di Sanremo del 1920 è stato dimenticato o ignorato dalla comunità delle nazioni, e che i diritti che conferiva al popolo ebraico sono stati limitati, ignorati e negati.
   Infine si stabiliva che una pace giusta e duratura, determinante l'accettazione di confini sicuri e riconosciuti tra tutti gli stati nella regione, può esser raggiunta solamente riconoscendo i diritti di Israele da tempo sanciti nella legge internazionale.
   Oggi in occasione del 100° anniversario della Dichiarazione di Sanremo pur in questa emergenza sanitaria che ci relega tutti "agli arresti domiciliari" dovremo impegnarci a diffondere questi argomenti a sostegno della verità, ben sapendo che quando la verità ha come oggetto Israele diventa sempre di interesse biblico.

Shabbat Shalom
Ivan Basana

Padova 24 aprile 2020 - 30 Nisam 5780

(EDIPI, 24 aprile 2020)


La risoluzione di San Remo dell'aprile 1920


Le Forze di Difesa israeliane tra vecchie minacce e nuova pandemia

Israele dovrà essere pronto a fronteggiare tre cerchi concentrici di minacce nonostante le gravi difficoltà economiche e sociali causate dal coronavirus.

La pandemia di covid-19 ha cambiato le priorità su cui si muovevano gli stati fino a poche settimane fa, sconvolgendo gravemente la vita quotidiana e l'economia globale. Anche Israele si batte per contenere l'epidemia. Nello stesso tempo i suoi militari devono fare i conti con i drammatici cambiamenti che si stanno verificando in patria e in tutta l'instabile regione del Medio Oriente, e ricalibrare di conseguenza la loro agenda.
Israele si trova in un'area che, anche nei giorni migliori, è fortemente ostile e deve far fronte a quelli che i comandanti delle Forze di Difesa israeliane spesso descrivono come tre cerchi concentrici di minacce. Il primo cerchio è popolato da gruppi terroristi a ridosso dei confini come Hamas, la Jihad Islamica palestinese e Hezbollah, tutti destinatari di ingenti aiuti iraniani. Il secondo cerchio è costituito da minacce convenzionali, in particolare dall'esercito siriano, a sua volta sostenuto da milizie sciite iraniane e da Hezbollah. Il terzo cerchio comprende pericoli non convenzionali: principalmente lo spettro di uno scontro nucleare con l'Iran. La Repubblica Islamica rappresenta una forza trainante attiva in tutte e tre le categorie....

(israele.net, 24 aprile 2020)


Ebrei contro il nazismo, non solo Brigata ebraica

Un impegno costante e valoroso su tutti i frontiIl contributo ebraico alla vittoria Alleata nella Seconda Guerra Mondiale.

di Roberto Zadik

Molti e valorosi sono i casi degli ebrei che hanno fisicamente combattuto contro il nazifascismo. Dalla rivolta del Ghetto di Varsavia alla rivolta del campo di sterminio di Sobibor organizzata da ufficiali Ebrei dell'Armata Rossa li detenuti ai singoli combattenti nelle varie formazioni partigiane in Europa o arruolatisi volontari negli eserciti alleati. Con l'immigrazione in Palestina a partire dalla fine dell'Ottocento, osteggiata da vari Paesi, ebrei ashkenaziti in fuga dalle persecuzioni e dai pogrom, cominciarono a pensare a organizzare un esercito difensivo mentre rincorrevano il sogno di uno Stato Ebraico.
  Osteggiati in seguito dalla potenza mandataria Inglese che con i suoi soldati ostacolava l'immigrazione ebraica, gli ebrei della Palestina divennero sempre più coraggiosi e stimolati da leader come Vladimir Jabotinsky, molti giovani decisero di formare gruppi difensivi come l'Irgun. Durante il secondo conflitto mondiale questi giovani ebrei si arruolarono volontari nell'esercito Inglese formando "Compagnie Ebraiche di Trasporto" e "Compagnie Ebraiche del Genio" con la dicitura ufficiale di Soldati Palestinesi. Erano giovani che tra di loro comunicavano in Yiddish od in Ebraico e rispondevano ad un comandante Inglese non Ebreo. Con un addestramento di base da fante questi soldati dovevano anche provvedere da soli alla difesa di se stessi e dei loro convogli. Già dalle prime battaglie nella campagna d'Africa si distinsero per il loro coraggio, la loro precisione e affidabilità nello svolgimento dei compiti e in seguito non solo in Africa ma in tutto lo scacchiere Medio Orientale compresa la difesa dello stesso territorio di Palestina sino al punto che l'esercito Inglese in segno di ammirazione, pur continuando ad inquadrarli come Palestinesi, permise loro di avere sui mezzi quali segno di riconoscimento il Maghen David. Una dimostrazione di coraggio e valore costante e intensa che costò la vita a molti di loro.
  Le Compagnie Ebraiche furono impiegate in tutto lo scacchiere bellico ed in Italia dove furono operativi sin dall'inizio durante lo sbarco in Sicilia e via via sulla costa Adriatica inquadrati nell'VIII armata Inglese, sulla costa Tirrenica inquadrati nella V armata Statunitense. Compagnie Ebraiche furono impiegate nei famosi sbarchi di Salerno ed Anzio e nella battaglia di Monte Cassino per risalire poi da entrambe le coste tutta la penisola sino in Romagna dove affiancarono la Brigata Ebraica costituita sul finire del conflitto
  Dall'Africa alla Grecia, e in tutta l'Europa si distinsero ridando vita ed aiutando le Comunità Ebraiche man mano che con gli alleati conquistavano le città da Tripoli a Roma, Firenze ed infine a guerra finita in tutto il nord Italia. Le compagnie Ebraiche si distinsero non solo per aver aiutato la rinascita delle Comunità Ebraiche distrutte ma anche per il loro aiuto in generale alla popolazione civile. A tripoli per esempio divennero famose per la ricostruzione del porto distrutto dai Nazisti in ritirata mentre a Milano la compagnia del genio Solel Bonè fu la prima compagnia alleata ad entrare in città ripristinando i servizi essenziali e liberando dalle macerie. Lungo tutta la penisola assieme agli alleati liberarono vari campi fascisti di detenzione prendendosi anche direttamente cura dei detenuti Ebrei.
  Durante l'ultimo anno di guerra Churchill ottenne dal parlamento Inglese il permesso alla costituzione di un corpo di fanteria combattente che potesse avere un comandante Ebreo, i cui soldati si potessero definire Ebrei e non Palestinesi e che potesse finalmente avere come propria bandiera la bandiera del Sionismo, ora bandiera dello stato di Israele. Nasce così la Brigata Ebraica sotto il comando di un generale Ebreo Canadese che operò in Italia in Emilia Romagna negli ultimi due mesi di guerra con un apporto decisivo nello sfondamento della linea Gotica. La neo costituita Brigata fu formata essenzialmente da nuove leve arrivate dalla Palestina, da soldati Ebrei rimasti di stanza in nord Africa e fu affiancata da Compagnie Ebraiche già presenti sul territorio Italiano. Di fatto Churchill aveva ottenuto da parte del parlamento Inglese il riconoscimento che l'Ebraico era un popolo e non solo una religione.
  Terminata la guerra i soldati inquadrati nelle Compagnie Ebraiche e nella Brigata, quando ormai era pubblica conoscenza ciò che era accaduto nei campi e forse anche alle loro stesse famiglie, diedero vita assieme all'Agenzia Ebraica ad un operazione segreta chiamata in codice " Kish Mir Tuhes" cioè in Yiddish " baciami il sedere", che si prodigò per raggiungere e raccogliere i sopravvissuti ai lager e trasportarli clandestinamente in Palestina. A Kish Mir Tuhes fu inoltre essenziale il supporto logistico segreto che singoli soldati e ufficiali Ebrei dell'esercito regolare Britannico e Americano diedero rischiando spesso la corte marziale per fare carte false e chiudendo gli occhi al passare dei convogli con il Maghen David e carichi di sopravvissuti.
  Kish Mir Tuhes si prodigò non solo organizzando il recupero e trasporto dei sopravvissuti ma anche cercando il loro reinserimento nella vita; famosa la storia della colonia estiva di Selvino ( BG ) chiamata Scesopoli dal nome del patriota Amatore Scesa, per i bambini dei gerarchi fascisti trasformata poi dai soldati in una scuola di recupero per bambini sopravvissuti.
  La storia di questi combattenti non finisce poi con la fine della guerra ma, al ritorno in Palestina la maggioranza di questi soldati dovette combattere un'altra guerra, quella di indipendenza, perché quello che Churchill aveva fatto riconoscere finalmente come popolo avesse anche una sua nazione.
  Di questa storia oggi rimane a Selvino solo l'edificio in rovina che ospitava la colonia Scesopoli ed a Milano un ricordo nel piccolo Centro Studi Ebraici Beth Shlomo dove è stato ristabilito il piccolo Beth Hamidrash creato dai sopravvissuti nel palazzo di via Unione 5, ex sede dei Fasci Combattenti Amatore Scesa e dove erano ospitati temporaneamente prima del loro viaggio clandestino verso la Palestina . Fanno anche parte dell'arredo del Beth Shlomo le sedie con la targa di inventario che riporta "Fasci Combattenti sezione Amatore Scesa Via Unione 5" e l'Haron Hakodesh con i suoi Sifrè Torah entrambi provenienti dalla piccola sinagoga del campo di detenzione di Ferramonti. Ferramonti tra i campi di detenzione fu il più grande ed il primo ad essere liberato per poi divenire una base dell'esercito alleato e la piccola Sinagoga costruita dagli internati venne poi usata dai soldati Ebrei come Sinagoga da campo.
  Pochi anni fa il Sindaco di Milano Pisapia ha voluto ricordare questa parentesi della storia Milanese insignendo il Beth Shlomo con l'onorificenza dell'Ambrogino D'Oro.

(Bet Magazine Mosaico, 23 aprile 2020)


Gaza - Ramadan con moschee chiuse, ma calca in nuovi centri commerciali

 
Alla vigilia dell'inizio del mese di digiuno islamico del Radaman, i due milioni di palestinesi di Gaza vivono in una situazione contraddittoria per via del coronavirus. Da un lato, con loro notevole disappunto, vedono che da settimane gli istituti scolastici, i campus universitari e le moschee hanno porte sbarrate. Decisione, quest'ultima, inappellabile visto che anche la Moschea al-Aqsa di Gerusalemme è tenuta deserta, per motivi sanitari. Un Ramadan, dunque, piuttosto melanconico.
   Eppure a Gaza il coronavirus, almeno per ora, non dilaga affatto. Finora si sono avuti 14 casi positivi, e di questi sei malati sono già guariti. Le attività commerciali non si sono arrestate e anzi proprio in questi giorni - in vista dei cospicui acquisti familiari del Ramadan - sono stati aperti al pubblico due sfarzosi centri commerciali: lo Hyper Mall, a Nusseirat, e il Taj Mall, a Gaza City. Anche se le autorità consigliano di restare di questi tempi il più possibile in casa, la curiosità ha prevalso ed in migliaia si sono affrettati a visitare quegli spazi eleganti, che offrono agli avventori non solo prodotti alimentari di prima scelta ma anche ampi parcheggi, Wi-Fi e aria condizionata. Per superare le incertezze di clienti forse ancora preoccupati da contagi, agli ingressi sono state predisposte postazioni con bottigliette di gel disinfettante. I dipendenti indossano mascherine protettive e i carrelli sono disinfettati in continuazione. Dal soffitto pendono intanto addobbi tradizionali del Ramadan: perché la lotta alla epidemia ha la sua importanza, ma non tale dal far dimenticare la solennità religiosa.

(Emergenza coronavirus, 24 aprile 2020)


Israele dice addio alla privacy, la paura del virus è più forte

Gli israeliani sono sottoposti a un monitoraggio un tempo riservato ai sospetti terroristi. L'app Magen traccia due milioni di cellulari.

In Israele la paura del contagio da virus supera le preoccupazioni relative alla privacy. La popolazione è sottoposta ad un monitoraggio pari a quello un tempo riservato ai sospetti terroristi. E senza proteste di sorta. A parte quelle di un ristretto gruppo di esperti di privacy e qualche organizzazione non governativa per i diritti civili. Ne parla il Fatto Quotidiano.
A metà marzo, appena è iniziata la circolazione incontrollata del virus, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha autorizzato lo Shin Bet a controllare le reti cellulari per rintracciare quanti erano stati a contatto con positivi.
    "Lo Shin Bet è stato autorizzato a raccogliere ulteriori informazioni, la posizione e i movimenti durante un periodo di quarantena di due settimane per tutte le persone che risultano positive al virus. L'agenzia della sicurezza interna è in grado di ottenere anche i nomi, i numeri di identità e i dati di tutti coloro che sono entrati in contatto con un contagiato. Inclusi l'orario e il luogo in cui si è svolto l'incontro. In questo caso si riceve un sms che ordina di entrare immediatamente in quarantena".
Dopo una settimana dall'inizio del monitoraggio, il ministero ha lanciato l'app Magen (Protezione). Avvisa gli utenti quando entrano in contatto con un positivo. E' sul cellulare di quasi 2 milioni di israeliani.
    "Dal momento in cui viene scaricata, raccoglie e memorizza informazioni su dove l'utente è stato per un periodo di 14 giorni. Per la tutela della privacy, il ministero, tuttavia, non conosce l'identità dell'utente. La app consente di sapere se sei entrato in contatto con qualcuno infetto dal coronavirus. Ma a differenza del caso del sistema Shin Bet, spetta all'utente decidere come applicare le informazioni".
Lo stato di emergenza decretato da Netanyahu autorizza anche la polizia ad ottenere dati sulla posizione dai cellulari degli israeliani in quarantena, per assicurarsi che rispettino le regole. Queste informazioni saranno poi fornite alle autorità dei luoghi in cui risiedono. Che dovrebbero usarle per controllare le restrizioni, individuare coloro che sono stati in contatto con un contagiato.
Infine, la scorsa settimana, è entrato in campo anche il Mossad.
    "La scorsa settimana, il governo ha emesso una richiesta di informazioni per start-up e ricercatori accademici per sviluppare strumenti per il Mossad per analizzare e monitorare i movimenti delle persone. Per analizzare i dati per geografia e parametri socioeconomici e per monitorare le comunità. Come le persone rispettino il distanziamento sociale, direttive e comportamenti pertinenti".
(ilnapolista, 23 aprile 2020)


"Io, agente sotto copertura in un conflitto senza fine"

Parla il protagonista della serie "Fauda" di Netflix: "Raccontiamo la realtà di israeliani e palestinesi"

di Luca Fazzo

 
Dice Lior Raz: «Beh, sì. Doron sono io. Lui è un po' più pazzo di me, è pronto a perdere tutto per raggiungere il suo obiettivo, la sua verità. Ma credo che ci siano molte somiglianze tra noi due, e quando abbiamo iniziato a scrivere era chiaro da subito che lo avrei interpretato io».
Non è una vanteria. Perché il personaggio di Doron Kabilio, il protagonista di Fauda che in questi giorni arriva alla sua terza stagione su Netflix, nasce e prende forma nei lunghi anni che Raz ha passato come agente sotto copertura delle forze speciali israeliane. Uno dei lavori più pericolosi del mondo, oltre le linee nemiche in un conflitto senza fine. E che Fauda racconta senza eufemismi, a volte brutalmente. Proprio qui, in fondo, sta forse il segreto del suo successo planetario.

- Come è nata l'idea della serie?
  «Con Avi Issacharoff nell'esercito eravamo nello stesso reparto sotto copertura. Quando siamo tornati in Israele ci siamo persi di vista, ma una decina di anni dopo un giorno ci siamo ritrovati nella West Bank e lui chiacchierando mi ha detto: Scusa Lior, tu che sogno hai?. Lì ho capito che il mio sogno era scrivere qualcosa sulle nostre azioni, sui palestinesi, insomma raccontare quello che eravamo stati e la realtà che avevamo vissuto. Non avevamo nessuna esperienza come sceneggiatori ma avevamo le nostre storie personali, la nostra esperienza di soldati, sappiamo come funzionano davvero le cose. Inoltre Avi è un giornalista specializzato in Medio Oriente, ha delle ottime fonti. Alla fine è venuta bene».

- Quanto c'è di vero e quanto di fiction?
  «Alcune storie sono inventate ma molte storie e personaggi vengono dalla realtà».

- Fauda non finge di offrire un punto di vista neutrale sul conflitto. È stata una scelta consapevole fin dall'inizio?
  «Io e Ari siamo in Israele, siamo israeliani contenti di esserlo, non siamo palestinesi, quindi scriviamo dal nostro punto di vista. Ma cerchiamo di essere giusti, di non mettere dall'altra parte del conflitto dei personaggi unidimensionali. Abbiamo provato a raccontare le loro storie, a dire che anche il peggiore dei terroristi ha dietro una famiglia per cui si preoccupa. Magari ha appena tirato un missile su Israele ma il suo desiderio è tornare a casa da sua figlia».

- Vi preoccupavano le reazioni che la serie avrebbe avuto?
  «Inizialmente no, anche perché non ci aspettavamo un simile successo. Non siamo stati a chiederci se mostrare i nostri soldati per quello che sono davvero avrebbe dato fastidio alla sinistra, o se raccontare il lato umano dei palestinesi avrebbe disturbato la destra. Poi il successo è stato tale che ha innescato un grande dibattito, alla fine a sinistra l'hanno definita una serie di destra, a destra ci considerano di sinistra... Per cui direi che va bene così».

- Il governo come l'ha presa?
  «In Israele di base si può dire quello che si vuole. Comunque devo dire che il governo ci ha dato una mano a girare, è stato prezioso».

- Come avete risolto il problema delle location? Non credo che si possa andare tranquillamente a impiantare un set in Cisgiordania.
  «Abbiamo dovuto arrangiarci fin dove potevamo. Poi è chiaro che non potevamo pensare di girare a Gaza, alla fine per avere una ambientazione realistica siamo dovuti andare fino nelle Filippine e chiedere aiuto ai militari locali».

- E gli attori arabi? Hanno accettato facilmente di interpretare ruoli così schierati?
  «Inizialmente qualche dubbio lo avevano, si chiedevano voglio fare davvero la parte del terrorista?. A quel punto ci siamo confrontati con loro, gli abbiamo spiegato il nostro punto di vista e ascoltato il loro, gli abbiamo detto che se c'è qualcosa che gli dà particolarmente fastidio siamo pronti ad ascoltare e cambiare. Abbiamo cercato di essere aperti, di rispettare le loro origini e le loro opinioni».

- Siamo alla terza stagione, ve lo aspettavate?
  «Devo dire che il successo ci ha presi abbastanza alla sprovvista, in Israele siamo la serie più vista e soprattutto stiamo facendo discutere, e spero che alla fine Fauda diventi anche un ponte tra culture diverse. Intanto in Israele sono molto incuriositi dal fatto che la serie venga guardata in tutto il mondo. Arrivare alla terza stagione quindi è stato un buon risultato. Abbiamo cercato di innovare un po', di fare qualcosa di più scuro, di più emotivamente coinvolgente. La scelta di ambientare a Gaza nasce da questo, anche se poi non siamo riusciti a girare davvero lì».

- Lei dice: Doron mi assomiglia. Ma Doron sbaglia, Doron ammazza, Doron ne fa di tutti i colori.
  «Ma questa è la vita reale! Io credo che Doron Kabilio sia un personaggio che le persone amano guardare perché è lontano dal tipico eroe. Doron non è perfetto. Magari non riesce sempre pienamente a raggiungere l'obiettivo che si è fissato ma ci prova sempre, ci prova fino in fondo. Questa è la sua forza».

(il Giornale, 23 aprile 2020)


Solo il 7% degli arabi israeliani si definisce "palestinese"

Secondo un recente sondaggio, la stragrande maggioranza dei membri delle minoranze d'Israele sottoscrive in tutto o in parte la frase "mi sento un vero israeliano".

Secondo i dati preliminari del prossimo rapporto annuale sull'Indice di Pluralismo approntato dal Jewish People Policy Institute per il 2020, nell'ultimo anno si sono verificati significativi cambiamenti nel modo in cui gli arabi israeliani definiscono se stessi.
Secondo il sondaggio condotto da Camille Fuchs dell'Università di Tel Aviv, circa un quarto (23%) dei cittadini appartenenti alle minoranze d'Israele si definiscono innanzitutto "israeliani" e poco più della metà di loro (51%) si identificano come "arabo-israeliani".
La percentuale di cittadini israeliani non ebrei che si definiscono primariamente "palestinesi" non supera attualmente il 7%, contro il 18% che si definiva tale un anno fa in questo stesso periodo. Anche il numero di arabi che si definiscono tout-court "israeliani" ha conosciuto un considerevole aumento, passando dal 5% dell'anno scorso al 23% di quest'anno....

(israele.net, 23 aprile 2020)


Israele chiede nuove sanzioni contro l'Iran per il lancio del satellite militare

Israele condanna l'Iran per il tentativo di lanciare un satellite militare ed esorta la comunità internazionale alle ulteriori sanzioni contro Teheran.

"Israele condanna fermamente il tentativo di lanciare il satellite militare iraniano da parte del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, riconosciuto come un'organizzazione terroristica negli Stati Uniti", si legge in un comunicato emesso oggi dal ministero degli Esteri israeliano.
I diplomatici israeliani hanno definito il lancio del satellite una copertura per l'ulteriore sviluppo di tecnologie missilistiche avanzate, ovvero di missili balistici intercontinentali e razzi che possono essere dotati di armi nucleari.
Israele sostiene quindi che il lancio effettuato dai Pasdaran violi la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
"Israele invita la comunità internazionale a condannare il lancio e imporre ulteriori sanzioni al regime iraniano per trattenerlo dal procedere con tali attività provocatorie e pericolose", esclama la missione diplomatica israeliana.
Stamane Teheran, secondo le dichiarazioni dei militari iraniani, ha effettuato con successo il lancio del satellite Noor, portandolo in orbita a una distanza di 425 chilometri dalla superficie terrestre mediante un razzo vettore a due stadi Qassed.
Il ministro delle telecomunicazioni iraniano Mohammad Javad Azari Jahromi ha dichiarato che la natura del programma spaziale dei Pasdaran è difensiva ed in generale è pacifica.

(Sputnik Italia, 23 aprile 2020)


Online i Tour virtuali dei musei di Israele

In attesa di tornare ad ospitare nelle loro gallerie visitatori da tutto il mondo, i principali musei di Israele hanno lanciato una serie di iniziative online dedicate agli amanti dell'arte e della storia per fruire, anche da casa, delle meraviglie custodite al loro interno.
"I nostri musei mettono a disposizione del pubblico, anche in questo momento di temporanea chiusura, il loro incredibile patrimonio artistico, storico e culturale. Invito tutti gli italiani ad approfittare di questa opportunità che consentirà loro di iniziare a viaggiare con la mente e con il cuore verso Israele, in attesa di poter tornare anche fisicamente nel nostro Paese", afferma Avital Kotzer Adari, direttrice dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo.
Fondato nel 1932, il Tel Aviv Museum of Art è il più antico museo d'arte di Israele: una vera e propria istituzione per quel che riguarda l'arte moderna e contemporanea, sia israeliana che internazionale. Sul sito ufficiale del museo e sulle sue pagine social sono disponibili non solo mostre ed eventi in streaming, ma anche veri e propri tour virtuali guidati....

(qualitytravel, 23 aprile 2020)


Vaccino, test rapidi e nuovi farmaci. Israele in prima linea contro il virus

di Viviana Kasam

In tutto il mondo c'è una corsa contro il tempo per sconfiggere il Covid-19. Tre sono le armi necessarie: un test affidabile, rapido e che consenta di analizzare i dati di ampie fasce della popolazione contemporaneamente per diagnosticare precocemente i portatori di virus; farmaci per curare gli ammalati prima che i sintomi si aggravino in modo irreversibile; e un vaccino che consenta di tornare alla normalità (o, si spera, a una normalità più consapevole e attenta a un futuro sostenibile), immunizzando preventivamente la popolazione.
   Su tutti e tre i fronti, Israele è all'avanguardia.
   Del vaccino che è in attesa del semaforo verde delle Autorità per i test di fase 3, abbiamo già parlato nei giorni scorsi. È stato messo a punto dal Migal Galilee Research Institute e nasce dall'esperienza con il coronavirus aviario, sul quale l'azienda sta lavorando da quattro anni. Si tratta di uno dei tre progetti che sembrano presentare le maggiori chances di successo, in quanto utilizzano virus già testati e possono quindi saltare la fase 1 e 2 di sperimentazione e avere un via d'accesso rapida alla fase 3. Gli altri due sono un vaccino americano, veicolato non via iniezione, ma grazie a un cerotto, che nasce dalla ricerca del 2003 per vaccino contro la SARS, poi abbandonato perché il virus scomparve da solo. È stato messo a punto presso il Medical Center dell'Università di Pittsburgh da un team di ricercatori guidati dall'italiano Andrea Gambotto. E c'è infine un interessante progetto italiano, prodotto dalla IRBM di Pomezia insieme allo Jenner Institute dell'Università di Oxford ( "Due donne per un vaccino").
   Per quello che riguarda la diagnostica, presso l'Università ebraica di Gerusalemme un team guidato dai professori Nir Friedman e Naomi Habib ha sviluppato un test molto rapido ed economico, con materiali che si trovano comunemente in ogni laboratorio diagnostico e possono quindi essere reperiti ovunque in tempi brevi e a basso costo, senza doverli importare dall'estero. "È un protocollo da quattro a dieci volte più rapido di quelli attualmente utilizzati" spiega Naomi Habib, che lavora presso l'Edmond and Lily Safra Center for Brain Science (ELSC) della Università ebraica. Si basa sull'utilizzo di nanoparticelle magnetiche (magnetic beads) che posso essere analizzate sia roboticamente che manualmente. "Per il momento queste nanoparticelle magnetiche sono l'unica componente che deve essere importata, almeno in Israele - spiega Friedman, docente presso l'Institute of Life Sciences and School of Engineering and Computer Science dell'Università ebraica - ma possono essere riciclate e usate più volte". Con questa metodologia, decine di migliaia di campioni possono essere testati simultaneamente, grazie al sequenziamento genomico. E poiché la ripresa delle attività in tutto il mondo dipende dalla possibilità di testare in modo massiccio la popolazione per individuare in modo precoce e sicuro gli infetti e i portatori di virus, l'importanza di questo test a livello sociale ed economico è facilmente intuibile. La professoressa Habib terrà un webinar organizzato dalla HUJ il 6 maggio 19 ora italiana (qui per registrarsi. La partecipazione è aperta a tutti gli interessati e gratuita).
   Altrettanto sensazionale è la notizia, apparsa sulla stampa israeliana nei giorni scorsi, di un nuovo farmaco rivoluzionario, basato sulle cellule staminali, che non cura i sintomi ma combatte il virus in sé. Un farmaco sistemico e intelligente, messo a punto da una compagnia biotech a Haifa, Pluristem Therapeutics, che, somministrato a pazienti a rischio di morte per problemi respiratori, cardiaci e renali, li ha guariti al 100%. Il campione è troppo piccolo per essere significativo, ma in attesa dei via libera delle autorità competenti per una sperimentazione ampia e internazionale, si continua la somministrazione compassionevole ai pazienti a rischio di vita che la richiedono, sia in Israele che in America. Il laboratorio utilizza cellule staminali allogeniche espanse (PLX) ricavate dalla placenta, che si ritiene possano invertire o addirittura sopprimere la iperattivazione del sistema immunitario, che è quella che provoca l'esito letale in molti malati di coronavirus. Le cellule staminali vengono programmate per secernere proteine terapeutiche una volta iniettate. Sono proteine intelligenti, che hanno una doppia attività: riducono l'infiammazione e "rilassano" il sistema immunitario che, iperattivato dalla malattia, attacca gli organi del paziente stesso, invece che rivolgersi contro il virus. "Inoltre queste proteine intelligenti rilevano e interpretano i segnali emessi dal corpo e si autoregolano nel secernere il dosaggio necessario individualmente "spiega Yaky Yanay, presidente e CEO della compagnia. La dose somministrata è quindi unica, 15 millilitri di cellule PXL, iniettata per via intramuscolare. E, aggiunge Yanay, "la nostra tecnologia ci consente di produrre quantità massicce di farmaco rapidamente: possiamo curare 20.000 pazienti attraverso le staminali ricavate da una singola placenta". Rimane solo da sperare che la sperimentazione di massa confermi le speranze accese dai primi successi e che i costi del farmaco siano sostenibili.

(moked, 22 aprile 2020)


"Coronavirus colpa degli ebrei". Fake news sui social

Deliri neonazisti e islamisti sui social, sono davvero tante le fake news antisemite, soprattutto su Tik Tok.

di Mauro Mantegazza

"Il Coronavirus è colpa degli ebrei": passano gli anni, anzi i secoli, ma il ritornello non cambia mai. Nei periodi di crisi dare la colpa agli ebrei è uno dei "classici" della storia e il Coronavirus non fa eccezione. Siamo nel XXI secolo e di conseguenza il mezzo per diffamare il popolo ebraico è Tik Tok, ma per il resto il ritornello è sempre quello, dalla Peste Nera del Trecento alla crisi economica della Germania degli anni Venti del secolo scorso.
  Accusare gli ebrei della pandemia e dei morti che sta causando in tutto il mondo è uno "sport" che unisce gruppi assai diversi fra loro, dai neonazisti ai suprematisti bianchi in Europa e America fino agli islamisti dalla Turchia al Medio Oriente; gruppi assai diversi fra loro, ma con un nemico comune: gli ebrei.
  "Dall' inizio di marzo abbiamo ricevuto allarmanti informazioni sulle accuse agli ebrei, sia come individui che come collettività, di aver causato e diffuso il virus": le parole del magnate russo Moshe Kantor, presidente del Congresso ebraico europeo, rilanciate da Il Fatto Quotidiano, denunciano il ripetersi di vecchi slogan farneticanti, elaborati da neonazisti, musulmani radicali e ultraconservatori di destra in ogni parte del mondo. Il Coronavirus ha reso ancora più virulento l'antisemitismo, ha denunciato il Centro ricerche Kantor dell' Università di Tel Aviv.

 "Coronavirus colpa degli ebrei": le accuse di neonazisti e islamisti
  Tacciati come untori già all'epoca della Peste nera, vittime di pogrom in particolare nell'Est Europa ogni volta che qualcosa andava male, naturalmente colpevoli di ogni cosa per i nazisti ma anche per molti gruppi islamisti, gli ebrei mirerebbero oggi a "indebolire l' economia del mondo e facilitarne il controllo attraverso il virus". C'è di più: i sionisti (come vengono chiamati dai loro nemici) "hanno alimentato il focolaio epidemico per poi immettere sul mercato un vaccino da commercializzare per ottenere profitti".
  Covid-19 dunque sarebbe nato in reconditi uffici del Mossad, i servizi segreti israeliani, al lavoro per creare una potente bio-arma. In Turchia le accuse agli ebrei sono esplicite: avrebbero inventato e diffuso il Coronavirus "per modellare il mondo a loro piacimento e neutralizzare il resto della popolazione", dice un ex colonnello dell' esercito, Coskun Basbug, sul canale televisivo A-Haber, di proprietà della famiglia del presidente Erdogan.
  In America, siamo sul fronte opposto: secondo il pastore di estrema destra Rick Wiles è il Signore stesso che diffonde il Coronavirus nelle sinagoghe per "punire chi si è opposto a suo figlio", dunque gli ebrei non come carnefici ma comunque come causa di questo virus che servirebbe a punirli - perché allora muoiono così tanti non ebrei, verrebbe da chiedersi…

 Tik Tok covo delle accuse agli ebrei
  Dicevamo di Tik Tok: neonazisti e islamisti, sempre più emarginati da Facebook, Twitter e Youtube, hanno trovato il loro ultimo rifugio in questo social network: da "Ammazza un negro" o "Tutti gli ebrei devono morire", si trova di tutto. Qui si scatenano membri dell'Atomwaffen, neonazisti americani già al centro di inchieste per omicidi, che inneggiano alla guerra razziale, oppure leader suprematisti quali la canadese Faith Goldy oppure Jim Dowson, inglese della destra di Britain First.
  Su altre chat e siti di estrema destra la foto della stella di Davide gialla ha una scritta nera al centro: holocough, crasi in lingua inglese di olocausto e tosse, un hashtag che spesso si accompagna a teorie sul "nuovo ordine mondiale".
  La congiura ebraica che sarebbe alla base del Coronavirus è declinata in infinite variazioni e ipotesi irreali sul web, spesso anche in contraddizione fra loro. Abbiamo già visto che c'è chi li ritiene i colpevoli, ma anche chi li ritiene il bersaglio della furia divina. Ebbene, c'è anche un'altra possibile variante: il Coronavirus in realtà non esisterebbe, è una falsa notizia messa in giro per i propri interessi - provate un po' ad indovinare da chi…

(ilsussidiario.net, 22 aprile 2020)


La startup nation e il virus

In Israele si comincia solo adesso ad allentare il lockdown e si è pure fatto il governo. Ma la vita in quarantena e la riapertura hanno un ritmo veloce, dettato dalla tecnologia.

In alcune città i trasporti pubblici sono a chiamata tramite app: così si evitano assembramenti e mezzi che circolano vuoti. La manifestazione antigovernativa a Tel Aviv è stata innovativa: tutti distanziati per rispettare le norme.
Gli ospedali israeliani si organizzano con le startup per trovare sistemi di diagnosi veloce e per aiutare i pazienti bloccati a letto. Anche Israele ha la sua app di tracciamento, e ci sono molte polemiche per il coinvolgimento dei servizi segreti.

di Rolla Scolari

 
Mahane Yehuda Market, Gerusalemme
Centosettanta dipendenti coordinati in remoto, in tutta Israele ma anche all'estero. Lavorano tramite Zoom, Slack e le diverse piattaforme che in queste settimane di isolamento forzato permettono a milioni di persone di interagire e comunicare. Yovav Meydad supervisiona le operazioni da casa, da una comunità rurale nel sud di un paese che inizia ad allentare in queste ore le restrizioni, dopo settimane di lockdown. E' il vicepresidente di Moovit. L'azienda israeliana fornisce informazioni sulla mobilità in decine di paesi attraverso una app che sfrutta i dati delle agenzie di trasporto pubblico locali e il crowdsourcing. Dal punto di vista della produttività, racconta al telefono Meydad - chiamata WhatsApp, certamente - la sua squadra è molto attiva in questi giorni, perché i cambiamenti in atto nel mondo a causa dell'emergenza coronavirus hanno indebolito la frequenza del trasporto pubblico, ma non hanno eliminato la sua necessità. Al contrario: lavoratori e dipendenti di settori chiave, dalle banche ai supermercati, devono quotidianamente raggiungere i loro posti di lavoro. E devono poterlo fare in sicurezza.
  In Israele, la startup nation, il 10 per cento della forza lavoro è impiegata nel settore dell'hi-tech, secondo i dati della stampa locale. E' inevitabile che in un momento di crisi senza precedenti governo, amministrazioni pubbliche locali, strutture sanitarie e il vasto settore tecnologico collaborino nel tentativo non soltanto di arginare i contagi e agevolare le guarigioni, ma anche di rendere più tollerabile la vita dei milioni di cittadini in isolamento, quarantena, o al lavoro nei servizi essenziali.
  In Israele i contagi sono quasi 14mila e i morti 181. Ora che i medici hanno registrato per la prima volta più guarigioni che contagi, le autorità hanno dato il via a una parziale riapertura. Accade proprio quando, dopo mesi di stallo, riprende anche la politica. Lunedì è stato siglato un accordo tra il premier Benjamin Netanyahu e il suo rivale e sfidante, l'ex generale Benny Gantz, per la formazione di un governo di unità nazionale. La premiership sarà a rotazione, con un cambio ai vertici ogni 18 mesi. Il primo a governare sarà Netanyahu, mentre Gantz siederà alla Difesa. Il processo per corruzione, frode, abuso di ufficio ai danni del primo ministro è stato posticipato a maggio a causa dell'emergenza coronavirus. Benché sotto accusa, Netanyahu manterrà comunque la poltrona. Anche per questo, gli israeliani hanno protestato domenica sera a Tel Aviv, introducendo una inedita forma di dissenso: ai tempi del virus e del distanziamento sociale, 2.800 manifestanti hanno riempito piazza Rabin, nel cuore della città, posizionandosi a due metri gli uni dagli altri, dopo essersi organizzati sui social media.
  Così come la protesta si adatta ai tempi, innumerevoli startup e aziende hitech israeliane stanno in queste settimane adattando le loro ricerche, studi, prototipi, dispositivi e app già esistenti alle nuove esigenze dettate dalla crisi sanitaria. La mobilità on demand era già un servizio garantito in alcune città da Moovit. Ad Haifa, porto sulla costa settentrionale di Israele, l'azienda di trasporti pubblici Egged aveva messo a disposizione prima della pandemia mini-van per un trasporto a richiesta, coordinato dall'azienda. Funziona un po' come il servizio di Radio Taxi in città italiane come Milano: gli utenti prenotano il giorno prima la corsa. In base ai diversi percorsi, una software traccia l'itinerario del veicolo, che non farà tappa alle fermate dei mezzi tradizionali, ma agli indirizzi segnalati. L'emergenza sanitaria ha reso questo servizio prezioso anche dal punto di vista della sicurezza. Ci racconta ancora Yovav Meydad che una delle maggiori banche del paese, i cui uffici centrali sono a Tel Aviv, fa affidamento oggi sulla mobilità on demand per i suoi dipendenti, molti dei quali nonostante il lockdown devono recarsi in filiale. Fare affidamento sul servizio di trasporto pubblico notevolmente indebolito a livello di frequenza delle corse significherebbe attendere a lungo alle fermate, dove si creerebbero assembramenti, quando le misure restrittive imposte dal governo israeliano vietano raggruppamenti oltre le dieci persone. Il servizio, in collaborazione con l'azienda di trasporti pubblici locale, che mette a disposizione parte della sua flotta, permette dunque di garantire sicurezza ai passeggeri: gli autobus non trasportano infatti più dieci persone. Gli utenti scaricano una app, così come gli autisti. Gli impiegati dell'azienda di trasporto pubblico monitorano il flusso da casa collegandosi a una dashboard attraverso il proprio browser. Il modello israeliano potrebbe nelle prossime settimane essere esteso ad altre città nel mondo, dice Meydad, convinto che dopo la pandemia, quando ci sarà un ritorno alla normalità, ci sarà una crescita di servizi di mobilità pubblica on demand: "Informazioni accurate sulla mobilità sono essenziali per pianificare la propria giornata: gli orari, i cambiamenti dell'ultimo momento, le variazioni di percorso". Nelle città il futuro è la moltiplicazione delle opzioni: on demand, car, bike, scooter sharing accanto a servizi tradizionali. "Sempre meno cittadini compreranno automobili, ma consumeranno la mobilità come un servizio. Accade già nel settore dell'entertainment con Netflix".
  I techies di tutto il mondo hanno partecipato ovunque nei mesi passati a eventi dedicati alla lotta al coronavirus. E' accaduto anche in Israele, pochi giorni prima che il governo imponesse misure restrittive sugli assembramenti. L'Arc Innovation Center, acceleratore israeliano legato allo Sheba Medical Center di Tel Aviv, ha ospitato un hackathon - un evento per programmatori, sviluppatori di software ed esperti di informatica - dal titolo Hack-Corona, il 27 febbraio. Lo Sheba Medical Center, il più grande ospedale israeliano, si trova proprio a Ramat Gan, cittadina satellite di Tel Aviv dove hanno sede molte delle aziende hi-tech del paese. I vertici dell'ospedale, quando la diffusione del coronavirus diventava una minaccia reale al di fuori dei confini della Cina, hanno contattato startup e realtà tech israeliane del settore medico per avviare sperimentazioni nel contenimento della pandemia. I medici dell'istituto hanno per esempio iniziato a collaborare con TytoCare. L'azienda ha prodotto un dispositivo per portare a termine esami medici in remoto che è stato già utilizzato dai dottori per analisi sui passeggeri israeliani a bordo della nave da crociera Diamond Princess quando era in quarantena in un porto del Giappone. Un software simile evita ai pazienti affetti da Covid-19, ma con sintomi lievi, visite agli ospedali sotto pressione. E permette a medici e infermieri di monitorare il decorso delle malattia. E' stato prodotto dalla compagnia Datos Health che oggi collabora con il ministero della Salute israeliano per far fronte alla crisi. Early Sense è invece un macchinario che posto sotto il materasso di un malato monitora e analizza il suo respiro, registrando alterazioni e potenziali segni di infezione respiratoria. Il ministero della Difesa israeliano sostiene invece, in collaborazione con ospedali e università, la ricerca di una startup che raccoglie campioni di voci di pazienti affetti da Covid-19 attraverso un'applicazione. I campioni saranno poi analizzati utilizzando un algoritmo per identificare elementi capaci di indicare le alterazioni vocali degli ammalati anche a distanza.
  I ricoveri e la quarantena non sono soltanto una questione medica. Le immagini dei dottori, in Italia e nel resto del mondo, che prestano i loro smartphone e tablet ai ricoverati in rianimazione o isolamento per parlare con le famiglie in video call hanno fatto il giro del mondo. Così, startup e aziende potenziano servizi come Uniper, che permette ai pazienti anziani di partecipare ad attività sociali attraverso un dispositivo che si collega al televisore. E' di un'altra start-up israeliana, Dynamo, un app sfruttata da famiglie con figli piccoli costretti tra le mura domestiche, lontani dai banchi di scuola. Ogni volta che un bambino prende in mano uno smartphone gli è proposta un'interazione stimolante ed educativa, adattata alla sua età. Per quanto riguarda invece il mondo del lavoro, tra le piattaforme di conferenza più utilizzate c'è l'israeliana Kaltura, sfruttata da oltre 600 università internazionali come Stanford, Yale, Harvard.
  La comunità hi-tech israeliana si è organizzata: due associazioni non-profit, Start-up Nation Centrai e HealthIL- una joint venture tra realtà ministeriali e di ricerca - hanno sviluppato un sito, coronatech.org.ìl, su cui si trovano le novità tecnologiche legate alla lotta al virus. Il portale ha come obiettivo la divulgazione dei progressi tecnico-scientifici, la digitalizzazione del sistema sanitario nazionale e offre la possibilità alle startup locali di essere conosciute e reclutate da aziende e governi. Molte realtà tecnologiche in Israele stavano già lavorando prima dell'allerta virus a prodotti che oggi si rivelano utili ad affrontare la crisi.
  Oltre un milione e mezzo di israeliani aveva già scaricato a inizio aprile una applicazione sviluppata su richiesta del ministero della Salute: permette d'inviare notifiche a chi incrocia o entra in contatto con una persona infetta. Si tratta di un metodo di sorveglianza che al momento è in studio in altri paesi, dove da settimane si dibatte sull'opportunità di monitoraggio tecnologico dei pazienti. I dubbi e le controversie sollevate dall'implementazione di simili applicazioni sono legate alla privacy e alla libertà dei cittadini. Nel caso dell'app israeliana, haMagen, lo scudo, in ebraico, i programmatori garantiscono che i dati sulla geolocalizzazione degli utenti restano sul loro smartphone e non sono utilizzati da altri. La procedura è volontaria: sono i cittadini che, quando ricevono una notifica, decidono se informare il ministero su una possibile personale esposizione al virus. Diversa e accesa è invece la discussione sui dati raccolti dallo Shin Bet, i servizi segreti interni. Il primo ministro Netanyahu ha coinvolto l'agenzia nella lotta all'epidemia, sollevando polemiche e le critiche delle organizzazioni per i diritti umani. Gli agenti dei servizi segreti per tutta la durata dello stato di allerta potranno richiedere agli operatori telefonici del paese, senza l'intervento di un giudice, i dati sulla geolocalizzazione dei cellulari di persone contagiate per identificare individui entrati in contatto con loro - entro i due metri di distanza e per oltre dieci minuti - nei 14 giorni precedenti.
  L'ultima controversia nel campo della privacy in Israele - che racconta quanto è sensibile e complicata la questione del monitoraggio tecnologico dell'epidemia - è emersa quando il ministro della Difesa Naftali Bennett ha dichiarato di voler collaborare con la compagnia tecnologica israeliana NSO Group, nota per aver sviluppato uno spyware per la sorveglianza in remoto di smartphone. L'azienda, secondo il quotidiano economico israeliano The Marker, avrebbe adattato uno dei suoi prodotti per il monitoraggio di movimenti e contatti all'emergenza coronavirus. Il ministero della Sanità reputa però la collaborazione "non necessaria", quello della Giustizia si oppone. A preoccupare sono le polemiche attorno all'azienda, come ricorda Bloornberg: c'è infatti il sospetto che proprio lo spyware da essa realizzato abbia aiutato il regno saudita a spiare il giornalista Jamal Khashoggi, poi ucciso. La compagnia nega le accuse, e prende anche le distanze dall'ipotesi sollevata nei mesi scorsi che il suo software sia servito a monitorare il telefono del fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Di certo c'è la causa intentata da WhatsApp, che ha accusato NSO Group di attacchi mirati contro 1.400 suoi utenti.

(Il Foglio, 22 aprile 2020)


Israele ha finalmente un governo, che l'emergenza mette alla prova

La crisi sanitaria e quella economica colpiscono il modello di sviluppo israeliano, come in tutto l'Occidente. Come si muoverà il nuovo Governo Gantz-Netanyahu? Starà alla Knesset decidere se dirigere il Paese verso una società sicuramente più povera ma anche più egualitaria, oppure lasciare campo libero alle spinte autoritarie. Perché il coronavirus sta mettendo a rischio anche il sistema immunitario della Prima Repubblica israeliana.

di Avi Shalom

Dopo oltre un anno di paralisi politica, e dopo tre tornate elettorali, Israele ha finalmente un governo. Il nuovo esecutivo, definito di "emergenza" nazionale, avrà tre anni di durata e sarà guidato in alternanza da Benyamin Netanyahu (Likud) e da Benny Gantz (Blu Bianco). Decisiva per l'intesa finale fra due partiti che si erano amaramente affrontati nelle elezioni del 2 marzo è stata la pandemia di coronavirus, che da metà marzo ha costretto tutti gli israeliani a chiudersi nelle loro abitazioni.
  Dopo il voto di marzo le manovre per la formazione di un nuovo governo - pur definito di "emergenza" - avevano richiesto laboriose trattative. Il 15 marzo il presidente Reuven Rivlin aveva affidato l'incarico al leader centrista Benny Gantz (Blu Bianco) che aveva il sostegno di 61 dei 120 deputati della Knesset. Ma subito era emerso che non sarebbe stato per lui possibile formare un governo che avesse l'appoggio contemporaneo sia della Lista araba unita sia del nazionalista Avigdor Lieberman, passato adesso nel fronte anti-Netanyahu. Il 26 marzo si è così avuto un drammatico colpo di scena, che ha rivoluzionato il quadro politico.
  Di fronte all'approfondirsi della crisi del coronavirus, Gantz ha accettato la formula di un governo unitario col Likud e l'alternanza alla carica di premier: prima Netanyahu, per un anno e mezzo, e poi lui stesso per altri 18 mesi. In questo modo ha lasciato di stucco un milione di elettori che in tre tornate di voto, dall'aprile 2019, avevano creduto che Gantz mai avrebbe accettato di entrare in un governo guidato da chi, come Netanyahu, era incriminato per corruzione, frode e abuso di potere. Il prezzo della sua scelta è stato immediato: Blu Bianco si è spaccato il giorno stesso in due, lasciando Gantz con appena 19 deputati e ormai alla mercé di Netanyahu.
  Le settimane successive hanno poi visto la liquefazione di quanto restava dello storico partito laburista, quando il suo leader Amir Peretz ha accettato - malgrado i solenni impegni preelettorali - di entrare in un esecutivo Netanyahu-Gantz composto da 36 ministeri. Non proprio il governo di "emergenza" che c'era da aspettarsi per la lotta serrata alla pandemia che ha allora registrato un brusco aumento dei contagi. In quei giorni è stato perfino necessario imporre una sorta di coprifuoco nella popolosa cittadina ortodossa di Bnei Brak (200 mila abitanti, alle porte di Tel Aviv) dopo che al suo interno erano stati rilevati 1000-1400 contagi. Lo stesso provvedimento sarebbe stato poi adottato in 17 rioni, in prevalenza ortodossi, a Gerusalemme. Con nove milioni di israeliani chiusi in casa, con le strade deserte presidiate da polizia ed esercito, e con oltre un milione di israeliani ormai privi di lavoro, i politici hanno proseguito imperterriti a lottare per aggiudicarsi fette di influenza nel governo di "emergenza" che stentava ancora a venire alla luce.
  Oltre che sulla distribuzione dei dicasteri, si sono accapigliati su una riforma volta ad indebolire ulteriormente il sistema giudiziario (dopo anni di sistematici attacchi della Destra) e sulla annessione di porzioni della Cisgiordania, nel contesto dei progetti mediorientali dell'amministrazione Trump. Mentre venivano a galla le gravi penurie di risorse (sia di strutture, sia di personale) accumulate negli ultimi dieci anni nel sistema sanitario - già denunciate l'anno scorso in un rapporto dell'Ombudsman - Gantz e Netanyahu hanno confermato alla carica di ministro della sanità Yaakov Litzman, esponente di una potente corrente rabbinica ortodossa. Nel frattempo, nel mondo politico proseguivano le manovre di assestamento, conclusesi infine il 20 aprile con l'accordo Netanyahu-Gantz; ed è apparso con sempre maggiore evidenza che la crisi sanitaria (al 20 aprile, 13 mila contagiati, 164 decessi, ospedali impegnati a liberare posti letto per accogliere moltitudini di contagiati che potrebbero ancora necessitare aiuti) è destinata ad essere affiancata da una grave crisi economica e sociale.
  Il problema immediato è quello del mondo del lavoro: da febbraio il tasso di disoccupazione è schizzato da un lusinghiero 4 ad un allarmante 25 per cento. Il governo ha approvato un piano di aiuti economici immediati per 80 miliardi di shekel, che ha funzionato come boccata di ossigeno. Netanyahu e il ministro delle finanze Moshe Kahlon hanno elaborato un piano per la graduale ripresa delle attività economiche (attualmente al 15 per cento del loro potenziale) per portarle gradualmente alla fine di maggio al 50-70 per cento. La priorità sarà data all'hi-tech, all'industria, al commercio, alle istituzioni finanziarie, all'agricoltura e alla edilizia. Ma a quanto pare ancora nel 2021 in Israele ci saranno 400 mila disoccupati: in particolare quanti lavoravano nel settore turistico, nella alimentazione, nello spettacolo, nello sport. In prospettiva, occorrerà sostenere a lungo le fasce sociali medio-basse, specialmente nelle cittadine periferiche e nei rioni popolari. Anche i fondi pensione - gestiti da compagnie di assicurazione e da fondi di investimento - rischiano di essere molto ridimensionati.
  Per impedire che la crisi - sanitaria prima ed economica poi - si trasformi infine in una profonda recessione sociale sarà necessario che la élite di Israele innalzi la bandiera della solidarietà. Non solo nella gratuita retorica televisiva (Netanyahu si riferisce spesso alla lotta al coronavirus come una battaglia "fatale" in cui tutti gli israeliani devono mobilitarsi) ma anche nella determinazione a colpire, quando necessario, gli interessi dei monopoli e dei gruppi organizzati di pressione a beneficio della collettività. Si tratta in sostanza - secondo un analista del giornale economico Marker - di utilizzare l'irruzione del virus per una vigorosa ridistribuzione del benessere nazionale, una sorta di "New Deal" alla Roosevelt per la riduzione del divario fra le ristrette élite economiche-finanziarie e i settori più colpiti. Ad esempio, un milione di ebrei ortodossi e un milione e mezzo di arabi. Per uscire da quella che Netanyahu definisce già come "la crisi più grave attraversata dal nostro Paese dalla sua fondazione" occorre insomma recuperare la omogeneità sociale del primo Israele, andata gradualmente perduta negli ultimi decenni.
  Ora sta al nuovo Governo stabilire se dirigere il Paese verso una società sicuramente più povera ma anche più egualitaria, oppure procedere verso un modello autoritario, caratterizzato cioè da un esecutivo sempre più insofferente dell'opposizione parlamentare, del potere giudiziario e dei media indipendenti. In sintesi, uno degli effetti collaterali del coronavirus potrebbe essere l'aver messo alla prova il sistema immunitario della Prima Repubblica israeliana. Ma speriamo che non tutto il male venga per nuocere. Come nel caso di Sansone che trovò miele nelle fauci di un leone, Me-'az Yaza' matok: dal forte ne uscì il dolce.

(Bet Magazine Mosaico, 22 aprile 2020)


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La volpe e l'apprendista

di Niram Ferretti

 
Sostanzialmente una diarchia. E' questo il nuovo governo dalle larghe intese che si appresta a essere ratificato dalla Knesset in un Israele sotto emergenza coronavirus.
   Alla fine dei negoziati tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz si è giunti ad evitare la quarta tornata elettorale mettendo in piedi un esecutivo in cui il Primo ministro in carica e il suo rivale elettorale si bilanceranno reciprocamente nella gestione del potere, creando di fatto il primo governo diarchico nella storia del paese.
   Il nuovo governo verrà scandito in due fasi temporali. Il periodo dell'emergenza, che dovrebbe durare sei mesi e quello dell'unità, a seguire.
   Netanyahu e Gantz saranno i reggenti delle rispettive coalizioni sulle quali avranno pieno potere. Ogni decisione relativa a deleghe o eventuali cambiamenti di dicastero non saranno più la prerogativa del Primo ministro, ma dovranno essere decise dai reggenti della coalizione. Quei ministeri che saranno gestiti dal Likud saranno suo dominio e lo stesso avverrà per i ministeri in quota Bianco e Blu. Il gabinetto di sicurezza che ha il potere di dichiarare una guerra, sarà anch'esso suddiviso tra le due coalizioni con un numero pari di membri di una e dell'altra.
   Benny Gantz può mostrare ai suoi elettori di avere conquistato un ministero chiave come quello della giustizia, più il ministero delle comunicazioni e quello della cultura. A lui andrà, nell'immediato il Ministero della Difesa.
   Da parte sua Benjamin Netanyahu ha ottenuto quattro importanti obbiettivi. Il primo riguarda il Comitato preposto per scegliere i giudici che siederanno nell'Alta Corte di Giustizia, dove, la nomina di Zvi Hauser della coalizione Bianco Blu, un conservatore già membro del gabinetto Netanyahu, gli garantisce di avere un potenziale alleato in campo avverso. Il secondo, il diritto di lasciare il ruolo di Primo ministro anticipatamente e dopo che Gantz ha effettuato i suoi 18 mesi di premierato, di completare la porzione di premierato che gli compete. Questo, sulla carta, gli permetterebbe di essere il Primo ministro in carica alla prossima tornata elettorale. Il terzo, di ottenere le dimissioni di Gantz insieme alle sue nel caso in cui i giudici dell'Alta Corte stabiliscano che non possa ricoprire il ruolo di Primo ministro essendo anche imputato. Il quarto di fare votare la Knesset il 1 di luglio per potere estendere la sovranità di Israele su una parte degli insediamenti della Cisgiordania.
   Si tratta di un governo di trincea, con due coalizioni frontalmente avverse asserragliate nei rispettivi feudi, che nasce, per Netanyahu come polizza assicurativa e per Gantz come occasione di potersi accreditare come statista. Entrambi cercheranno di capitalizzare al massimo le loro posizioni all'insegna della reciproca disistima occultata dalla foglia di fico della realpolitik.
   Non sarà una convivenza facile.

(Affaritaliani.it, 21 aprile 2020)


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Un pletorico governo a rotazione è tutt'altro che l'ideale, ma è necessario

In questo momento Israele ha assoluto bisogno di un governo che goda di un'ampia legittimazione per adottare le drammatiche misure che si renderanno necessarie per uscire dalla crisi

Dopo quattrocentottanta giorni, tre campagne elettorali estremamente tese e costate milioni, Israele ha finalmente un governo.
Con un numero record, quando sarà a pieno regime, di 36 ministri e 16 vice ministri, di sinistra e di destra, con due primi ministri a rotazione tra cui uno che dividerà il suo tempo tra governo e tribunale e un altro che non ha ancora nessuna esperienza ministeriale, questo governo non è certo l'ideale agli occhi di nessuno. Ma, come cantavano i Rolling Stones, "non puoi avere sempre ciò che vuoi, ma se ci provi a volte trovi e ottieni ciò di cui hai bisogno". E in questo momento un governo d'emergenza, foss'anche un governo d'emergenza gravemente pletorico, è sicuramente ciò di cui il paese ha bisogno, nel mezzo della crisi da coronavirus e di fronte a una probabile catastrofe economica di proporzioni epiche....

(israele.net, 22 aprile 2020)


Svastiche al cimitero. "Gesto vergognoso prima del 25 aprile"

 
Le svastiche disegnate sui muri esterni del cimitero di Beinasco
BEINASCO - Raid neonazista al cimitero di Beinasco, la notte scorsa. Quattro svastiche sono state disegnate a intervalli regolari (una anche al contrario), lungo il muro esterno che circonda il camposanto. Ad accorgersi dello sfregio sono stati alcuni cittadini, che lo hanno segnalato alla polizia locale e al Comune. Non è stato un gesto isolato, visto che il simbolo dell'olocausto è stato ripetuto più volte lungo l'intera muratura. Dopo gli accertamenti del caso, la municipale e i carabinieri hanno avviato le indagini del caso.
   Quella è una zona coperta da telecamere di videosorveglianza. La speranza è che dalla visione dei filmati si possa risalire agli autori del fatto. Per il momento, le prime ipotesi parlano di un gruppo di ragazzini. A pochi giorni dalla ricorrenza del 25 aprile, quanto accaduto assume però un contorno maggiormente delicato: «Un gesto vergognoso e da condannare senza se e senza ma - commenta il sindaco, Antonella Gualchi -, non è possibile, a pochi giorni dall'anniversario della liberazione italiana dal fascismo e nazismo, un insulto simile al sacrificio di quelle vite umane che hanno lottato per la democrazia e la libertà. Stiamo cercando i responsabili di questo vile gesto con la polizia municipale, attraverso il nostro sistema di videosorveglianza» .
   Le reazioni sono state diverse e immediate al diffondersi della notizia, anche perché all'interno del cimitero c'è il monumento ai caduti: «Un gesto che nella nostra comunità non può trovare spazio - recita la nota di Sinistra Popolare -, un atto offensivo verso tutti e irrispettoso soprattutto perché compiuto in un luogo caro per la memoria dei nostri cari: il cimitero».
   Nel pomeriggio di ieri poi, Daniel Cannati e Daniele Bettolo, della lista civica di centrodestra che fa capo a Cannati sono andati al cimitero a ripulire il muro.
   Quest'anno, per cause di forza maggiore legate all'emergenza sanitaria, le manifestazioni in ricordo di chi è caduto per la liberazione d'Italia non potranno avere pubblico al seguito. L'Anpi ha proposto di cantare «Bella Ciao» alle ore 15, dai balconi delle case.

(La Stampa - Torino, 22 aprile 2020)


Benjamin e Scholem, tensioni a confronto

È in libreria "Archivio e camera oscura. Carteggio 1932-1940, Walter Benjamin e Gershom Scholem" a cura di Saverio Campanini per i tipi di Adelphi.

di David Bidussa

Il carteggio tra Benjamin e Scholem tra 1933 e 1940 (l'unica parte che ci sia rimasta completa del loro carteggio perché tutte le lettere di Scholem a Benjamin precedenti il 1933 sono andate distrutte o disperse, mentre si trovano a Gerusalemme, nell'archivio di Scholem, quelle di Benjamin a Scholem), è soprattutto un confronto in cui traspare la tensione che ciascuno dei due corrispondenti nutre a fronte di una condizione personale e generale intrisa di incertezza.
   Nel 1933 Scholem è trapiantato in Palestina da un decennio, mentre Benjamin, negli stessi anni, è attraversato da una passione costante per i temi che stanno al centro della ricerca di Scholem, anche se non condivide la scelta ideologica ovvero l'opzione sionista che ha condotto Scholem nel 1923 a rompere con il suo mondo e ad abbandonare la Germania.
   "Se il carattere di un uomo, ossia il suo modo di reagire, fosse conosciuto in tutti i suoi dettagli, e se anche gli avvenimenti universali fossero conosciuti almeno nei loro punti di contatto con quel carattere si potrebbe dire con esattezza che cosa accadrà a quel carattere e quali saranno le sue azioni. In altre parole, sarebbe conosciuto il suo destino".
   Sono le parole di esordio con cui Walter Benjamin apre Destino e carattere, che scrive nel 1919 (lo pubblicherà nel 1921). Carattere interpretato come autonomia della volontà, e destino, interpretato come idea di colpa, di vendetta che esercitano una egemonia sulla possibilità di scelta di ciascuno.
   Un binomio che è anche la cifra che complessivamente attraversa tutto il carteggio tra Benjamin e Scholem nel corso degli anni 30 fino alla scena tragica della morte nella notte tra il 26 e il 27 settembre 1940 sul confine franco-spagnolo, quando sentendosi un uomo braccato che nessuno era disposto ad accogliere, Walter Benjamin decide di porre fine alla sua vita.
   Il carteggio tra Walter Benjamin e Gershom Scholem, suggerisce il curatore Saverio Campanini, oltre che questo è indubbiamente una pista che illumina alcuni momenti della riflessione e dei percorsi di scrittura di entrambi.
   Tuttavia, quelle lettere illuminano e raccontano altri due aspetti.
   Da una parte esse sono infatti anche un registro delle loro reciproche tensioni e incomprensioni, in un gioco a specchio dove spesso nessuno si mostra per davvero completamente o si disvela. Un percorso che, tra i molti non detti, fa emergere reciproci timori, continue allusioni, cose dette a metà. Talvolta anche bugie. Una condizione dove l'amicizia non abbassa la diffidenza reciproca, anzi in certi momenti la rafforza.
   Dall'altra quelle lettere sono anche la testimonianza di uno stato d'animo, del vissuto di una generazione messa di fronte alla trasformazione radicale della propria quotidianità, talvolta con la convinzione di essere sulle soglie della fine.
   Una sensazione che torna soprattutto nelle lettere dell'ultimo periodo, quello che si apre con l'avvio della crisi europea a ridosso dell'Anschluss tra Germania e Austria (12 marzo 1938) e che in Palestina significa anche il crollo dell'ipotesi del piano di spartizione Peel tra un possibile governo arabo-palestinese e la definizione di una possibile autonomia ebraica. Un processo che pochissimi vogliono (non solo in gran parte i palestinesi, ma, per esempio, anche il Vaticano preoccupato che i Luoghi Santi possano finire sotto il controllo degli ebrei).
   In quella parte del loro scambio, tra 1938 e 1940, è soprattutto Scholem a descrivere la condizione di una progressiva catastrofe che tra 1938 e 1940 si colora di toni cupi (più da parte di Scholem che non di Benjamin). Vale per tutti la lettera del 30 giugno 1939 dove Scholem descrive, sono parole sue, "la degradazione della Palestina a teatro di una guerra civile" [p.356].
   Ammissione cupa da parte di Scholem che per anni aveva pensato alla possibilità di un processo di pacificazione tra arabi ed ebrei. Il suicidio di Benjamin chiuderà il dialogo parlato, non quello interiore. A Scholem rimane il senso di dover tentare di dare una cornice pacificata a un confronto che la morte improvvisa di Benjamin aveva interrotto.
   Osserva Campanini che questo sarà uno dei temi irrisolti della lunga riflessione solitaria con cui Scholem per il resto della sua vita ha continuato a parlar non solo di, ma soprattutto con Benjamin.

(Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2020)


Come l'Esodo ha influenzato la cultura occidentale

di Emanuele Calò

Negli scorsi giorni gli ebrei hanno commemorato Pesach, la Pasqua, narrata nell'Esodo. Una storia di libertà, che il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rubando il mestiere del compianto Mike Bongiorno, trasforma in una simpatica gaffe storica: "Pasqua significa, lo sanno bene i Cristiani, passaggio. È il passaggio e anche il riscatto dalla schiavitù all'Egitto". Di questa gaffe, non scevra di simpatici accenti, sono state fornite diverse interpretazioni, ma nessuna in chiave psicoanalitica, forse perché un'eccessiva insistenza sarebbe parsa, per essere precisi, alquanto malevola.
   Senza l'Esodo, Alfred Hitchcock avrebbe avuto difficoltà ad occuparsi dei suoi temi centrali, l'innocente perseguitato, la fuga e l'inseguimento. Certamente, permangono delle ambiguità, non tanto per screditare il personaggio centrale quanto per rendere più agile la narrazione; come osservava François Truffaut a Hitchcock, "while your hero is generally innocent of the crime for which is under suspicion, he is generally guilty of intentions before the fact".
   Un altro topos onnipresente nella letteratura, popolare e non, è quello del personaggio che nell'evoluzione della trama poi si rivela essere l'opposto rispetto alle premesse: Mosè che appariva come un principe egiziano poi s'invera nelle sue reali vesti di schiavo ebreo, Gesù, che appare come un umile ebreo, si invera diversamente.
   In Esodo 14:11, laddove si legge: "Poi dissero a Mosè: "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto? Che hai fatto, portandoci fuori dall'Egitto?", è difficile non richiamare l'ebreo tedesco Erich Fromm (Fuga dalla libertà) e forse pure l'ebreo americano Woody Allen, per via del lugubre motto di spirito.
   Soltanto Sigmund Freud fece un tentativo per rovesciare la prospettiva ne L'uomo Mosè e la religione monoteistica, promuovendo Mosè da schiavo ebreo a dignitario egiziano. Come si è giustamente rilevato (Giovanni Cucci, Freud e Mosè, La Civiltà Cattolica, II, 2009, 235:245) negare a Mosè l'identità ebraica comporta la coeva negazione della specialità del popolo ebraico, scelto da D-o. Freud non poteva ignorare le vicende esistenziali di Hans Kelsen, Karl Popper e Gustav Mahler (il quale si rivolse a Freud, perché considerò le corna inflittegli dalla consorte Alma come una patologia) tutti austriaci come lui, la cui "liberazione" dall'ebraismo, a monte oppure a valle, costituì la chiave per accedere all'area dell'eguaglianza di diritti in cui dimostrare che non erano proprio eguali, perché al loro livello di talento nessuno sarebbe riuscito ad approdare.
   Freud fu lieto dell'adesione alla psicoanalisi di Carl Gustav Jung perché costui era protestante, cotanta letizia discendeva dalla sua percezione dell'ebraismo come un fardello in una società antisemita, della quale il famigerato sindaco di Vienna, Karl Lueger, più volte lodato da Adolf Hitler nel Mein Kampf, fu un degno rappresentante. Quando Freud tenta di dimostrare che Mosè non era ebreo, parla più di sé che del liberatore del popolo ebraico; dimostrando che il popolo cui apparteneva era un popolo come gli altri, anche lui rientrava nella norma e se Mosè non era ebreo, anche lui avrebbe potuto non esserlo.
   L'Esodo è, da ultimo, oggetto di letture distorte, dove l'attenzione verso il punto di partenza (l'Egitto, la schiavitù) conduce talvolta alla rimozione del punto d'arrivo, Eretz Israel, per via di un'interpretazione dove l'unico assente ingiustificato è il dato letterale. Non è un caso che discorrendo dell'Esodo, se ne rimuova la destinazione, perché se si rivelasse l'ovvio (si andava in Israele, si andava verso la Terra Promessa) non si potrebbe continuare ad indossare i discutibili panni dell'antisionista della domenica.
   Il marcionismo, forse trattato con eccessiva severità, continua ad insinuarsi sotto mentite spoglie, segnatamente, nella politeistica contrapposizione fra una divinità severa ed un'altra clemente e, soprattutto, nella visione pressoché inconscia di un Vecchio Testamento redento da quello Nuovo. Tuttavia, perfino nella corrente e maggioritaria visione degli ebrei quali "fratelli maggiori", quel viaggio verso la Terra Promessa precederebbe tutti i viaggi, se non fosse stato per Genesi 12:1: "Il Signore disse ad Abram: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il Paese che Io ti indicherò", dove però la meta è sempre la medesima: Israele.
   Forse per quello la Presidenza del Consiglio, che pure si batte da par suo contro l'antisemitismo e nel cui sito si trovano alcune importanti risoluzioni, potrebbe considerare che nella madre di tutte le definizioni di antisemitismo, che è quella dell'Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) accolta dappertutto, la parola "Israele" e/o "israeliani" compare undici volte. Sarà un caso?

(moked, 21 aprile 2020)


Netanyahu-Gantz. Trovato l'accordo per il governo di unità nazionale

di Giordano Stabile

 
La crisi politica più lunga della storia di Israele si è conclusa con un accordo, oramai insperato, fra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz. I due rivali si sono sfidati per tre volte alle urne nel giro di un anno. Nessuno è riuscito a vincere e alla fine l'unica soluzione era un governo di unità nazionale, anzi di «emergenza», che affronti la minaccia del coronavirus e la crisi economica. Il sì è arrivato nel pomeriggio di ieri, dopo un'altra notte di negoziati fra gli staff del Likud e del partito rivale, Kahol Lavan. Lo Stato ebraico, e il presidente Reuven Rivlin, tirano un sospiro di sollievo. Senza intesa si andava dritti alle quarte elezioni anticipate, il 4 agosto. I tre si sono poi ritrovati allo Yad Vashem, per ricordare l'Olocausto.
   L'accordo ricalca la bozza circolata nelle scorse settimane. Netanyahu sarà ancora premier per la prima parte della legislatura, 18 mesi, poi toccherà a Gantz. Il generale ricoprirà nel frattempo la carica di ministro della Difesa. Un altro esponente di Kahol Lavan, Gabi Ashkenazi, sarà invece ministro degli Esteri, mentre Avi Nissenkorn andrà alla Giustizia. La rinuncia del Likud a questo ministero è stata decisiva per raggiungere l'intesa. Netanyahu ha però incassato la possibilità per il primo ministro in carica, cioè lui, di porre il veto alla nomine del Procuratore generale e del Procuratore di Stato. Una forma limitata di «salvacondotto» giudiziario, mentre dal 24 maggio dovrà affrontare il processo per corruzione.
    Un compromesso che Gantz ha dovuto ingoiare ma che non sta bene a una parte di Israele. In duemila sono scesi domenica sera in piazza Rabin, a Tel Aviv, per protestare. Una manifestazione nel segno dei tempi del coronavirus, tutti ad almeno due metri di distanza dal vicino. Allo stesso modo, al tavolo nella residenza del premier, Gantz e Netanyahu hanno firmato i fogli dell'intesa, ben distanziati fra loro. Sarà un governo con ben 32 ministri. Il Likud, avrà le Finanze, con Yisrael Katz. Il leader dei laburisti Amri Peretz, alleato di Gantz, andrà all'Economia. Un altro esponente del Likud, Yariv Levin, sarà invece eletto presidente della Knesset, al posto dello stesso Gantz. Proprio l'elezione del generale alla guida del Parlamento con i volti del Likud, due settimane fa, aveva sbloccato le trattative, a prezzo però della frantumazione del suo partito, Kahol Lavan. Il leader dell'ala centrista, Yair Lapid, ha sbattuto la porta ed è andato all'opposizione. A Gantz sono rimasti meno della metà dei deputati, 15 sui 33 conquistati. Sufficienti pero, assieme ai 36 del Likud, ai 3 dei laburisti e a quelli dei partiti religiosi, a parte forse Yamina, per formare una maggioranza confortevole. Adesso la priorità è rilanciare l'economia, colpita dalle chiusure imposte dal coronavirus, con la disoccupazione schizzata al 28 per cento.

(La Stampa, 21 aprile 2020)


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Netanyahu e Gantz trovano l'intesa per il governo

La piazza protesta (con le mascherine)

di Davide Frattini

Poltrona di premier a rotazione (comincia il leader della destra in attesa di processo), l'ex generale diventa ministro della Difesa. Il governo alleggerisce la quarantena, polemiche per le concessioni agli ultraortodossi, tra i più colpiti dal virus
   La piazza scelta per la manifestazione avrebbe dovuto essere più piccola. La polizia ha imposto che i dimostranti rispettassero la distanza di 2 metri, così in 2 mila sono riusciti a riempire quella Kikar Rabin da sempre centro delle rimostranze collettive.
   Domenica sera gli slogan a Tel Aviv sono stati urlati attraverso le mascherine, le bandiere nere sventolate per avvertire che la democrazia sarebbe in pericolo. I partecipanti e i politici dal palco denunciavano l'intesa tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, l'ex capo di Stato Maggiore sceso in campo per mandare a casa il primo ministro e diventato suo giubbotto di salvataggio politico.
   Dopo settimane di trattative si sono messi d'accordo nel pomeriggio: governo di unità nazionale, poltrona di premier a rotazione. Il primo turno tocca a Netanyahu, che è in attesa del processo per corruzione, in questi 18 mesi Gantz sarà ministro della Difesa e Gaby Ashkenazi, suo alleato e pure lui ex capo di Stato Maggiore, diventerà ministro degli Esteri. Della coalizione fa parte anche il laburista Amir Peretz che si occuperà dell'Economia.
   La strategia di Gantz dopo le elezioni del 2 marzo è stata una sorpresa. Per gli israeliani che lo hanno votato in questo anno ininterrotto di campagna elettorale e per i suoi (ormai ex) alleati nella coalizione Blu e Bianco. Sono stati loro — Yaar Lapid e Moshee Yaalon — ad accusarlo di tradimento, tra i fischi della folla in piazza Rabin e a criticare la gestione dell'emergenza Coronavirus. L'ex generale aveva giustificato la giravolta con la necessità di formare un governo di unità nazionale a tempo per combattere la crisi sanitaria.
   Del nuovo esecutivo fanno parte anche i partiti religiosi, che già sostengono Netanyahu. E la loro influenza si è fatta sentire quando il consiglio dei ministri ha votato una alleggerimento della quarantena nazionale: il 30 per cento degli occupati può tornare al lavoro (percentuale ancora più alta nelle aziende tecnologiche), riapertura di alcuni negozi (oltre a quelli di alimentari, ottici o venditori di elettrodomestici), attività sportive fino a 500 metri da casa, i bambini di tre famiglie diverse possono essere seguiti da una sola persona.
   Le misure criticate dagli esperti di sanità pubblica sono quelle che permettono le preghiere all'aperto con un massimo di 19 partecipanti che indossino la mascherina, consentire i matrimoni e le cerimonie per la circoncisione fino a 10 invitati. La decisione più controversa è la riapertura dei bagni rituali (tre uomini alla volta) considerati uno degli ambienti dove il virus si è diffuso di più tra gli haredim.

(Corriere della Sera, 21 aprile 2020)


Coronavirus: Israele celebra virtualmente il giorno della memoria Shoah

Come tutti gli anni una sirena ha suonato per due minuti in tutto ISRAELE alle 10 ora locale per ricordare le vittime della Shoah. Ma in tempi di coronavirus le cerimonie del giorno della Memoria si svolgono in maniera virtuale e la maggioranza della popolazione ha osservato un minuto di raccoglimento in casa, invece di fermarsi in mezzo alla strada a capo chino come si è sempre fatto. L'evento centrale dell'omaggio alle vittime, che normalmente riunisce migliaia di persone e i vertici dello stato al memoriale Yad Vashem a Gerusalemme, è stato registrato senza pubblico. Invece della cerimonia della lettura dei nomi, lo Yad Vashem ha esortato il pubblico a inviare video sulla sua piattaforma. Alla Knesset, lo speaker Benny Gantz, che ha appena firmato un accordo per un governo con il premier Benyamin Netanyahu, è intervenuto con un discorso, ma la cerimonia di lettura dei nomi delle vittime è stata pre-registrata senza pubblico. In Polonia è stata cancellata la marcia dei vivi, che riuniva ogni anno migliaia di giovani da tutta Europa nel lager di Auschwitz Birkenau. Intanto l'epidemia mette particolarmente a rischio gli anziani 180mila sopravvissuti al genocidio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti. La prima vittima israeliana del coronavirus era un uomo sopravvissuto ai campi di sterminio, così come lo erano diversi altri dei 182 morti di covid-19 finora registrati nel paese.

(Adnkronos, 21 aprile 2020)


Antisemitismo in forte aumento

La pandemia risveglia le più viete calunnie dell'odio anti-ebraico. Già il 2019 aveva visto un'impennata del 18% nelle manifestazioni fisiche di antisemitismo.

Un team di ricercatori israeliani ha riferito lunedì che l'epidemia globale di coronavirus sta provocando un aumento delle espressioni antisemite che incolpano gli ebrei per la diffusione della malattia e per la recessione economica che essa sta causando.
I risultati, inclusi nel rapporto annuale sull'antisemitismo approntato da ricercatori dell'Università di Tel Aviv, mostrano che già l'anno scorso si era avuta un'impennata del 18% rispetto all'anno precedente nel numero di manifestazioni fisiche di antisemitismo contro persone e proprietà ebraiche in varie parti del mondo. In totale, nel 2019 ci sono stati 456 incidenti di questo tipo. Non solo minacce violente, ma anche 169 aggressioni fisiche contro ebrei, 129 attacchi contro proprietà personali, 77 attacchi contro cimiteri e siti commemorativi, 53 attacchi contro sinagoghe e 28 contro centri e scuole delle comunità ebraiche. Nel 2019, sette ebrei sono stati uccisi in incidenti antisemiti mentre gli attacchi fisici contro persone ebree vedevano un aumento del 22%. Non solo è aumentata la quantità in generale degli incidenti, ma è aumentata in particolare la quantità delle loro forme più gravi....

(israele.net, 21 aprile 2020)


Basket - L'assogiocatori israeliana contro il Maccabi Tel Aviv

Chiesto l'intervento di Bertomeu

di Alessandro Maggi

Nir Alon, presidente dell'associazione giocatori in Israele, ha inviato una lettera al CEO di EuroLeague Jordi Bertomeu dopo la decisione del Maccabi Tel Aviv di congelare gli stipendi dei giocatori in attesa di un accordo tra la stessa lega europea e l'associazione dei giocatori, ELPA.
Secondo Nir Alon la mossa del Maccabi è stata arbitraria, e assolutamente non conforme a quanto fatto dagli altri club europei (come ad esempio Olimpia Milano, ndr), che non hanno congelato gli stipendi (come invece sostenuto dal Maccabi Tel Aviv a sostegno della sua decisione, ndr) ma hanno trovato accordi con i singoli giocatori.
L'associazione giocatori israeliana ha chiesto dunque l'intervento di Bertomeu, in modo da spingere il Maccabi Tel Aviv a conformarsi agli altri club, bloccando il congelamento degli stipendi e avviando negoziati con i tesserati.

(Sportando, 21 aprile 2020)


Se contro il virus si mobilita il Mossad (e non solo)

La nota agenzia di intelligence israeliana, sin dalle prime avvisaglie di emergenza si è immediatamente attivata per condurre delle operazioni finalizzate al conseguimento di due obiettivi principali: l'acquisizione di attrezzature mediche e la raccolta di informazioni utili per lo studio del virus. L'analisi di Antonio Teti, esperto di Intelligence e responsabile del settore Sistemi Informativi e Innovazione Tecnologica dell'Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara

di Antonio Teti

Anche se a molti potrebbe sembrare strano il fatto che un'agenzia di intelligence si attivi energicamente per supportare l'emergenza sanitaria volta al contrasto della pandemia, per alcuni Paesi ciò può rappresentare l'assoluta normalità. È il caso di Israele e di uno dei più efficienti servizi segreti al mondo: il Mossad.
   Non va pertanto registrata come un'anomalia che la nota agenzia di intelligence israeliana, sin dalle prime avvisaglie di emergenza per la possibile diffusione del contagio, si sia immediatamente attivata per condurre delle operazioni finalizzate al conseguimento di due obiettivi principali: l'acquisizione di attrezzature mediche e la raccolta di informazioni utili per lo studio del virus.
   Dopo la registrazione del primo caso di Covid-19, datato 21 febbraio scorso, il governo di Tel Aviv aveva imposto la quarantena ad un gruppo di turisti di ritorno da una crociera internazionale sulla nave Diamond Princess. Il 15 marzo ha ordinato il distanziamento sociale in tutto il Paese, mobilitando ufficialmente lo Shin Bet (l'agenzia di intelligence per gli affari interni) per la raccolta di dati dai telefoni cellulari privati onde facilitare il tracciamento delle relazioni sociali tra i contagiati.
   Pur avendo tale decisione sollevato non poche polemiche nel Paese, il governo ha concesso l'autorizzazione allo Shin Bet di condurre la raccolta dati fino al 30 aprile per "aiutare negli sforzi per arrestare la diffusione del coronavirus per un mese".
   Agli inizi di aprile il ministro della Salute israeliano Yaakov Litzman, risulta positivo al Covid-19 insieme alla moglie Chava, e gli alti funzionari che collaborano con lui vengono messi in quarantena, inclusa una persona che non afferisce di certo al ministero ma che aveva avuto assidue frequentazioni con il ministro: è il direttore del Mossad, Yossi Choen.
   La notizia degli incontri di Cohen con il ministro della Salute desta non poche perplessità in virtù dell'apparente distanza di interessi che può intercorrere tra un'agenzia di intelligence che si occupa essenzialmente di operazioni segrete all'estero ed il servizio sanitario nazionale. Probabilmente agli agenti del Mossad non sarà sfuggita una massima dello storico statunitense Daniel J. Boorstin, ovvero che "il più grande nemico della conoscenza non è l'ignoranza, è l'illusione della conoscenza", e forse è anche per questo motivo che la potente agenzia diretta da Cohen è stata profondamente coinvolta nella lotta contro il Covid-19, assumendo un ruolo di rilievo soprattutto nell'acquisizione di attrezzature mediche e di tecnologie sanitarie prodotte all'estero. All'inizio di febbraio i vertici dello Sheba Medical Center, il più grande ospedale di Israele, si resero conto della impellente necessità di disporre di un numero maggiore di ventilatori polmonari e di specifiche attrezzature sanitarie per contrastare il coronavirus.
   Pochi giorni dopo, il Prof. Yitshak Kreiss, direttore generale dell'ospedale nonché ex generale di brigata ed ex chirurgo dell'esercito israeliano, ottiene un incontro privato con Yossi Cohen. In ossequio al tradizionale pragmatismo israelitico, Kreiss fornisce un dettagliato elenco delle attrezzature di cui necessita e Cohen, che aveva già ricevuto un elenco analogo di materiale sanitario richiesto dal ministero della Salute, decide di attivare rapidamente la sua fitta rete di rapporti internazionali onde procurarsi le attrezzature e i prodotti richiesti.
   All'inizio di marzo è sempre Cohen ad istituire un Command and Control Center (C2), con base a Sheba, strutturato per l'emergenza nazionale che comprende principalmente l'acquisizione e la distribuzione sul tutto il territorio nazionale di attrezzature mediche. Ne fanno parte principalmente funzionari del Mossad, della divisione acquisti del Ministero della Difesa e personale militare del Military Intelligence Directorate's 81st Technological Unit (Unit 81), una unità di intelligence militare, altamente specializzata e da sempre avvolta da un impenetrabile alone di mistero. È noto solo che la Unit 81 è deputata allo sviluppo di attrezzature avanzate di spionaggio.
   A capo del team del ministero della Difesa c'è il Generale di Brigata Dani Gold, capo della Direzione Ricerca e Sviluppo della Difesa, meglio noto con il nome Mafat. Il team della Difesa concentra i suoi sforzi su una serie di "key areas": diagnosi rapida e precoce dei portatori di virus, prevenzione sulla trasmissione e infezione da virus, monitoraggio medico e prevenzione delle infezioni all'interno degli ospedali e produzione di dispositivi di protezione per il personale medico.
   Inoltre il team sta sperimentando alcune tecnologie avanzate, da applicare sia in campo civile che militare, per sviluppare le capacità nel mondo del big data, intelligenza artificiale, sistemi di comando e controllo e sensori e tecnologia mobile. Essendo il C2 una struttura "interistituzionale e multidisciplinare", ha visto confluire al suo interno anche dei funzionari del ministero della sanità, del ministero delle finanze, delle forze di difesa israeliane, dell'autorità per l'innovazione e del Consiglio di sicurezza nazionale, nonché rappresentanti di istituzioni civili come ospedali, appaltatori della difesa, startup aziende, think tank e istituzioni accademiche.
   Contestualmente, un altro organismo militare, l'Israeli Defence Force (Idf), sempre nell'ambito del contrasto al Covid-19, vara l'operazione "Ray of Light" (Raggio di Luce) che ha l'obiettivo di attivare una linea telefonica dedicata, attiva 24 ore su 24, sette giorni su sette, per fornire risposte al pubblico sulla pandemia e sulle misure di sicurezza da adottare. l'Idf si farà anche carico di fornire il supporto alle autorità civili per disinfettare le aree pubbliche con l'impiego di due battaglioni dell'esercito e di assicurare 7.000 donazioni giornaliere di sangue.
   Il professor Kreiss, in una recente intervista al New York Times ha affermato che il Mossad è risultato fondamentale nel sostegno al servizio sanitario nazionale. "Solo in Israele un ospedale come quello di Sheba avrebbe potuto chiedere aiuto al Mossad", ha dichiarato nell'intervista. "Riuscite ad immaginare il Mount Sinai Hospital che chiede aiuto alla Cia?" ha poi affermato riferendosi all'omonimo ospedale di New York.
   "Non c'era tempo da perdere", ha poi ricordato Kreiss, il quale elogiando la risolutezza del Mossad ha poi aggiunto "Parte del loro ethos è quello di eseguire il loro compito a qualsiasi prezzo". Com'era prevedibile Kreiss ha rifiutato di indicare con precisione in che modo il Mossad avevano aiutato l'establishment medico israeliano o da dove provenivano le attrezzature importate. Tuttavia, secondo alcuni ex funzionari israeliani esperti di operazioni intelligence, il Mossad avrebbe utilizzato particolari contatti internazionali per l'acquisizione di ventilatori e materiale sanitario da paesi arabi vicini allo stato ebraico, ma con i quali non sussistono relazioni diplomatiche. Secondo la testimonianza di un funzionario del Mossad, concessa a Channel 12 TV, l'agenzia avrebbe acquisito prodotti ordinati da altri Paesi.
   Il 19 marzo, per mezzo di un volo speciale, sono stati recapitati in Israele 100 mila kit di test del coronavirus. Spedizioni successive includevano altri 4 milioni di kit di test, 1,5 milioni di maschere chirurgiche, decine di migliaia di maschere N-95, tute protettive per gli equipaggi di pronto soccorso, occhiali protettivi e una gamma di farmaci di diverso tipo. Il Mossad, inoltre, è riuscito anche ad acquisire le tecnologie che hanno consentito a molti laboratori israeliani di condurre specifici test sul coronavirus, oltre ad ottenere il necessario know-how per produrre ventilatori in Israele. Attualmente il Paese ebraico sarebbe in grado di produrre 25 milioni di mascherine al mese.
   Yossi Cohen, probabilmente sin dall'inizio, era ben consapevole di dover agire con estrema urgenza in funzione della crescita repentina e inarrestabile che la domanda di attrezzature sanitarie avrebbe subito nel giro di pochi giorni. La conseguenza di un ritardo avrebbe prodotto enormi difficoltà nel reperimento di strumenti e prodotti medicali essenziali. Secondo quanto riportato in un articolo del New York Times gli sforzi dell'agenzia di intelligence israeliana si sarebbero quindi concentrati su quei paesi non proprio democratici, i cui governanti subiscono meglio l'influenza e la generosità delle agenzie di intelligence dei paesi maggiormente industrializzati.
   I rapporti con tali paesi sarebbero basati su precedenti relazioni di familiarità e fiducia con il servizio di intelligence israeliano. In alcuni casi Cohen avrebbe contattato personalmente le sue controparti, accelerando l'acquisto delle merci. Sempre secondo il Nyt alcune spedizioni di attrezzature mediche destinate a Israele provenivano dalla Cina utilizzando una rete utilizzata dal Ministero della Difesa israeliano per l'acquisito di armi.
   Accertata è invece l'azione di reclutamento del ministero della Difesa israeliano di una start-up nazionale specializzata in servizi di screening per ricercare e analizzare velocemente possibili fornitori dei prodotti da acquisire. La start-up è la Qlarium e utilizza un sistema basato sull'intelligenza artificiale in grado di fornire in pochi minuti un'intelligence framework sull'affidabilità dei fornitori. In altri termini, l'applicazione è in grado di raccogliere dati ad ampio spettro, e in qualsiasi lingua, all'interno del mondo virtuale per poi filtrarli e trasformarli in rapporto di business intelligence sul fornitore.
   Lo scopo del ministero della Difesa era quello di trovare fornitori pertinenti e aziende reali, evitando l'intermediazione di terze parti e la possibilità di acquistare materiali difettosi. Sempre secondo il Nyt, tuttavia, non tutte le operazioni del Mossad volte ad assicurarsi il materiale per contrastare la pandemia sembrano essere andate a buon fine. Secondo alcune testimonianze citate nell'articolo del quotidiano statunitense, degli emissari del Mossad sono stati respinti almeno una volta in Germania in funzione del sequestro, da parte delle autorità tedesche, di materiale sanitario destinato in Israele.
   In un'altra occasione, un carico di disinfettante in transito in India verso Israele sarebbe stato bloccato dagli agenti doganali, imponendo al Mossad l'abbandono della spedizione.
   Se la quasi totalità delle attività dei servizi di intelligence israeliani rimane avvolta in una coltre di impenetrabile segretezza, è noto che nell'ultimo decennio il Mossad ha investito molto nello sviluppo di relazioni con gli stati del Medio Oriente e dell'Asia che seppur ufficialmente ostili ad Israele mantengono rapporti attivi con il governo di Tel Aviv.
   Alcune segnalazioni evidenziano un'intensa attività di relazioni tra Cohen e i sovrani e i capi dell'intelligence degli Emirati Arabi Uniti, dell'Egitto, dell'Arabia Saudita, della Giordania e del Qatar. Ad esempio, nel 2018, fu proprio il capo del Mossad ad organizzare un incontro tra il Primo Ministro Benjamin Netanyahu di Israele e Sultan Qaboos dell'Oman.
   Certamente la fama del Mossad è destinata a crescere e non solo per aver assunto un ruolo primario nel contrasto al Covid-19, rafforzando ancor di più la sua immagine di istituzione governativa che risulta essere tra le più ammirate del Paese, ma soprattutto per la sua innata capacità di adattare le proprie attività in funzione delle diverse emergenze che possono colpire il Paese. Ancora una volta non passa inosservata la capacità di Israele di attivare in tempi rapidissimi delle emergency facilities in cui far convergere apparati civili, militari, di intelligence, nonché di esperti del settore, realizzando dei crisis management systems in grado di gestire in maniera risolutiva eventi che assumono la caratteristica di crisi nazionali.
   Inizialmente le previsioni sulla pandemia in Israele erano terribili, ma nonostante gli 11.868 casi di contagio e i 117 morti, finora Israele non si colloca tra i Paesi più colpiti al mondo. "Il picco del tasso di espansione è alle spalle da circa due settimane e probabilmente diminuirà quasi completamente entro due settimane". Lo ha affermato nei giorni scorsi il Professor Isaac Ben Israel dell'Università di Tel Aviv.
   
(Formiche.net, 20 aprile 2020)



Poco dopo aver messo in rete questo articolo abbiamo ricevuto dallo Sheba Medical Center una email che qui riportiamo integralmente:

Hi,
My name is Pavel and I am a PR representative of Sheba Medical Center at Tel Hashomer.

Thank you for mentioning our hospital in your informative article on your homepage (title: Se contro il virus si mobilita il Mossad (e non solo) ) about Mossad's efforts to assist in obtaining necessary medical equipment in the fight against covid-19 and for informing your readers about our hospital also serving as a logistics headquarter. Sheba Medical Center is recognized as one of the top 10 hospitals worldwide by Newsweek.

Would you be willing to put this link with our hospital name "Sheba Medical Center" so people in need can easily find out more information about our treatments?

Please let me know what you think. P.S: Sentiti libero di rispondere in italiano. Lo Tradurrò.

Sincerely,

Pavel Kuharik

Siamo ben lieti di esaudire questa richiesta pubblicando la loro email con i link indicati. Certo che l'estensione del loro panorama di ricognizione e la velocità con cui sanno intervenire in rete sono stupefacenti. Un altro punto di onore per Israele.


Israele e governo d'unità, ore decisive

Una trattativa estenuante che potrebbe volgere al termine in queste ore. In Israele, stando a quanto riportano i media locali, l'accordo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz è solo questione di ore. Dato per fatto, poi apparentemente naufragato, l'accordo tra i due grandi avversari politici delle ultime tre elezioni in Israele - tre in un solo anno - sembra abbia trovato una quadra: le due parti avrebbero "risolto le proprie differenze" di vedute, in particolare sul tema giustizia, e sono pronte a firmare per dare finalmente al paese un governo. "Funzionari del Likud affermano che la disputa sulla Commissione giudiziaria è stata risolta e che potrà essere firmato un accordo di coalizione. - riporta il giornalista politico Michael Shemesh sull'emittente Kan - Allo stesso tempo, alti funzionari di Kachol e Lavan affermano che il problema è risolvibile". Sembra dunque che le differenze su un tema chiave come la giustizia siano state superate. Kachol Lavan aveva annunciato in precedenza di avere pronti i disegni di legge proprio su questa materia e collegati al futuro di Benjamin Netanyahu: se non dovesse arrivare l'intesa con il Likud, Benny Gantz - che presiede la Knesset - è infatti intenzionato a mettere in agenda il voto del parlamento su una norma che vieti a chi è stato incriminato di diventare Primo ministro. Una legge simile, se approvata (e i numeri ci sarebbero), sbarrerebbe la strada a Netanyahu, incriminato per corruzione, frode e abuso d'ufficio e in attesa dell'inizio di un processo per il momento solo rimandato.
   In attesa di capire il futuro dell'esecutivo, i dati sull'emergenza sanitaria in Israele parlano di un contagio contenuto e alcune misure restrittive sono state allentate. Inoltre il Paese si appresta a celebrare Yom HaShoah. Un giorno dedicato alla Memoria delle vittime del genocidio nazifascista che sarà diverso dagli scorsi anni: non ci saranno grandi cerimonie pubbliche, ma l'impegno a non dimenticare sarà spostato sulle piattaforme online. In serata si terrà la cerimonia di Stato a Yad Vashem con la partecipazione del Presidente Reuven Rivlin e del Primo ministro Netanyahu. Saranno accese sei torce, in rappresentanza dei sei milioni di ebrei assassinati. Le storie personali dei sopravvissuti all'Olocausto scelti per accendere le fiaccole saranno raccontate in sei cortometraggi proiettati durante la cerimonia e saranno trasmessi in televisione, alla radio e sul sito internet Yad Vashem.

(moked, 20 aprile 2020)


L'horror vacui ovvero l'assenza dei dibattiti

di Emanuele Calò

C'era una volta il Bund, c'era una volta il bundismo. Poiché ormai in Italia la cultura è per lo più un orpello (come chi invoca un poco ovunque le madeleines proustiane ma s'ingozzerebbe di cornetti surgelati), ma pur sempre un orpello disgiunto dal vizio del ragionamento, si straparla di Bund tacendone la dialettica col sionismo, il che comporta un analogo silenzio sulla salvezza offerta dal sionismo e la via della morte rappresentata dal Bund. Emigrando in Israele gli ebrei dell'Est sarebbero vissuti, rimanendo in Polonia e dintorni a battersi per il socialismo sono finiti nelle camere a gas. Evidentemente i sionisti non erano così sciocchi ed i bundisti non furono così lungimiranti. Questo si chiama due più due, un'operazione elementare ma che in Italia, e forse altrove, non usa più. È possibile comperare un libro sul Bund e trovare che il sionismo è citato solo una volta? E se sì, che significa?
   Karl Marx aveva scritto che la storia si presenta due volte, una come tragedia e l'altra come commedia. È il caso del Bund, grande e tragico, generoso ma fallimentare, e del neo bundismo italiano, uno slancio antisionista che non ha il coraggio di dichiararsi, e quindi ricorre ad un dico non dico che richiederebbe un Alan Turing per essere decrittato.
   Nel caso del neobundismo, talvolta si evocano Mosè e l'Esodo, con la singolare abilità di descrivere l'epopea del popolo ebraico a stregua di una banda di sfaccendati che si aggirava senza meta per il Medio Oriente: miracoli della decadenza delle scuole, visto che andavano in Israele, e non tanto perché l'avessero trovata in un dépliant, nell'ardua scelta fra le Maldive, Santa Marinella e le Bahamas, bensì perché tale scelta l'aveva fatta KB. Per i neobundisti, quello è un dettaglio ed il diavolo, si sa, si cela nei dettagli. Sennonché, vi è chi non si fa bastare il sinistro tormentone per cui gli ebrei non hanno bisogno della terra, ma ritiene opportuno puntare il dito verso l'invariabilmente orribile politica israeliana, forse contrapposta alla lungimiranza di quella dei suoi vicini, luminosissimo esempio di rispetto dei diritti umani.
   Ora, un conto è criticare la politica israeliana - ci mancherebbe - altro è mettere in crisi il diritto del popolo ebraico all'autodeterminazione, e dato che ciò non è un dettaglio, la dirigenza dell'ebraismo italiano se ne deve interessare, se non vuole essere surrogata da inaudite supplenze. L'horror vacui non è una chimera, se agli onori non dovessero essere sovrapposti gli ingrati oneri.
   Israele è per noi una polizza sulla vita, dopo che nel 1943 a Roma gli ebrei sono stati rastrellati casa per casa, messi nei vagoni bestiame, lasciati a disperarsi per un'intera notte e indi gasati, oppure dopo che nel 1982 non si è trovato di meglio che sparare addosso a chi usciva dal Tempio di Roma, come se avessero avuto qualcosa a che fare col conflitto arabo - israeliano. Continuare a leggere intemerate sottili o non sottili, dispiace parecchio, specie se svolte sul dico non dico oppure senza lo sbocco del dibattiti. Nessuno scrive che gli italiani non hanno bisogno del territorio oppure che non si è contrari all'esistenza dell'Italia, oppure della Germania, del Paraguay e così via. Da noi non ci sono più dibattiti, e sarebbe da domandarsi il perché. Ricordo ancora quello, memorabile, del 1977, fra Umberto Terracini e Bruno Zevi. Quei giganti non ci sono più, tuttavia, esistono ancora personalità importanti. Chi scrive, dibatta.

(Shalom, 20 aprile 2020)


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Perché Dio ha fatto uscire gli ebrei dall’Egitto?

"E l'Eterno disse: 'Ho veduto, ho veduto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni; e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani" (Esodo 3:7-8).
   Ecco il motivo che ha mosso Dio a venire in soccorso del suo popolo la libertà. Poteva il Creatore dei cieli della terra permettere che il suo popolo subisse la tirannide di un feroce popolo pagano e fosse costretto a reprimere le sue potenzialità e mettere le sue energie creative al servizio della violenza dei sopraffattori? Certamente no. E la liberazione ottenuta servirà a far diventare il suo popolo un modello e un propulsore di libertà per tutti i popoli. Così pensa forse qualcuno.
   Ma la Bibbia non dice così. Nel seguito del versetto citato viene detto il motivo per cui Dio scende a liberare il suo popolo: "... per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese ove scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Hittei, gli Amorei, i Ferezei, gli Hivvei e i Gebusei.” (Esodo 3:8). Questo è l’unico obiettivo che Dio presenta a Mosè nel discorso del roveto ardente per indurlo a collaborare nella liberazione del suo popolo. E fino a che il popolo non sarà uscito totalmente dall’Egitto, Dio non gli indicherà altri motivi. Gli ebrei dovevano uscire dalla “casa di schiavitù” per essere liberi, rispetto agli egiziani, di raggiungere il paese “dove scorre il latte e il miele” sotto la guida di Mosè. In questo primo momento, al suo popolo Dio non offre né il “dono” di un elevato codice di ordini divini da eseguire rigorosamente, né la possibilità di diventare un esemplare istruttore di nobili comportamenti morali per gli altri popoli. Parole di questo tipo arriveranno in seguito, e in una forma che dipenderà anche dal tipo di risposta che Dio riceverà dal suo popolo. Ma come prima cosa a Mosè, come ad Abramo, Dio dà un ordine: «va'», e non gli dice dove. Ma se ad Abramo Dio aveva ordinato di non portarsi dietro nessuno (cosa che non fece), a Mosè Dio ordina di portarsi dietro tutto il popolo (cosa che fece con grande pena). E’ chiaro allora che la terra, e precisamente la terra che ha al centro la città di Gerusalemme, resta l’obiettivo primario ineliminabile della missione affidata da Dio al popolo che si è formato. Il fatto che oggi, in un tempo in cui questa terra in qualche modo è stata raggiunta, si voglia relegarla tra gli optional del discorso sugli ebrei, è un fatto di per sé grave, foriero di guai apparentemente inspiegabili. Ma non del tutto, a guardarli bene. M.C.

(Notizie su Israele, 20 aprile 2020)


A Tel Aviv manifestanti a distanza di sicurezza e con mascherine

Per il no all'accordo Netanyahu-Gantz

Qualche migliaio di israeliani ha manifestato a Tel Aviv per denunciare i rischi per la democrazia legati alle trattative fra il primo ministro Banjamin Netanyahu e il suo ex avversario politico Benny Gantz per formare un governo di coalizione. A convocare i manifestanti, un appello su Facebook del movimento delle "bandiere nere", che li invitavano ad accorrere sulla piazza dedicata a Yitzhak Rabin per "salvare la democrazia". Nel mirino, i colloqui del leader del partito di centro Blu-Bianco con il capo del governo uscente, che guida il partito di destra Likud, incriminato per corruzione. I manifestanti indossavano mascherine di protezione ed erano vestiti di nero; si tenevano a distanza di due metri gli uni dagli altri, rispettando le regole anti-coronavirus. In Israele, i contagiati sono 13 mila e le vittime 172. I cartelli mostrati dai manifestanti chiedevano "lasciate vincere la democrazia" oppure "ministro del crimine". Le "bandiere nere" rappresentano secondo i promotori le minacce che incombono sulla democrazia israeliana. Lo scorso 2 marzo gli israeliani sono tornati alle urne per la terza volta in meno di un anno, per stabilire chi aveva la maggioranza fra Netanyahu e Gantz, ex capo di stato maggiore dell'esercito. In seguito a un risultato nuovamente ambiguo, il presidente Reuven Rivlin aveva incaricato Gantz di formare un nuovo governo. In piena pandemia, l'incaricato ha sorpreso tutti aprendo la strada a un governo di "unione ed emergenza" con il primo ministro uscente, assicurando che non avrebbe però condiviso il potere fino a che non avesse risolto i suoi problemi con la giustizia. Dopo la scadenza del mandato a Gantz, lunedì scorso, il presidente Rivlin ha incaricato il Parlamento di proporre, entro meno di tre settimane, un deputato che possa cercare di formare un governo e mettere fine a oltre un anno di crisi politica. Ma nel frattempo, i sostenitori di Gantz e Netanyahu proseguono il dialogo per un possibile accordo.

(la Repubblica, 20 aprile 2020)


Fatah si serve anche della pandemia per negare il diritto all'esistenza d'Israele

In un video musicale sul coronavirus, il movimento che fa capo ad Abu Mazen ripropone in modo martellante le mappe che cancellano lo stato ebraico dalla carta geografica

Per il movimento Fatah che fa capo ad Abu Mazen, ogni occasione è buona per negare il diritto all'esistenza dello stato d'Israele. Così Fatah sfrutta anche la crisi da coronavirus per ribadire ai palestinesi in modo assillante e martellante il messaggio secondo cui tutto il territorio di Israele fa parte della "Palestina".
Le immagini qui riportate (si veda la fotogallery in fondo all'articolo), che mostrano come la mappa della Palestina rivendicata dall'Autorità Palestinese cancelli Israele dalla carta geografica, compaiono in un video che accompagna una canzone sul coronavirus, postato il 5 aprile da Fatah sulla sua pagina ufficiale Facebook....

(israele.net, 20 aprile 2020)


Shira Haas, è nata una stella. La prima in epoca di streaming

L'attrice israeliana in "Unorthodox" e "Shtisel" su Netflix. Dopo mesi di studio, la rivelazione sul set con l'abito nuziale: la parte emotiva ha trovato quella fisica.

di Egle Santolini

 
Shira Haas
La prima stella internazionale dello streaming, del cinema in sala sperando che sopravviva, della tv o di quello che mai arriverà dopo la pandemia si chiama Shira Haas, sta per compiere 25 anni ed è israeliana. Unorthodox, la miniserie di cui è protagonista totale, la macchina da presa incollata senza interruzione sui delicati lineamenti che compongono un perfetto materiale da primo piano, è in questo momento quarta nella lista delle più viste su Netflix: racconta la storia di Esty, che fugge dai Satmar, una stretta comunità hassidica di Brooklyn, per trovare la propria strada a Berlino. Gli spettatori che di Shira hanno subito voluto un'altra dose massiccia sono ormai dipendenti da Shtisel, la serie per ora in due stagioni (sempre Netflix) che in Israele ha raccolto tutti i premi possibili e che, molto a sorpresa, ha appassionato il pubblico di tutto il mondo alla vita familiare degli ebrei haredi in un quartiere di Gerusalemme.
  In attesa dell'uscita, quando si potrà, del film Asia, e della terza stagione di Shtisel, anche quella bloccata in fase di lavorazione, ecco le informazioni per conoscerla e amarla ancora di più. Quella faccia, quegli occhi, quel corpo. Shira è un metro e 52 di puro talento. Cammina in un modo particolare, evidenziato dalle scarpe senza tacchi che indossa, secondo i dettami chassidici, sempre in Shtisel e spesso in Unorthodox: con le punte dei piedi in fuori, e con grande decisione. Canta benissimo e lo dimostra verso la fine di Unorthodox. Ha spalle strette, torace da passero, occhi grandi e capacissimi di riempirsi di lacrime nelle scene madri. Non nella vita reale, dove dice di non commuoversi mai, soprattutto da spettatrice: «Mi è successo però per il film polacco Cold War, un capolavoro». Nella medesima intervista al New York Times, ha fatto sapere di apprezzare Nina Simone, i mandala, i libri di Stefan Zweig, la cantante israeliana Chava Alberstein. Nei Soprano, il personaggio di Carmela: che aspiri a ruoli forti non è parso inaspettato. Hanno già cominciato a paragonarla a Natali e Portman (che l'ha diretta in Sognare è vivere) e a Scarlett Johansson. La sensazione è che somigli soltanto a sé stessa.
  Nata a Tel Aviv, figlia di sabra di ascendenza ungherese, polacca e ceca, un nonno scampato ad Auschwitz, un cancro infantile superato fra i tre e i quattro anni, Shira ha una storia ancora molto corta ma piena di traguardi: meglio di tutto parla la frase simbolo che si è scelta per il profilo Instagram, una citazione dalla Torah: «Se non ora, quando?». Scoperta per caso ai tempi del liceo, ha subito lavorato molto in televisione ed è diventata una celebrità nazionale, prima di Shtisel, con il film Noble Savage, che le ha fatto vincere un Academy Award israeliano. I più attenti se la ricordano in Fox Trot, che ebbe una nomination agli Oscar, e nella Signora dello zoo di Varsavia.
  La regista di Unorthodox, Maria Schrader, ha definito «pura gioia» ogni giorno di lavoro diviso con lei. E' concentrata e perfezionista: per diventare Esty ha imparato il lied di Schubert An die Musik e il linguaggio complesso di Williamsburg, uno yiddish infuso di espressioni americane: «Andavo a dormire in yiddish e in yiddish mi svegliavo», racconta. Ma «dopo mesi di studio, la rivelazione è arrivata sul set, quando mi hanno infilato l'abito nuziale di Esty: la parte emotiva ha trovato un corrispettivo fisico. E il viaggio è potuto cominciare». Pensando al momento in cui l'industria dello spettacolo tornerà ad avere un senso, qualcuno a Hollywood di quel viaggio sta già programmando altre tappe.

(La Stampa, 20 aprile 2020)


La pestilenza e la Pasqua ebraica

La storia del popolo ebraico insegna che sopravviveremo, nella fede.

Scrive il Jerusalem Post (15/4)

La Pasqua ebraica è una festa del tutto particolare, con il suo messaggio di liberazione dalla schiavitù e il precetto di recitare l'Haggadà per rivivere nel nostro tempo l'esperienza dell'Esodo" scrive il Jerusalem Post. "Il comandamento di trasmettere la storia di generazione in generazione attesta l'importanza attribuita non solo alla rilettura dello storico riscatto, ma anche al riconoscimento delle avversità che dovettero affrontare coloro che ne furono testimoni.
   I temi della Pasqua ebraica parlano anche della nostra epoca. La schiavitù e la sofferenza in Egitto era andata peggiorando nel corso del tempo fino a toccare l'apice appena prima dell'Esodo. Il nostro giogo odierno non è causato da un faraone ma da un nemico invisibile, un virus che ci obbliga a vivere in clausura da settimane. Per molti, questa Pasqua sarà diversa da tutte quelle che può ricordare. Per molte persone questo è un momento di solitudine e sofferenza. Oltre un milione di israeliani, e tanti di più nel resto del mondo, hanno perso il lavoro. E la situazione non sembra destinata a migliorare tanto presto. Ci sono persone che dipendono dal cibo che viene consegnato a domicilio. Alcune sono addirittura a rischio di abusi e violenze domestiche. E' un momento di grande incertezza, non sappiamo se e quando finiranno il blocco e la paura del virus. Un'inquietante insicurezza come quella che devono aver affrontato coloro che uscivano dall'Egitto: l'insicurezza di essere sopravvissuti alle pestilenze solo per ritrovarsi in un'interminabile marcia di quarant'anni attraverso un deserto sterminato.
   I portenti della Pasqua ebraica offrono una ricetta per sopravvivere all'attuale pandemia. Ci insegnano pazienza e resilienza. Ci insegnano ad aver fiducia che la situazione migliorerà. Ci aiutano anche a ricordare le generazioni che prima di noi hanno sofferto in altri tempi bui. La Pasqua ebraica venne celebrata dagli ebrei che prestavano servizio negli eserciti che combattevano contro i nazisti, lontani da casa, senza sapere se avrebbero vinto contro la macchina da guerra di Hitler. Venne celebrata dagli ebrei nei ghetti di tutta Europa, ignari che presto sarebbero stati mandati nei campi di sterminio nazisti. Soldati ebrei che si paracadutarono nell'Europa occupata dai nazisti portarono con sé una copia dell'Haggadà pasquale. Una famiglia sopravvisse alla guerra vicino a Borislav, in Polonia, nascondendosi presso una famiglia polacca. Durante gli anni in clandestinità scrissero e disegnarono una Haggadà recitando il testo a memoria. Successivamente uno dei membri della famiglia si stabilì in Israele, dove combatté nella guerra di indipendenza. Tale era la sua dedizione alla Pasqua ebraica che ridisegnò la Haggadà, in seguito donata a Yad Vashem.
   Nel corso delle generazioni ognuno si trova a sopravvivere al proprio esodo personale durante la Pasqua. Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?, chiediamo tradizionalmente quella sera. Questa Pasqua porremo di nuovo la domanda. Come la lunga notte di sofferenza in Egitto, supereremo anche questa lunga notte metaforica di chiusure e di pandemia. Non sappiamo come, ma sappiamo che ci siamo già passati e siamo andati avanti".

(Il Foglio, 20 aprile 2020)


Kahol Lavan: "imminente" accordo con il Likud per formare il governo

GERUSALEMME - La coalizione centrista Kahol Lavan e il partito Likud del primo ministro uscente, Benjamin Netanyahu, potrebbero raggiungere un accordo per formare il governo a breve. Lo riferiscono fonti di Kahol Lavan citate oggi dal quotidiano israeliano "Jerusalem Post", secondo cui Netanyahu e il Likud hanno mollato la presa sulla richiesta di una legge per annullare un'eventuale sentenza di condanna della Corte suprema che impedirebbe al primo ministro in carica di svolgere il suo compito durante il governo di unità. Secondo quanto riportato dall'emittente "Channel 12", il leader di Kahol Lavan, Benny Gantz, ha parlato al suo entourage di una svolta significativa nei negoziati per formare un governo di coalizione. Il processo relativo a tre diversi casi di presunta corruzione che vede imputato Netanyahu, avrebbe dovuto svolgersi il 17 marzo, ma è stato posticipato a causa dell'emergenza coronavirus.

(Agenzia Nova, 19 aprile 2020)


Coronavirus: Israele allenta le misure, massimo 19 persone in preghiera

di Giacomo Kahn

Il governo israeliano ha parzialmente allentato le misure di contenimento dell'epidemia di coronavirus, ma ha mantenuto l'obbligo di indossare la mascherina in pubblico. Saranno permesse preghiere pubbliche, ma solo all'aperto, con un massimo di 19 persone e mantenendo due metri di distanza fra i fedeli. Sono poi state decise una serie di aperture, che devono avvenire nel rispetto delle misure e le distanze di sicurezza: è previsto il ritorno al lavoro del 30% degli impiegati, rispetto all'attuale 15%, e potranno riaprire librerie, negozi di elettronica, ottica e forniture per ufficio. Le scuole con programmi speciali potranno riaprire ma solo con classi di tre alunni, mentre fino a tre famiglie potranno mettersi d'accordo per la custodia comune di bambini piccoli. Infine sarà possibile fare sport in coppia e fino a 500 metri da casa, non più solo 100. Su una popolazione di 9 milioni di persone, ISRAELE ha registrato 13.362 contagi di covid-19, con 3.564 guarigioni. I morti sono 171. I malati gravi sono 156 (un calo del 6,6% rispetto a ieri) e fra di loro quelli in rianimazione sono 109 (- 7,6 %). La città più colpita dalla pandemia resta Gerusalemme (900 mila abitanti) con 2.579, contagi seguita dalla cittadina ortodossa di Bnei Brak (200 mila abitanti) dove i casi positivi sono 2.307. A Tel Aviv (450 mila abitanti) i malati accertati di coronavirus sono oggi 500.

(Shalom, 19 aprile 2020)


"Il mio premio per Israele"

A colloquio con Hillel Furstenberg, vincitore del "Nobel" per la Matematica

di Adam Smulevich

La matematica non è tra le discipline per le quali si assegna ogni anno il Nobel. Esiste però un riconoscimento equivalente, conferito dalla Norvegia: il Premio Abel. Anche Israele è entrata da poco nell'albo di questa onorificenza grazie al suo più grande matematico in attività: Hillel Furstenberg, 84 anni, professore emerito dell'Università ebraica di Gerusalemme. Già vincitore nel 2007 del Premio Israele, Furstenberg è nato in Germania. Con la famiglia ha lasciato il Paese dopo la Notte dei Cristalli, è cresciuto negli Stati Uniti, lì si è formato nei più prestigiosi atenei e ha poi fatto la scelta di trasferirsi in Israele a metà degli Anni Sessanta. Una scelta poi rivelatasi di fondamentale importanza per lo Stato ebraico, che anche grazie ai suoi studi e al suo impegno è oggi riconosciuto come centro di eccellenza mondiale in questa disciplina.
"Beh, non me l'aspettavo proprio. Quando mi hanno telefonato non ero sicuro di aver capito quel che mi era stato appena detto. Ho dovuto farmi rispiegare per bene tutto. Non lo nascondo, è stata una grande emozione".
Classe 1935, nato in Germania ma scappato appena in tempo dall'Europa in fiamme e sull'orlo del precipizio, formatosi negli Stati Uniti ma a Gerusalemme per scelta di vita da 55 anni, Hillel Furstenberg è il più grande matematico israeliano e uno dei più grandi matematici al mondo. A riconoscerlo è stata anche la commissione dell'Abel Prize, l'equivalente del Premio Nobel per questa disciplina, conferito dall'Accademia norvegese delle Scienze e delle Lettere, che nelle scorse settimane ha deciso di assegnargli il suo riconoscimento annuale. Ad essere premiato il determinante impatto che Furstenberg ha avuto, con i suoi studi, nel campo della matematica applicata.
Si era già nel pieno dell'emergenza sanitaria, con le restrizioni già da vari giorni in vigore anche in Israele. Un raggio di luce in tempi bui, quindi, festeggiato anche dal Presidente Reuven Rivlin in una telefonata che l'ha commosso. È una gioia avvertita anche in Italia e in particolare a Firenze dove vive la figlia Shulamit, punto di riferimento della Comunità ebraica e moglie dell'ex rabbino capo Joseph Levi.

- Professor Furstenberg, intanto mazal tov. I media hanno rilanciato il video della telefonata che le ha fatto il Presidente Rivlin, complimentandosi per il successo ed esprimendole la gratitudine di tutto un Paese per questo nuovo traguardo. Cosa ha significato per lei quel momento?
  È stato gratificante e un po' anche toccante. Io non sono nato in qui, Israele è stata una scelta di libertà e consapevolezza. È una scelta che rifarei mille volte. Era la vita che volevo.

- Lei nasce in Germania e i suoi primi ricordi si riferiscono a uno dei momenti più drammatici di quel periodo, la Notte dei Cristalli.
  Sì, ero piccolissimo. Ma la mia memoria conserva nitida quella ferocia, i vetri infranti sotto casa. La paura e l'angoscia tangibili nella comunità ebraica. Grazie a un deposito nelle casse della Bank of England riuscimmo a farci accogliere in Inghilterra. È lì purtroppo che mio padre morì. Noi nel frattempo, due figli con madre, ci eravamo imbarcati su una delle ultime navi che attraversavano l'Atlantico. La nostra destinazione erano gli Stati Uniti. Cercavamo un nuovo inizio, lontano da guerra e persecuzioni.

- Quando inizia ad appassionarsi alla matematica?
  Sui banchi di scuola, durante le lezioni di geometria. Fu subito amore. La mia ambizione allora era comunque quella di fare il rabbino.

- Non a caso la sua formazione passa anche dalla Yeshiva University, dove consegue la laurea.
  Sì, l'idea era questa. È diventata una professione cammin facendo. Con una nuova consapevolezza che si è fatta strada: è possibile conciliare in modo armonico matematica ed ebraismo. Si pensi ad esempio al Talmud e alla sua catena delle possibilità. Una struttura complessa all'interno della quale ci si addentra più facilmente con una predisposizione e un percorso di studi di un certo tipo.

- Lei studia anche a Princeton, dove consegue un dottorato. Poi insegna al Massachusetts Institute of Technology, altra eccellenza universitaria. Una carriera che appare sin da subito sui binari giusti. Nel 1965 arriva però una svolta, che la mette in discussione. Sceglie l'Aliyah, la "salita" in Israele, accogliendo l'invito dell'Università ebraica di Gerusalemme che le offre una cattedra. Un azzardo, per alcuni suoi colleghi.
  Ho fatto quello che mi sentivo di fare, senza pensarci troppo. Mi guardavo intorno e vedevo un'attenzione spasmodica, anche tra i cervelli migliori, per le cose materiali di questo mondo. Io cercavo soprattutto altro. Una gratificazione anche e soprattutto spirituale. E Israele era il posto giusto per me e per la mia famiglia. Ce lo eravamo giurati, io e mia moglie, sotto la chuppah.

- Fu uno shock passare da un vero e proprio colosso a un ateneo che era in parte ancora una scommessa?
  No, per niente. Va anche sfatata una errata percezione. Certo da alcuni punti di vista poteva esserci un gap, ma l'Università ebraica era già allora un'eccellenza. Studenti brillanti. Colleghi di grande levatura. I premi che ho ottenuto in carriera (tra gli altri il prestigioso Israel Prize, ndr) non sarebbero dovuti andare a me individualmente, perché in questi traguardi ci sono anche le loro intuizioni e il loro contribuito. Non lo dico per essere retorico né per falsa modestia. È qualcosa di cui sono convinto.

- Se le cose fossero andate diversamente avrebbe potuto lavorare a stretto contatto anche con l'altro vincitore dell'Abel Prize 2020, il matematico russo Grigory Margulis.
  Sì, è vero. Per buona parte della sua vita non ha potuto lasciare Mosca. Poi, con la disgregazione dell'Unione Sovietica, ha scelto gli Stati Uniti. Ricordo che quando lo incontrai a Gerusalemme insieme a un collega si cercò in tutti i modi di convincerlo a restare. Feci leva anche sulla sua identità ebraica, sul richiamo esercitato da Israele e sulle grandi potenzialità che vi erano di fare cose importanti, ma purtroppo il tentativo andò a vuoto. Siamo comunque amici.

- Sua figlia Shulamit ci dice che uno dei tratti distintivi del suo carattere è la leggerezza, insieme a una certa autoironia.
  Guardi, il segreto è che non mi sono mai posto troppe aspettative. L'inizio è stato in salita, con tanti motivi di angoscia: la Notte dei Cristalli, la fuga, la precarietà, la scomparsa in gioventù di mio padre. Ho però anche avuto il dono di una vita piena, con tante soddisfazioni sul versante professionale e non solo. Cerco sempre di apprezzare il buono che ci arriva, di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. E di ridere, anche, sì.

(Pagine Ebraiche, aprile 2020)


320 positivi nei Territori Palestinesi

Compresi 13 a Gaza

Con altri 7 casi sono salite a 320 le infezioni di coronavirus nei Territori Palestinesi, Gaza compresa. Lo ha detto il ministro della sanità dell'Autorità palestinese Mai Al-Kaileh secondo cui i nuovi positivi sono stati registrati nel Governatorato di Ramallah, in quello di Gerusalemme e a Tulkarem; inoltre i ricoveri in ospedale sono ora 71.
Dopo aver specificato che i casi a Gaza sono 13, Al-Kaileh ha ricordato che "a Gerusalemme i positivi sono 111".

(ANSAmed, 19 aprile 2020)


Perché la guerra USA ad Hezbollah è più intensa di quella all'Iran

di Maurizia De Groot Vos

 
Hassan Nasrallah
Nell'ambito della guerra USA ad Hezbollah l'ultimo passo fatto dagli americani è stato mettere una taglia da dieci milioni di dollari sulla testa di Muhammad Kawtharani, capo del gruppo terrorista libanese in Iraq.
L'importanza di questa decisione, che è solo l'ultima adottata da Washington contro i terroristi libanesi armati e finanziati dall'Iran, non è stata ben compresa da molti analisti del settore.
   Anzi, alcuni di loro l'hanno vista come una mossa propagandistica del Presidente Trump e niente altro.
   Non c'è nulla di più sbagliato. Finalmente a Washington c'è qualcuno che ha capito che colpire Hezbollah significa colpire l'arma più potente in mano agli Ayatollah iraniani.
   A differenza dell'Amministrazione Obama che voleva portare Hezbollah nell'ambito della politica e che si è persino messa di traverso in una indagine dell'FBI sui traffici di droga dei terroristi in America, l'Amministrazione Trump ha scelto di dare priorità alla lotta al gruppo terrorista libanese e lo ha fatto per tante buonissime ragioni.
   Prima di tutto a Washington hanno finalmente capito che la forza militare e di deterrenza dell'Iran non dipende dalle loro armi, dai loro missili oppure dalla Guardia rivoluzionaria (IRGC), decisamente non all'altezza di una guerra in campo aperto, ma dipende quasi unicamente dal controllo dei tantissimi proxy, gruppi terroristici non iraniani ma finanziati da Teheran che operano all'estero per nome e per conto degli Ayatollah.
   Ebbene, di tutti questi proxy Hezbollah non solo è il più potente (sia pensi solo al fatto che tengono in mano un paese come il Libano), ma è anche il gruppo che nel mondo islamico (anche sunnita) suscita più rispetto ammantato com'è dalla fama di "incorruttibile".
   Le prediche in TV del suo Segretario Generale, Hassan Nasrallah, vengono seguite da milioni di musulmani in tutto l'Islam a prescindere dal credo sunnita o sciita. Nasrallah viene associato a una sorta di "santone islamico globale" ed è addirittura considerato un discendente del Profeta Maometto.
   E non ci lasci ingannare dal fatto che la Lega Araba consideri (come gli USA) gli Hezbolah un gruppo terrorista. È una decisione politica in chiave anti-iraniana. Ma la gente della strada nel mondo islamico adora Hezbollah.
   È il gruppo terrorista libanese che controlla veramente la Siria, non l'Iran, tanto meno Assad. È vero, obbediscono agli ordini di Teheran, ma solo loro a controllare materialmente il terreno.
   È stato Hezbollah ad addestrare i ribelli Huthi in Yemen e a portarli quasi a disarcionare il legittimo governo sunnita. È Hezbollah il candidato più credibile a coordinare i tanti gruppi sciiti in Iraq, specie dopo la morte di Qassem Soleimani.
   Anzi, tra i tanti motivi che hanno spinto gli USA a uccidere il generale iraniano al comando della Forza Quds uno dei più importanti e proprio quello secondo il quale Soleimani era considerato l'anello di congiunzione tra Teheran e i terroristi libanesi.
   Ma non è solo la "reputazione" di Hezbollah a collocare il gruppo terrorista libanese in cima alla lista dei nemici più temibili degli Stati Uniti. Diverse indagini della DEA e dell'FBI hanno dimostrato che il pericolo rappresentato dai terroristi islamici libanesi è un "pericolo globale".
   Le indagini hanno infatti scoperto che Hezbollah si è creato in modo autonomo una fitta rete di "collaboratori internazionali", banchieri, uomini d'affari e finanzieri che permettono all'organizzazione di riciclare le centinaia di milioni provenienti dal traffico di stupefacenti a da altre decine di attività illecite perpetrate da Hezbollah.
   Questa organizzazione è di stampo globale e opera in tutto il mondo, dall'America Latina all'Africa passando per l'estremo oriente.
   A Washington hanno quindi finalmente capito che se vuoi veramente nuocere all'Iran prima di tutto devi smantellare Hezbollah, non trattarci (magari in maniera occulta) come si faceva prima.
   Mentre l'Iran è un nemico ben definito, anche geograficamente, Hezbollah è più sfuggente, più indefinito ma globale. Questo lo rende addirittura più pericoloso degli Ayatollah, per i quali è indispensabile.
   Quindi è scorretto affermare che la guerra americana ad Hezbollah sia una sorta di "spot" per l'Amministrazione Trump. Al contrario, la guerra USA ad Hezbollah può essere paragonata alla guerra contro Al Qaeda e ISIS con la variante, non da poco, che i terroristi libanesi controllano diversi Stati (Iraq, Siria, Yemen e Libano) e che nel sensibile bilancino della politica mediorientale hanno un peso che nessun'altro ha.

(Rights Reporters, 19 aprile 2020)


Il paradiso della Sinagoga Paradesi

In India si trovano molte sinagoghe, anche se molte non sono più funzionali. Questi edifici risalenti alla metà del XVI e alla metà del XX secolo un tempo servivano i tre distinti gruppi ebraici del paese: gli antichi ebrei Cochin, le comunità ebraiche ed i Bene Israel, nonché i più recenti ebrei Baghdadi.

Gli ebrei in India ebbero un'esistenza molto pacifica rispetto al Medio Oriente e all'Europa dove furono perseguitati ripetutamente. Numerose sinagoghe furono edificate in tutta l'India e quasi tutte esistono fino ai giorni nostri. La maggior parte degli ebrei in India fece volontariamente Aliyah dopo la creazione di Israele, pur rimanendo ancora una considerevole comunità ebraica che usa attivamente queste sinagoghe, quelle che non sono usate per pregare ora sono musei della storia ebraica indiana.
La Sinagoga Paradesi, è la sinagoga più antica dell'India, situata a Kochi (ex Cochin), nello stato del Kerala, all'estremo sud-ovest del paese. In passato era una delle tradizionali case di culto degli ebrei di Cochin (o Kerala) e all'inizio del 21° secolo era l'unica sinagoga attiva della comunità in India....

(Italia Israele Today, 19 aprile 2020)



L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figliuolo di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
--> Predicazione
Marcello Cicchese
ottobre 2016




Coronavirus: Israele, 158 morti e 13.107 contagiati

GERUSALEMME - E' di 158 morti e 13.107 contagiati il bilancio della diffusione della Covid-19 in Israele. Lo riferisce il ministero della Salute, sottolineando che nelle ultime 24 ore ci sono stati sette nuovi morti. I guariti finora sono 3.247. Il 17 aprile il ministero della Salute ha annunciato di aver condotto una cifra record di test: 11.908. L'aumento dei test è considerato importante in vista della pianificazione del riavvio dell'economia e dell'alleggerimento delle restrizioni sociali. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha fissato un obiettivo di 30 mila test al giorno. Tuttavia la mancanza della quantità di reagente necessario consentirà di effettuarne circa 10 mila, evidenzia oggi il quotidiano "The Times of Israel".
   Intanto il ministero degli Esteri ha firmato un accordo con la cinese Bgi per l'invio di materiale da laboratorio entro la fine della prossima settimana, che consentirà di condurre 12 mila test al giorno. Complessivamente, quindi, il paese sarà in grado di effettuare 20 mila test giornalieri. Nel quadro delle misure per contenere la diffusione del virus Sars-Cov-2, una commissione ministeriale ha dichiarato le comunità arabo-israeliane settentrionali di Deir al Asad and Bi'ina "aree confinate". Nelle due zone sarà in vigore un blocco per sette giorni a partire dalle 8 di oggi. In precedenza, Netanyahu ha dato il via libera a un piano per allentare le restrizioni alle attività commerciali ed economiche. Il piano non indica una data precisa, ma secondo i media in ebraico, alcune attività potrebbero riaprire entro la fine della prossima settimana.

(Agenzia Nova, 18 aprile 2020)


Il virus in Terra Santa: a Israele la tecnologia, ad Hamas la retorica

L'epidemia sta dando all'apparato militare e di sicurezza israeliano un ulteriore e rilevante vantaggio tecnologico, militare e politico rispetto alle controparti palestinesi.

La sicurezza prima di tutto, soprattutto prima dei diritti dei cittadini e delle necessità di trasparenza. In tempi di emergenza sanitaria senza precedenti, Israele non smentisce il proprio approccio alle crisi.
  In ogni angolo del pianeta il Covid-19 è stato associato da leader politici e istituzionali a un "nemico" da cui bisogna difendersi mettendo in campo forze militari e di intelligence. Le divise, anche quelle mimetiche degli eserciti regolari, sono state dispiegate e incensate in questi tempi di sospensione di ogni tipo di normalità, in favore di uno stato di eccezione di cui non si conoscono ancora bene i contorni.
  Israele anche stavolta è un passo avanti dal punto di vista tecnologico e nell'uso di mezzi sofisticati per la raccolta, l'analisi e la gestione delle informazioni legate alla pandemia. Se da più parti si continua a insistere sul fatto che l'emergenza è prima di tutto civile, nello Stato ebraico la questione è in poco tempo diventato un problema militare e di sicurezza.
  Il servizio di sicurezza interno, lo Shin Bet, è stato coinvolto - inizialmente contro la sua volontà - nel sostegno alle istituzioni dello Stato, in primis al Ministero della Sanità. Nei giorni scorsi è stata avanzata l'ipotesi di concedergli prerogative più ampie, ma ai comitati delle organizzazioni civili, ai giornalisti e agli attivisti organizzati israeliani e palestinesi non è stato per ora rivelato molto.
  Certo è che quando si affida a un servizio di intelligence la gestione della crisi pandemica tutto è guardato con gli occhi dell'apparato militare e di difesa. Le richieste di trasparenza e di condivisione delle informazioni sono viste come bastoni tra le ruote, in un contesto in cui il tema della "guerra al nemico" sembra invece imporre a tutti il silenzio riguardo alla necessità di salvaguardare diritti e principi.
  Per vincere il virus bisogna controllare e monopolizzare l'informazione. Il Covid-19 viene così trattato come se fosse un'organizzazione terroristica. Di fronte a questa minaccia, il monopolio dell'informazione e della conoscenza è uno strumento molto utile all'esercizio e al mantenimento di una posizione di forza, sia internamente sia rispetto ai nemici tradizionali.
  Questo avviene mentre Israele si trova a fare i conti con una difficile e prolungata crisi politica e istituzionale. La Knesset è stata incaricata di formare un governo in tre settimane dopo il fallimento dell'ennesimo tentativo di Benny Gantz.
  Nel più ampio contesto israelo-palestinese è inoltre evidente che il potere che si ottiene dall'acquisizione e dall'uso dei dati in maniera massiccia e arbitraria, non regolamentata e controllata da organi e istituzioni civili, può avere degli effetti determinanti e di lungo periodo nella gestione del conflitto e delle varie fasi negoziali.
  In poche parole, il coronavirus sta dando all'apparato militare e di sicurezza israeliano un ulteriore e rilevante vantaggio tecnologico, militare e politico rispetto alla controparte palestinese. Anche perché sia a Gaza sia in Cisgiordania le diverse autorità palestinesi continuano a esprimere una visione di corto raggio, con l'obiettivo di sopravvivere alla giornata, incapaci di elaborare strategie alternative in un contesto economico disastroso e con una tensione sociale che difficilmente sarà contenibile nei paradigmi tradizionali. Eppure, gli schemi della gestione del consenso interno vengono riprodotti nella narrazione istituzionale palestinese, ripescando elementi dalla classica retorica dello scontro col nemico israeliano e della presunta purezza del percorso della resistenza. Nella vita reale però le cose procedono in maniera diversa.
  A Gaza, Hamas ha bisogno urgente di Israele per far fronte a un'eventuale epidemia di Covid-19 nella Striscia. Quindi, dopo aver nicchiato per anni il movimento palestinese ha ripreso i contatti con lo Stato ebraico per negoziare lo scambio di prigionieri e salme. D'altronde, Hamas non può rivolgersi che a Israele. L'Egitto e gli altri "alleati" arabi sono impelagati nei loro rispettivi problemi. Il Qatar continua a versare danaro nelle sue casse, ma di più non può e non vuole fare. Così, mentre Hamas negozia, il suo apparato di sicurezza arresta attivisti palestinesi di Gaza impegnati a dialogare su una chat-video online con i loro colleghi israeliani circa la situazione nei rispettivi contesti al tempo del coronavirus. Ancora una volta, emerge il tema della tecnologia e di chi ne ha il monopolio.
  In Cisgiordania l'economia va a picco, anche perché ora mancano i soldi delle decine di migliaia di lavoratori impiegati in Israele. Il telelavoro, a proposito di tecnologia, in questo caso non funziona. Nella Cisgiordania da decenni frammentata e soffocata territorialmente, dove le filiere agricole e delle piccole e medie imprese faticavano a resistere già prima del Covid-19, ci si chiede oggi quanto costerà il periodo di quarantena. Più di centomila lavoratori palestinesi sono da anni costretti a lavorare in Israele con pochi diritti e a condizioni economiche svantaggiose. In tempi di pandemia, molti di loro si sono trovati in situazioni sanitarie non protette, come dimostra la vicenda dello stabilimento di polli della colonia israeliana di Atarot. Decine di migliaia di operai palestinesi sono tornati poco prima di Pasqua in Cisgiordania. Altri sono rimasti. In entrambi i casi il rischio di rimanere bloccati, intrappolati, è molto alto. Le autorità israeliane e palestinesi chiedono che sia la controparte a condurre i test, anche per i costi che questi comportano.
  La narrazione di entrambe le parti fa emergere come le paure dell'altro - il nemico, il diverso - si siano accentuate in un contesto in cui il contagio è portato da chi viene dall'esterno. Molti palestinesi temono che il Covid-19 si infiltri da Israele. Dal canto loro molti israeliani non si fidano di come l'emergenza viene gestita nei Territori palestinesi, ma non si vogliono assumere le responsabilità sanitarie di Gaza e della Cisgiordania.
  In questo senso la tecnologia, ancora una volta, viene usata a intermittenza. Lo Shin Bet non risparmierà risorse per applicare gli strumenti di monitoraggio ovunque sarà possibile. Da un punto di vista civile e sanitario, i territori palestinesi rimangono invece una zona esterna, di cui Israele non si può e non si deve occupare. Così le rispettive autorità, assetate di scorciatoie digitali, insistono nel dividersi e nel mantenere alti gli steccati e i muri di separazione. Hamas, Fatah e il governo israeliano uscente devono garantirsi continuità di potere. Se il coronavirus è una minaccia o una opportunità lo stabilirà la capacità delle diverse autorità civili e militari di controllare i dati.
  In questo, la tecnologia è fuori dalla portata dei palestinesi, che non possono che stare a guardare. Lo Shin Bet invece si assicura una fetta nella gestione dell'emergenza sanitaria, usando strumenti già attivi prima del Covid-19. Per questo non vuole svelare i dettagli del suo operato: perché sarebbe costretto a parlare di cose fatte prima della diffusione del coronavirus. E che saranno fatte anche domani, indipendentemente dalla crisi sanitaria.

(Limes, 17 aprile 2020)


Netanyahu ha un piano per fare ripartire e imprese

Israele si appresta a ripartire. Senza fretta e con cautela, ma anche con decisione. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato il via libera al piano generale per rimuovere le restrizioni alle attività economiche e al lockdown in modo da consentire la riapertura di alcune attività produttive fin dalla prossima settimana. Il piano, che deve essere ancora approvato dall'intero governo, è descritto dall'entourage dello stesso Netanyahu come «responsabile, prudente e graduale». Nessuna tabella di marcia è stata resa nota. In base a quello che trapela dall'ufficio del primo ministro, il ministero delle Finanze dovrebbe studiare un piano pilota per riaprire alcuni settori dell'economia rispettando le linee guida sul distanziamento sociale emanate dal ministero della Salute.
   Per consentire la riapertura dovranno essere rispettate alcune condizioni ancora da identificare con precisione ma che dovrebbero includere disinfezioni periodiche, prendere le temperature dei dipendenti e degli eventuali clienti, e rispettare la distanza di almeno un metro tra le persone. Le imprese che faranno parte del progetto pilota non sono state ancora individuate, ma di certo tra di esse non ci saranno centri commerciali, mercati all'aria aperta e attività che prevedono il contatto diretto tra le persone. Altre novità dovrebbero essere la graduale rimozione delle restrizioni alla circolazione delle persone, come ad esempio il permesso ad attività motorie entro il raggio di 500 metri da casa (il limite attuale è di 100). Le scuole non riapriranno. La decisione finale dovrebbe essere presa oggi.

(il Giornale, 18 aprile 2020)


Incidenti a Gerusalemme tra ebrei ortodossi e polizia

 
Nonostante le particolari misure di sicurezza prese dal governo israeliano per contenere il contagio del coronavirus all'interno delle comunità degli ultraortodossi - che rifiutano di rispettare le regole, soprattutto quelle che vietano gli assembramenti - in alcuni dei loro quartieri continua a regnare il caos. Ieri a Mea Shearim, area a pochi passi dal centro di Gerusalemme, le forze dell'ordine hanno dovuto fare irruzione in un luogo di preghiera dove c'era un numero di praticanti di gran lunga superiore a quello stabilito dalle norme sanitarie. Gli Haredim hanno reagito aggredendo con violenza i poliziotti, tre dei quali sono stati ricoverati. Il ministro della Sanità Yaakov Litzman, ultraortodosso, ha criticato il comportamento della polizia che ha ferito anche una bambina. Intanto in Israele i casi sono saliti a 12.855, e i morti a 148. Nei Territori palestinesi e a Gaza gli infetti sono 407 di cui due vittime.

(Avvenire, 18 aprile 2020)


Il pogrom illuminato

La critica che colpisce la società charedì non è senza fondamento, ma gli attacchi tradiscono una mancanza di comprensione del suo timore nell'obbedire allo stato e della sua vita isolata dai mass media generali.

di Yehuda Yifrach - Makòr Rishòn 3.4.2020

Rabbì Ya'akòv Halevì ben Moshè Moelin (1350-1427), il Maharìl, è stato il leader spirituale dell'ebraismo ashkenazita ai tempi della peste nera. I suoi testi sono stati accettati per generazioni come la fonte principale per le usanze ashkenazite, pur essendo stati scritti in un periodo terribile della storia degli ebrei di quel territorio. L'epidemia della peste - che fu definita la "morte nera" o la "pestilenza nera" a causa delle macchie nere sui corpi delle vittime - raggiunse il picco negli anni 1347-1351. Era scoppiata in Cina prima della globalizzazione, e si era diffusa nel mondo nel giro di qualche anno grazie a merci e viaggiatori. L'isteria del pubblico e la ricerca di un capro espiatorio si concentrarono, come previsto, sugli ebrei. Questi vennero accusati di avvelenare i pozzi, vennero massacrati in massa e molti di loro scapparono dall'Europa occidentale verso quella orientale, dove venivano loro assicurati almeno i diritti fondamentali.
   Il Maharìl fu testimone di pogrom terribili che erano scoppiati come conseguenza dell'accusa fatta agli ebrei di essere i responsabili dell'epidemia e una gran parte delle risposte nei "Responsa halakhici del Maharìl" vennero dedicate a quesiti halakhici che venivano posti in conseguenza delle stragi: lo status degli orfani, vedove e mogli "agunòt", il lavaggio rituale dei corpi degli assassinati, i diritti legali nei casi di successione delle famiglie delle vittime e altro. In uno dei responsa (il Maharìl) si dimostra facilitante riguardo il consumo di carne scannata con coltelli non controllati da esperti, con la giustificazione che una delle conseguenze delle persecuzioni era che queste figure erano diventate più rare, e non sempre si trovava a chi chiedere. Respinge l'opinione più rigorosa con una spiegazione dolorosa: "Chi scrive è vissuto prima delle persecuzioni e come è noto esistevano persone brillanti nel paese, mentre adesso, in questa generazione orfana, non abbiamo che persone che non sanno distinguere la destra dalla sinistra".
   È vietato fare paragoni, giusto. Mi viene la febbre solo a pensare a chi "riconosce dei processi (storici)" come Yair Golan (che ha sostenuto di vedere in Israele situazioni simili a quelle della Germania degli anni '30 NdT). E tuttavia ho la sensazione che dopo il fallimento della campagna "Basta che non sia Bibi" e il dissolvimento del partito Blu-Bianco, si stia delineando qui uno sforzo per incanalare la veemenza dell'odio e l'energia negativa verso gli "ebrei", d'ora in poi il settore charedì. La settimana scorsa abbiamo visto un manifesto dei medici per le dimissioni del ministro della salute Litzman (charedì NdT), l'attenzione ossessiva verso gruppuscoli marginali charedì che si sono raggruppati in minian (quorum rituale per la preghiera NdT) contrariamente agli avvertimenti ed un numero infinito di altre espressioni di odio anti-charedì sui social.
   Conduttori televisivi che vivono con 1,7 figli e cane in una villa, appartamenti a due piani o attici, si scagliano contro famiglie con 9 figli compressi in quadrilocali senza balcone in ambienti urbani ad alta densità abitativa come Jebalia (campo profughi palestinese NdT). Persone che non capiscono che fretta ci sia a sposarsi se basta solo "andare ad abitare da lei", si riempiono di rabbia e ira verso coppie che si fanno bastare anche una catapecchia in rovina a Yerushalayim. Drogati di media collegati online per ogni notifica push e aggiornamento hanno difficoltà a capire una popolazione senza wifi che ottiene le sue informazioni dalle omelie dei rabbini, linee di neias (notizie in yiddish NdT) e macchine con gli altoparlanti per le strade.
   È vero, la situazione è complessa. Le critiche che il settore charedì sta subendo non sono del tutto infondate. I giorni dell'epidemia rivelano infinite mancanze strutturali nel comportamento di questo pubblico, e il problema "inizia dalla testa". Non poteva esistere dimostrazione migliore del video che mostrava rav Chayim Kaniewsky che firma un secondo pronunciamento halakhico, nel quale annulla la decisione precedente di mantenere attive le aule di studio e le accademie rabbiniche. Stiamo parlando di un ebreo quasi sordo di 92 anni, e questa visione spezza il cuore. Sul suo leggio sono state poste quattro domande chiuse, elaborate con precisione per ottenere un risultato specifico, e le risposte potevano essere solo: "Sì, no, permesso, vietato". Il rispettabile rabbino vive totalmente isolato dalla vita reale, che dipende dalle informazioni selettive che provengono da portaborse con interessi ramificati e complessi, e i suoi pronunciamenti di Halakhà, capaci di influenzare, direttamente o indirettamente, centinaia di migliaia di persone - sono totalmente privi di uno straccio di motivazione. Possiamo solo provare a immaginare che cosa potrebbe succedere se la Corte suprema pubblicasse un verdetto del genere.
   Ma la critica non può escludere la solidarietà. E la solidarietà richiede tolleranza, qualità assente da ampi settori del dibattito pubblico israeliano. Tolleranza significa rispetto dell'identità dell'altro, anche se non sono d'accordo con lui, e disponibilità a uscire dal mio pianeta per provare a capirlo con una visita al suo pianeta. Capirlo da dentro - senza fantasie o speranze che lui sparisca.
   Per la maggioranza della popolazione generale l'osservanza delle indicazioni del ministero della salute sono importanti non solo dal punto di vista medico, ma anche da quello del rafforzamento della sua identità come popolazione che rispetta la legge. Questa identità gli sta molto a cuore perché la civiltà viene riconosciuta come superiore all'anarchia e agli uomini primitivi. I charedìm al contrario sono i "guardiani delle mura" e della legge divina. Questa è un'identità fondamentale che precede ogni altra identità, addirittura quella genitoriale - e per questo, in situazioni estreme, famiglie charedì possono prendersela col figlio che esce verso le "cattive abitudini". E sicuramente questa identità precede le regole del ministero della salute.
   Al contrario della popolazione generale, che a volte è perfino contenta di farsi mettere alla prova dalle restrizioni e ricordarsi così del muscolo atrofizzato chiamato "superamento delle difficoltà" , la vita dei charedìm è già oberata da leggi e obblighi che provengono dall'alto, e non rimane quasi spazio per le leggi umane. Loro non devono provare a sé stessi che sono capaci di resistere alle restrizioni.
   Non è possibile isolare la coscienza charedì dal pesante vissuto storico che si porta dietro. La memoria ebraica europea è piena di pogrom, crociate ed epidemie. Generazioni di comunità hanno osservato con attenzione e a ogni costo precetti e usanze, anche quando questo comportava il suicidio, come nella Comunità di Francoforte sul Meno, durante i tumulti della peste nera.
   Quando si presenta una disgrazia, l'istinto charedì urla: "Va' e raduna tutti gli ebrei" (Libro di Ester NdT) nelle aule di studio e nelle sinagoghe. Esattamente il contrario di quello che viene a loro richiesto oggi. Questo etos ha forgiato un ebraismo superiore alla natura, capace di vincere la natura. Per questo anche il problema dell'immersione rituale mensile che ha investito il sionismo religioso, ha preoccupato molto meno i charedìm. Si fa e basta. È questa l'abnegazione di rabbì Akivà, che recita "Quando mai mi capiterà più l'osservanza di questo precetto (del sacrificio della vita NdT) per poterlo osservare". Come i combattenti delle unità di elite che corrono incontro al fuoco avversario dopo infinite esercitazioni.
   Il dialogo con lo Stato è per loro complesso. Concetti come "pericolo collettivo di vita" e un senso dello Stato capace di conferire peso alle decisioni critiche dei funzionari dello stato sono adatti alla visione sionista-religiosa. I charedìm temono invece l'obbedienza cieca all'autorità statale. Se oggi intrattengono un dialogo col ministero della salute, domani dovranno farlo col ministero della difesa che gli parlerà di arruolamento. Le istruzioni del ministero della salute negli Usa e le notizie da Brooklin sono molto più convincenti delle indicazioni che provengono da qui. E anche se la "Opinione della Torà" si può sottomettere ad esperti esterni, dove viene tracciato il confine? E che cosa ne rimarrà del precetto di "Ascoltare la voce dei Maestri"?
   Dopo tutto questo saltano fuori oggi i primi segni di autocritica e di riflessione. Sempre più charedìm oggi capiscono che l'invalidità volontaria che si è inflitta la comunità charedì in interi settori della vita umana comporta prezzi molto pesanti. La pista di atterraggio dell'astronave immaginaria che risponde al nome di "società degli studiosi (di Torà Ndt)" è complessa e spinosa come nessun'altra. Solo i charedìm possono tracciarla e indirizzare quindi le loro comunità verso comportamenti di vita più bilanciati e integrati.
   Quello di cui avrebbero bisogno da parte della società israeliana è solidarietà e riconoscimento culturale. Come abbiamo visto in altri campi, come servizio militare e impiego, quando il messaggio che loro ricevono è composto per lo più da odio, paura e polizia, i normali meccanismi di difesa e di chiusura a riccio si attivano con forza e provocano solo l'innalzamento di muri.

(Kolot, 17 aprile 2020 - trad. D. Piazza)



Ultraortodossi e liberal

Tra
gli ebrei ultraortodossi
che mi tirano le pietre
se soltanto faccio il nome di Gesù
e
gli ebrei liberal
che vogliono inserire Gesù
tra i predicatori dell’amore universale
scelgo senza esitazione i primi.
M.C. 

 


Il governo israeliano testa sensori radar intelligenti per rilevare sintomi da Sars-Cov-2

GERUSALEMME - Il ministero della Difesa israeliano sta collaborando con una start-up locale, Vayyar Imaging, specializzata nelle immagini radar 4D per rilevare e monitorare da remoto i sintomi della fase iniziale del contagio da Sars-Cov-2 attraverso dei sensori. Lo riferisce il quotidiano "Jerusalem Post". La start-up israeliana con sede a Yehud, sta lavorando con la Direzione ricerca e sviluppo del ministero della Difesa e con l'Istituto medico navale per adattare i "sensori intelligenti" sviluppati dall'azienda per il rilevamento e il monitoraggio a distanza di segnali vitali che indicano i sintomi della Covid-19. I sensori, che, secondo la Vayyar Imaging sono in grado di monitorare le pulsazioni, la variabilità della frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria senza la necessità di un contatto, sono adatti per essere collocati in case, ospedali, fabbriche, centri di trasporto pubblico e valichi di frontiera.
   I test su due sistemi di monitoraggio equipaggiati con i sensori Vayyar, condotti dal ministero della Difesa, hanno analizzato con successo i dati vitali dei pazienti, ha reso noto la società. "Vayyar sta usando la tecnologia dei sensori per aiutare a combattere la diffusione dell'infezione e anche per fornire soluzioni di sicurezza quando le restrizioni sul distanziamento sociale inizieranno ad attenuarsi", ha dichiarato il direttore del marketing di Vayyar, Malcolm Berman. "I nostri sistemi di monitoraggio della salute possono fornire un controllo da remoto e senza contatti dei sintomi nella fase iniziale, riducendo al contempo l'interazione faccia a faccia, e possono essere utilizzati in diversi tipi di ambienti", ha aggiunto.
   All'interno degli ospedali, afferma la società, i sensori intelligenti possono monitorare i sintomi senza esporre il personale o contaminare le attrezzature. I sensori possono anche essere collocati nei centri medici e nei pronto soccorso per uno screening rapido e senza contatto.

(Agenzia Nova, 17 aprile 2020)


Israele, quattro minuti per il tampone sul Covid-19 e meno di 24 ore per il risultato

Il rivoluzionario stand collaudato e installato a Tel Aviv nel cortile della sede di Giaffa della clinica Maccabi

di Fabiana Magrì

 
Lo stand mobile e asettico per il test sul Covid-19
TEL AVIV - Quattro minuti per il tampone e meno di 24 ore per il risultato sotto forma di cartella clinica elettronica. Il rivoluzionario stand, mobile e asettico, dove sottoporsi al test per Covid-19, è stato collaudato e installato a Tel Aviv nel cortile della sede di Giaffa della clinica Maccabi. L'innovativa cabina ospita al suo interno un operatore sanitario che, completamento isolato dal paziente potenzialmente infetto, attraverso un vetro, impugna le provette e manovra i tamponi con guanti da laboratorio che si estendono verso l'esterno. Tra un paziente e l'altro, l'infermiere è in grado di disinfettare rapidamente le superfici di appoggio senza uscire dalla postazione. Ogni singola cabina può sostenere un ritmo fino a 100 tamponi al giorno.
   Il servizio è a disposizione degli iscritti alla cassa nazionale di assistenza sanitaria israeliana Maccabi - oltre 2,4 milioni di assicurati - che possono prenotare un appuntamento dopo aver ottenuto la prescrizione del medico di famiglia, in base alla presenza di sintomi da coronavirus. Ispirato a un progetto sudcoreano ma notevolmente perfezionato, "la nuova cabina di campionamento è stata completata in meno di una settimana da Maccabi e IM Segev Industries, con l'aiuto dell'Associazione dei produttori israeliani - ha spiegato Deborah Hasid, direttrice del Distretto centrale del Maccabi - ed è una risposta all'urgente necessità di test sicuri ed efficienti in Israele e nel mondo". L'amministratore delegato della cassa mutua israeliana Ran Sa'ar fa sapere che il Maccabi è disponibile a condividere il progetto con qualsiasi organizzazione sanitaria locale e internazionale.
   Contemporaneamente, un'altra cassa di assistenza sanitaria israeliana, Meuhedet, ha messo in circolazione un veicolo speciale chiamato "Corona-Van" per aumentare l'accessibilità dei tamponi per i suoi 250 mila iscritti. Il meccanismo di prescrizione e appuntamento è lo stesso attuato da Maccabi, ma in questo caso è la stazione per i test che arriva fino a casa del paziente. Dall'inizio della settimana, il Corona-Van ha già fatto sosta in dieci città nel distretto settentrionale di Israele tanto che Meuhedet sta lavorando per aumentare il numero di mezzi.

(La Stampa, 17 aprile 2020)


Nessun accordo Netanyahu-Gantz. Nuove elezioni sempre più vicine

di Giordano Stabile

La grande coalizione fra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz è andata in pezzi prima ancora di cominciare, Israele resta senza un nuovo governo e teme di dover affrontare una quarta elezione anticipata, in piena estate e in piena epidemia. E' una prospettiva poco allettante ma che, sondaggi alla mano, non dispiace all'uomo ancora al centro della scena politica, "King Bibi". Se si votasse oggi il premier otterrebbe la maggioranza di centrodestra. E' da vedere se fra tre mesi sarà ancora così, ma la tentazione è fortissima e ha spinto Netanyahu a irrigidire le sue posizioni nella trattativa con Gantz, fino alla rottura di ieri. A quel punto il capo dello Stato Reuven Rivlin ha deciso di tagliare netto. E ha affidato alla Knesset il compito di trovare una maggioranza.

 La palla al parlamento
  Sarà premier chi riuscirà a mettere assieme almeno 61 deputati in Parlamento, entro 14 giorni. Il centrodestra parte favorito, con 58 seggi conquistati, più un 5gesimo deputato, Orli Levi-Abekasis, eletto nelle file del Labor-Meretz, cioè nella coalizione di centrosinistra guidata da Gantz, è passata dall'altra parte. Il "trasformismo" è una malattia anche israeliana. Anche perché l'alleanza elettorale di Gantz è a pezzi. Pur di arrivare a un governo di unità nazionale l'ex capo delle Forze armate ha bruciato i ponti alle sue spalle, si è fatto eleggere presidente della Knesset con i voti del Likud e ha spaccato il suo stesso partito, Kahol Lavan. Dei 33 deputati gliene sono rimasti 15. La mossa doveva spianare la strada all'accordo, con una staffetta alla guida del governo. Per i primi 18 mesi sarebbe rimasto premier Netanyahu, poi sarebbe toccato a lui.Le trattative si sono però di colpo complicate. Netanyahu si è impuntato sulla Giustizia, e ha chiesto di allargare le competenze del governo nella nomina dei giudici. Una rottura istituzionale dal punto di vista di Gantz, perché il premier dovrà affrontare a fine maggio la prima udienza nel processo che lo vede accusato di corruzione e abuso di ufficio. Non c'è stato nulla da fare. Ora restano 14 giorni per trovare una maggioranza. A "King Bibi" bastano altri due deputati e ha già due nomi sulla lista della spesa, Yoaz Hendel e Zvi Hauser, esponenti dell'ala destra di KaholLavan, il partito di Gantz. Se riesce a convincerli sarà l'ennesimo capolavoro politico. E la beffa suprema per l'ex generale. Altrimenti si andrà al voto in un clima di fuoco, in un redde rationem definitivo.

(La Stampa, 17 aprile 2020)


Mediterraneo, il deserto israeliano trasformato in orto

 
Vigne della Boker Valley Farm nel Negev
PALERMO - Il Negev, in Israele, è un vastissimo deserto arido e inospitale. Eppure dopo anni di studi e sperimentazioni i ricercatori israeliani sono riusciti a trasformarlo in una delle principali zone agricole del paese, con una produzione varia e molto ricca. Ora studenti e imprenditori agricoli arrivano da tutto il mondo per apprenderne i segreti ed esportarne le tecniche. "L'orto nel deserto" è il titolo del reportage che aprirà la prossima puntata di Mediterraneo, la rubrica nazionale della TgR in onda domenica alle 12,25 su RaiTre.
   Quindi un viaggio lungo la costa occidentale del Portogallo, dove un piccolo borgo di pescatori è diventato da un decennio il paradiso degli appassionati di surf. Il lungo litorale offre vaste spiagge isolate e soprattutto l'oceano con onde alte fino a trenta metri. La costa custodisce anche alcune preziose testimonianze architettoniche.
   Poi in sommario la visita a un museo insolito, quello del sapone ricavato dall'olio di oliva. Le origini risalgono alle tradizioni mediorientali. L'esposizione è stata allestita da due fratelli a Sciacca, in Sicilia, in un vecchio palmento restaurato, al centro dell'azienda agricola di famiglia.
   Infine, dalle teche di Mediterraneo, la festa con le musiche del mondo ad Arles, in Francia. Il regista Tony Gatlif ha riunito tutti "i ritmi che parlano al cuore", da Madrid ai Balcani.

(ANSA, 17 aprile 2020)


«Scienza, religione del nostro tempo»

La nostra società era malata, non nel senso medico, ma umanamente e politicamente.

Tradimento
«Non si rendono conto di violare non solo i principi della nostra costituzione ma anche quelli della semplice umanità?»
Status
«In realtà noi italiani siamo abituati a vivere da decenni in perenne stato di emergenza. Il terrore è un deterrente decisivo»
Libertà negata
«La democrazia non è a rischio ma da tempo si è trasformata in qualcosa che i politologi americani chiamano security state»

Giorgio Agamben, filosofo, assieme a Vittorio Sgarbi è una delle poche voci della cultura italiana critiche verso gli arresti domiciliari degli italiani, causa coronavirus, e verso la sospensione delle loro libertà per decreto. Noi de "Il Tempo" lo abbiamo intervistato.

- L'Italia ormai è un paese governato dai virologi, la politica ha delegato ogni responsabilità alla scienza, causa coronavirus. Le pare normale?
  «La scienza è diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere e, come avviene in ogni religione, il confine che la separa dalla superstizione è molto sottile. Se ho detto 'credono di credere' è perché ciò che la gente comune riceve dalla scienza è ancora più vago e approssimativo di quello che i bambini ricevevano dal catechismo. Chiunque abbia qualche nozione di epistemologia non può, ad esempio, non essere sorpreso dal modo in cui vengono fornite le cifre dei decessi, non soltanto senza metterle in rapporto con la mortalità annua nello stesso periodo, ma senza nemmeno precisare le cause effettive della morte. In ogni caso affidare decisioni che in ultima analisi sono politiche a dei medici e a degli scienziati è estremamente pericoloso.
  Gli scienziati perseguono i loro fini, giusti o sbagliati che siano, e non sono disposti a fermarsi per considerazioni di ordine etico, giuridico o politico. Devo ricordare che scienziati considerati all'epoca assolutamente seri hanno approfittato dei lager nazisti per poter eseguire esperimenti letali che non era possibile eseguire altrimenti su esseri umani e che essi ritenevano di dover fare nell'interesse della scienza? Come spiegare altrimenti che un virologo che ha delle gravi responsabilità nella situazione che si è creata in Italia abbia potuto proporre che tutti gli individui sani positivi al covid-19 siano sequestrati dalle loro abitazioni e chiusi in qualcosa che non si può definire altrimenti che in celle di isolamento? È possibile che non si renda conto di stare violando in questo modo non soltanto tutti i principi della nostra Costituzione e del nostro ordinamento giuridico, ma anche la semplice umanità? E come è possibile che non vi sia nessun giurista e nessun giudice che abbia levato la sua voce per ricordarglielo».

- Come è potuto accadere quello che stiamo vivendo, la sospensione delle libertà ed il vivere nella paura? Solo per il terrore di morire?
  «In verità noi siamo abituati da decenni a vivere in un perpetuo stato di emergenza. Come lei sa, i decreti di urgenza, di cui si è servito il governo, sono nel nostro paese il sistema normale di legislazione, attraverso il quale il potere esecutivo si è sostituito al potere legislativo, abolendo di fatto quella divisione dei poteri che definisce la democrazia. In questo caso, il terrore irresponsabilmente sparso dai media è stato uno dei fattori determinanti. L'altro è la trasformazione della rappresentazione del nostro corpo per effetto della medicalizzazione crescente. La scienza ci ha abituati da tempo a scindere l'unità della nostra esperienza vitale, che è sempre insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica da una parte e in una vita affettiva, culturale e sociale dall'altra. Si tratta di un'astrazione, ma di un'astrazione che la scienza moderna ha realizzato attraverso i dispositivi di rianimazione, che, come lei sa, possono mantenere anche a lungo un corpo in uno stato di pura vita vegetativa. Quello che sta avvenendo oggi è che questa condizione, che ha senso solo se rimane nei limiti spaziali e temporali che le sono propri, è uscita dalla camera di rianimazione per imporsi come una sorta di principio di organizzazione sociale. Più in generale, credo che quello che la situazione che stiamo vivendo ci fa toccare con mano è che la nostra società era malata non in senso medico, ma umanamente e politicamente e che da qualche parte, senza rendersene conto, lo sapeva. Solo questo può spiegare che milioni di uomini abbiano accettato di sentirsi appestati. Evidentemente, in un altro senso, lo erano veramente».

- Il filosofo francese Michel Foucault aveva messo in guardia, nei suoi scritti, sul potere della scienza: non crediamo più in Dio e crediamo nei virologi?
  «La Chiesa, trasformandosi in una ancella della scienza, ha tradito i suoi principi essenziali. Ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi, che visitare gli ammalati è una delle opere della misericordia, che lasciar morire degli uomini senza i funerali è inumano, che i sacramenti si possono conferire solo in presenza».

- Il fatto che non ci sia una fine a questa emergenza, perlomeno una fine indicata dalla politica che per decreto ha sospeso le nostre libertà, non mette a rischio la democrazia?
  «La democrazia non è a rischio, si è già da tempo trasformata in qualcosa che i politologi americani chiamano Security state, in cui ogni esistenza politica diventa di fatto impossibile e, attraverso l'onnipervasiva dizione 'per ragioni di sicurezza', siamo stati gradatamente abituati a rinunciare alle nostre libertà. Una situazione come questa che stiamo ora vivendo non fa che spingere all’estremo dispositivi di controllo che erano già presenti e che ci faranno apparire come innocenti i dispositivi degli stati totalitari, che del resto, com'è avvenuto per la Cina, vengono additati a modello. Occorre che la gente si renda conto che misure di controllo come esistono oggi non sono esistite sotto il fascismo. Ed è chiaro che non si tratta di un' emergenza temporanea, dal momento che le stesse autorità che ora ci impediscono di uscire di casa, non si stancano di ricordarci che anche quando l'emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il 'distanziamento sociale', come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società. Quella che si sta preparando è non una società, ma una massa disgregata i cui membri dovranno tenersi a distanza per evitare il contagio, ma di fatto per rendere impossibile non solo l'amicizia, l'amore e le altre relazioni umane, ma soprattutto quella che un tempo si chiamava la vita politica. Ma non si vede con quali dispositivi giuridici queste misure potranno essere imposte in modo stabile. Con uno stato di eccezione permanente?».

(Il Tempo, 17 aprile 2020)


Via libera all'app, si chiamerà "Immuni". Ma scaricarla non sarà obbligatorio

«Non ci sarà bisogno di introdurre l'obbligo per Il vaccino contro il Coronavirus perché la gente ha sperimentato cosa significa avere paura dl una malattia". Cosi Walter Ricciardi, componente Oms e consigliere del ministro Speranza.

di Giovanna Vitale

 
ROMA - Si chiamerà "Immuni" l'app di contact tracing necessaria a tenere sotto controllo la diffusione del virus durante la Fase 2. Il commissario straordinario per l'emergenza sanitaria Domenico Arcuri ha firmato ieri l'ordinanza n.10 con cui dispone di "procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d'uso sul software e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons", la quale si occuperà anche degli aggiornamenti necessari nel corso dei prossimi mesi.
   Si tratta del progetto - sviluppato insieme al Centro medico Sant'Agostino e a Jakala - selezionato dal gruppo di 74 esperti insediato al dicastero dell'Innovazione, proposto al premier dalla ministra Paola Pisano lo scorso 10 aprile e ora sottoposto al vaglio del team Colao. Immuni, che non sarà obbligatoria ma scaricabile solo in modo volontario, si compone di due parti. La prima è un sistema di tracciamento dei contatti che sfrutta la tecnologia Bluetooth. Attraverso il Bluetooth è possibile rilevare la vicinanza tra due smartphone nell'arco di un metro e di ripercorrere a ritroso tutti gli incontri di una persona risultata positiva al Covid-19, così da poter rintracciare e isolare i potenziali contagiati.
   Una volta scaricata, infatti, la app conserva. sul dispositivo una lista di codici identificativi anonimi di tutti gli altri dispositivi che ha incrociato. Quando il cittadino ha la conferma di essere stato infettato, riceve dall'operatore sanitario un codice attraverso il quale scaricare su un server i dati raccolti dalla sua app, inclusa la lista anonima delle persone a cui è stato vicino nell'ultimo periodo. A questo punto il server calcola il rischio che corre ogni contatto in base alla vicinanza e al tempo di esposizione al virus. Generando un elenco di persone da avvertire mediante notifica da inviare sullo smartphone. E anche se non è prevista un'opzione di tracciamento con il gps, come Colao avrebbe preferito, implementarla non dovrebbe essere complicato.
   Dopodiché la app ha anche una seconda funzione, quella di diario clinico. Esiste cioè anche una sezione contenente tutte le informazioni più rilevanti del singolo utente (sesso, età; malattie pregresse, assunzione di farmaci) da aggiornare in maniera costante con eventuali sintomi e cambiamenti sullo stato di salute.

(la Repubblica, 17 aprile 2020)


«Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia!" e la mattina dite: "Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!" L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?"» (Matteo 16:3).


L'Autorità Palestinese e al-Fatah accusano Israele. "Infettano i palestinesi con il Coronavirus"

di Paolo Castellano

In queste ore l'Autorità Palestinese e al-Fatah stanno accusando pubblicamente Israele di infettare "volontariamente" i palestinesi per danneggiarli economicamente e socialmente. Israele ha risposto immediatamente alle teorie complottiste degli esponenti palestinesi invitandoli a smettere di condividere false accuse.
  Gerusalemme ha fatto sapere che se "l'incitamento anti-israeliano" non si fermerà, lo Stato ebraico "prenderà provvedimenti", riducendo la cooperazione sulla sicurezza e sospendendo i rapporti diplomatici con i funzionari dell'Autorità Palestinese. Di rimando, gli esponenti palestinesi hanno respinto l'appello israeliano, continuando ad insistere sulla retorica anti-israeliana e complottista. Lo riporta il Times of Israel.

 L'attacco dell'Autorità Palestinese a Israele durante la pandemia
  Le prime dichiarazioni palestinesi sugli "israeliani orchestratori della pandemia" sono state diffuse il 13 aprile. Gli alti funzionari dell'Autorità Palestinese (AP) hanno accusato Israele di essere il responsabile di una "premeditata diffusione" del Covid-19 in Cisgiordania. Il primo ministro dell'AP, Mohammad Shtayyeh, ha ribadito queste teorie durante una conferenza stampa: «Non ci inchineremo al ricatto in nessuna forma».
  Oltre a tutto ciò, il Ministero della Salute della AP ha etichettato Israele come "lo stato occupante" nei suoi report sanitari sui casi confermati di Coronavirus in Cisgiordania. Secondo alcune statistiche diramate da Keshet 12, un canale all-news israeliano, quasi il 75% dei casi palestinesi di Covid-19 sono stati riscontrati nella classe lavoratrice che ogni giorno varca la frontiera israeliana per raggiungere il proprio luogo di lavoro. I politici palestinesi hanno dunque utilizzato questo dato per corroborare i loro messaggi anti-israeliani, sostenendo che Israele stia "contagiando volontariamente i palestinesi". Le calunnie hanno raggiunto anche i soldati dell'Israel Defence Force. In questo momento, sta infatti circolando un video in cui c'è un soldato che sputa per terra. "Ecco la prova dell'avvelenamento del popolo palestinese!", urla la propaganda della AP.

 Al-Fatah dà manforte al complottismo palestinese su Israele
  Il movimento politico e paramilitare al-Fatah, guidato dal presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, ha detto che "l'occupazione israeliana" sta spargendo il Coronavirus tra la popolazione residente in Cisgiordania, facendo riferimento anche alla condizione di occupazione di Gerusalemme. Lo riporta Israel National News.
  Queste frasi sono contenute all'interno di una dichiarazione rilasciata il 13 aprile da Osama Al-Qawasmi, membro del consiglio rivoluzionario di al-Fatah. Al-Qawasmi ha sostenuto che "il governo occupante" (Israele) ha "facilitato" la diffusione del Covid-19 nelle città della Giudea e della Samaria, colpendo i lavoratori arabi palestinesi che non rispettavano i requisiti minimi sanitari. «Lo stato di occupazione prende provvedimenti nei confronti dei palestinesi ma prende tutte le misure di sicurezza per i suoi cittadini».
  «Israele ha fatto entrare con facilità i lavoratori palestinesi ma si è rifiutato di sottoporli a tamponi per controllare se avessero il Coronavirus prima che rientrassero nel territorio dell'Autorità Palestinese», ha dichiarato l'esponente di al-Fatah, accusando lo Stato ebraico di razzismo e di segregazione.

 Israele insieme al suo esercito sta aiutando i palestinesi
  Da settimane l'IDF sta inviando aiuti umanitari nei territori palestinesi per dare un supporto alle popolazioni che stanno affrontando l'emergenza Covid-19.
  Il 5 aprile l'IDF ha pubblicato sul suo account Twitter il seguente massaggio: «L'IDF continua a lavorare con l'Autorità Palestinese con l'obiettivo di fare tutto il possibile per fermare la diffusione del Covid-19 in Giudea e Samaria. Stiamo anche rendendo più facile il trasferimento di materiale medico essenziale nella Striscia di Gaza».

(Bet Magazine Mosaico, 16 aprile 2020)


Coronavirus: El Al rischia la chiusura

La compagnia di bandiera di Israele chiede allo Stato 350 mllioni di dollari

La compagnia di bandiera israeliana El Al è a rischio chiusura se lo Stato non interverrà subito con un aiuto economico di 350 milioni di dollari (circa 322 milioni di euro). Lo ha annunciato la stessa azienda a fronte della crisi da coronavirus che ha bloccato gran parte dei viaggi internazionali e del tutto quelli in Israele. A causa della crisi il 95% dei circa 6500 impiegati della compagnia attualmente sono senza lavoro, con la maggior parte in cassa integrazione e circa un migliaio licenziati.

(ANSAmed, 16 aprile 2020)


Israele non ce la fa

Dopo tre elezioni in meno di un anno - e innumerevoli tentativi di formare un governo - è fallita anche la possibilità di fare un governo di unità nazionale per affrontare l'epidemia

 
Ieri a mezzanotte è scaduto il mandato esplorativo che il presidente israeliano Reuven Rivlin aveva dato a Benny Gantz per trovare un accordo con il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu per formare un governo di unità nazionale. Gantz, che è anche presidente del parlamento israeliano, la Knesset, aveva chiesto a Rivlin altre due settimane di tempo per continuare a discutere con Netanyahu, a causa dei rallentamenti delle trattative, ma Rivlin ha negato questa possibilità.
  A questo punto, la Knesset ha 21 giorni di tempo per trovare una nuova maggioranza al suo interno prima che venga sciolta e che si vada a nuove elezioni, per la quarta volta in poco più di un anno. Durante le prossime tre settimane, qualsiasi parlamentare che raccolga l'appoggio di almeno 61 colleghi potrà ricevere il mandato di formare un governo entro 14 giorni dalla presentazione delle firme.
  L'elezione di Gantz a presidente della Knesset e la decisione di cercare di trovare un accordo per governare con il Likud (il partito di Netanyahu) aveva fatto molto discutere nelle scorse settimane: Gantz era riuscito a ricevere l'appoggio di diversi partiti e quindi il mandato di formare un governo, ma alla fine le divisioni all'interno del blocco all'opposizione avevano reso difficili i negoziati. Così Gantz e i parlamentari del suo partito Blu e Bianco - più vicini al Likud che alla sinistra, per storia personale e sensibilità politiche - avevano accettato di entrare in una maggioranza di governo con Netanyahu e il blocco della destra nazionalista e religiosa. La decisione era stata giustificata anche con la necessità di avere un governo di unità nazionale per gestire l'epidemia da coronavirus.
  Le trattative tra i due partiti però si sono arenate sulla possibilità che Netanyahu venga ritenuto colpevole nel processo a suo carico per truffa e corruzione, il cui inizio era previsto per metà marzo ma che è stato rinviato al 24 maggio in seguito alla sospensione di tutte le attività dei tribunali per via del coronavirus. Una prima opzione è che Blu e Bianco e il Likud trovino in questi 21 giorni l'accordo che finora non erano riusciti a stringere. L'accordo, scrive Haaretz, prevederebbe che Netanyahu e Gantz si alternino alla guida del governo, con il primo che dovrebbe rimanere primo ministro per 18 mesi e il secondo che prenderebbe il suo posto nell'ottobre del 2021.
  Un'altra possibilità è che Netanyahu raccolga attorno a sé una maggioranza di destra che possa fare a meno dei voti di Blu e Bianco. Ha già ricevuto l'appoggio di Orly Levy-Abekasis, che ha lasciato la coalizione socialdemocratica con cui era stata eletta in seguito all'appoggio da parte degli araboisraeliani di Lista Unita a un governo formato da Gantz. E Netanyahu potrebbe inoltre contare anche sui parlamentari di Blu e Bianco scontenti dall'operato di Gantz: al momento, tuttavia, secondo Haaretz la sua maggioranza si fermerebbe a 59 parlamentari, due in meno di quelli necessari per avere la maggioranza.
  C'è poi la possibilità che si formi una maggioranza delle opposizioni al Likud, anche se sembra improbabile al momento che Gantz ammetta di aver sbagliato a cercare di formare un governo con Netanyahu e torni sui suoi passi. Un'ulteriore opzione è che Blu e Bianco e Likud si mettano d'accordo per scegliere come primo ministro un parlamentare di Likud che non sia Netanyahu, evitando quindi tutti i possibili scenari legati al processo in corso. Nemmeno questa sembra una strada percorribile, anche perché Netanyahu ha il pieno controllo del suo partito e non sembra ci sia nessuno in grado di sfidarlo.
  L'ultima opzione è che alla fine di questi 21 giorni si vada a nuove elezioni: a Netanyahu non dispiacerebbe, visti i sondaggi molto favorevoli di cui gode in questo periodo per come ha affrontato la crisi generata dalla pandemia da coronavirus. Potrebbe infatti ottenere una maggioranza larga abbastanza per governare senza doversi accordare con Blu e Bianco. Non è detto però che da qui al giorno del voto le cose rimangano come sono: il coronavirus potrebbe avere grosse ripercussioni sull'economia israeliana e il sostegno di cui gode Netanyahu al momento potrebbe cambiare rapidamente. Per questo ancora adesso un tentativo di un accordo tra Likud e Blu e Bianco sembra la strada più facilmente percorribile in questi 21 giorni.

(il Post, 16 aprile 2020)


L'esperto israeliano è sicuro: «Non dura più di 70 giorni»

I calcoli del presidente del Consiglio per la ricerca

di Carlo Nicolato

Isaac Ben-Israel
Tutte le azioni di contenimento spinto del contagio sono pressoché inutili, in quanto non hanno un'effettiva influenza sulla diffusione del virus e sono dannose per l'economia: il Covid-19 raggiunge il suo picco in 40 giorni e in 70 sparisce. Parola di Isaac Ben-Israel, capo del programma di studi sulla sicurezza dell'Università di Tel Aviv, presidente del Consiglio nazionale per la ricerca e lo sviluppo e numero uno dell'Agenzia spaziale israeliana. Secondo tale teoria, dunque, il Coronavirus ha i giorni contati, o per meglio dire ha in sé una specie di timer che lo disattiva in un determinato limite di tempo, e se i calcoli sono giusti in Italia dovrebbe attenuarsi gradualmente nei prossimi 15 giorni, fino a sparire del tutto a inizio maggio.
  Eccessivo ottimismo? Una bufala, un calcolo meramente matematico che non tiene conto della storia dei virus e in particolar modo di uno particolarmente contagioso come il Covid-19? Va subito detto che Isaac Ben-Israel non è ovviamente un virologo, né un epidemiologo, né tantomeno un medico, e infatti la categoria non l'ha preso troppo sul serio, anzi lo ha stroncato accusandolo di diffondere false speranze che possono rivelarsi controproducenti e dannose.

 Numeri e statistiche
  Allo stesso tempo, però, Isaac Ben-Israel non è nemmeno l'ultimo arrivato: non è solo il numero uno della ricerca in Israele, è un fisico-matematico di fama ed esperienza al quale il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affidato le sorti del National Cyber Bureau in quanto lui stesso, anche negli Stati Uniti (vedi l'autorevole rivista Forbes) viene considerato il padre della sicurezza informatica del Paese. Una cosa non da poco per Israele, che esporta il 10 per cento di tutto il mercato mondiale della sicurezza informatica. Isaac Ben-Israel è dunque uno che ha una certa dimestichezza con i numeri e le statistiche, e il fatto che non sia un virologo o un epidemiologo, viste poi le contraddittorie indicazioni che ci arrivano da quel settore di esperti, potrebbe essere ininfluente. O almeno ci consente di sperare in una soluzione che non sia semplicemente quella di stare in casa ad aspettare e sperare in non si sa cosa.
  Le ottimistiche previsioni di Isaac nascono semplicemente dall'osservazione di quello che sta succedendo in Israele e altrove nel mondo, come in Italia, negli Usa ma anche a Singapore, Taiwan e Svezia, Paesi dove non sono stati imposti lockdown paragonabili ai nostri. In tutti i casi, sostiene lo studio realizzato in collaborazione con il professor Ziegler del Technion-Israel Institute of Technology e Ronnie Yefarah, risulta evidente che il picco dell'epidemia avviene dopo circa 40 giorni dalla prima diffusione e diminuisce quasi a zero dopo 70 giorni, indipendentemente da dove colpisce, e indipendentemente dalle misure che i governi impongono per provare a contrastarlo.
  Parlando all'emittente televisiva Channel 12, il professore ha spiegato che in Israele «l'incidenza dei pazienti è stata maggiore di giorno in giorno nelle prime quattro settimane dopo la scoperta dell'epidemia». Che «successivamente l'aumento del numero di pazienti è stato moderato, raggiungendo un picco nella sesta settimana con 700 pazienti al giorno».

 Troppo drastiche
  «Da allora è in calo - ha concluso Isaac Ben- Israel, - e oggi ci sono solo 300 nuovi pazienti. Mentre tra due settimane raggiungerà lo zero e non ci saranno più nuovi pazienti».
  «È così in tutto il mondo - ha aggiunto, - sia nei Paesi in cui sono state adottare misure di chiusura come l'Italia, che negli altri dove non hanno attuato chiusure come Taiwan e Singapore».
  Questo non vuol dire che le misure igieniche e di distanziamento siano del tutto inutili, ma lo sono invece quelle drastiche che prevedono la sospensione di quasi tutte le attività lavorative. Che anzi sono dannose per l'economia, e prefigurano un futuro drammatico «anche per le conseguenze che ne deriveranno sullo stesso sistema sanitario».
  D'altro canto, rispondendo al modello presentato, il direttore generale del Tel Aviv Sourasky Medical Center Gabi Barbash, presente in studio durante la trasmissione, ha auspicato che «non siano i matematici, che non sanno nulla di biologia, a determinare i tempi del blocco». E ha aggiunto che «dovremo convivere con il coronavirus anche il prossimo anno».

(Libero, 16 aprile 2020)


Tel Aviv, in un parco cittadino arrivano gli sciacalli

Decine di sciacalli "padroni" di un parco giochi dedicato, normalmente, al jogging e al riposo per le famiglie. Come riporta Ansa la scena arriva da Tel Aviv, cuore economico di Israele. Gli animali, solitamente timidi, vagano liberamente tra le palme e attraverso l'erba di Hayarkon Park, lo scorso anno teatro del concorso musicale Eurovision. Di solito gli sciacalli si avventurano fuori dalle loro tane o dai cespugli di notte nelle aree più appartate del parco per cercare gli scarti lasciati dai visitatori, ha detto lo zoologo Yariv Malichi. "Ma una volta che porti via la spazzatura che le persone lasciano nel parco, gli sciacalli hanno un problema: hanno bisogno di trovare un'altra fonte di cibo", ha spiegato.

(nelcuore.org, 16 aprile 2020)


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