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Notizie 16-29 febbraio 2016


Oltremare - Eurovisione

di Daniela Fubini, Tel Aviv

L'Eurovisione è qualcosa che non occupa molti dei pensieri dell'italiano medio, perfino di quelli che invece disdicono serate di gala e mangiano davanti alla televisione ogni sera durante la lunghissima settimana del Festival di Sanremo. D'altra parte forse è stato un bene disabituare gli italiani all'Eurovisione: mandare canzoni di ottimo livello a gareggiare significa esporsi al pericolo - in caso di vittoria - di dover ospitare la gara l'anno successivo.
In Israele invece, l'Eurovisione è un luogo di meraviglia e musica colorata, portatore di leggerezza e di vittorie molto desiderate. Soprattutto, ha la parola Europa nel nome. E come per gli sport, Israele ha la forte tendenza a entrare nelle competizioni europee, visto che quelle contro i vicini mediorientali potrebbero portare agli sportivi come ai cantanti pericoli ben piu' gravi del dover riempire un paio di palasport di gente e palloncini multicolori. Israele l'isola, si trova bene come cittadina temporanea mezzo alla antica patria di quasi metà della sua popolazione. Ne capisce le lingue, ne invidia la raffinatezza e la gastronomia.


(moked, 29 febbraio 2016)


La campagna per il boicottaggio di Israele entra anche nelle università tedesche

Venerdì 18 marzo l'Università della Ruhr di Bochum ospiterà Salah Al-Khawaja, membro dell'esecutivo del comitato nazionale palestinese BDS. Il messaggio antisraeliano per il Centro Simon Weisenthal è una "pillola avvelenata, antisemita e contro la pace".

di Gabriele Carrer

Venerdì 18 marzo l'Università della Ruhr di Bochum, una delle più importanti istituzioni accademiche pubbliche tedesche, ospiterà una conferenza sul boicottaggio di Israele. A parlare di boicottaggio, sanzioni e disinvestimento (BDS) interverrà Salah Al-Khawaja, membro dell'esecutivo del comitato nazionale palestinese BDS, che parlerà della "resistenza civile palestinese contro le forze d'occupazione israeliane e le politiche dei coloni, così delle campagne Stop The Wall e BDS". È quanto si apprende dal sito di notizie Ruhrbarone che venerdì ha titolato "Pubblicità per il boicottaggio ebraico all'Università della Ruhr". L'evento è stato organizzato dal "Gruppo di lavoro sulla Palestina".
   Al-Khawaja, attivista nato nel villaggio di Ni'lin vicino a Ramallah, ha più volte attaccato le organizzazioni internazionali immobili davanti "all'aggressione quotidiana contro i luoghi santi e dei territori palestinesi" promossa dalle "forze di occupazione" israeliane. Il suo tour tedesco toccherà anche la città di Amburgo, dove sarà ospite lunedì 14 marzo dell'associazione BDS locale per un incontro presso la Curio-Haus.
   A spaventare ancora più le comunità ebraiche locali è un precedente scomodo per l'ateneo. Presso la stessa università ha infatti studiato il 26enne neo-nazista di Dortmund Michael Bruck, membro di punta del partito estremista Die Rechte nella Renania settentrionale-Vestfalia, già noto alle cronache sportive come ultras violento e per questo espulso da molti stadi tedeschi. Bruck gestisce il antisem.it, un e-commerce per il neo-nazista perfetto, dove è possibile acquistare adesivi, bandiere, magliette, CD e DVD.
   La campagna di BDS, già definita dal Centro Simon Weisenthal "pillola avvelenata, antisemita e contro la pace", ha da tempo dichiarato i suoi obiettivi quello di "porre fine all'occupazione israeliana e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e lo smantellamento del muro". A ciò si aggiungono le richieste di "riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini arabo-palestinesi di Israele alla piena uguaglianza" e di "rispetto, tutela e promozione dei diritti dei rifugiati palestinesi di far ritorno alle loro case e proprietà". Per raggiungere i suoi scopi, il BDS non si limita al boicottaggio di prodotti israeliani ma vuole influenzare il mondo accademico ed artistico. Forti sono le pressioni sugli artisti a non esibirsi in Israele. E anche quelle fatte a governi e università per affinché evitino di invitare personalità legate allo Stato ebraico per conferenze, concerti, mostre ed altri eventi culturali. Dietro questi obiettivi si nasconde una campagna "socialmente inaccettabile", come l'ha definita Charlotte Knobloch, sopravvissuta all'Olocausto e capo della comunità ebraica di Monaco. Lo slogan "Non comprate dagli ebrei" è una forma modernizzata di gergo nazista per chiedere di non acquistare dallo Stato ebraico", aveva dichiarato a novembre al Jerusalem Post.
   Da quando la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ribadito la sua netta opposizione ad ogni forma di boicottaggio contro Israele, la Germania si è mossa contro le campagna BDS. Recentemente la DAB Bank di Monaco ha chiuso alcuni conti legati ad attivisti antisraeliani e il consiglio comunale della cittadina di Bayreuthn, nella Baviera settentrionale, ha revocato il premio per la tolleranza precedentemente assegnato al gruppo statunitense pro-BDS Code Pink. A gennaio, inoltre, il centro culturale Bürgerhaus Weserterrassen, nella città di Brema, aveva staccato il microfono durante una conferenza tenuta da un manipolo di attivisti BDS. Era stata però la Commerzbank, seconda banca più grande del paese, ad aprire la strada a settembre: la banca aveva chiuso un conto corrente legato ai boicottatori e alle manifestazioni dell'al-Quds Day durante le quali per le strade delle città tedesche si chiese la distruzione di Israele.
   La città di Bochum, essendo la Ruhr una zona ad alta densità residenziale e principale area per l'industria bellica, è stata cruciale per le sorti della Germania e della Seconda guerra mondiale. Durante la notte dei cristalli del 9 novembre 1938, la sinagoga di Bochum è stata data alle fiamme.

(Il Foglio, 29 febbraio 2016)


Il capolavoro dei boicottatori d'Israele

Quei geni della campagna BDS hanno fatto perdere il lavoro a 500 palestinesi e cancellato un'autentica esperienza di pace e di progresso.

Febbraio 2014: una dipendente palestinese nello stabilimento SodaStream a Mishor Adumim, ora chiuso
Due anni fa, Times di Israel publicava un servizio sulla fabbrica SodaStream nella zona industriale di Mishor Adumim (poco a est di Gerusalemme, in Cisgiordania), dove l'azienda israeliana di bevande gassate impiegava 1.300 lavoratori: 350 ebrei israeliani, 450 arabi israeliani e 500 arabi palestinesi di Cisgiordania. Direzione e dipendenti confermavano al nostro giornalista che le paghe e i benefit erano identici per tutti i lavoratori, a parità di mansioni, indipendentemente dalla loro cittadinanza e appartenenza etnica. Titolammo quel pezzo: "Alla SodaStream i palestinesi sperano che la loro bolla non scoppi". Lunedì scorso è scoppiata....

(israele.net, 29 febbraio 2016)


Lo shabbat elettorale per gli ebrei iraniani

di Paolo Salom

In Iran si è votato venerdì scorso, giorno della preghiera islamica che però, tolto l'obbligo delle funzioni pubbliche, non ha particolari connotazioni o divieti. I seggi sono stati allestiti nelle moschee per i musulmani.
Mentre le minoranze religiose (cristiani, ebrei e zoroastriani) hanno esercitato il diritto di voto nelle chiese e nelle sinagoghe. Un esempio di rispetto dei diritti di tutti i cittadini della Repubblica islamica? Al di là dell'accento sulla religiosità dell'atto (non si è votato in edifici «laici» come scuole o centri civici), le elezioni in sé sono un esempio dell'ipocrisia e della paura con cui governano gli ayatollah, attenti a propagandare un'immagine liberale del loro regime nei confronti delle altre confessioni.
In realtà, la concezione di «diritto» è quanto meno singolare. Intanto, le varie comunità hanno votato separatamente nei differenti luoghi di culto. Poi si prendano gli ebrei iraniani (ventimila, cui spetta eleggere un rappresentante in Parlamento): per loro le elezioni di venerdì hanno significato la profanazione dello Shabbat, nonostante nessuno abbia avuto il coraggio di dirlo pubblicamente. Questo perché, se è vero che le operazioni di voto sono iniziate al mattino del venerdì (Shabbat, giorno della preghiera e dell'astensione dal lavoro, entra al tramonto), è altrettanto vero che la giornata si è chiusa ben oltre l'inizio del giorno di riposo ebraico, che si considera profanato in ogni caso quando appunto il «lavoro» legato alle elezioni non si conclude al calare del sole. Si potrà dire: ma non tutti gli ebrei sono osservanti.
Certo, ma il rispetto del diritto religioso va al di là delle singole sensibilità. E in Iran le regole del voto applicate alla totalità dei cittadini sono quelle islamiche, senza eccezioni. Dunque le «lodi» dei fedeli ebrei alla democraticità e al rispetto cui godrebbero in Iran, ripetute ai giornalisti stranieri davanti al pulpito della sinagoga di Teheran, ascoltate da qui, fanno solo venire i brividi.

(Corriere della Sera, 29 febbraio 2016)


L'Iran vota il cambiamento ma la democrazia è lontana

L'opinione pubblica internazionale si esalta per la vittoria dei riformisti. Inutile illudersi: il potere è sempre in mano ai radicali.

di Fiamma Nirenstein

C'è qualcosa di un po' patetico nella determinazione dell'opinione pubblica internazionale a dimostrare che le elezioni iraniane sono un grande segno di democratizzazione, che da ora in avanti vedremo procedere verso l'apertura all'Occidente un Paese dominato dalla shariah condita di Khomeinismo, la nazione con un record di condanne a morte secondo solo alla Cina, una delle prime nel reprimere le idee non conformi e le donne e che solo qualche giorno fa ha offerto 7mila dollari di regalo a ogni famiglia di terrorista palestinese, con una passione imperialista che l'ha portata a dominare quattri capitali.
   I dati delle elezioni finora disponibili sono una testimonianza di quanto gli iraniani, grande popolo, siano stufi di un regime oppressivo e che li ha impoveriti, che abbiano voluto dare forza al presidente Rouhani che ha aperto una finestra verso la modernità: la lista dei candidati riformisti e moderati nelle elezioni parlamentari ha ottenuto i trenta seggi della circoscrizione di Teheran, la capitale. È stata una vittoria importante: quasi due terzi dei voti scrutinati sono andati a Rouhani, facendo ottenere alla sua coalizione elettorale detta «lista della Speranza» tutti e trenta i posti disponibili. Il capo della coalizione riformista Mohammed Reza Aref ha ottenuto il primo posto con più di un milione di voti. Il leader della lista conservatrice Gholam Ali Hadad Adel, ex presidente del parlamento è arrivato 31esimo. Anche la potente Assemblea degli Esperti, che conta 88 membri e resta in carica otto anni e che dovrà eleggere il successore del 78enne Ali Khamenei, darà la maggioranza al Presidente. La prossima «Guida suprema» potrebbe così essere Rafsanjani, il potentissimo ambiguo amico (oggi) di Rouhani. Ora la domanda, mentre si considera con soddisfazione ogni traccia di innovazione, fra cui l'ammissione di 13 donne nel parlamento in cui 167 deputati moderati e riformisti eletti potranno governare, è se questo condurrà a un Iran meno millenarista, che smetta di puntare, come oggi, all'avvento di una dittatura islamica nel mondo musulmano; che non si qualifichi per la sua incessante violazione dei più basilari diritti umani e per quella continua e sempre più armata promessa di «morte a Israele» e «morte all'America» ripetuta anche pochi giorni nel 36o anniversario della rivoluzione. Che la gente desideri cambiare strada, non c'è dubbio, ha votato per Rouhani per questo. Accadde anche nel 2009, e finì con una repressione sanguinosa.
   Tutti gli eletti sono parte di liste scremate da migliaia di candidati che non rispondevano ai criteri di Khamenei, persino il nipote del grande Khomeini è stato ritenuto «non fedele ai valori della rivoluzione». In secondo luogo, il vero corpo che detta la politica iraniana è la Guardia Islamica della Rivoluzione che non accetterà da Rouhani mai nulla che ne metta in dubbio il potere che oggi le consente di controllare Teheran, Beirut, Bagdad, Sana'a, Damasco e di proteggere gli Hezbollah, Hamas e gli altri gruppi terroristici. Rouhani potrà fare molte operazioni di politica diplomatica e di immagine, ma alla fine chi decide è la Guida Suprema. Rouhani si è dichiarato entusiasta del popolo iraniano per la sua partecipazione alle elezioni. Ma le elezioni nel suo mondo non significano democrazia.

(il Giornale, 29 febbraio 2016)


Il ministro Pinotti in Israele dal collega Yaalon

 
Pinotti: "... e ci vuole una maggiore collaborazione fra Italia e Israele"
ROMA - Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, si trova in visita in Israele dove ha incontrato il collega israeliano, Moshe Yaalon. E' stato lo stesso Yaalon - informa il profilo twitter del ministero - ad accogliere il ministro Pinotti all'aeroporto di Tel Aviv. Il responsabile della Difesa italiano ha incontrato anche alcuni esponenti della societa' israeliana, fra cui imprenditori e docenti universitari. Il ministro Pinotti si e' detto 'felice' di essere a Tel Aviv, auspicando 'una maggiore collaborazione fra Italia e Israele che da tempo intrattengono rapporti profondi legati soprattutto al sistema di innovazione'.

(la Repubblica, 29 febbraio 2016)


A Roma rinascono gli ebrei di Tripoli. In tremila scapparono dalla Libia in fiamme

In fuga dai pogrom del dopoguerra, si stabilirono nel Quartiere Africano. Oggi sono una comunità unita, che ricorda l'esodo e la propria seconda vita.

di Ariela Piattelli

A Roma è rinata la Tripoli ebraica. Una cultura sommersa ha ricominciato a vivere nella zona che oggi ospita gli ebrei fuggiti dalla Libia. Si trova al nord del centro, il Quartiere Africano, che comprende vie intitolate alle ex-colonie italiane, come viale Somalia, viale Etiopia, viale Eritrea e, ironia della sorte, viale Libia: una zona tranquilla, residenziale, abitata prevalentemente da famiglie italiane, con strutture, parchi e servizi.
   Nell'estate del '67 piazza Bologna, incastonata nel Quartiere Africano, era affollatissima, una rete di comunicazione per ritrovarsi e connettersi. Trovare un familiare, un contatto, un indirizzo. Intanto a Fiumicino atterravano i voli partiti da Tripoli, carichi di profughi ebrei libici, fuggiti, scampati alla morte e alle rivolte arabe che chiedevano la loro testa. In Libia dopo i sanguinosi pogrom e un periodo di relativa calma, lo scoppio della Guerra dei Sei Giorni diventò il pretesto per una nuova caccia all'ebreo. A Roma sbarcarono in seimila, un gruppo proseguirà il viaggio per Israele, gli altri, circa tremila, resteranno nella Città Eterna. E piazza Bologna diventerà per molti anni terra di confronto, in cui come in una terapia psicanalitica a cielo aperto, ognuno affrontava il trauma della fuga, mentre i figli si rimboccavano le maniche e diventavano nuovi italiani.
   Oggi questa zona è epicentro, insieme al Vecchio Ghetto, di vita ebraica. Quattro sinagoghe di rito tripolino, ristoranti caratteristici, negozi, macellerie kasher, vivono in armonia con la città. La prima sinagoga di rito tripolino fu organizzata all'indomani dell'arrivo in via Garfagnana, e visto che gli ebrei libici sono religiosi, si è sentita l'esigenza di aprirne altre. Un vecchio cinema rimesso a nuovo diventò la
Shalom Tesciuba
sinagoga Beth El, che adesso ospita fino a settecento fedeli a funzione. II leader è Shalom Tesciuba, nato a Tripoli nel '34. Tesciuba, insieme ad altri "padri", ha guidato gli ebrei tripolini di Roma fino ad oggi. «In questa zona viveva già qualche nostra famiglia - spiega Tesciuba-, così è stato naturale stabilirci qui». Alcuni passarono per campi profughi e altri alloggi, prima di arrivare nel Quartiere Africano: una residenza temporanea fu una piccola pensione a Trastevere, la Locanda Carmel gestita da Miriam Zard, una signora ebrea tripolina, che fece la crocerossina durante il pogrom del '46. Miriam era l'unica ad assicurare ai profughi un servizio kasher.
Insieme a lei tanti ebrei romani aiutarono i profughi. «Oggi - dice Tesciuba - siamo perfettamente integrati nel quartiere. Rispettiamo i nostri vicini e loro rispettano noi. Abbiamo ottimi rapporti con la parrocchia accanto, ci facciamo gli auguri e ci scambiamo doni per le feste». Nel corso degli anni Shalom ha ricoperto cariche nella comunità ebraica di Roma. Lui bussa alle porte di chi ha bisogno per fare «tzedakà», beneficenza (letteralmente significa «giustizia», per bilanciare il mondo), ma ci tiene a ricordare che «questo è un principio importante per tutti gli ebrei». A Tripoli c'era la tradizione del «Mharma»: quando qualcuno aveva bisogno di soldi, si apriva un fazzoletto, ognuno metteva un po' del suo e si faceva una raccolta. Le tradizioni tornano nei riti delle loro sinagoghe. E' l'eco di una cultura sommersa, riportata alla vita dai padri per consegnarla ai figli. Un figlio, Hamos Guetta, è arrivato a piazza Bologna a 11 anni. È imprenditore nella moda e ha trovato il modo di affrontare il trauma della fuga da Tripoli raccontando la sua storia, preparando cene aperte al pubblico, andando in tv. «La nostra fuga fu difficile, passammo per le rivolte, per gli incendi, non ci fu alcuna pietà per gli ebrei - racconta Hamos -. Arrivammo soltanto con i vestiti che indossavamo. A Roma nulla ci ricordava Tripoli, se non noi stessi. Volevamo essere italiani e staccarci da quel mondo che avevamo lasciato.
   Adesso i nostri figli studiano all'università e lavorano, conoscono la nostra storia e ci interrogano su essa». È l'elaborazione della memoria, che passa per tre generazioni, contese tra la nostalgia e il taglio netto con il passato. «II trauma è stato molto profondo - spiega David Meghnagi, psicanalista, fuggito da Tripoli a 18 anni -. All'inizio degli anni '60 gli ebrei libici vivevano una breve pausa, dopo altre persecuzioni e pogrom. Quindi ci troviamo davanti ad una catena cumulativa di traumi non elaborati, ma dove funziona la resilienza, e dove l'arrivo in Italia rappresenta una liberazione».
   Meghnagi dà un'interpretazione sulla scelta del Quartiere Africano: «E' il ritorno del rimosso, qualcosa da cui sei fuggito ti insegue. La nostalgia del non vissuto emerge». II trauma segnò profondamente i bambini di allora, alcuni cancellarono la vita precedente per rinascere in Italia In viale Libia è arrivata ad otto anni Claudia Fellus e adesso è vice presidente della comunità ebraica di Roma. «Io credo che mio padre abbia scelto di vivere in viale Libia per assonanaza, per nostalgia. Io - racconta - non avevo alcun ricordo di Tripoli. Era come se fossi nata a Roma. Solo le immagini della guerra in ex Jugoslavia, le grandi migrazioni dal Kosovo, hanno riportato alla mia mente la condizione di profuga: così sono andata in analisi per ricordare la mia vita precedente. Il mio ultimo ricordo di Tripoli è la fuga, la macchina di mio padre incendiata». La fuga degli ebrei dai Paesi Arabi è avvenuta in silenzio. All'epoca furono in pochi a parlarne. «La nostra storia - prosegue Fellus - insegna che non puoi nasconderti dietro al tuo dramma, ma devi andare avanti. Qui in Italia oscilliamo tra la volontà di respingere i nuovi profughi e l'accoglienza tout court. Dovremmo invece esigere il rispetto dei valori per i quali abbiamo combattuto nei secoli, lo dico da italiana. Valori che noi abbiamo rispettato e condiviso, e lo dico da profuga. Ebrea libica».

(La Stampa, 29 febbraio 2016)


Un'analisi del sangue per la diagnosi dell'Alzheimer

 
La prof.ssa Illana Gozes
Un gruppo di ricercatori israeliani e americani diretti dal Prof.ssa Illana Gozes della Facoltà di Medicina e delle Scuole di Neuroscienze dell'Università di Tel Aviv ha identificato un bio marcatore che potrà portare alla diagnosi precoce della malattia di Alzheimer grazie ad un test del sangue semplice e affidabile, permettendo una terapia preventiva.
  Attualmente, le diagnosi della malattia di Alzheimer si fanno grazie ad un processo lungo e complesso, fondato su dei test soggettivi valutando la memoria, le capacita cognitive e funzionali e le variazioni comportamentali dei pazienti; in certi casi sono eventualmente effettuate delle analisi cerebrali molto costose oltre a dei test invasivi del liquido cefalorachidiano.
  La nuova scoperta dei ricercatori dell'Università di Tel Aviv, del Centro medico Rambam e dell'Università di Harvard potrà portare un valido aiuto nella diagnosi della malattia. Si tratta di una proteina, l'ADNP, il cui livello aumenta nel sangue tra i pazienti colpiti da Alzheimer.
La Prof.ssa Illana Gozes:

Speriamo in futuro che la nostra scoperta possa essere utilizzata per sviluppare un test del sangue permettendo di diagnosticare questa malattia molto grave già dai suoi inizi.

La proteina ADNP è stata scoperta 15 anni fa nel laboratorio della Prof.ssaGozes.

Durante le precedenti ricerche, abbiamo dimostrato che questa proteina, e i suoi derivati, protegge il cervello da diverse malattie. Nei presenti studi, abbiamo deciso di esaminare per la prima volta se esistesse un legame tra la sua presenza nel sangue del paziente e le capacità cognitive.

Lo studio si è svolto in tre fasi: nel corso della prima, sono stati esaminati a Boston un gruppo di 40 adulti con un buon livello educativo ed un ottimo stato di salute. I soggetti sono stati sottoposti a dei test sul QI e sono stati prelevati dei campioni del loro sangue ed inviati al laboratorio dell'Università di Tel Aviv. Il risultato è stato sorprendente: più il quoziente d'intelligenza dei soggetti era alto, più il tasso di ADNP nei loro fluidi sanguigni era elevato.
  La seconda fase, sempre a Boston, si è concentrata sulla quantità di amiloide nel cervello degli stessi soggetti, visualizzata per mezzo di tecniche di diagnostica per immagini. L'amiloide è una sostanza proteica che si accumula nel cervello dei pazienti colpiti da Alzheimer, ma si trova anche spesso, ma in quantità ridotta, tra i pazienti in stato di ottima salute.

Abbiamo cercato a paragonare la quantità d'amiloide nel cervello e l'espressione dell'ADNP nel sangue dei pazienti. Anche qui, i test di laboratorio effettuati all'Università di Tel Aviv hanno dimostrato un legame chiaro e netto tra i risultati: più la quantità d'amiloide nel cervello è elevata, più il materiale genetico ARN (acido ribonucleico) associato a l'ADNP diminuisce nei globuli del sangue.

In altri termini, più le capacità cognitive sono buone, più il livello d'ADNP aumenta.
Nella terza fase , eseguita nel centro medico Rambam di Haifa, i ricercatori hanno testato ugualmente delle persone colpite da Alzheimer. Lo studio di Haifa è stato effettuato su 43 soggetti in totale: di cui 11 in buona salute e dotati di un livello cognitivo normale, 15 con una deficienza leggera e 17 colpiti da Alzheimer.
  Spiega la Prof.ssa Gozes:

Nei globuli bianchi dei pazienti colpiti Alzheimer abbiamo trovato una quantità d'ADNP otto volte superiore rispetto agli altri pazienti. Anche se non possiamo, per il momento, spiegare questo aumento, non ci sono dubbi che sia costituito da un bio marcatore per l'Alzheimer, che può essere utilizzato come base per l'elaborazione di un test sanguigno semplice per diagnosticare, e, più importante ancora, per prevedere l'Alzheimer ancor prima che si verifichi. Una tale rivelazione precoce potrà permettere ai pazienti di cominciare immediatamente un trattamento preventivo, che ritarderà e attenuerà la malattia.

Secondo la Prof. Gozes, la ricerca è stata effettuata solo su piccoli gruppi di pazienti, e dunque non possiamo ancora tirarne delle conclusioni radicali. I ricercatori prevedono dunque di approfondire questi studi.
  A questo studio hanno partecipato: Anna Malishkevitz dell'Università di Tel Aviv, la Prof.ssa Judith Aharon-Peretz del centro medico Rambam di Haifa e i professori Gad Marshall, Reisa Sperling e Aaron Shultz dell'Università di Harvard. Lo studio è stato pubblicato durante lo scorso mese di novembre all'interno della rivista Journal Of Alzheimer Disease.

(SiliconWadi, 29 febbraio 2016)


Netanyahu: bene la tregua in Siria, ma non escludiamo un intervento in caso di minaccia

GERUSALEMME - Intanto dei raid aerei hanno colpito la notte scorsa sei località siriane nell'area occidentale della provincia di Aleppo, nel secondo giorno del cessate il fuoco concordato da Russia e Stati Uniti. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, gruppo con sede a Londra ma presente sul territorio siriano con una fitta rete di attivisti. I ribelli siriani accusano i russi di aver condotto i raid, ma gli attivisti non confermano. Altri cinque raid, secondo l'Osservatorio, hanno colpito il quartier generale dello Stato islamico nella città di al Raqqa, roccaforte del gruppo jihadista in Siria. Pesanti scontri sono avvenuti inoltre a Tal Abyad, al confine tra Siria e Turchia, tra miliziani dello Stato islamico e i curdi delle Unità di protezione dei popoli (Ypg). Questi ultimi sarebbero riusciti a riconquistare il territorio ceduto in precedenza allo Stato islamico: il bilancio degli scontri è di 70 miliziani dell'Is uccisi 20 curdi caduti, riferisce ancora l'Osservatorio.

(Agenzia Nova, 28 febbraio 2016)


Polonia, un museo per i Giusti che difesero gli Ebrei

Un memoriale ricorda la famiglia Ulma, che a Resovia, nella Subcarpazia, nascose per un anno e mezzo due famiglie israelite, prima di essere scoperta dai nazisti e fucilata.

 
Un museo dedicato ad una famiglia polacca che finì uccisa dai nazisti per aver cercato di salvare gli ebrei. E' il primo nel suo genere in Polonia, e verrà aperto il prossimo 17 marzo. Si trova a Markova, vicino a Rzeszow, nella parte sudorientale del Paese. E' dedicato alla famiglia Ulma, che 72 anni prima, il 24 marzo 1944, venne fucilata dai tedeschi: morirono Jozef, prima della guerra bibliotecario, fotografo ed esponente di spicco della piccola comunità, molto attivo sul fronte dei diritti civili, la moglie Wiktoria e i sei figli Stasia, Basia, Wladzio, Franus, Antos e Marysia.
Il museo-memorial è stato progettato dall'architetto Miroslaw Nizio, di Varsavia e avrebbe dovuto inaugurare a dicembre. Gli Ulma sono tra i 6.400 polacchi commemorato nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme, insigniti dell'onorieficenza "Giusti tra le Nazioni", riservata ai non ebrei che si sono particolarmente distinti per proteggere o salvare i discendenti di Israele durante la Shoah.
Il museo racconta la storia della regione locale, Podkarkpacie (Subcarpazia), esploando le storie dei molti che aiutarono gli ebrei, ma anche le relazioni tra polacchi e israeliti nel periodo prebellico, per poi raccontare come l'invasione nazista sconvolse quell'equilibrio, sino all'emigrazione della gran parte degli ebrei sopravvissuti, a conflitto concluso. Jozef e Wiktoria Ulma, morti rispettivamente a 44 e 32 anni, nascosero 8 persone nel soffitto della loro casa da quando, nell'estate del 1942, i nazisti avviarono le deportazioni di massa ai campi di concentramento degli ebrei della regione subcarpatica sino a quando, nella primavera del 1944, la soffiata di un informatore locale dei tedeschi li fece scoprire.
Rzeszow (Resovia) si trova a 120 km a est di Cracovia, a circa la stessa distanza a sud di Lublino, non distante dai confini con l'Ucraina (Leopoli la prima città che si incontra, a Est) e con la Slovacchia.

(la Repubblica, 28 febbraio 2016)


Tel Aviv, nuova terra di conquista per le star di Hollywood

Sempre più star frequentano la città israeliana per affari, eventi e produzioni. Merito di una fiorente industria del cinema e della Tv, che ha conquistato anche l'Italia.

Non avrà il fascino della storia millenaria di Gerusalemme. Eppure in Israele c'è un'altra meta da non perdere: Tel Aviv, che sta diventando una delle città più gettonate del pianeta, anche dalle star di Hollywood. Non si spiegano altrimenti i tanti affari immobiliari degli ultimi mesi, in un mercato che ha visto raddoppiare i prezzi in soli cinque anni grazie al fermento giovanile e al profumo di cultura occidentale di cui sono intrise le sue modernissime vie. Non è passato inosservato l'acquisto di una casa da 20 milioni di dollari da parte di Madonna. Altro che mangiatoia biblica... Gerard Butler è uno dei frequentatori più assidui della città, mentre Barbra Streisand per una delle sue ultime sortite da quelle parti ha affittato qualcosa come cento stanze del lussuoso Dan Hotel.
   Più sfortunato il ricercatissimo Ryan Gosling, rimasto a piedi con l'auto sulla strada per Gerusalemme. Per non parlare di Natalie Portman, che è nata in Israele (ma a Gerusalemme per la precisione, il suo cognome vero è Hershlag) ed è un'aficionada del centro estetico Yullia Salon. Spiagge, locali, vita notturna: insomma, Tel Aviv non ha niente da invidiare alle altre capitali del divertimento del Mediterraneo. Merito sicuramente della pubblicità dei tanti volti noti israeliani, dalla modella Bar Rafaeli a Motty Reif: «Tel Aviv è la città più sexy del mondo», assicura il produttore residente a Los Angeles. A fare da calamita alle celebrità è sicuramente la locale industria cinematografica e televisiva che importa talenti, ma esporta anche prodotti. L'esempio più noto è quello della serie Tv BeTipul, più nota in America (Hbo) e Italia (Wildside in collaborazione con Sky Cinema e La7) con il nome di In Treatment. «Tel Aviv è un posto speciale», dice l'attrice e produttrice Noa Tishby, che ha esportato la serie nel mondo, «c'è cosi tanta joie de vivre, così tante emozioni che Hollywood non ha potuto evitare di innamorarsene».

(Business People, 28 febbraio 2016)


"Giovani Padani" varesini su Israele e movimento dei Kibbutz

Sabato 27 febbraio presso la Sala Biagi di Palazzo Lombardia si è tenuto un incontro a titolo "Emergenza Terrorismo, l'approccio di Israele e dell'Europa" che vedeva tra i relatori l'assessore regionale Terzi, Enrico Mairov e Luciano Bassani per Mediterranean Solidarity, on. Paolo Grimoldi segretario Lega Lombarda e Gavri Bargil presidente del movimento israeliano dei Kibbutz, il tutto moderato dal giornalista Max Ferrari.
   L'incontro ha visto la partecipazione di duecento persone tra cui una quindicina di "Giovani Padani" del Varesotto capitanati dal coordinatore varesino Davide Quadri e dalla co-coordinatrice del Tradatese Greta Uslenghi, che hanno avuto modo di apprezzare le riflessioni dell'ospite israeliano Gavri Bargil per quanto riguarda il processo di pace israeliano, le tattiche antiterrorismo nel contesto mediorientale, che vede Israele unico baluardo occidentale in una zona vicina e turbolenta.
   Gavri Bargil, militare pluridecorato e presidente del movimento dei Kibbutz ha avuto anche parole di cortesia per gli organizzatori e l'ente patrocinante e ha dato grandi spunti per la crisi migratoria attuale. Più locali le tematiche toccate dall'onorevole Grimoldi e l'assessore Terzi circa la gestione del rischio terroristico e sulla recente sentenza della Consulta che stoppa la legge regionale sui luoghi di culto, forte l'impegno preso dal segretario della Lega Lombarda circa le proposte di legge da depositare presso la Camera dei Deputati.
   Di risalto i saluti portati dall'attaché militare israeliano in Italia e dalla futura ambasciatrice Fiamma Nirestein.

(Varese Report, 28 febbraio 2016)


"Queste consultazioni servono solo per dare legittimità al regime"

Il blogger in esilio Potkin Azarmehr: Il mondo occidentale è vittima dell'illusione di cambiare la mentalità del regime, anziché il regime stesso.

di Francesca Paci

Potkin Azarmehr
ROMA - Teheran sogna. In esilio ci sono invece i «pragmatici» come il blogger Potkin Azarmehr, fuggito dall'Iran all'indomani della rivoluzione khomeinista che pure aveva sostenuto insieme al padre già detenuto politico dello Scià. «Crederò all'evoluzione degli ayatollah quando faranno concessioni reali a un movimento riformista forte, il resto è "photo opportunity" per l'occidente» dice al telefono da Londra, dove vive da quando è ragazzo rimpiangendo l'abbaglio del '79.

- I riformisti filo Rohani avanzano: sono elezioni che possono segnare il cambio di passo?
  «Chi chiama quelle iraniane elezioni ha bisogno di un dottore. Il 90% dei candidati riformisti è stato squalificato in anticipo. Corre solo chi è gradito al regime, io per dire non potrei. Anche se la maggioranza votasse per i sedicenti riformisti, ossia il meno peggio del peggio del peggio, sarebbe una vittoria finta: non sarà l'Assemblea degli Esperti a scegliere la prossima Guida, chi succederà alla morte di Khamenei è già stato designato, come fu con Khomeini».

- I suoi connazionali però ci credono, l'affluenza è alta: tutti illusi?
  «L'unica politica dei riformisti è invitare la gente a votare per legittimare il regime. L'esperienza mi dice che non si cambia l'Iran col voto. Il clero iraniano è uno Stato parallelo da prima del '79, conosce la psiche popolare. Se per 5 anni neghi ai cittadini la libertà di tutto e poi a ridosso delle elezioni concedi loro qualche festa e un po' di rossetto li fai credere di poter cambiare. Salvo risvegliarsi nel solito inferno: è così da36 anni».

- Ha zero fiducia in Rohani?
  «Rohani è stato nell'apparato di sicurezza del regime, nel '99 chiese la testa degli studenti ribelli. Quando è diventato presidente ha promesso la libertà ai riformisti in cella e invece nulla. L'unico suo successo è l'accordo sul nucleare e l'ha firmato perché il Paese stava implodendo. Obama ha salvato l'Iran dal crollo economico che avrebbe travolto gli ayatollah. Siamo a zero: bisogna ascoltare la Guida Suprema e non i simpatici giovani di Teheran, gli Usa come l'occidente e Israele restano nemici. Vittima dell'illusione di cambiare la mentalità del regime anziché il regime, il mondo va a farsi cambiare la mentalità da Teheran, vedi le statue coperte a Roma».

- Non c'è futuro per l'Iran?
  «Non auspico primavere arabe né invasioni straniere. Ma gli ayatollah si piegheranno solo quando i riformisti saranno duri come Solidarnosc in Polonia e non "istituzionali" come quelli che 5 anni fa chiesero al popolo in piazza di tornare a casa e calmarsi. Il regime nel 2009 non sparò subito, la carneficina iniziò quando quel milione di persone cominciò a disperdersi».

(La Stampa, 28 febbraio 2016)


Rohani vince ma non sfonda. Comandano sempre i falchi

I moderati si prendono 29 seggi su 30 a Teheran e primeggiano all'assemblea degli Esperti, la maggioranza resta conservatrice. Ma il presidente e Rafsanjani sono due finti riformatori.

di Carlo Panella

 
Ali Akbar Rafsanjani
Forte voto popolare, quantomeno a Teheran a favore dei riformisti, ma trionfo dei conservatori nella gestione sia del Parlamento (Majlis), che della Assemblea degli Esperti. Infine, abituale abbaglio dei media occidentali che non vogliono capire che un conto è la scontata e evidente voglia di riforme di una minoranza degli iraniani, che è in netta crescita, tutt'altro conto è la ripartizione finale del potere che rimane saldamente in mano al fronte conservatore, agli ayatollah più oltranzisti e ai Pasdaran. I dati provvisori infatti danno ai conservatori e agli indipendenti (che tutto sono, tranne che riformisti) i due terzi dei seggi già assegnati: 119 contro 50. Nella circoscrizione di Teheran, trionfo dei rifornisti, ma certo il loro arretramento nella immensa provincia iraniana che è la base forte del consenso dei conservatori, i cui dati verranno resi noti in seguito.
   Per "leggere" i risultati delle elezioni iraniane è indispensabile sapere a cosa servono, quale è il loro fine. Innanzitutto, dunque, constatare che non sono democratiche per nulla perché i rapporti tra le componenti sono decisi a tavolino prima del voto dal regime, dal Consiglio dei Guardiani che ammette al voto solo poco più del 30% dei candidati riformisti. Dunque il blocco dei conservatori, di cui fanno parte anche gli indipendenti, ha in tasca la maggioranza assoluta dei seggi già prima che si aprano le urne. Il prossimo Majlis sarà così a netta maggioranza conservatrice.
   Resta il segnale forte, tutto e solo politico, di un voto che ha promosso buona parte dei candidati riformisti, che non possono però che essere minoranza. Questo è il messaggio, senza conseguenze sull'esercizio reale del potere, che è venuto dal voto iraniano. Non è una sorpresa, era un dato previsto, soprattutto dopo la efferata e sanguinaria repressione della protesta dell'Onda Verde del 2009 e dopo le aspettative di normalizzazione conseguenti all'accordo sul nucleare. La parte viva e moderna del popolo iraniano vede oggi un piccolo spiraglio di luce e vota con convinzione. Così non è successo nelle ultime elezioni in cui non era andata a votare, così che in Parlamento i riformisti spesso non sono riusciti a occupare neanche quella minoranza di seggi che gli era stata pre assegnata. E questo un segnale politico di affermazione dei riformisti nel voto non nuovo in Iran: si era già verificato con l'elezione del riformista Mohammad Khatami a presidente nel 1997 e nel 2001 e con il voto contro l'oltranzista presidente Ahmadinejad nel 2009 (che però aveva sbaragliato nelle urne i riformisti nel 2005 e comunque aveva ottenuto un eccellente risultato, rafforzato dai brogli di regime, nel 2009).
   Colto il dato indiscutibile di una forte, motivata e consistente minoranza di iraniani che aspira, se non alla fine del regime, alla sua apertura e moderazione, è indispensabile smorzare gli entusiasmi dei media per le "sorti magnifiche e progressive" conseguenti al voto iraniano, ricordando di che pasta sia fatto il leader dei riformisti: Ali Akbar Rafsanjani. Hojatoleslam (basso rango religioso), miliardario possessore di coltivazioni di pistacchi, corrottissimo, Rafsanjani ha le mani che grondano sangue. Fiduciario personale di Khomeini, nel 1980 ha gestito il Terrore che ha sterminato migliaia di iraniani dopo la rivoluzione, ha mandato sulla forca o in galera tutti i riformisti del primo governo rivoluzionario e migliaia di rivoluzionari sgraditi, è stato presidente del Parlamento e due volte della Repubblica nel periodo più sanguinario del regime e si è riciclato come riformista solo quando è stato emarginato dal potere. Non solo, è tuttora oggetto di un mandato di cattura della magistratura argentina quale mandante della strage del 18 luglio del 1994 al centro ebraico di Buenos Aires, che fece 85 morti e più di 300 feriti. L'attentato fu deciso, secondo l'accusa, in una riunione ai più alti livelli a Teheran e Hezbollah fu incaricato di realizzarlo. Uno dei possibili moventi sarebbe stato l'interruzione degli accordi nucleari da parte del governo argentino con l'Iran. Rohani, da parte sua, non è mai stato riformista, non ha neanche mai appoggiato le riforme tentate da Khatami, è una sorta di Andreotti persiano, che ha sempre lavorato nell'ombra del sottogoverno e che nel 1999 chiese a gran voce che fossero mandati sulla forca gli studenti di Tehran che manifestavano. Questo è il riformismo iraniano che gli elettori sono costretti a contrapporre al regime.

(Libero, 28 febbraio 2016)


Milano - Sala all'evento per Israele. L'ultima grana a sinistra

Annunciato alla serata del movimento sionista, il candidato Pd rischia di perdere pezzi di Sel.

di Alberto Giannoni

L'invito del Keren Hayesod
La questione israelo-palestinese irrompe nella campagna elettorale di Milano. E rischia di creare nuovi grattacapi a sinistra. Nell'agenda di Milano domani è segnato un evento importante: la serata di apertura della campagna di raccolta 2016 del «Keren Hayesod», il braccio operativo di raccolta fondi del Movimento sionista e dell'Agenzia ebraica. Un ente che dà per missione l'aiuto al popolo e allo Stato israeliano.
I tre candidati sindaco Stefano Parisi, Beppe Sala e Corrado Passera sono annunciati come ospiti della cena di gala in un albergo di Milano. E vengono definiti «sostenitori della causa». Nessun problema per Parisi, candidato del centrodestra che era notoriamente un «amico di Israele» anche prima che qualcuno immaginasse la sua avventura politica. No problem per Passera. A Sala, invece, l'occasione rischia di creare nuove insidie e problemi politici, su un fronte sinistro, che il commissario non può permettersi di lasciare scoperto.
«Sionismo», per una bella fetta della sinistra, è diventato incredibilmente una parolaccia, un sinonimo della odiata destra. In realtà la dottrina sionista nasce socialisteggiante, paragonabile al Risorgimento italiano. La missione del «Keren Hayesod» si inserisce in questo filone storico. La sigla nasce come fondo nazionale di costruzione d'Israele e oggi si definisce un «ponte vivente fra milioni di ebrei della diaspora e Israele». Dalla fondazione di Israele a oggi ha sostenuto l'Agenzia ebraica per il ritorno in patria di tre milioni di persone. Domani a Milano l'evento cui sono annunciati i tre candidati ospiterà fra l'altro anche un alto ufficiale dell'intelligence militare israeliana. Il centrodestra è complessivamente uno schieramento amico di Israele. Ma a sinistra il tema Medio-oriente da anni è fonte di polemiche. Il Pd oggi ha una posizione equilibrata, anche grazie agli uomini della «Sinistra per Israele», in prima fila il milanese Lele Fiano. A Milano la segreteria renziana si è esposta senza remore su questo fronte, basti pensare che il 25 aprile, ad accompagnare la Brigata Ebraica contestata e minacciata da fronde estreme di centri sociali e autonomi, c'erano anche i vertici del Pd. Ma la sinistra «arcobaleno», Sel in testa, ha posizioni filopalestinesi molto nette. E un Sala che si scopre «filoisraeliano» potrebbe trovare un ostacolo in più nell'ardua missione politica che è costretto a tentare: tenere insieme tutti i pezzi di una coalizione che era fedele a Giuliano Pisapia e oggi non regge più. I dirigenti di Sel, poi, potrebbero avere più difficoltà del previsto a far votare una lista arancione che lo sostiene. E la base potrebbe subire il fascino di una sinistra-sinistra che sfodera ancora le bandiere palestinesi. E prepara un candidato alternativo.

(il Giornale, 28 febbraio 2016)


L'assedio antisemita fin dentro il cuore dell'Europa, a Bruxelles

Una sinagoga più militarizzata di un Consiglio Ue. Parla Katharina von Schnurbein, responsabile Ue contro l'antisemitismo. "Nascondersi non servirà".

di Marco Valerio Lo Prete

 
Katharina von Schnurbein
BRUXELLES - Esattamente una settimana fa, in queste ore, il palazzo Justus Lipsius di Bruxelles è stato circondato per due giorni e mezzo da una zona rossa. Un anello di sicurezza straordinario che viene attivato quando i capi di governo dei 28 paesi dell'Unione europea si riuniscono nella sede del Consiglio. Dentro questo anello si può camminare soltanto a piedi, soltanto per ragioni di lavoro come capita allo staff dei leader e ai giornalisti accreditati, e soltanto dopo essere stati perquisiti dalla polizia belga. Dentro la zona rossa, tuttavia, proprio la settimana scorsa, c'era un luogo ancora più off limits degli altri. Non quello dove si stavano parlando la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier britannico David Cameron, ma una palazzina identificata all'esterno da una targa d'ottone: "Eu Jewish Buildings", o Eujb. Venerdì sera, per accedere al centro - che dal 2004 ospita una sessantina di organizzazioni ebraiche, laiche e religiose - bisognava superare i controlli di due militari belgi e poi quelli della sicurezza privata che lascia entrare soltanto una persona per volta. Dentro, semplicemente, si celebrava Shabbat. Ma in stato d'assedio.
  Al piano rialzato dell'Eujb c'è una piccola sinagoga. Il rabbino Michoel Rosenblum, originario di Brooklyn a New York e da dodici anni in Belgio, ci dice fiero che "questa è l'unica sinagoga rimasta aperta, tra le dieci di Bruxelles, per celebrare Shabbat dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Di fronte a questi attacchi efferati, la risposta degli europei, anche di fede ebraica, non dev'essere quella di nascondersi". Condivisibile. Ma dopo la recente ripresa di attacchi antisemiti, viene da chiedersi: si può ancora indossare una kippah in Europa senza sentirsi in pericolo?
  "Can I wear my kippah in Europe?", "Posso indossare la mia kippah in Europa?", è il titolo dell'evento sull'antisemitismo organizzato una settimana fa a Bruxelles dalla cosiddetta "sinagoga europea" e dalla federazione continentale del B'nai B'rith. Rosenblum replica al quesito parlando proprio della situazione del Belgio: "In questo paese gli ebrei sono circa 50.000. Bruxelles e Anversa ospitano le comunità più antiche e numerose. Se possiamo indossare la kippah senza avere paura? Le rispondo in due modi. Ripetendo che nascondersi non è mai la soluzione. Ma anche ammettendo che nella comunità diventano sempre più frequenti i discorsi sull'extrema ratio che ci rimane: abbandonare l'Europa". Spesso poi le parole diventano fatti: secondo la Jewish Agency, il 2015 è stato un anno record da questo punto di vista, con 9.880 ebrei europei che hanno lasciato le loro case per andare in Israele, e di questi circa 8.000 sono partiti dalla Francia. Circa il doppio rispetto a soltanto due anni fa. Il quotidiano New York Post, lo scorso gennaio, ha registrato il dato in un editoriale così intitolato: "Gli altri rifugiati: perché gli ebrei stanno lasciando l'Europa".
  Katharina von Schnurbein, passaporto tedesco e curriculum solidamente brussellese, è stata appena nominata dalla Commissione Ue come "coordinatrice della battaglia all'antisemitismo". In una conversazione con il Foglio, ammette che "la Commissione europea è estremamente allarmata per l'aumento di attacchi a sfondo antisemita in alcuni stati membri. La situazione varia di molto da paese a paese. Secondo il Jewish community security service, per esempio, in Francia il numero di atti antisemiti registrati è raddoppiato nel 2014 rispetto all'anno prima. I cittadini di fede ebraica rappresentano meno dell'1 per cento della popolazione francese ma costituiscono la metà delle vittime di tutti gli attacchi razzisti che avvengono nel paese. Rileviamo pure numeri crescenti di partenze di cittadini ebrei. Come Commissione siamo convinti di quanto ha detto il nostro vicepresidente Timmermans: l'Europa, senza gli ebrei, non è più l'Europa". Sono quattro le strategie seguite dalla Commissione per contrastare il fenomeno: rafforzare le politiche anti terrorismo; avviare un dialogo con i grandi gruppi dell'information technology e bloccare l'hate speech che si diffonde online; monitorare la piena applicazione di leggi ad hoc contro l'incitamento alla violenza; infine una maggiore attenzione ai processi educativi.
  Un'ulteriore riflessione su quest'ultimo punto. Molti appartenenti alla comunità ebraica brussellese - che chiedono di rimanere anonimi - segnalano che l'origine degli atteggiamenti antisemiti è mutata nel tempo, e che è innegabile un ruolo crescente di cittadini e residenti di fede islamica. "Dobbiamo stare attenti a evitare generalizzazioni sui musulmani - risponde la Von Schnurbein - In Italia per esempio chi perpetra atti antisemiti, secondo lo Jewish policy research, è percepito nella maggioranza dei casi come appartenente alla sinistra politica (43 per cento), poi alla destra (32 per cento) e solo nel 17 per cento dei casi a un'ideologia estremista islamica". Tuttavia la stessa responsabile della Commissione ammette che "non si potrà mai sottostimare la necessità di integrare i rifugiati e gli immigrati in generale. Le persone che vogliono rimanere in Europa devono aderire ai nostri valori, tra i quali non c'è spazio per l'antisemitismo". E' in questo quadro che a Bruxelles studiano con interesse, per esempio, il lavoro di alcune ong tedesche che adesso stanno analizzando i libri di testo su cui si sono formati i giovani richiedenti asilo siriani, specie riguardo la storia della Shoah e dello stato d'Israele. La Von Schnurbein, infine, ci tiene a sottolineare "l'importanza della reazione di media e società civile. Non smetterò mai di congratularmi per la scelta del Foglio e di Progetto Dreyfus di distribuire 15 mila kippah lo scorso 27 gennaio, nel giorno della Memoria. E' un gran modo di reagire agli accoltellamenti di ebrei avvenuti a Marsiglia nei giorni immediatamente precedenti".
  Daniel Citone, presidente italiano di B'nai B'rith Europa, pur lodando gli sforzi istituzionali della Von Schnurbein, si chiede se Bruxelles si renda conto del fatto che alcune sue decisioni possono "offrire una sponda" a un clima che si incattivisce verso le comunità ebraiche: "Penso all'etichettatura dei prodotti degli insediamenti israeliani". Inoltre, "se l'Ue vuole fare almeno un po' di chiarezza sulle sue reali intenzioni, perché non mette al bando le campagne di boicottaggio, spesso istituzionali, contro Israele?". Giriamo la domanda alla Von Schnurbein: "In una recente conversazione con il primo ministro israeliano Netanyahu, l'Alto rappresentante per la politica estera europea Mogherini ha sottolineato che l'etichettatura non equivale a un boicottaggio. Anzi, ha detto che l'Ue respinge con fermezza le campagne di boicottaggio, il cosiddetto Bds".
  Nelle strade di Bruxelles, certe posizioni rischiano di apparire meri sofismi. Nel centro della capitale europea, a due passi dalla luccicante zona del Sablon, il 24 maggio 2014, lo storico museo ebraico divenne l'obiettivo di un attacco terroristico. Quattro i morti. Il direttore del museo, dicono nella comunità, aveva rifiutato ogni protezione della polizia: "Il nostro, prima di essere 'ebraico', è un 'museo', aperto a tutti", diceva. Mehdi Nemmouche, il ventinovenne francese di origini algerine oggi accusato della strage, e di cui poi si sono scoperti i legami con uno degli autori dell'attacco al Bataclan di Parigi, aveva trascorso un anno in Siria e la pensava diversamente. Per lui quel museo era "ebraico", prim'ancora di essere un "museo"; dunque degno di essere assaltato. Oggi l'istituto rimane chiuso, e fuori ci sono due targhe commemorative: la prima ricorda gli ebrei belgi uccisi nel 1944 dai nazisti; la seconda gli ebrei uccisi nel 2014. Settant'anni dopo, sempre al centro dell'Europa.

(Il Foglio, 27 febbraio 2016)



Come ai giorni di Noè

Come avvenne ai giorni di Noè, così pure avverrà ai giorni del Figlio dell'uomo. Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, s'andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell'arca e venne il diluvio che li fece perire tutti. Lo stesso avvenne anche ai giorni di Lot: si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, si piantava, si edificava; ma nel giorno che Lot uscì da Sodoma piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece perire tutti. Lo stesso avverrà nel giorno che il Figlio dell'uomo sarà manifestato.

dal Vangelo di Luca, cap. 17

 


Privatizzazione per linee leggere, la metropolitana di Tel Aviv

La costruzione della linea rossa della metropolitana leggera di Tel Aviv è iniziata solo pochi mesi fa e già il Governo pensa al futuro delle prossime due linee, quella verde e quella viola, immaginando sin d'ora una procedura privata per affidarne la costruzione a società private.
Secondo fonti del giornale economico Globes, l'Esecutivo non vuole che la vicenda della Linea Rossa debba di nuovo ripetersi. Nel 2006, infatti, fu lanciata una gara privata, vinta da MTS, un consorzio fra le imprese Africa Israel, Siemens, Egged, una compgnia cinese e una portoghese. MTS non fu tuttavia in grado di assicurare il compimento dell'opera secondo i prezzi e i tempi indicati nel capitolato pubblico-privato BOT (Build Operate Transfer) che ad oggi sono lievitati al 2021 e a 16 miliardi di NISH dagli 11 inizialmente preventivati, non essendo, inoltre, riuscita entro il 2010 a recuperare la quota di fondi privati necessari. Sono state queste le ragioni per ritirare la concessione e affidare la realizzazione dell'opera a NTA, compagnia pubblica.
La costruzione delle due nuove linee dovrebbe quindi essere assegnata piuttosto secondo lo schema PFI (Private Finance Initiative) dove il contributo economico dello stato è minimale e anzi, quest'ultimo mantiene un diritto di scelta del contraente anche dopo la chiusura del periodo di commissioning quando l'opera viene testata ed è assicurata la rispondenza della stessa a quanto previsto da capitolato di appalto.

(Italpress, 27 febbraio 2016)


Iran, gli ebrei al voto in Sinagoga: 'Siamo iraniani'

Sono in ventimila, 'stiamo bene qui e non ce ne andremo'.

Nella sala della preghiera della sinagoga di Yusifad a Teheran, davanti al grande candelabro azzurro a sette braccia dipinto sulla parete di fondo, è stato allestito un seggio elettorale. Gli scrutatori sono musulmani, ma i votanti sono solo ed esclusivamente ebrei. La comunità ebraica iraniana, la più numerosa di tutto il Medio Oriente (ovviamente dopo Israele) con circa 20mila persone, ha diritto ad un proprio rappresentante nel nuovo Parlamento iraniano, o Majlis, così come gli armeni, i cattolici siriaci e gli zoroastriani, tutte minoranze 'protette' dalla costituzione islamica. A Teheran oggi si è votato anche nelle chiese e nei templi del fuoco.
   Nella Sinagoga, il dovere elettorale è preso molto sul serio. Dati i numeri relativamente piccoli, stupisce il continuo via-vai di votanti, molti uomini con la kippah, donne velate, famiglie con bambini. All'ora di pranzo qualcuno porta grandi ceste di frutta e le appoggia sugli stessi tavoli dove si compilano le schede, prima di metterle nell'urna e di sigillare il voto timbrando l'indice della mano destra nell'inchiostro. I candidati in corsa sono due, Homayoun Samiha e Siamak Morsedes. "Noi ci sentiamo iraniani a tutti gli effetti. Stiamo bene qui. Non abbiamo problemi", spiega all'ANSA Elyas Abbian, proprietario di una gioielleria nel grande bazar di Teheran.
   Abbian dice di ricevere continue pressioni da Israele, specie dai suoi parenti, perché anche lui compia la sua alya, ovvero il ritorno alla Terra Promessa. "L'emigrazione non è però un obbligo", sottolinea. Anche se non esistono rapporti diplomatici tra Israele e l'Iran - e anzi i due Paesi vengono spesso considerati nemici giurati - gli ebrei iraniani possono recarsi in preghiera a Gerusalemme. Nella sinagoga di Teheran, molti ammettono di essere stati in Israele, ma di essere poi tornati.
   Chi doveva partire, ormai è partito. Ai tempi dello Scià vivevano in Iran circa centomila ebrei. Poi la Rivoluzione del 1979 creò una situazione di paura. L'ayatollah Khomeini inquadrò gli ebrei come minoranza protetta ma i più non si fidarono. Gli ebrei hanno vissuto in Iran da 2500 anni, da quando giunsero in Persia liberati da Ciro il Grande, dopo la schiavitù di Babilonia. La storia della minoranza ebraica in Persia e poi in Iran è stata caratterizzata da alti e bassi, periodi di convivenza pacifica si sono alternati a periodi di persecuzioni e conversioni forzate. Dopo le tensioni vissute durante la presidenza di Ahmadinejad e il suo furore anti-sionista, per gli ebrei iraniani è cominciata una fase più positiva con Rohani. "Il sabato è rispettato come nostro giorno di festa, nelle nostre scuole si studia in ebraico, i nostri ragazzi possono fare il servizio militare vicino alle loro comunità, i nostri riti sono tutelati", afferma Abbian. "Anzi, il 99,9% dei miei amici sono musulmani e non vi sono problemi di religione. Io partecipo alle loro feste e loro vengono al Tempio". Abbian si ferma a parlare all'ingresso della Sinagoga, dove l'atmosfera sembra rilassata, tranquilla. Solo un soldato è di guardia, così come negli altri seggi. Gli ebrei iraniani sperano che il nuovo corso avviato da Rohani possa portare anche ad un dialogo con Israele? "Noi speriamo ovviamente di sì, però prima deve essere risolta la questione palestinese. Solo a questa condizione, Israele e Iran potranno diventare buoni amici", risponde senza esitazione il negoziante del bazar.

(ANSA, 27 febbraio 2016)


Tel Aviv a misura di biker

La città che non dorme mai è la destinazione perfetta per gli amanti della bicicletta. Ecco perché.

di Valentina Bonfanti

Tel Aviv è una delle metropoli ideale da scoprire in bicicletta. Qui, infatti, migliaia di abitanti non usano altri mezzi di trasporto che la rilassante "due ruote". La città è piatta e piccola, ma ricca di scorci interessanti e suggestivi. Inoltre, offre un ottimo servizio di bike sharing, degno delle città più bike-friendly d'Europa. A Tel Aviv, infatti, noleggiare una bicicletta per lanciarsi alla scoperta della città ha un prezzo imbattibile: 16 NIS al giorno (3,50 euro) o 60 NIS a settimana (13 euro). Sono presenti più di 5.500 biciclette a noleggio ed oltre 150 rental station. Insomma, rimanere a piedi sembra essere praticamente impossibile.
  Approfittando della morfologia piana della città e delle sue dimensioni compatte, infatti, utilizzando la bicicletta si riesce ad aggirare il traffico della "città che non dorme mai". Se si aggiungono le tante giornate di sole, le eccellenti piste ciclabili, e i tanti parchi della città, non si fa fatica a capire come mai, tanto gli abitanti, quanto i turisti preferiscono la bici agli altri mezzi di trasporto.
  Ma non è tutto: nel mese di ottobre la città ospita Sovev Tel Aviv. Si tratta di un appuntamento a cui partecipano ogni anno oltre 30.000 ciclisti ed è il più grande evento ciclistico di Israele, con 3 giorni di festeggiamenti. Pedalando su quattro diverse piste ciclabili, attraverso i viali della città e lungo la costa mediterranea, i ciclisti che prendono parte a quest'imperdibile manifestazione hanno l'opportunità di scoprire i tesori architettonici della prima città ebraica moderna, con la sua ricchezza di eventi artistici e culturali, festivals, intrattenimenti d'ogni sorta, ed un'attivissima vita notturna.

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(Stile.it, 27 febbraio 2016)


Nella maratona di Tel Aviv dominio kenyano

Secondo successo di fila per Yegon. Tra le donne si è imposta Chemtai Korlima

Dominio kenyano alla maratona di Tel Aviv, in Israele. William Kiprono Yegon, 33 anni, si è aggiudicato per la seconda volta consecutiva la gara completando il percorso di oltre 42 km in due ore, 10 minuti e 51 secondi.
Alle sue spalle i connazionali Francis Kibiwott (2h12'19") e Kipnegtich Katamphen (2h14'09"). Kenyane anche le prime due donne: Lonah Chemtai Korlima (2h40'16") e Margaret Njuguna (2h43'11"); terza l'etiope Azeb Weldehawariat (2h58'51"), vincitrice dello scorso anno. All'edizione odierna hanno partecipato oltre 40mila appassionati, di cui 1.500 giunti dall'estero, in una giornata di sole, più calda della media annuale del periodo
Gli organizzatori avevano approntato per loro, nelle strade del centro, cinque tracciati di diversa difficoltà. Centinaia di agenti di polizia, predisposti per garantire la sicurezza, si sono limitati a smaltire gli ingorghi.

(RaiSport, 27 febbraio 2016)


Quando Bari parlava al mondo arabo

di Alessandro Leogrande

Ottant'anni fa, alla metà degli anni trenta, Radio Bari avviò una serrata programmazione in lingua araba rivolta ai popoli della riva meridionale e orientale del Mediterraneo. In quel miscuglio di retorica, propaganda, comunicazione, intuizioni politiche e culturali, vi sono molti dei termini del discorso che ritornano oggi, nel confronto tra le due sponde del "mare di mezzo". In "Onde fasciste. La propaganda araba di Radio Bari (1934-1943)", edito da Carocci, Arturo Marzano ricostruisce questa storia quasi del tutto dimenticata.
   Parallelamente alla creazione della Fiera del Levante, il regime mussoliniano volle fare di Bari una porta sul Mediterraneo non solo in senso commerciale. Il palinsesto della radio, dotata di potenti ripetitori in grado di coprire il Maghreb e il Medio Oriente, si riempì subito di programmi in lingua straniera, rivolti ai Balcani e al mondo arabo. Radio Bari fu uno dei principali bacini culturali all'interno dei quali venne elaborata e propagandata la politica mediterranea del fascismo.
   Come nota Marzano, la radio entrò presto nella "guerra delle onde" con le emittenti inglesi e francesi: l'obiettivo era criticare il colonialismo degli altri, senza mettere in discussione il proprio. Tuttavia, sebbene questa insanabile contraddizione non venisse sciolta, Radio Bari seppe avviare anche una fitta programmazione culturale. Fu creata un'orchestra araba, vennero coinvolti speaker arabi, e soprattutto si dedicò uno spazio considerevole alla letteratura e alla musica dei paesi al di là del mare.
   È difficile capire quanto la radio fosse effettivamente ascoltata. Ancora più difficile è ricostruire la sua dimensione "sonora". Negli archivi Rai, sia a Bari sia a Roma, non c'è più alcuna traccia delle trasmissioni andate in onda. Una rimozione così radicale fa riflettere, tanto più che lo stesso Marzano ha potuto ricostruire la lingua e le parole della radio barese solo attraverso le trascrizioni che ne fecero i diplomatici o i servizi di intelligence inglesi, americani, francesi.
   La pagina più buia di Radio Bari riguarda sicuramente il suo marcato antisemitismo. A partire dal 1938, l'emittente divenne cassa di risonanza di una martellante propaganda contro gli ebrei, stigmatizzati quali "nemici irriducibili" degli arabi. Rielaborando i "Protocolli dei savi di Sion", la radio diffuse per un tempo infinitamente lungo farneticazioni disgustose sul "complotto anglo-giudaico" volto alla conquista del Medio Oriente.
   Fantasmi di ieri, fantasmi di oggi. Col senno di poi, la radio costituisce uno dei primi casi in cui l'antisemitismo europeo si salda con l'antisionismo moderno. La condanna assoluta del "progetto sionista" e della "presenza ebraica" in Palestina trova in quelle trasmissioni un funesto antecedente. È inevitabile pensarlo, mentre in Puglia si susseguono gli eventi del "Mese della Memoria".

(Corriere del Mezzogiorno, 27 febbraio 2016)


Sofia ritiene Israele una potenziale fonte di gas

SOFIA - Il vice primo ministro della Bulgaria, Tomislav Donchev, ha detto a un funzionario economico israeliano che Sofia ritiene il paese del Medio Oriente una fonte potenziale per le forniture di gas. Come riferisce l'agenzia di stampa "Sofia news agency", Israele "in particolare" è vista come un Paese che potrebbe portare il gas in Bulgaria e nell'intera regione europea sud orientale, ha detto Donchev dopo l'incontro con Avi Simhon, capo del Consiglio economico nazionale di Israele. Donchev ha aggiunto che i due Paesi hanno un "potenziale non sfruttato" nella cooperazione energetica che, se utilizzato, potrebbe anche contribuire a intensificare i rapporti di Israele con i Balcani e la regione del Mediterraneo. I due hanno discusso anche misure volte a promuovere le piccole e medie imprese e per fornire incentivi alla produzione hi-tech e avvio di start-up (entrambi i settori di essere altamente sviluppati in Israele). Donchev fa parte della delegazione del primo ministro Bojko Borisov in visita in Israele.

(Agenzia Nova, 27 febbraio 2016)


La qualità profonda del bene e la mediocrità del male

di Deborah Fait

 
La fabbrica SodaStream a Rahat
 
L'«Intifada della Pace» davanti alla SodaStream
 
Daniel Birnbaum con Scarlett Johansson
Beduini, arabi e ebrei riuniti in un parco vicino a Rahat, la città beduina nel deserto del Neghev, vicinissima a Beer Sheva. Non un parco qualsiasi , nientemeno che l'area dove Sodastream ha ricostruito le sue fabbriche dopo aver smantellato quelle di Maalè Adumim, in Giudea, grazie al boicottaggio organizzato dal BDS, il movimento antisemita che sta avvelenando il mondo.
  1200 giovani dei vari gruppi etnici esistenti in Israele hanno partecipato a una festa della pace e e dell'amicizia, soprannominata "intifada della pace", nata da un'idea del figlio di Daniel Birnbaum, presidente di Sodastream, Nitzan Birnbaum, 17 anni, dopo averne parlato col suo amico beduino, Sami Ashwi di 18 anni. I due ragazzi si erano conosciuti durante una gita scolastica un paio di anni fa e tra loro era subito nata una bella amicizia.
  Il 6 febbraio Shlomit Gonen di 65 anni, una nonna del kibbuz Mishmar Hanegev, è stata accoltellata mentre faceva la spesa al mercato di Rahat. E' stata immediata la reazione del sindaco della città, Talal al Krenawi che, visitando Shlomit all'ospedale, disse " L'attacco a Shlomit è stato un attacco a ogni abitante di Rahat".
  I due ragazzi, appoggiati da Daniel Birnbaum che ha subito messo a disposizione l'area della fabbrica, e da tutta la popolazione di Rahat, hanno trasformato quell'episodio drammatico in una festa di amicizia, allegria e fratellanza.
   E' così che devono comportarsi le persone civili, è questo atteggiamento che dovrebbero avere gli arabi-palestinesi invece di onorare i terroristi, intitolare loro scuole e piazze e chiamarli martiri. E' anche così che si combattono il male e l'odio. E' solo questione di cultura e civiltà, c'è chi ce l'ha e c'è chi non ce l'ha.
  Il sindaco di Rahat ha dimostrato indignazione per un atto di barbarie e il suo atteggiamento è stato un esempio per tutta la popolazione che ha immediatamente condannato il fatto e ha espresso solidarietà a Shlomit.
  In questa atmosfera di grande amicizia e complicità l'idea di Nitzan e Sami di organizzare una grande festa in onore di Shlomit e contro la violenza dell'odio, ha entusiasmato tutti. Sotto grandi tendoni bianchi, balli, canti, musica Jazz, musica ebraica, musica araba, canti beduini, tavolate di cibo e bevande, tanti giovani e meno giovani, tutti amici, ebrei in calzonici corti e T-Shirt, beduini nei variopinti costumi tradizionali, ragazze e ragazzi insieme e vicini, tanta allegria.
  La cosa più emozionante, scrive il Jerusalem Post, era vedere i due amici, Sami Ashwi e Nitzan Birnbaum, l'uno con le braccia sulle spalle dell'altro, spiegare il motivo per cui avevano pensato di dar vita, con l'entusiasmo della loro giovane età, all'intifada della pace. "La situazione in Israele sta peggiorando, dice Ashwi, dovevamo fare qualcosa, guardatevi intorno, qui ci sono 1200 ragazzi che dicono al mondo che si può vivere insieme ed essere amici. I ragazzi sono i leader di domani, noi vogliamo che le cose cambino e l'dea deve venire da noi.
  Questa fabbrica - continua il giovanissimo beduino - dà possibilità di lavoro ai beduini e agli ebrei, e dà loro la speranza di fare insieme una buona vita. Se non ci conosciamo avremo sempre dei problemi. Nel momento in cui ci si conosce si da inizio alla soluzione . Questo è successo a me e a Nitzan." Sodastream sta facendo rivivere Rahat dando lavoro a più di 400 residenti, tra cui molte donne e questo è importante perchè il lavoro aiuta le donne beduine, spesso segregate, a uscire di casa, invoglia le loro figlie a studiare, ad avere una vita libera e una carriera, integrandosi più facilmente al resto degli israeliani. Chi studia è in grado di insegnare ai propri figli il rispetto verso gli altri, non si vedrà mai una mamma beduina piangere perchè suo figlio non ha ammazzato abbastanza ebrei. Questa, in un passato vicino e lontano, sarebbe stata una grande occasione anche per i palestinesi di Giudea, Samaria e Gaza ma i maggiorenti palestinesi, da sempre, ora con la complicità del BDS, hanno voluto lasciarli nella miseria, nell'ignoranza e nella barbarie. E' così che servono per alimentare il terrorismo tanto caro agli "angeli della pace".
  L'intifada della pace di Ashwi e Nitzan, si è conclusa tra abbracci e gioia mentre lui, Daniel Birnbaum, felice e giustamente soddisfatto di aver allevato un figlio come Nitzan, era occupato a farsi le ultime foto con i suoi ospiti che l'indomani sarebbero tornati al lavoro. Questo è Israele.

 Udi Aloni
 
Udi Aloni
  Siccome ad ogni cosa bella pare debba seguire una brutta, ecco che arriva la scemenza, ecco la mascalzonata nel nome di Udi Aloni.
  Chi è costui? E' un regista israeliano che ha vinto un premio al Festival di Berlino con un film in lingua araba, interpretato solo da attori arabi.
  Aloni a Berlino ha chiesto alla Germania di non fornire sottomarini a Israele perchè ha un governo fascista che diffonde odio. Certamente la mela non cade lontano dall'albero e se l'albero ha radici malate le mele marciscono. L'albero di Udi Aloni era sua madre Shulamit.
  Oggi nessuno la nomina più, ce l' eravamo dimenticata ma Shulamit Aloni, leader del Meretz e fondatrice del partito Ratz, Ministro dell'Educazione durante il governo Rabin, grande provocatrice, idealizzata dalla sinistra più estrema, molto criticata da chi estremista non era, è stata un personaggio negativo e un politico pericoloso. Ha fatto più danni lei in due anni di lavoro al Ministero dell'educazione che Torquemada.
  A mio parere è stata uno dei cavalli di Troia che hanno tentato di arrivare alla distruzione di Israele, ipocritamente in nome dei diritti civili, in realtà guidati da un odio profondo per il proprio paese e il proprio popolo, come i tristemente famosi Uri Avneri, fondatore di Gush Shalom, Ilan Pappè e altri "grandi" odiatori di Israele.
  La Aloni, oltre a demonizzare Israele, criticava aspramente le visite dei giovani israeliani a Auschwitz: "con tutte quelle bandiere colla stella di David, sembra vogliano conquistare la Polonia" declamava! L'orgoglio israeliano la infastidiva molto, il terrorismo palestinista che uccideva gli israeliani pare la infastidisse molto meno, eppure, nonostante ciò, inspiegabilmente, ha ricevuto il Premio Israel.
  Questi sono i misteri di molte democrazie che, per essere più realiste del re, diventano masochiste. Suo figlio Udi ha ereditato gli stessi sentimenti e, come lei, va in giro per il mondo a insultare il proprio paese. Non so se è già tornato in Israele ma considerato il suo amore per gli arabi, i suoi film in lingua araba, i suoi attori arabi, lo inviterei a trasferirsi a Gaza o a Ramallah anzichè godersi, insultandola, la democrazia di questo Paese.
  "Una nazione sopravvive ai pazzi e agli ambiziosi ma non può sopravvivere a chi la tradisce dal suo interno. Il traditore rende marcia l'anima di una nazione, mina i pliastri della società, ne infetta la politica" (Cicerone).

(Inviato dall'autrice, 27 febbraio 2016)


I piloti di Israele si addestrano sugli aerei italiani

di Gianluca Perino

Aermacchi M-346
La base aerea di Hatzerim è nel centro di Israele, vicino a Beer Sheva e a una manciata di chilometri dalla parte sud della striscia di Gaza. Qui, sotto la guida del maggiore Erez, si addestrano e crescono i piloti israeliani. Ma in questo angolo del Negev recita un ruolo importante anche l'Italia. Grazie a un accordo siglato tra Alenia Aermacchi e ministero della Difesa di Tel Aviv, l'addestramento avviene sugli M-346 costruiti proprio dall'azienda del gruppo Finmeccanica. Si tratta di velivoli che preparano i piloti israeliani ad affrontare attacchi dai missili di fabbricazione iraniana utilizzati da Hezbollah, palestinesi e siriani. Grazie alle tecnologie presenti su questi biposto (l'istrutture si siede dietro l'allievo)i militari imparano a gestire i dispositivi presenti a bordo dei caccia delle principali forze aeree come F-15, F-16, Eurofighter, Gripen, Rafale, F-22, e F-35. A terra, invece, possono contare su due simulatori di nuova generazione, in grado di riprodurre missioni in qualsiasi parte del mondo. Ad oggi gli M-346 di Alenia Aermacchi presenti a Hatzerim sono una dozzina, ma a regime diventeranno 30.

(Il Messaggero, 27 febbraio 2016)


Viterbo - Bonafede Mancini spiega gli ebrei

Successo ai "Pomeriggi Touring"

di Vincenzo Ceniti

VITERBO - "Ebrei. L'argomento tira e fa notizia specialmente in momenti come questi, in cui sperimentiamo di persona, seppur in toni diversi, le difficili convivenze con gli "altri". Il Touring Club dedica due, dei cinque "Pomeriggi Touring", al tema intrigante delle comunità ebraiche presenti un tempo nella Tuscia Viterbese.
  Nel primo incontro di venerdì scorso a Palazzo Brugiotti, lo storico Bonafede Mancini ha svolto, davanti ad un nutrita platea, un serrato excursus sulla presenza dei giudei in alcuni centri del Patrimonio di San Pietro nel Cinque-Seicento. Nel secondo incontro di marzo (sempre a Palazzo Brugiotti, ore 17,00) l'esperta di abiti rinascimentali, Elisabetta Gnignera, parlerà di "Vesti e signa degli Ebrei in Italia dal 1300 al 1700".
  Coinvolgenti le informazioni fornite e commentate da Mancini che partono da lontano, dai tempi della Roma classica (Tacito), quando gli ebrei per pagare l'onta della crocifissione di Cristo, furono costretti ad "errare" nel mondo senza pace e senza patria. Ecco perché le loro attenzioni si sono rivolte al "commercio" del denaro, piuttosto che ai beni immobili (case, vigne, terreni) riservati per natura a popolazioni stanziali.
  Gli epiteti affibbiati loro e ingigantiti dalla storia sono sconcertanti: usurai, blasfemi, libidinosi e via discorrendo. Ma oltre ad usurai e banchieri, erano anche e soprattutto medici. Nel medioevo la maggior parte era giudea, anche perché la chirurgia veniva considerata un mestiere impuro.
  Nel Cinquecento dopo le epurazioni di Paolo IV molte comunità si rifugiarono nei paesi di confine nord dello Stato Pontificio riuniti intorno a Castro. Parliamo di Pitigliano (la "Piccolo Gerusalemme"), Valentano, Gradoli, Onano ed altri dove resiste ancora il ricordo dei ghetti con tanto di Sinagoghe. Quella di Pitigliano è stata restaurata ed è visitabile. La Cantina Sociale del posto ha addirittura siglato un accordo con le comunità ebraiche italiane per l'annuale fornitura di partite di vino.
  Sulle tavole cosa c'è di ebraico? Certamente i carciofi alla giudia (olio aglio e mentuccia) e, strano a dirsi, le ciambelle con l'anice. Ma anche l'orzo con il latte a colazione. Secondo Mancini fa riflettere il gesto di un fattore del principe di Brazzà, tale Fortunato Sonno di Piansano, che dopo le leggi razziali del 1939 protesse, insieme ad altri contadini del posto, l'identità di una famiglia ebrea fuoriuscita da Pitigliano che si era rifugiata in una grotta presso il laghetto di Mezzano. Per questo gesto umanitario, il nome di Fortunato Sonno è scritto nel "Muro dei Giusti" di Gerusalemme".

(OnTuscia, 27 febbraio 2016)


I vip del romanzo contro Israele

Vargas Llosa e altri scrittori firmano un libro contro lo stato ebraico.

di Redazione

Mario Vargas Llosa
Un anno fa, uno scandalo coinvolse la Harper Collins, gigante dell'editoria anglosassone. Pubblicò il suo nuovo "Atlante Geografico Primario per il Medio Oriente", ma Israele era sparito in fretta e furia, proprio come nei migliori sogni degli ayatollah iraniani e dei fondamentalisti islamici palestinesi. Nella mappa, mentre appaiono Gaza, Cisgiordania, Siria, Giordania, Libano, viene digerito via lo stato d'Israele. Adesso un altro scandalo colpisce Harper Collins. Nel 2017, in occasione dei "50 anni di occupazione d'Israele", la celebre casa editrice ha annunciato che pubblicherà un libro firmato da romanzieri di fama mondiale critici dello stato ebraico, che questo anno si recheranno nei Territori palestinesi.
   L'iniziativa è diretta dal Premio Pulitzer Michael Chabon e vanta la partecipazione dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, Premio Nobel per la Letteratura, da anni molto critico di Gerusalemme. Il progetto è sponsorizzato dal gruppo politico "Breaking the Silence", la ong da mesi sotto incessante critica da parte israeliana per la sua condotta, tanto da essere stata bandita dalle scuole e dalle basi militari israeliane, dove conduceva parte delle sue iniziative. Questo avrebbe dovuto far riflettere i letterati che hanno scelto di partecipare all'iniziativa. A firmare il libro saranno anche il Premio Pulitzer Geraldine Brooks, Dave Eggers e l'irlandese Colm Toibin, fra gli altri. Tutta gente dalle impeccabili credenziali democratiche e di sinistra che frequenta i salotti giusti, che vende, che fa opinione pubblica.
   Starebbero bene tutti nell'editoriale sul Financial Times dello storico Simon Schama, per il quale "il problema della sinistra con gli ebrei ha una storia lunga e infelice" e "la critica delle politiche del governo israeliano si è trasformata in un rifiuto del diritto di Israele a esistere". Si chiede Schama: "Perché è molto più facile odiare gli ebrei?". Già, bella domanda. Visto che in medio oriente, anziché accanirsi contro l'unica democrazia, gli scrittori avrebbero potuto indignarsi sulla Siria, ad esempio. Ma la brava e bella gente che conta, i fighetti alla Eggers, ritiene naturale, persino giusto, che Israele incassi le offese al proprio territorio e alla propria gente. E forse che scompaia. Come nell'atlante Harper Collins.

(Il Foglio, 27 febbraio 2016)


Duetto D'Alema-Tariq

L'ex premier e il predicatore Ramadan. In nome della comune battaglia contro "gli islamofobi". Dopo i convegni con il furbastro Ramadan, l'articolo a due mani sull'"islam religione europea".

di Giulio Meotti

 
Duetto D'Alema-Tariq
ROMA - "Do you trust this man?", ha chiesto il quotidiano inglese Independent su Tariq Ramadan, mentre Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere ed ex ministro degli Esteri francese, lo definiva "un uomo estremamente pericoloso". Il compianto Fouad Ajami diceva che "Ramadan non è altro che un frammento staccatosi dall'antico blocco": la Fratellanza musulmana. E quando Ramadan fu invitato all'Università di Aosta, Luciano Caveri, allora presidente ulivista della regione, bloccò la lezione: "Mio padre è stato ad Auschwitz, dovrei accogliere chi sostiene che Israele va distrutto?".
   Non la pensa cosi Massimo D'Alema. Cosa possono avere in comune un ex primo ministro e ministro degli Esteri italiano, un ex comunista dalle impeccabili credenziali laiche, e un islamologo ginevrino dalla barba ben curata e per il quale l'Europa è "dar al shahada", terra di missione religiosa? Molto, a giudicare dalle intense attività congiunte. Lo scorso dicembre all'Università di Lovanio (posto edificante, il Belgio, per elogiare il multiculturalismo), Ramadan e D'Alema hanno tenuto una conferenza in francese. Protagonista del flirt dalemian-ramadaniano la Foundation for European Progressive Studies, di cui D'Alema è presidente. Adesso D'Alema e Ramadan firmano persino un editoriale assieme sul quotidiano belga Le Soir. "Carta bianca" per parlare di islam e immigrazione. L'ex premier e il nipote del fondatore dei Fratelli musulmani attaccano l'idea che l'Europa diventi "una fortezza tagliata fuori dal mondo", dicono che i flussi migratori "non possono essere fermati", si compiacciono che l'Europa "sta diventando una società multietnica, multireligiosa, multiculturale e multilingue". Celebrano I"' islam religione europea".
   Nell'articolo su Le Soir, Massimo D'Alema e Tariq Ramadan dicono che "non è che non siamo preoccupati per la sicurezza dei nostri cittadini, ma non dobbiamo dimenticare che l'educazione e la diversità sociale sono elementi essenziali per consolidare pace e convivenza". "Come rispondere all'islamofobia", chiedono all'unisono? Ricordando che "i nostri concittadini musulmani sono in prima linea nella lotta contro l'estremismo violento". Poi l'affondo: "Ironia della sorte, gli estremisti islamici e gli europei islamofobici condividono la stessa idea che l'islam è violenza"'. Abbiamo bisogno di un "islam europeo" per respingere entrambi, l'Isis e gli xenofobi, e quell'islam europeo "sarebbe un potente antidoto al fanatismo religioso che esiste in tutte le religioni". Infine il panegirico che manderebbe in estasi qualunque imam con manie di grandezza: "Gli stati dell'Unione e le loro istituzioni devono riconoscere che l'islam è una religione europea". Forse D'Alema sarà stato attratto dall'immagine dell'amabile tradizionalista che offre sempre Ramadan, il brillante conversatore, l'alfiere della xenofilia, l'altermondista che si appella alla libertà religiosa e civile, il seduttore dei progressisti, il sociologo spirituale. Comunque, nell'articolo su Le Soir la strana coppia si ferma lì.
   Tariq Ramadan invece no. E in una recente conferenza a Saint-Denis, la banlieue di Parigi dove sono sepolti i re di Francia e vivevano anche gli autori degli attentati del 13 novembre nella capitale francese, Ramadan ha detto che "le fonti dell'islamofobia le conosciamo: l'ottanta per cento sono discorsi legati ciecamente a organizzazioni sioniste".
   Alcuni giorni fa il quotidiano francese Figaro si è imbucato a una conferenza di Ramadan organizzata al Grand Palais di Lilla, davanti a un pubblico di tremila persone, tra cui molte donne velate e uomini barbuti che indossavano il gamìs (l'abito prediletto dai salafiti). Colui che ha ricevuto il nome di Tariq ibn Ziyad, l'architetto della conquista araba della Spagna nell'V secolo, ha detto che "l'islam è una religione di lingua francese" e che "il francese è una lingua dell'islam". Forse D'Alema non se n'è ancora accorto, ma per dirla con lo studioso Jacques Jomier, l'obiettivo di Tariq Ramadan "non è modernizzare l'islam, ma islamizzare la modernità". E in questo caso la celebre regola non vale: cambiando l'ordine degli addendi, il risultato cambia. Eccome.

(Il Foglio, 27 febbraio 2016)


Islam contro modernità. Chi vincerà? Gli islamofili o gli omofili? Gli omofobi o gli islamofobi?


Iran, elettori in fila. Ma la democrazia resta una chimera

Scontro tra i due contendenti: Khamenei contro Rouhani

di Fiamma Nirenstein

 
L'illusione è affascinante, Le notizie dall'Iran, ieri nella giornata elettorale per il Parlamento e l'Assemblea degli Esperti (il corpo religioso che ele ; e la «guida suprema», oggi Khamenei), farebbero invidia alla più florida delle democrazie. Infatti l'agenzia-di stampa Fars parla di code lunghissime ai seggi a Teheran e in tutto il vasto Iran, tanto da costringere a allungare l'orario di due ore; gli iraniani ieri hanno votato appassionatamente.
   Si prevede che dei 55 milioni aventi diritto (su 80 di cittadini della Repubblica Islamica) a mettere la loro scheda nell'urna, più del 70 per cento si siano presentati all'appuntamento elettorale contro il 64 per cento della volta precedente. I dissidenti del regime sparsi per tutto il mondo, come Benafsheh Zand, analista di questioni iraniane e di diritti umani, o Majid Rafizadeh, dissidente che ha sofferto anni di carcere e torture, accusano i media di ingannare il pubblico e si affannano a spiegare che l'Iran resta uno fra i regimi più oppressivi e antidemocratici voto o non voto, che si tratta di una messinscena per qualificare l'Iran sulla scena internazionale, che comunque i candidati sgraditi al regime sono stati espulsi dalle liste.
   L'Ayatollah Khamenei, il«supremo leader» ha lanciato un appello: «Chiunque ami l'Iran e la sua dignità, la sua grandezza e la sua gloria, deve partecipare. La partecipazione deve essere tale che i nostri nemici perdano la speranza».
   I nemici sono gli stranieri che complottano. Ma stavolta, lo è anche il fronte che propone una versione più aperta del regime, senza distaccarsi dall'impronta religiosa.
   I contendenti sono due, Khamenei e il presidente Rouhani. La soddisfazione popolare per gli accordi internazionali sarà un propellente per il fronte riformista, ma le regole restano ostacoli insormontabili: i 12 membri del Consiglio dei Guardiani hanno già rifiutato qualsiasi candidato per l'Assemblea degli Esperti (88 membri) che non sia con Khamenei eletto nell'89; l'Assemblea da allora non ha eletto da allora nessun leader nuovo; a suo tempo egli era stato indicato da Khomeini. Ora succederà probabilmente lo stesso, a meno di sorprese straordinarie. Ma se esse fossero rivoluzionarie, potrebbero portare a repressioni durissime come accadde nel 2009. La prossima Guida Suprema sarà probabilmente prescelta da Khamenei stesso.

(il Giornale, 27 febbraio 2016)


Unioni civili - Rav Momigliano. "Attenti ai segnali della società, Halakhah il nostro riferimento"

"Prendiamo atto di questa legge che, con una certa fatica, si sta facendo strada nel Parlamento. In quanto cittadini italiani, non possiamo infatti sottrarci dal compito di leggere e interpretare i segnali che arrivano dalla società, dalle forze politiche, dalle istituzioni. Quindi massimo rispetto e massima attenzione alla pluralità di opinioni espresse, anche all'interno delle nostre Comunità. Però deve essere chiaro un fatto. E cioè che la linea educativa dell'ebraismo ortodosso si basa sulla Halakhah, la legge ebraica. E che questa non può essere cambiata perché forze esterne indicano un percorso diverso. Faccio un esempio: non è che se da un giorno all'altro l'adulterio viene depenalizzato, allora dobbiamo procedere a una modifica dei Dieci Comandamenti. Spero sia chiaro".
Così il presidente dei rabbini italiani, rav Giuseppe Momigliano, commenta a Pagine Ebraiche il via libera del Senato alle unioni civili e l'intenso dibattito che coinvolge in queste ore l'intero apparato politico oltre a opinion leader e tanta gente comune. "Il nostro compito è quello di mantenere e definire un certo tipo di impegno educativo. Al tempo stesso - osserva rav Momigliano - è importante mantenere un confronto aperto con la società nelle sue diverse anime ed espressioni".

(moked, 26 febbraio 2016)


"...
non è che se da un giorno all'altro l'adulterio viene depenalizzato, allora dobbiamo procedere a una modifica dei Dieci Comandamenti." Strano esempio, quello di rav Momigliano: è da tempo immemorabile che l'adulterio in Italia è depenalizzato. Certo, i dieci comandamenti nel mondo ebraico non sono stati cambiati, ma si può chiedere: è stato forse abrogato il numero 157 delle 613 Mitzvot, quello basato su Levitico 18:22, per intenderci? M.C.


Londra - Coro antisemita verso David Guetta

Al termine dell'incontro Tottenham-Fiorentina di Europa League.

di David Guetta

David Guetta
La Fiorentina perde male ed esce dall'Europa, ma voglio raccontarvi quello che è successo quando ho preso la metro per tornare nel centro di Londra. Una ventina di ragazzotti [italiani] mi ha riconosciuto e ha cominciato a cantare "David Guetta, c'è un treno per Mauthausen che ti aspetta", un motivetto che deve andare di moda tra loro, visto che non c'è stato bisogno di accordare i suoni per far partire il coretto vergognoso. Vergognoso non per me, che da decenni convivo con "l'ebreo di merda" che scatta come riflesso condizionato dalle menti più annebiate: sei anni fa l'insulto partì per esempio da un importante rappresentante del tifo, oggi salito di rango, che aggiunse anche di voler venire in radio a staccarmi la testa. La vergogna è per questi dementi con cui mi piacerebbe avere un confronto e che quasi certamente non sanno bene cosa sia successo a Mauthausen. O ad Auschwitz, o a Dachau, o a Treblinka. Ma lo vorrei avere questo incontro davanti alla lapide che in via Farini ricorda i fiorentini che sono partiti con quei treni che loro oggi vogliono per me e che non sono più tornati. E' un po' come con quelli/e che si dichiarano assolutamente non antisemiti, ma che spesso quando ti parlano ogni tanto tirano fuori queste parole: "ma voi ebrei...": una forma di razzismo strisciante che non sopporto. Magari qualcuno di quei ragazzi e di quelle ragazze, di quei signori e di quelle signore che su quel treno sono stati costretti a salire tifava pure per la Fiorentina, che già esisteva. Fiorentini/e ebrei/e come me, che sono non ho nessun legame particolare con la Comunità ebraica, mentre invece come cittadino provo nausea ad avere a che fare con questa gente. Aspetto con orgoglio il prossimo coro: continuate pure così, vigliacchi.

(Firenzeviola.it, 26 febbraio 2016)


Mediterraneo, i cacciatori di navi fantasma usano i Big Data per scovare i terroristi

Una start up israeliana analizza 100 milioni di segnali al giorno: ogni anomalia è un indizio.

di Massimo Russo

TEL AVIV - Alla fine di settembre dell'anno scorso Jupiter, un mercantile battente bandiera delle isole Cook, è stato fermato dalle autorità italiane dopo aver lasciato le coste dell'Algeria, mentre stava navigando verso il Libano. La nave è stata condotta nel porto di Cagliari e qui, da un controllo nella stiva, sotto il carico di granito sono comparse 20 tonnellate di cannabis, per un valore sul mercato di quasi 200 milioni di euro.
   Dietro la segnalazione che ha permesso il sequestro c'è una start up israeliana. La società si chiama Windward, come il videogioco fantasy di battaglia navale, ma si occupa di cacciare navi fantasma attraverso modelli di fisica e algoritmi che macinano enormi quantità di dati.
 
Il caso Jupiter e la droga nella stiva  
   La sede di Windward è non lontano da Rothschild boulevard, nel distretto di Tel Aviv che somiglia a un pezzo di Silicon Valley del Medio Oriente. Di mattina il quartiere dorme ancora, gli sviluppatori di codice e i nerd che arrivano in Israele da tutto il mondo sono gente che secondo stereotipo si sveglia tardi, porta a spasso il cane, fa surf o jogging sul vicino lungomare e poi si chiude a programmare fino a notte fonda. I bar e i ristoranti sotto l'edificio in cui si trova la società hanno serrato i battenti all'alba, poche ore fa, ma nell'appartamento - già troppo piccolo per i 60 dipendenti - il lavoro non si ferma. Qui si analizzano oltre 100 milioni di dati al giorno, appartenenti a 200 mila navi che solcano i mari del globo, assicurando il 90% dei commerci. Di che si tratta? Di tutto: fonti aperte come i dati di registrazione dei cargo, informazioni commerciali su carico e destinazioni, tracciamento delle rotte, linea di galleggiamento per desumere il riempimento delle stive, informazioni grezze riservate provenienti dai servizi di sicurezza.
   «È un po' come cercare un ago in un pagliaio», spiega Alon Podhurst, vicepresidente della società. «La tecnologia e i sistemi di calcolo servono per macinare le informazioni e illuminare i comportamenti anomali». Separare le anomalie dal rumore di fondo. Si può trattare di una nave che improvvisamente cambia rotta al largo del Marocco e torna indietro senza aver toccato alcun porto, oppure di un mercantile che davanti alla Spagna si ferma per due giorni e mezzo e, come dicono qui, «va al buio», spegne i sistemi radar di segnalazione e si rende irreperibile, per poi riapparire 49 ore dopo a poche miglia di distanza. Gli Oceani e il mar Mediterraneo sono il nuovo campo di sfida dell'intelligence.
   L'Europa ha decine di migliaia di chilometri di coste e - come dimostra la vicenda dei migranti - sorvegliarle è molto difficile. Secondo le informazioni di Windward, nel solo mese di gennaio più di 9 mila cargo e petroliere sono entrati in Europa, di questi oltre 5 mila 500 battevano bandiera ombra, oltre 540 provenivano da Paesi sospettati di connessioni con il terrorismo. Significa che erano salpati o avevano attraversato le acque territoriali di Libia, Siria o Libano. Centonovanta sono poi risultati appartenere a società con una sola nave, e 11 hanno denunciato una falsa identità.
   Quando i monitor di Windward segnalano un allarme, le cause possono essere le più disparate: dalla pesca di frodo nelle isole del Pacifico a una violazione dei confini in Asia, dal trasporto di immigrati clandestini al contrabbando in Sud America, dal commercio illegale in Africa Orientale alla spedizione di armi verso lo Yemen.
   «Le segnalazioni sui sospetti vengono poi girate ai nostri clienti». Nessun nome, ma si tratta nella maggior parte dei casi di agenzie governative: guardia costiera, dogane, intelligence. Del resto i due fondatori di Windward, Ami Daniel e Matan Peled, provengono entrambi dalla Marina militare israeliana. Molte anomalie riguardano l'Italia. Come il mercantile partito da Misurata, in Libia, lo scorso novembre, sparito al largo della Tunisia e ricomparso alcune ore dopo, per poi attraccare a Pozzallo, in Sicilia.
   A fianco alla sicurezza, l'altro campo di attività di Windward è la finanza. Da oltre un anno la società compila un bollettino quotidiano dell'ammontare delle scorte di greggio dell'Iran, stoccate nei depositi galleggianti. Avere un quadro in tempo reale dei movimenti di merci sui mari del globo è un'informazione di grande rilievo per analisti, banche e broker. Esistono indici, come il Baltic Dry, che attraverso l'andamento del commercio marittimo servono a prevedere l'evoluzione dell'economia.
   È per questo che, a differenza da altre start up, Windward non ha problemi di finanziamento. «Non diamo informazioni sui nostri risultati economici, ma in un mercato senza reali concorrenti finora abbiamo raccolto 17,3 milioni di dollari», sottolinea Michal Chafets, responsabile del marketing. Tra soci e consulenti troviamo i nomi di David Petraeus, ex capo della Cia, Tom Glocer, ex amministratore di Reuters, Gabi Ashkenazi, già capo di Stato maggiore dell'esercito israeliano. Tra i fondi Horizons Capitai, che appartiene al magnate cinese delle telecomunicazioni Li KaShing, e Aleph ventures. «Penso che arriveremo a 90 dipendenti entro fine anno», conclude soddisfatta Chafets. «Il selvaggio West degli oceani ha bisogno di guardiani».

(La Stampa, 26 febbraio 2016)


"La presenza degli ebrei a Siracusa": ieri un incontro di Italia Nostra

 
Via Alagona nel quartiere della Giudecca in Ortigia
Proseguono gli incontri culturali promossi dalla sezione provinciale di Italia Nostra Siracusa al Circolo Unione. Ieri pomeriggio, la presidente Lucia Acerra ha tenuto una conferenza dal titolo: "La presenza degli ebrei a Siracusa".
   Acerra, partendo da una piccola introduzione sull'impianto urbanistico del centro storico di Ortigia elencando alcune delle peculiarità dei quattro quartieri, si è soffermata sulla Giudecca o quartiere ebraico. La presidente ha spiegato che i primi insediamenti di ebrei in città risalgono al periodo della dominazione romana e la comunità era la seconda colonia ebraica della Sicilia dopo Palermo.
Gli ebrei erano malvisti dai siracusani perché erano indispensabili per l'economia della città. Essi per la permanenza a Siracusa pagavano una tassa giornaliera, la gizya, e dovevano mantenere la spesa della cera per l'illuminazione della regia e per le riparazioni delle fortificazioni. Con l'editto del 1492, ha continuato a spiegare la professoressa Acerra, emanato dal re Ferdinando il Cattolico, gli Ebrei furono cacciati da tutti i possedimenti dell'impero, creando una profonda crisi economica.
    Ma nel frattempo vi fu una mossa furba, voluta dal vescovo Dalmazio che concesse a quelli che si convertivano al Cristianesimo, di perdere solamente il 40% dei loro averi causando anche problemi interni ai coniugi in quanto, probabilmente, si convertiva uno solo e l'altro no. Alla Giudecca, testimonianze architettoniche e identitarie sono il bagno ebraico o miqweh di palazzo Bianca, la cui scoperta è stata raccontata dalla stessa Acerra, in quanto testimone oculare dell'evento e la chiesa di San Giovanni Battista o S. Giovannello, era ex sinagoga ebraica.
   Importante oltre le abitazioni per la loro conformazione sono i vicoli della Giudecca che rappresentano le antiche strigas dell'impianto urbanistico ippodameo, voluto dai Greci.

(SiracusaNews, 26 febbraio 2016)


Israele-Bulgaria: il premier Borisov incontra il presidente israeliano Reuven Rivlin

Il primo ministro bulgaro Bojko Borisov e il presidente israeliano Reuven Rivlin
SOFIA, 25 feb - Il primo ministro bulgaro Bojko Borisov ha incontrato oggi il presidente israeliano Reuven Rivlin. Come riferisce l'ufficio stampa governativo, il premier Borisov ha ribadito "l'amicizia e il rispetto reciproco tra i due popoli, basati su profondi legami storici". Il primo ministro ha dichiarato che il salvataggio degli ebrei bulgari è stata una delle pagine più belle, non solo nei rapporti tra i due popoli, ma anche per la costruzione dell'identità nazionale, sia come bulgari che europei. Il premier ha sottolineato che le relazioni bilaterali tra la Bulgaria e Israele negli ultimi anni si sono notevolmente intensificati trasformandosi in una partnership strategica. Borisov ha osservato come questo faciliterà la prossima seduta intergovernativa, prevista per la seconda metà del 2016. Il primo ministro bulgaro ha sottolineato che Israele è un importante e promettente partner commerciale per la Bulgaria e che le aspettative sono quelle di intensificare gli sforzi per aumentare gli scambi commerciali, di investimenti e nel settore turistico. C'è un grande potenziale non sfruttato tra i due paesi nei settori dell'energia, ha detto Borisov illustrando a Rivlin il lavoro del governo bulgaro per la diversificazione energetica.

(Agenzia Nova, 26 febbraio 2016)


Dialogo strategico tra Israele e Russia

Al centro la questione del terrorismo internazionale.

TEL AVIV
- Si rafforza la cooperazione tra Israele e Russia. In una conversazione telefonica, il presidente russo, Vladimir Putin, e il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, hanno discusso ieri di cooperazione «sui temi di attualità all'ordine del giorno in Medio oriente e delle relazioni bilaterali». A darne notizia è il Cremlino, secondo cui «è stato raggiunto un accordo per l'organizzazione di una serie di contatti ad alto e altissimo livello». Uno dei punti cruciali della cooperazione rafforzata — dicono i commentatori — è la lotta al terrorismo internazionale e questo soprattutto per quanto riguarda il contrasto ai gruppi jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is) che operano in Siria e in Iraq. Israele teme possibili infiltrazioni di questi gruppi nel suo territorio. Per prevenire tali attacchi il contributo della Russia, già attiva in Siria, potrebbe rivelarsi fondamentale. E intanto, pochi giorni fa sono partite le nuove esercitazioni militari congiunte tra Israele e Stati Uniti. Lo ha reso noto un portavoce militare israeliano secondo il quale si tratta di esercitazioni di difesa da missili balistici, condotte ogni due anni sulla base di un programma di addestramento di lunga durata e dunque «non collegato ad alcuno sviluppo specifico nella regione». A queste esercitazioni, nelle quali vengono simulati al computer diversi attacchi contro Israele, prendono parte 1700 militari e civili statunitensi, tra esperti e tecnici.

(L'Osservatore Romano, 26 febbraio 2016)


Modena - Un rabbino al servizio del dialogo

Beniamino Goldstein ribadisce come, anche nella nostra città, la fattiva collaborazione tra quanti operano in nome del bene comune assuma ora più che mai un'importanza prioritaria.

di Cesare Carbonieri

 
Beniamino Goldstein, Rabbino Capo di Modena e Reggio Emilia
Da circa 7 anni a questa parte, Rabbino Capo di Modena e Reggio Emilia è il 46enne triestino, Beniamino Goldstein, che nonostante l'ancora giovane età può vantare un curriculum prestigioso. Trasferitosi da bambino in Israele con la sua famiglia, ha studiato presso la scuola Chorev e, in seguito, all'Accademia Rabbinica Kol Torà nonché all'Istituto Machon Harry Fishel a Gerusalemme, per conseguirvi la "Semichà", l'investitura rabbinica. Rientrato in Italia agli inizi del 2000 ha ricoperto numerosi incarichi di docente a Milano e Roma approdando, infine, nel settembre del 2009 nella nostra città.

- Se ben ricordiamo, il suo arrivo a Modena, Rav, non è stato coronato da altisonanti investiture da parte delle gerarchie ufficiali.
  "Sì, nel nostro mondo, non é difatti un vescovo ad ordinare le nomine o i trasferimenti bensì un semplice accordo con la comunità locale."

- Che, immaginiamo, l'abbia accolta a braccia aperte.
  
"In modo direi caloroso, malgrado l'esiguità dei membri, circa una settantina. Un numero inferiore ad altre realtà ma che ci permette di svolgere i fondamentali momenti di preghiera mattutina, pomeridiana e serale oltre, naturalmente, a quelli del Sabato, il giorno per noi più importante della settimana. Spesso, comunque, ospitiamo praticanti russi, francesi, americani, belgi e di altre regioni."

- Forse anche per visitare la sinagoga, una delle più belle d'Italia.
  
"Capisco il senso della sua affermazione, tuttavia, mi creda, la costruzione in sé vuole dire poco. Un tempio monumentale le potrà forse sembrare il simbolo di un glorioso passaggio storico o il segno di un'avvenuta emancipazione, eppure sono le cosiddette scole, cioè la maggioranza delle sinagoghe all'interno di normali abitazioni, a conservare ancor oggi un'autentica vitalità."

- Alimentata, probabilmente, da diversi impegni.
  
"Riguardanti, in primo luogo, lo studio e l'approfondimento delle antiche scritture ebraiche. Pur essendo molto concentrati a conservare le nostre tradizioni, non esitiamo in ogni caso ad aprirci all'esterno per farci conoscere e a confrontarci in occasioni pubbliche assieme alle altre confessioni religiose."

- Con cui intrattenete, quindi, ottimi rapporti.
  
"Dato di fatto che abbiamo peraltro ribadito accettando molto volentieri di partecipare lo scorso 17 gennaio alla giornata del dialogo tenutasi nel seminario cittadino. Un incontro molto interessante, fuori dagli schemi e in grado di dare, se ripetuto, ottimi risultati."

- Ai modenesi non rimane dunque che conoscervi più da vicino.
  
"In particolare, nella prima settimana di settembre quando la sinagoga è aperta a tutti oppure durante l'anno scolastico, periodo in cui riceviamo classi di studenti o gruppi di adulti per apposite visite guidate. La cordialità da noi è veramente di casa e siamo sempre molto felici di salutare il nostro prossimo con un amichevole Shalom."

(Modena Today, 25 febbraio 2016)


Siena - Alla scoperta della Sedia di Elia. La nascita nella tradizione ebraica

Domenica 28 febbraio alle 11, per il ciclo "Object in focus" si terrà una visita alla Sinagoga di Siena intorno a un prezioso manufatto realizzato da artisti senesi attorno al 1860.

 
Siena - La Sedia di Elia
Oggetti che rievocano una storia, custodiscono una cultura millenaria. "Object in focus" è il tema cui s'ispira il quarto e ultimo appuntamento della rassegna "Febbraio al Museo" organizzata dal Comune di Siena che vede anche la partecipazione della Sinagoga. Dopo il successo dell'iniziativa del 21 febbraio con la lezione di Musicainfasce condotta da Nora Iosia (è stato necessario replicarla nel pomeriggio vista la grande richiesta), domenica 28 febbraio alle 11 andrà in scena Object in focus: la Sedia di Elia. La nascita nella tradizione ebraica.
Il percorso di visita prenderà ispirazione dalla preziosa Sedia di Elia per la cerimonia della circoncisione, conservata in Sinagoga e realizzata da artisti senesi attorno al 1860. L'oggetto scelto diventa così punto di partenza per riannodare i fili di un viaggio affascinante intorno al tema della nascita e delle tradizioni familiari ebraiche, attraverso filmati, canti e narrazioni. Con la visita di domenica 28 cala il sipario su una rassegna che nel mese di febbraio ha portato alla Sinagoga di Siena tanti visitatori curiosi di scoprire l'affascinante mondo ebraico grazie a un'offerta variegata di attività tra workshop, laboratori di scrittura, musica e visite guidate per grandi e piccini.

(SienaFree.it. 25 febbraio 2016)


Israele contro l'Iran per i soldi dati alle famiglie di palestinesi uccisi

GERUSALEMME - Israele ha condannato la decisione di Teheran di dare 7mila dollari a ciascun palestinese ucciso nella recente ondata di violenze in Israele e Territori occupati e 30mila dollari a ogni famiglia palestinese che ha avuto la casa demolita. L'iniziativa di 'beneficenza' e' stata annunciata dall'ambasciatore iraniano in Libano, Mohammad Fathali, che a Beirut ha incontrato membri di Hamas e della Jihad Islamica, cosi' come del movimento sciita libanese di Hezbollah. I soldi promessi, ha spiegato il rappresentante di Teheran, vanno ad aggiungersi a quelli versati mensilmente dal 1987 da un'istituto iraniano alle famiglie dei palestinesi uccisi nelle violenze.
Dura la reazione del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, strenuo oppositore della recente normalizzazione dei rapporti della comunita' internazionale con la Repubblica islamica. "Questo dimostra che l'Iran, anche dopo l'accordo sul nucleare, continua a sostenere il terrorismo, compreso quello palestinese, di Hezbollah, e assistere Hamas", ha sottolineato, esortando "i paesi del mondo a condannare e assistere Israele nel respingerlo". Identico appello e' stato rivolto dall'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, al segretario generale Onu, Ban Ki-moon. Nella recente ondata di violenze, sono morti 28 israeliani e 176 palestinesi, in maggioranza uccisi dalle forze di sicurezza israeliane mentre compivano attacchi.

(AGI, 25 febbraio 2016)


Vittoria al bando europeo. Il Wwf Mantovano in Israele

SUZZARA - Il Wwf Mantovano di Suzzara ha recentemente vinto il bando europeo di cooperazione internazionale su tematiche ambientali dal titolo "Minorities on the Israel National Trail", a cui si era candidato circa un anno fa. Approvato e finanziato dalla Comunità Europea in ambito Euro-Med Youth Program, tale progetto era stato proposto in sede comunitaria dalla Society for Protection of Nature in Israel e il Wwf Mantovano ha partecipato come partner italiano, assieme ad altri soggetti europei tra cui tedeschi, spagnoli, cechi, ciprioti, che operano a vario titolo nell'ambito della promozione e tutela dell'ambiente. Fino a domenica, una delegazione del Wwf sarà in Israele a visitare i luoghi facenti parte dell'Israel National Trail (Sentiero Nazionale d'Israele), ovvero un percorso che attraversa l'intero Stato da nord a sud. Il percorso è stato concepito e sviluppato per dare una visione di tutti i possibili ambienti e paesaggi israeliani. «Sarà l'occasione di un interessante scambio culturale» ha detto il presidente Donato Artoni.

(Gazzetta di Mantova, 25 febbraio 2016)


Tumori: da Israele una speranza per curarli con la cannabis

Una nuova speranza per combattere i tumori arriva da uno studio condotto in Israele dal Technion Israel Institute of Technology di Haifa. Secondo questo studio, tutt'ora in corso e che ha prodotto finora solo risultati preliminari, in futuro si potrebbe tentare di trattare il cancro utilizzando direttamente la cannabis.
Ciò rappresenterebbe uno stravolgimento dell'impostazione attuale dato che, ad oggi, i farmaci a base di cannabis derivati da semi di canapa vengono già utilizzati nei malati oncologici, ma soltanto nella fase terminale per alleviare le sofferenze derivate da dolori e spasmi.
In sostanza la cannabis viene impiegata come cura palliativa del dolore nelle patologie che non prevedono terapie o per combattere danni prodotti da radio e chemioterapie; non ancora come cura di per sè risolutiva.
Lo studio condotto dall'istituto in Israele sta lavorando per trovare una correlazione diretta tra l'utilizzo di questa sostanza e la cura diretta dei tumori; si analizza l'effetto di 50 diverse varietà di cannabis su 200 tipologie di cellule tumorali partendo dalla capacità dei cannabinoidi di rallentare la crescita del tumore e causare la morte di cellule malate. Questo processo, noto come apoptosi, è una forma di morte programmata delle cellule tumorali.
Un risultato simile era emerso già in uno studio italiano del 2013 realizzato dai ricercatori dell'Università di Camerino; in quel caso si era andati a mettere in risalto la capacità dei cannabinoidi di ridurre in alcuni modelli animali presi a riferimento la crescita di alcuni tumori, quali quello al seno, alla prostata, al colon o alla pelle.
Gli studi scientifici che evidenziano un ruolo dei cannabinoidi nell'inibire la crescita delle masse tumorali e nell'uccidere le cellule malate sono diversi; di recente anche uno studio realizzato negli Usa da un team di ricercatori ingaggiato dal dipartimento di Salute statunitense ha portato ad un risultato simile. Anche in questo caso si è teorizzato che i cannabinoidi possano inibire la malattia andando a uccidere le cellule cancerogene.
Si tratta di esperimenti e studi che sono ancora in corso d'opera, e che devono essere dunque confermati. Come ovvio tutta la comunità scientifica sta guardando con grande interesse a queste possibilità dato che, ad oggi, per molti tumori non esiste ancora una cura risolutiva.

(infoOGGI, 25 febbraio 2016)

Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in visita a Recanati

L'avvocato Renzo Gattegna è atteso nella città leopardiana domenica 28 febbraio.

Sarà senza dubbio una gradita visita quella che, domenica 28 febbraio, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane farà a Recanati. Renzo Gattegna verrà accolto in città dal sindaco Francesco Fiordomo e dalle autorità cittadine: dal luglio 2006 guida l'organismo che rappresenta gli ebrei nei confronti delle Istituzioni e delle Autorità italiane ed estere, coordinando le 21 comunità ebraiche sparse sul territorio nazionale e promuovendo l'istruzione e le attività culturali, religiose e sociali degli ebrei in Italia.
Il programma prevede la visita a Casa Leopardi, al Centro Studi Leopardiani e alla Pinacoteca Comunale di Villa Colloredo Mels: lì, oltre alle tele di Lorenzo Lotto e al museo dell'Emigrazione Marchigiana nel Mondo, il presidente dell'Ucei avrà modo di visitare anche la mostra sull'Arte dei Sacelli, prima di recarsi in visita alla basilica di Loreto.
Gattegna, romano da generazioni, è avvocato civilista ed è molto attivo nella vita ebraica nazionale e romana, Gattegna era già consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel quadriennio precedente: prima ancora, per molti anni, come consigliere della Comunità Ebraica di Roma, si è occupato in particolare di giovani.
Attualmente, fa parte del consiglio di amministrazione del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano di Ferrara e del Museo della Shoah di Roma.

(Emmausonline, 25 febbraio 2016)


I limiti del nuovo orientamento israeliano in Siria

La strategia israeliana tra le richieste di intervento ai paesi occidentali e la collaborazione con i russi per non danneggiare i propri interessi.

di Roberta Papaleo

 
L'attuale campagna diplomatica israeliana rivolta agli stati occidentali per un intervento militare diretto in Siria riflette la nuova leadership politica e militare del paese. Finora Israele si è limitato a singole azioni per fermare i gruppi armati che si avvicinano al confine nel Golan, e per impedire il trasferimento di armi dalla Siria ai magazzini di Hezbollah in Libano. Ma ciò che accade ora va in una nuova direzione, dovuta all'imposizione russa sullo scenario con i bombardamenti contro le forze dell'opposizione. La preoccupazione israeliana è che il sostegno russo influenzi il corso del conflitto e porti ad un rafforzamento dell'asse iraniano (Hezbollah e il regime di Asad).
   I servizi di sicurezza a Tel Aviv hanno cominciato infatti a rivedere le proprie previsioni, e hanno rovesciato l'idea secondo cui la permanenza di Asad al potere fosse un bene, e il confine nel Golan una aerea sicura. Secondo ciò che trapela dagli incontri dei servizi di sicurezza, sono stati previsti tre diversi scenari. Il primo scenario vede un esito negativo per Israele nella sopravvivenza di Asad, che significherebbe la vittoria per Iran ed Hezbollah. Ciò rafforzerebbe la posizione iraniana, già favorita dalla firma dell'accordo sul nucleare, dalla sospensione delle sanzioni e dal miglioramento dei suoi rapporti con l'occidente; inoltre la vittoria di Asad porterebbe al ritorno del controllo del regime sul Golan, motivo di ulteriore attrito tra Israele ed Hezbollah e la Guardia rivoluzionaria iraniana in Siria. Il rapporto sostiene che la probabilità della caduta del regime, finché la Russia fornisce il suo appoggio militare, è molto bassa.
   Nel secondo scenario si ipotizza che la guerra in Siria non termini a breve nonostante gli interventi russi. Il terzo scenario punta sulla necessità di trasformare gli stati occidentali in una terza potenza, motivo per cui Israele deve invitare l'occidente ad intervenire militarmente in Siria. Ma Israele critica l'Occidente per la mancanza di una chiara strategia di fronte all'intervento russo e per il concentrarsi solo sulla propria difesa; il rapporto dei servizi di sicurezza aggiunge: "in un momento in cui gli sforzi americani contro Daesh in Iraq e Siria stanno dando qualche frutto, Washington e l'Occidente sono impotenti di fronte al rafforzamento di Asad sostenuto da Russia e Iran".
   Il primo ministro israeliano Netanyahu domenica, parlando delle crescenti minacce nei confronti del paese, ha detto che il proprio governo "ha deciso di essere rigoroso nella difesa e nell'attacco, nella difesa dei confini e nell'azione dentro e fuori di essi". Con queste parole ha chiaramente legittimato la permeabilità dei confini col pretesto di difendere Israele. La posizione israeliana vuole allo stesso tempo prevenire tensioni con la Russia, per timore di danneggiare i propri interessi.
   Il ricercatore dell'Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale a Tel Aviv Zvi Magen sostiene che la presenza russa in Siria possa giovare alle relazioni tra Mosca e Tel Aviv; e riferisce che i russi hanno minimizzato le critiche ad Israele sulle operazioni a Gaza, e ha diminuito, almeno temporaneamente, la vendita o il trasferimento di vari tipi di armi ad alcuni regimi del Medio Oriente. Alla vigilia dell'operazione russa in Siria, Israele e Russia hanno messo a punto un coordinamento politico - militare, con lo scopo di evitare lo scontro, anche se Israele deve assicurarsi la libertà di rispondere in Siria.
   Magen infine avverte che un nuovo regime a Damasco si fonderà su un'alleanza che sostiene l'Iran, Hezbollah, il resto dei gruppi sciiti e l'esercito del regime siriano, tutti sostenuti da Mosca. Da ciò Israele non sarà favorito, ma la Russia potrebbe controllare un governo di questo tipo e prevenire l'escalation contro Israele, nell'ipotesi che un'azione come questa possa mettere a rischio gli interessi a lungo termine della Russia.


* Da un articolo in arabo di Amal Shahada, giornalista di Al-Hayat. Traduzione e sintesi di Irene Capiferri.

(ArabPress, 25 febbraio 2016)


Israele - Quattro milioni di dollari in R&S per applicazioni della Cannabis terapeutica

L'industria farmaceutica Israeliana Cannabics Pharmaceuticals, specializzata in prodotti a base di cannabis a scopo terapeutico, sta sondando investitori privati per raccogliere 4 milioni di dollari da dedicare alla sua attivita' di ricerca e sviluppo. E' di questi giorni la notizia del giornale economico Globes, che la societa' sta conducendo un roadshow in Israele, negli Stati Uniti e in Europa.
   Cannabics Pharmaceuticals e' stata fondata nel 2012 da ricercatori israeliani impegnati nel campo dell'oncologia e della biologia molecolare e dal 2014 e' quotata in borsa negli Stati Uniti. Il prodotto di punta della compagnia e' una pillola a rilascio modificato per migliorare la qualita' della vita dei pazienti oncologici con stadio avanzato della malattia, gia' commercializzata nello Stato del Colorado. La compagnia sta anche sviluppando un sistema tecnologico per l'analisi bioptica usando il principio attivo della cannabis destinato ad aiutare il medico nell'individuazione della migliore terapia tagliata sui bisogni del paziente.
   Nella presentazione usata per attrarre gli investitori, Cannabics riporta che attualmente il giro di affari nei soli Stati Uniti e' di 3.6 miliardi di dollari e che le proiezioni per le vendite della pillola nel 2016 sono di 750.000 dollari e nel 2019 di 84 milioni di dollari derivanti dalla vendita della pillola e del sistema bioptico. La compagnia stima, infine, che entro cinque anni, il giro di affari legato alla cannabis terapeutica superera' quello dell'industria del cinema e dell'agroalimentare biologico.

(Tribuna Economica, 25 febbraio 2016)


Il Financial Times bastona la sinistra che odia Israele

di Giulio Meotti

Un articolo da ritagliare e spedire a tutti quegli intellettuali, quei giornalisti, quegli scrittori, quegli accademici che da anni, ogni giorno, in Italia e all'estero, demonizzano lo stato ebraico. La brava e bella gente di sinistra che ritiene naturale, persino giusto, che Israele incassi le offese al proprio territorio e alla propria gente.
Sul Financial Times, il grande storico Simon Schama, un liberal d'establishment, mica ha scherzato. Scrive che "il problema della sinistra con gli ebrei ha una storia lunga e infelice" e che "la critica delle politiche del governo israeliano si è trasformato in un rifiuto del diritto di Israele a esistere". Si chiede Schama: "Perché è molto più facile odiare gli ebrei? L'antisemitismo non è stato causato dal sionismo; è esattamente il contrario".
Un articolo da ritagliare e spedire a tutti quegli intellettuali, quei giornalisti, quegli scrittori, quegli accademici che da anni, ogni giorno, in Italia e all'estero, demonizzano lo stato ebraico. La brava e bella gente di sinistra che ritiene naturale, persino giusto, che Israele incassi le offese al proprio territorio e alla propria gente. Mettono su persino liste di proscrizione degli accademici israeliani. Un appello di professori italiani è arrivato a 328 firme. Per usare la definizione che August Babel diede dell'antisemitismo, appoggiare i nemici di Israele a tutti i costi è il nuovo "socialismo degli idioti".

(Il Foglio, 25 febbraio 2016)


Petrolio - Il ministro dell'Energia di Israele: Compagnie russe benvenute nelle gare offshore

Yuval Steinitz: Non appena avremo riaperto le acque territoriali per ulteriori esplorazioni.

Le compagnie petrolifere e di gas russe saranno le benvenute nel partecipare all'esplorazione offshore nelle acque israeliane quando verranno riaperte. Lo ha detto il ministro israeliano delle Infrastrutture, l'energia, le risorse idriche Yuval Steinitz. "Non appena avremo riaperto le acque territoriali per ulteriori esplorazioni, le compagnie russe saranno invitate a partecipare", ha detto Steinitz a margine della conferenza energia IHS CERAWeek a Houston, Texas. Steinitz ha annunciato a novembre che Israele progetta di riaprire la sua zona economica nel Mediterraneo per l'esplorazione di petrolio e gas. Il ministro ha ammesso che le uniche società che non saranno autorizzate a competere saranno le aziende che hanno già la licenza. "Vogliamo la diversità", ha spiegato. "Ma il mercato è aperto, e, naturalmente, le società di gas e petrolio russe sono invitate a venire". Nel mese di agosto, il governo israeliano ha approvato un progetto per aumentare la quantità di produzione di gas naturale dei grandi giacimenti di gas al largo della costa mediterranea del Paese, anche dal campo di gas naturale Tamar, così come il campo Leviathan. Attualmente, il giacimento di gas Leviathan, è una delle più grandi riserve di gas del mondo. Secondo l'US Geological Survey, il volume delle riserve non scoperte ammonta a circa 3.450 miliardi di metri cubi di gas naturale.

(il Velino, 25 febbraio 2016)


«La Lega araba non esiste più». E il Marocco cancella il vertice

Il ministro degli Esteri: sarebbe un falso, tra gli Stati non c'è unità.

Lo stemma della Lega araba
Il mondo arabo è tutto fuorché unito. Oggi più che mai. A sostenere il contrario ci si ostinerebbe nello spaccio di quel fuorviante sogno nasseriano per il quale molti governi regionali sono già stati chiamati a rendere conto alla piazza. Lo sa bene il sovrano del Marocco, l'unico ad aver finora parato l'effetto domino delle rivolte del 2011 e il primo adesso a cogliere l'aria glaciale che tira cancellando la riunione della Lega Araba prevista il 6 aprile prossimo a Marrakesh. Con una dura nota del ministro degli esteri Salaheddine Mazouar, re Mohammed VI ha fatto sapere al Segretario Generale Nabil al-Arabi e ai colleghi con base al Cairo che il suo Paese si tira indietro, che non ospiterà come promesso il 27 esimo summit perché in «assenza di obiettive condizioni di successo» rischia di essere «fine a se stesso» e di rifilare alla gente «una falsa impressione di unità e solidarietà tra gli Stati arabi».

 Sviluppo regionale
  Correva l'anno 1945 quando i regni di Egitto, Iraq, Transgiordania si associavano all'Arabia Saudita, al Libano e alla Siria dando vita all'organizzazione della Lega Araba con lo scopo a oggi sostanzialmente disatteso di favorire lo sviluppo regionale. Quattro anni dopo si sarebbe aggiunto lo Yemen e poi via via altri 15 Paesi, dalla Libia alla Tunisia alla Somalia, moltiplicando le sedie intorno al tavolo proporzionalmente alle inimicizie trasversali. A tre quarti di secolo di distanza l'Iraq è a pezzi, la Siria, sospesa nel 2011 a fronte della feroce risposta del regime alla richiesta di riforme, non c'è più, lo Yemen è lacerato dalla guerra, la Libia è una polveriera solo parzialmente esplosa, il Libano balla tristemente sul Titanic, l'Arabia Saudita ha perso con il valore del greggio tutto l'allure dell'onnipotente petrolmonarchia. Anche considerando le limitate performance della Lega, che in 52 anni di vita è riuscita a portare in porto appena 26 riunioni, la situazione attuale è eccezionalmente frammentata.
  Cosa tirarne fuori ancora? Ben poco, sembra pensare re Mohammed VI, che da tempo, anche in contrapposizione al litigioso Consiglio di Cooperazione del Golfo, punta molto di più sulle opportunità strategiche della locale Arab Maghreb Union (nelle ore in cui inviava al Cairo la lettera di disdetta, il Marocco scriveva pure al presidente algerino Abdelaziz Bouteflika ribadendo «l'rreversìbile unione» strategica rappresentata dall'Amu).

 Spostato in Mauritania
  A ospitare il summit, già precedentemente spostato dal 29 marzo al 6 aprile su richiesta di Riad, dovrebbe essere adesso la Mauritania ma l'orizzonte annuncia nubi nere. Nelle parole del ministro Mazouar («i leader arabi non possono confinarsi ancora una volta ad analizzare sterilmente le loro divergenze e divisioni senza offrire risposte decisive») si ode l'eco della tensione crescente testimoniata anche dalla decisione dell'Arabia Saudita di tagliare 3 miliardi di dollari di aiuti all'esercito libanese, reo di non aver affiancato a sufficienza Riad nello scontro politico con Teheran e di conseguenza in quello tra sunniti e sciiti.
  «Voglio chiedere un appuntamento con re Mohammed VI, guardarlo negli occhi, dirgli che è un eroe e baciargli le mani per essersi rifiutato di ospitare la Lega Araba», dice l'anchorman egiziano Tawfiq Oukasha, uno dei più acerrimi nemici della Fratellanza Musulmana che pochi mesi fa si è augurato che Netanyahu bombardasse l'Iran.
Mala tempora per la Lega Araba, orfana al tempo stesso del bellicoso passato nasseriano ma anche di quello più recente e un po' più propositivo.
  «I negoziati tra israeliani sono a un'impasse tragica e l'unico piano di pace sul tavolo oggi è quello della Lega Araba i cui Stati membri praticamente non esistono più», nota l'ex deputato del Mertz Mossi Raz di passaggio a Roma per una conferenza sulla sua All for Peace Radio di Gerusalemme. Il Marocco guarda avanti, alla fine raccontare agli arabi la favola di un'unità mai esistita non ha portato fortuna a nessuno.

(La Stampa, 25 febbraio 2016)


A Gaza lo sport vince la distruzione

Un gruppo di ragazzi si esercita tra le macerie, per dimostrare al mondo la propria forza.

A Gaza, tre ragazzi giovani coltivano il sogno di dimostrare al mondo "che si può fiorire dalle macerie", che lo sport e l'ambizione sono in grado di andare oltre la guerra e la distruzione. Baker Almakadmed, meccanico di 23 anni, e i suoi amici studenti Eyad Ayad e Mahmud Nasman si allenano tutti i giorni nell'unica palestra ammessa a Gaza: un edificio diroccato; si esercitano cercando ispirazione dai video di YouTube, con attrezzature di base.
In un Paese dove lo sport non interessa nessuno, dove il 60% dei giovani non ha un lavoro e dove non c'è posto per i sogni, i tre ragazzi hanno creato il "Bar Palestina", la loro personale palestra, per dimostrare al mondo la loro forza, fisica e morale.

(Panorama, 25 febbraio 2016)


Ucciso da fuoco amico un ufficiale israeliano

Dopo l'aggressione di un palestinese

Un ufficiale di riserva delle forze di sicurezza israeliane è stato ucciso per errore durante un tentato accoltellamento da parte di un palestinese nei pressi dell'insediamento coloniale di Gush Etzion, a sud di Betlemme, in Cisgiordania. La vittima, 23 anni, è stata trasportata in condizioni critiche presso lo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, dove è però deceduto a causa delle ferite riportate, circa due ore dopo l'attacco. Secondo quanto riportano i media israeliani, ieri mattina un 27enne proveniente dal villaggio di Dura, a sud di Hebron, ha tentato di pugnalare un israeliano allo svincolo per Etzion, ma è stato fermato dai soldati presenti nella zona che hanno aperto il fuoco ferendolo. Un proiettile ha però colpito anche l'ufficiale. I primi rapporti hanno riferito che la vittima è stato colpito con una coltellata ma l'esercito ha poi confermato che i soldati gli hanno sparato per sbaglio mentre l'aggressore cercava di accoltellarlo. In risposta all'attacco, il ministro dell'Agricoltura Uri Ariel ha chiesto che il ministro della Difesa Moshe Yà alon sospenda tutto il traffico palestinese al Junction Etzion. «Non può essere che cittadini israeliani vengano uccisi più e più volte nello stesso punto. Questa non è una questione di punizione, ma invece un divieto di assassinio di ebrei».

(il Giornale, 25 febbraio 2016)


A Cagliari l'Israeli Apartheid Week, ma l'Università nega i locali

L'Università di Cagliari non ospiterà l'Israeli Apartheid Week, evento internazionale nato per denunciare "il regime di apartheid attuato da Israele nei confronti dei palestinesi nei Territori Occupati". L'Ateneo non concede i suoi spazi: "Nessun coinvolgimento con l'iniziativa".

CAGLIARI - L'Università degli Studi di Cagliari non ospiterà - e non ha mai inteso farlo - l'Israeli Apartheid Week. Lo precisa l'ufficio stampa ufficializzando il no all'iniziativa.
Di cosa si tratta. È un'iniziativa a livello internazionale che mira a "denunciare il regime di apartheid attuato da Israele nei confronti dei palestinesi nei Territori Occupati e in Israele". Quest'anno l'evento si terrà anche a Cagliari dal 26 febbraio al 3 marzo. Ma non all'Università di Cagliari, contrariamente a quanto riportato nei volantini e su facebook.

«L'Ateneo ha tra i suoi valori fondanti il pluralismo, la libertà da ogni condizionamento ideologico, confessionale e politico e il pieno rispetto delle pari opportunità anche tra differenti posizioni culturali - fa sapere l'Università -. Per questo motivo le autorizzazioni all'utilizzo di aule, locali o spazi dell'Università di Cagliari concesse dai responsabili delle Facoltà o dei Dipartimenti a iniziative culturali presentate con titoli diversi ma rientranti in questa manifestazione devono intendersi revocate con effetto immediato. I docenti che si sono detti disponibili a partecipare all'iniziativa, presentata con titoli e argomenti differenti, ritirano la propria disponibilità. L'Ateneo perseguirà nelle sedi opportune l'uso improprio e non autorizzato del proprio logo accanto alla denominazione della manifestazione».

(Sardegna Oggi, 24 febbraio 2016)


Nei volantini il movimento boicottatore aveva dato queste informazioni. L'Associazione Italia-Israele di Cagliari ha risposto con una lettera inviata lunedì scorso al rettorato e pubblicizzata dalla stampa locale. L’effetto è stato immediato. Un esempio da imitare.


Gli ebrei e Livorno, ecco un convegno in Provincia

"Gli ebrei e Livorno, un contributo essenziale allo sviluppo della città" è il titolo del convegno organizzato dalla Comunità Ebraica di Livorno in collaborazione con il Comune, in programma per il pomeriggio di giovedì 25 febbraio alle ore 15.30 nella sala di Palazzo Granducale. La Comunità Ebraica di Livorno è nata insieme alla città. Dalla fine del Cinquecento ad oggi, infatti, gli ebrei hanno costituito una parte integrante della società livornese, sia sul piano economico che su quello politico e intellettuale.
   Al convegno sarà presente anche il sindaco di Livorno Filippo Nogarin. Dopo i saluti della autorità, si alterneranno le relazioni di alcuni eminenti studiosi che illustreranno vari aspetti dell'apporto dato dalla comunità ebraica alla storia della città. In particolare, Lucia Frattarelli Fisher, membro esperto del Centro interdipartimentale di studi ebraici dell'Università di Pisa, parlerà di "Reti mercantili e reti intellettuali degli ebrei di Livorno tra Seicento e Settecento"; Alessandro Guetta, docente di filosofia ebraica all'Institute des Languages et Civilisations Orientales di Parigi, interverrà sul tema "Livorno, centro della cultura-ebraica mediterranea"; Mirella Scardozzi, docente di storia contemporana all'Università di Pisa e autrice di numerosi saggi sulla storia economica e sociale della Toscana ottocentesca, relazionerà su "Franchetti, una storia di famiglia nell'età dell'emancipazione", infine Liana Elda Funaro, docente dell'Università di Firenze e studiosa dell'Ottocento livornese, discuterà dell'"Ottocento ebraico-livornese: medici, avvocati, educatori".
   A moderare il convegno Massimo Sanacore, direttore dell'Archivio di Stato di Livorno. Per informazioni: Comunità Ebraica di Livorno ONLUS - Piazza Benamozegh 1, Tel. 0586 896290,

(#gonews.it, 25 febbraio 2016)


AVIS Piemonte firma un gemellaggio con l'associazione di donatori di sangue israeliana MDA

Una delegazione piemontese, capeggiata dal Presidente Giorgio Groppo, sarà a Tel Aviv dal 25 al 28 febbraio.

Dal 25 al 28 Febbraio 2016 una delegazione dell'Avis Regionale Piemonte sarà a Tel Aviv per fare un Gemellaggio con i donatori di sangue del MDA (Magen David Adom) che è l'unica Associazione Israeliana ad occuparsi di donazione di sangue. L'MDA opera non solo in Israele, ma anche nei Territori Palestinesi.
Della delegazione, con a capo il Presidente dell'Avis Piemonte Giorgio Groppo, faranno parte la Dr.ssa Rosa Chianese, Responsabile del Centro Regionale di Compensazione dei Centri Trasfusionali piemontesi e alcuni medici dell'Avis Intercomunale Arnaldo Colombo.
Il ricco programma prevede l'incontro con l'ambasciatore Italiano a Tel Aviv Dr. Francesco Maria Talò, con il Patriarca di Gerusalemme Fuad Twal, con il Centro Effetà di Betlemme e la visita dei Centri Trasfusionali di Tel Aviv Haifa e Gerusalemme. Il momento più importante si svolgerà domenica 28 Febbraio 2016 con la firma del Gemellaggio tra l'Avis Piemonte e l'MDA: la firma sarà il preludio per uno scambio di esperienze tra medici trasfusionali piemontesi e israeliani, con un prossimo Protocollo tra Regione Piemonte e Israele per fornire le sacche di sangue in situazione di particolare emergenza, come le guerre.
Dichiara Giorgio Groppo, presidente Avis Piemonte: "È questo un piccolo sogno che si avvera, perché amo profondamente questa terra: questo è il primo passo per favorire un accordo tra le Istituzioni, teso a facilitare lo scambio di esperienze e fornire il sangue in situazioni di particolare necessità, per le persone di ogni ceto sociale e religione. Nel mio viaggio preparatorio del 2/3 Gennaio ho voluto verificare che questo protocollo favorisse sia la popolazione israeliana, sia quella palestinese".

(TargatoCn, 24 febbraio 2016)


Germania - Il Presidente del Consiglio ebraico: "Ricacciamo l'Afd in osteria"

BERLINO - Il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Josef Schuster, è allarmato per la crescita di Afd, il partito della destra populista. "Ricacciamolo nelle osterie, quello è il suo posto, non in parlamento" è l'appello a sua firma che apparirà domani sulla Juedische Allgemeine, il periodico dell'ebraismo in Germania.
Afd alimenta sentimenti cupi con parole semplici, prosegue Schuster: "Quel che un tempo era confinato giustamente nelle osterie, sta diventando presentabile in società". Il presidente del Consiglio ebraico ammonisce che a molti membri della comunità, questi tempi ricordano la Repubblica di Weimar: "Può sembrare esagerato, ma l'allarme si è acceso".

(Corriere del Ticino, 24 febbraio 2016)


Fondi - La Giunta delibera che largo Rufo sia intitolato a Elio Toaff

 
Il Sindaco di Fondi Salvatore De Meo rende noto che nei giorni scorsi la Giunta Municipale ha deliberato il mutamento di denominazione di largo Aurilio Rufo, cuore del quartiere ebraico, che sarà intitolato ad Elio Toaff, in quanto "protagonista del dialogo interreligioso".
  Nato a Livorno il 30 Aprile 1915 e deceduto a Roma il 19 Aprile 2015, Toaff fu prima Rabbino Capo di Venezia, dove divenne anche docente di Lettere ebraiche all'Università Cà Foscari, poi Rabbino Capo e Rabbino Emerito di Roma. Per cinquanta anni è stato la massima autorità religiosa degli ebrei romani, figura di primo piano dell'ebraismo italiano ma anche della vita sociale della nazione. Nell'arco di tutta la sua vita si impegnò nella promozione del dialogo interreligioso e fu uno degli artefici più importanti dell'avvicinamento tra i popoli e le religioni, in particolar modo tra il mondo ebraico e quello cristiano.
  Elio Toaff frequentava la città di Fondi dal 1975, quando nel mese di febbraio visitò una mostra sul quartiere ebraico dell'Olmo Perino allestita dall'Associazione culturale "Laboratorio di Storia, Architettura e Ambiente". Nello stesso mese si adoperò a far pubblicare su «La Rassegna Mensile di Israel» il saggio "Alcune notizie storiche sugli ebrei di Fondi" di Gaetano Carnevale ed Enzo Rotunno.
  Con la consegna delle chiavi della città ad Elio Toaff il 10 ottobre 1983 in piazza Giacomo Matteotti si riallacciò un legame ultrasecolare con una comunità ebraica che dalla città di Fondi era scomparsa quattrocento anni prima, lasciando una traccia nel toponimo "Giudea", e che aveva avuto una prima occasione di rinnovarsi nel mese di Maggio 1981 quando la Comunità ebraica di Roma venne a far visita al quartiere ebraico di Fondi ed ebrei e cristiani si unirono in una comune preghiera.
  In occasione della consegna delle chiavi della città Toaff fu accolto dalla toccante e commovente preghiera della liturgia ebraica "Shemà Israel", cantata dalle Comunità Neocatecumenali guidate da padre Alessio Falanga e don Mario Forte.
  Il rabbino emerito tornò a Fondi l'11 Novembre 1990, accompagnato dal console di Israele in Italia e da una rappresentanza di 250 ebrei della Comunità di Roma, per inaugurare un "Giardino della Pace" donato dallo Stato di Israele tramite il Keren Kayemet LeIsrael - Jewish National Fund.
  Il 20 Dicembre 1992 Toaff accettò l'invito a presentare "Gli statuti medioevali della città di Fondi" curati da don Mario Forte. Fu in quella circostanza che egli descrisse la suggestione e la peculiarità urbanistica di «un quartiere ebraico che ancora oggi, malgrado non ci siano più ebrei a Fondi, viene chiamato "Giudea", che non è mai stato un ghetto ma un quartiere della città come tutti gli altri, aperto al traffico cittadino e dove ebrei e cristiani vivevano in perfetto accordo», definendo inoltre il quartiere di Fondi «per molti aspetti più suggestivo e meglio conservato di quello di Gerusalemme».
  E anche grazie al suo impegno in prima persona fu possibile attuare il progetto di recupero del quartiere ebraico, finanziato dalla Regione Lazio, iniziato nel 1997 e portato a compimento nel 2000.
  Fu proprio Toaff, in una delle sue prime visite a Fondi, a riconoscere ufficialmente in quella che i fondani hanno sempre chiamato "Casa degli Spiriti" un luogo di culto, una Sinagoga; la qual cosa fu confermata da successive ricerche di altri studiosi ebrei. Lo stabile, acquisito dalla Regione Lazio nel 2000 e restaurato, è stato concesso in comodato d'uso all'Ente di gestione del Parco Naturale Regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi per ospitare il Museo dell'Ebraismo di Fondi.
  La cerimonia di scopertura della targa con la nuova denominazione del largo avrà luogo proprio in occasione dell'ultimazione dei lavori e dell'inaugurazione del Museo.

(H24notizie.com, 24 febbraio 2016)


Agenti musulmani nella polizia israeliana

Gerusalemme - Il capo della polizia israeliana, durante la cerimonia di nomina del nuovo comandante della polizia del Distretto Nord, ha detto che la polizia sta incrementando il reclutamento tra i musulmani israeliani.
Il Commissario Roni Alsheich durante la nomina ufficiale del nuovo capo della polizia del Distretto settentrionale, generale Alon Asor Rosa, ha detto che le forze di polizia si stanno impegnando nel reclutamento di poliziotti musulmani, riporta Ynet.
«La polizia sta gestendo l'approfondimento della cooperazione con la popolazione araba, all'interno di stazioni di polizia nelle città arabe, e con un massiccio sforzo di reclutamento di agenti nel settore musulmano», ha detto Alsheich.

(agc, 24 febbraio 2016)


"Abbiamo conosciuto la complessa realtà di Israele, uno stato davvero pluralista"

L'esperienza di quattro giornalisti arabi ospiti in Israele (che chiedono tuttavia di mantenere l'anonimato)

Il Ministero degli esteri israeliano ha ospitato una delegazione di giornalisti arabi che vivono e lavorano in Europa con lo scopo di offrire loro la possibilità di arricchire le proprie conoscenze ed eventualmente cambiare opinione su Israele. "La visita in Israele è stata emozionante e unica - ha detto G.M., un giornalista iracheno che vive in esilio in Germania - E' un peccato che la maggior parte della gente nel mondo arabo sia ancora piena di odio cieco e di pregiudizi nei confronti di Israele"....

(israele.net, 24 febbraio 2016)


"Io, condannata a morte nella Francia dei Lumi". Il caso Marchand-Taillade

Ha denunciato gli islamisti. Oggi vive sotto scorta "L'establishment laico è sceso a compromessi e incentivato i radicali" "Non mi fermeranno".

di Giulio Meotti

Laurence Marchand-Taillade
ROMA - "Sei condannata a morte. E' solo questione di tempo". Questo messaggio in arabo, rivelato dal settimanale L'Express, è soltanto uno dei tanti ricevuti da Laurence Marchand-Taillade, segretaria del Parti radical de gauche. Da qualche giorno, Mar-chand-Taillade vive sotto scorta, nascosta dalla gendarmeria francese. Perché lei? Perché ha costretto la Fratellanza musulmana a rinunciare, dietro pressione del ministero dell'Interno, all'invito rivolto a tre fondamentalisti islamici per partecipare a un convegno a Lilla. Si tratta del siriano Mohamed Rateb al Nabulsi. il marocchino Abouzaid al Morie e il saudita Abdullah Salah Sana'an, i quali ritengono che la "punizione" per l'omosessualità è "la pena di morte", che la coalizione contro l'Isis è "infedele", che gli ebrei "distruggono le nazioni" e che solo la musica religiosa è lecita. Era stata lei, Laurence Mar-chand-Taillade, a pubblicare un articolo sul Figaro in cui chiedeva il bando dei tre isla-misti, definiti "un pericolo per la Repubblica" con il loro messaggio "antisemita e pro jihadista".
   Adesso Marchand-Taillade è a colloquio con il Foglio in una intervista esclusiva. E quanto ha da dire mette in discussione l'establishment della laìcité. "Sono presidente di un'associazione che sostiene la laicità nella Val-d'Oise. E da anni osservo rinunce e compromessi irragionevoli da parte della politica. L'Osservatorio della laicità nazionale ha incentivato un aumento del comunitarismo radicale con il suo continuo dialogo con questi personaggi sgradevoli, andando anche il 14 novembre a organizzare un forum dal titolo siamo uniti', accanto al rapper Médine che ha chiesto la crocifissione dei laici', il Collettivo contro l'islamofobia' o Nabil Ennasri, un Fratello musulmano del Qatar. Il presidente dell'Osservatorio della laicità, Jean Louis Bianco, ha dato credito a queste organizzazioni salafite in guerra con i nostri valori". Sulla rivista Marianne, Mar-chand-Taillade ha poi chiesto, assieme al giornalista franco-algerino Mohamed Sifaoui, le dimissioni dei vertici dell'Osservatorio della laicità. "Inoltre, osservando che manifestazioni pubbliche pericolose si moltiplicavano sul territorio, ho iniziato nei primi mesi del 2014 a riferire ai servizi dell'arrivo di alcuni imam: Rachid Abou Houdeyfa, che richiede che le donne musulmane indossino il velo, pena il fuoco dell'inferno'; Nader Abou Anas, che giustifica lo stupro coniugale, e Hatim Abu Abdillah, che promette una punizione atroce' per le belle donne. Poi sono andata a Lilla, il 6 e 7 febbraio, in cui Tariq Ramadan e altri erano venuti a indottrinare i nostri giovani e a metterli contro la loro terra d'origine. Queste azioni mi hanno dato una visibilità scomoda". Come ha reagito alla condanna a morte? "Dopo alcuni momenti di paura, ho pensato che se esistono queste minacce è perché la mia lotta ha sventato i piani dei Fratelli musulmani, portandoli alla luce. Ho deciso di non rinunciare, pur sapendo che devo assumere precauzioni per la mia sicurezza. Gli islamisti hanno iniziato un lungo lavoro sotto copertura in tutti i settori della società civile da più di trent'anni. Rispondono a una dottrina scritta da Hassan al Banna, il nonno di Ramadan. La loro bandiera ha due spade e il Corano: l'indottrinamento e la violenza sono i metodi per ottenere il potere. La Francia è un paese prescelto per numerosi motivi: ha una popolazione di grandi dimensioni nel nord Africa; è un paese laico contro il quale si possono usare le stesse armi democratiche; ha avuto politiche deboli. L'unico modo per fermare la minaccia è quello di riaffermare l'assoluta libertà di coscienza. Non possiamo permettere che intere fasce della popolazione francese, musulmane, cadano nella trappola dell'odio verso il paese in cui sono nate e, soprattutto, che le considera parte della nazione. E' una scelta di civiltà, mentre l'oscurantismo cerca di distruggere due secoli di progresso per l'umanità".
   
(Il Foglio, 24 febbraio 2016)


Lo schermo del futuro sarà israeliano

 
Il Prof. Gil Markovich
Un team di ricercatori guidato dal Prof. Gil Markovich, Direttore di Chimica dell'Università di Tel Aviv, ha messo a punto un materiale flessibile composto da fili di oro e argento, trasparente e conduttore di elettricità, ideale per il rivestimento di schermi per smartphone, computer o televisori. Questo materiale renderà i dispositivi più economici e più resistenti.

 Una rivoluzione nel mercato dei display
  L'innovazione potrebbe creare una sorta di rivoluzione nel mercato dei display ed è stato presentato per la prima volta al Nano Israel 2016, un evento tenutosi il 22 e il 23 febbraio presso l'Università di Tel Aviv.
Spiega il Prof. Markovich:

Sono orgoglioso di essere la fonte di una innovazione nanotecnologica chimica che ha molte applicazioni pratiche. La flessibilità ed il semplice processo di produzione è una grande notizia per l'industria degli schermi e per i consumatori.

Il Prof. Markovich ed il suo team hanno combinato argento e oro, le cui proprietà sono notoriamente conduttive, per creare display flessibili, stabili, economici e meno fragili rispetto a quelli attualmente in commercio.

Oro e argento sembrano molto distanti tra loro ma in realtà si incastrano perfettamente per formare una sorta di foglio simile alla plastica. L'oro è particolarmente importante per il processo di autoassemblaggio chimico e per la resistenza all'ossidazione.

Gli schermi del telefono attuali sono realizzati in vetro e con un certo composto chiamato ossido di indio stagno, un materiale raro in natura il cui prezzo aumenta regolarmente. Ecco perché i produttori sono ora alla ricerca di valide alternative e alcune aziende hanno già commercializzato nano particelle d'argento. Ma ciò che fa la differenza è l'oro utilizzato dal Prof. Markovich perché risulta essere altamente conduttivo e malleabile. I fili d'argento (90% del materiale) rafforzano l'oro (10%) che impedisce all'argento di ossidarsi.
  Nonostante l'uso dell'oro questo nuovo materiale ha un costo di produzione molto basso.
  Il progetto del Prof. Markovich è nella sua fase iniziale ma moltissime aziende sono già interessate tra cui BASF e 3M. Il suo team di ricerca ha anche ottenuto un contratto di lavoro con la società sud coreana Nepes, per lo sviluppo di un rivestimento per gli schermi piatti.
  La conferenza Nano Israel 2016 è un convegno internazionale che presenta le principali novità nel campo delle nanotecnologie sviluppate in Israele con un potenziale commerciale in molti settori tra cui medicina, applicazioni mobile, aerospazio e semiconduttori. La conferenza riunisce investitori, rappresentanti di fondazioni istituzionali e privati, industria, funzionari governativi e ricercatori accademici proveniente da Israele e da tutto il mondo.

(SiliconWadi, 24 febbraio 2016)


Il rettore della Sapienza: "Puniamo i boicottatori"

di Adam Smulevich

Il rettore della Sapienza, prof. Eugenio Gaudio
Con il Technion i rapporti sono consolidati e proficui. Il frutto di una partnership costantemente segnata da incontri bilaterali e progettualità condivise. Per questo Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza, è stato tra i primi a indignarsi quando - qualche settimana fa - poco più di un centinaio tra docenti e ricercatori dell'università italiana ha proposto il boicottaggio dell'ateneo israeliano, una delle eccellenze mondiali in campo scientifico.
"La scienza non si boicotta", dice Gaudio. E a Pagine Ebraiche afferma il proprio sostegno a un eventuale intervento del governo che agisca, sulla stregua di quanto avvenuto in Inghilterra, a favore del "boicottaggio dei boicottatori". E quindi della loro possibile perseguibilità penale. "Se in futuro il Parlamento italiano andasse in quella direzione sarei senz'altro favorevole" sottolinea il rettore. D'altronde, prosegue, la posizione del ministro Giannini è stata chiara. E così il suo ripudio dell'iniziativa intrapresa dai firmatari del documento.
"Anche dentro alla Sapienza esistono frange apertamente anti-israeliane. Ma si tratta di una netta minoranza, cui non ho intenzione di lasciare spazio. Soprattutto in un momento come questo, dove ogni passo falso rischia di peggiorare ulteriormente una situazione già complessa - sostiene il rettore - è fondamentale affermare che l'odio è incompatibile con lo spirito e i valori accademici e agire nel senso opposto".
Ne è un esempio il master di cooperazione internazionale cui partecipano da anni studenti israeliani e palestinesi.
E ancora le sinergie su ricerca, biotecnologie, studio dello spazio attivati proprio con il Technion. Che è, per Gaudio, "il prototipo dell'ateneo moderno, con una grande spinta all'innovazione e alla collaborazione".
"Le università italiane non possono sottrarsi alla sfida di essere sempre più ambasciatrici di progresso, solidarietà e valori positivi. Per questo riteniamo Israele un partner irrinunciabile. Per questo, riteniamo altrettanto fondamentale che due battaglie della Sapienza vadano a buon fine: l'eliminazione della parola 'razza' dalla Costituzione, la cancellazione del nome dei medici nazisti dalle patologie scoperte dagli stessi attraverso gli esperimenti condotti nei lager".

(moked, 23 febbraio 2016)


Ebrei ortodossi, polizia e ministero dell'educazione contro i casinò

Potrebbe fallire l'ennesimo tentativo del governo israeliano di aprire casinò a Eilat: è forte la lobby che si oppone al progetto.

L'idea del premier israeliano Benjamin Netanyahu di legalizzare i casinò, discussa in un vertice con i ministri direttamente interessati alla questione, è tutt'altro che condivisa e divide lo stesso governo. Il primo ministro sarebbe a favore dell'apertura di una Casa da gioco, da localizzare nella città balneare e turistica di Eilat, mentre secondo il ministro del turismo Yariv Levin c'è spazio per quattro. Sul fronte opposto, una poderosa opposizione alla legalizzazione dei casinò, guidata da gruppi ebrei ultra ortodossi, dalla polizia e dal ministro dell'educazione Naftali Bennett, tutti preoccupati dal fatto che potrebbe provocare criminalità e problemi di dipendenza.
Secondo molti osservatori esteri, c'è da scommettere che la coalizione che si oppone al gioco vincerà ancora una volta. Non è la prima volta che si prende in considerazione l'idea di aprire casinò e anche se questi sarebbero aperti solo ai turisti stranieri, la pressione dei gruppi ortodossi ebraici sul governo potrebbe portare alla decadenza del progetto.

(Gioconews, 23 febbraio 2016)


Bertinelli protagonista a Parmigiano-Reggiano Identity

 
Il Parmigiano Reggiano Kosher prodotto dall'azienda agricola Bertinelli è stato protagonista di Parmigiano Reggiano Identity 2016: l'evento organizzato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano per far incontrare le realtà produttive artigianali e d'eccellenza del comprensorio del Re dei Formaggi con chef e operatori della ristorazione. Parmigiano Reggiano Identity 2016 si è svolto lunedì 22 febbraio nella suggestiva cornice del Labirinto della Masone, il complesso creato dall'editore Franco Maria Ricci nei pressi di Fontanellato (Parma).
Come spiega Nicola Bertinelli, che insieme con il padre Gianni guida oggi l'azienda agricola Bertinelli, «Dopo aver svelato il nostro Parmigiano Reggiano Kosher a fine ottobre, a EXPO, presso il padiglione di Israele, siamo ora impegnati a far conoscere le peculiarità di questo formaggio, che non ha eguali al mondo, per alcune specificità del processo produttivo, conforme sia al disciplinare del Parmigiano Reggiano sia alla severità della Kasherut, la normativa ebraica sul cibo basata sull'interpretazione della Torah. Parmigiano Reggiano Identity 2016, così come Taste Firenze, dove saremo presenti dal 12 al 14 marzo, ha rappresentato un'ottima occasione per dialogare con il qualificato pubblico degli chef e dei professionisti della ristorazione: sono loro i migliori ambasciatori dell'eccellenza italiana delle materie prime».
Negli appositi banchi d'assaggio allestiti nelle sale del Labirinto della Masone, Bertinelli ha offerto in degustazione il suo Parmigiano Reggiano Kosher.

(ParmaDaily, 23 febbraio 2016)


Tutti i militari israeliani fuori servizio porteranno con sé le loro armi personali

GERUSALEMME - Il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, generale Gadi Eisenkot, ha ordinato che tutti i militari fuori servizio portino con sé le loro armi personali come ulteriore garanzia contro le violenze, dopo l'attacco terroristico della settimana scorsa a un supermercato in Cisgiordania. Lo riferisce il quotidiano "Haaretz". Il comandante della brigata Nahal, il colonnello Amos Hacohen, aveva chiesto a sua volta la revisione delle normative sul porto d'armi delle truppe in congedo in seguito alla morte la scorsa settimana di uno dei militari dell'unità. Il sergente fuori servizio, Tuvia Yanay Wieseman, è stato accoltellato a morte in un attacco terroristico al supermercato di Rami Levy nella zona industriale Sha'ar Binyamin, giovedì scorso. Wieseman aveva depositato la sua arma personale nell'armeria della base, nel rispetto del regolamento interno, prima di uscire in congedo temporaneo.

(Agenzia Nova, 23 febbraio 2016)


Israele e sport: al via la Tel Aviv Samsung Marathon

Tel Aviv Samsung Marathon 2014
40.000 corridori sono attesi in Israele per partecipare agli eventi della Tel-Aviv Samsung Marathon del 26 febbraio 2016, l'evento che porta lo sport al centro in una delle più eccitanti città del Mediterraneo.
Tel Aviv, tra le principali attrazioni metropolitane del mondo integra una delle più antiche città portuali - Giaffa - con la vibrante moderna Tel Aviv.
Uno dei più importanti eventi internazionali di corsa in Israele, la Tel Aviv Samsung Marathon è una festa che percorre tutta la città con protagonisti corridori professionisti di lunga distanza e principianti.
I corridori avranno a disposizione un unico percorso urbano passando per ogni strada centrale della città, al fine di consentire il passaggio nei siti più interessanti e nelle strade della città. Il percorso è stato progettato per evidenziare le bellezze di Tel Aviv, sito ufficiale patrimonio mondiale dell'UNESCO, dove gli atleti passeranno da Dizengoff Street, Rothschild Avenue, fin verso le Torri Azrieli, Piazza Rabin e il rinnovato lungomare.
Importanti gli sponsor e i partner della maratona, importanti brand come Samsung, Adidas e il Ministero del Turismo di Israele.

(SportEconomy, 23 febbraio 2016)


RS:X World Championship, iniziate le regate in Israele

 
Flavia Tartaglini
Flavia Tartaglini
EILAT - Sono iniziati oggi ad Eilat, in Israele, i Campionati del Mondo RS:X, massima competizione internazionale per la disciplina della tavola a vela olimpica, con 81 uomini (di cui 32 Under 21) e 58 donne (19 Under 21) in regata fino a sabato.
Due le prove disputate dalla flotta femminile, soltanto una da quella maschile (sia gli uomini che le donne sono stati divisi in due gruppi), visto che le condizioni meteo oggi ad Eilat erano di vento leggero e instabile, che non ha consentito la disputa di tutte regate (tre) in programma per questa giornata d'esordio del Mondiale. Una giornata che ha avuto nell'azzurra Flavia Tartaglini una delle protagoniste, ottima quinta nella classifica generale provvisoria grazie a un secondo e a un settimo posto ottenuti nelle due prove di oggi. Al comando della graduatoria troviamo la polacca Klepacka, seguita dall'olandese De Geus e dall'altra polacca Bialecka, mentre le altre italiane occupano la 25ma posizione con Marta Maggetti (quinta Under 21), la 37ma con Veronica Fanciulli e la 40ma con Laura Linares.
Tra gli uomini, molto bene Federico Esposito e Daniele Benedetti, rispettivamente terzo e sesto nell'unica regata disputata oggi, prova che Mattia Camboni ha concluso in 28ma posizione (vittoria per l'israeliano Zubari nella flotta blu e per il polacco Myszka nella gialla).
Al Mondiale RS:X sono presenti il DT della Nazionale Michele Marchesini e i Tecnici della disciplina Adriano Stella e Riccardo Belli dell'Isca.
Le classifiche

(zerogradinord.net, 23 febbraio 2016)


L'Esercito israeliano lancia una App per l'arrivo di razzi da Gaza Gerusalemme.

L'Esercito israeliano ha lanciato una nuova App per avvertire i cittadini del rischio di missili in arrivo, disponibile in ebraico, arabo, inglese e russo. Lo ha annunciato ieri il tenente colonnello Shlomo Maman, del Comando del fronte interno che si occupa di difesa dei civili. L'obiettivo, ha spiegato, è avvertire dell'arrivo dei missili in maniera 'più specifica e 'più geograficamente precisa, in modo da mettere in allerta solo chi è veramente a rischio. L'arrivo di missili dal Libano o dalla Striscia di Gaza continuerà a venir segnalato dalle sirene dispiegate sul territorio, ma gli utenti che scaricheranno la App potranno segnalare in quale regione si trovano o attivare il navigatore Gps per ricevere un avvertimento personalizzato.

(Avvenire, 23 febbraio 2016)


Quel bacio tra padre e figlio è uno spot dell'Isis sul terrore

di Fiamma Nirenstein.

 
Abu Imar al-Omari con suo padre prima di effettuare l'attentato suicida
Due teste vicine l'una all'altra, avvicinate dal bacio del padre al figlio: ma è il bacio della morte. Il volto del padre, per misericordia divina verso chi guarda, non si vede, ma il viso del figlio è visibile in tutta la sua bellezza: è un angelo decenne. Tuttavia, armato di auto bomba sta per uccidere vicino alla città di Aleppo. È un piccolo assassino dell'Isis. E questo, è uno dei video con cui l'Isis ci ha abituati all'idea che gli esseri umani sono anche mostri paleolitici, tirranosauri avidi di sangue. Il film insiste per 23 minuti a terrorizzarci col racconto di come un bimbo, Abu Imar al Omari, sia stato istruito dal padre per farsi detonare con un Suv. L'esplosione è la happy end del film, il martire è volato in paradiso (impossibile verificare se si tratti di materiale genuino), gli uomini di Assad sono stati fatti a pezzi.
   Questi video sono tutti libri di testo su cui impariamo che il terrorismo ha fatto dell'uso dei bambini uno stilema irrinunciabile. Il terrorismo deve usare i bambini: lo rende più mostruoso e quindi temibile, e la sua ideologia ha bisogno di un mondo vergine che sia totalmente, solamente suo, del suo mondo a venire. Abu Imar dice che la decisione di compiere un attacco suicida gli ha dato «la più grande sensazione che si possa immaginare» e di sperare che l'attacco sarà il suo «momento più grande». Dice anche che è stato suo padre a ad incoraggiarlo a farsi terrorista suicida.
   Anche il padre parla in video: «Un uomo che teme per la vita del figlio non permette la salvezza dalle fiamme dell'inferno, l'attacco sarà la chiave per il paradiso con l'aiuto di Allah». È stupefacente quel che si vede? No, è solo rivoltante, ma abituale. L'Isis ha prodotto almeno 89 film di propaganda con attacchi di bimbi. Il regista ha voluto nel video anche la figura del padre per rendere la cosa ancora più terrificante, e ci riesce nonostante ormai il terrorismo, e non solo quello dell'Isis, ci abbia allenato sia all'uso di bambini che a quello di genitori che gioiscono nel fornire al Moloch la carne dei loro figli. Il bambino che appare nella foto è bello, ingenuo come ogni bambino, e il desiderio di ciascuno di noi è quello di scansare quel padre orribile e fornirgli un vero genitore.
   Ma non è andata così né a Abu Imar né a un numero crescente negli anni di minorenni terroristi, Talebani, Al Qaeda, Boko Haram, di tutta l'Africa e l'Oriente, palestinesi. I terroristi collezionano stie di bambini che imparano a mente il Corano più per il suono e il ritmo che per il contenuto, li allevano isolati, ignari, consapevoli solo della cultura del «martirio», bambini per cui morire è normale e anzi desiderabile, cui viene insegnato ad uccidere e a essere uccisi. Nella loro testa ha radici il concetto che il nemico non è umano: qualcuno si ricorderà un video del 14 gennaio in cui un piccolo kazako dell'Isis ammazza due supposte spie russe, o la vicenda di una bambina suicida che ha fatto una strage in Nigeria. Il terrorismo usa i bambini e i ragazzini ogni giorno. Tutto il terrorismo. Fra i palestinesi, la madre «Umm Nidal» spinse al terrorismo tre figli fra cui uno di 13 anni. Fu eletta in parlamento. Nel 2002 diventò famosa la foto del «baby bomber» di 18 mesi con una cintura esplosiva, ora molti dei terroristi col coltello, fra cui uno imprigionato ieri dalla polizia israeliana, hanno intorno ai 13-14 anni. Per forza: i poster, i video, la tv, i discorsi dei politici, tutto gronda ammirazione per gli shahid bambini. Arafat già ne invocava un'ondata. I ragazzi che si armano adesso seguono una sorte iscritta nella loro educazione. Per il ragazzino palestinese, più affacciato sul mondo, c'è maggiore speranza di chiudere il capitolo: ma lo stesso paradiso della fama dello shahid ne infiamma la mente e nutre la guerra contro crociati, ebrei, islamici traditori.

(il Giornale, 23 febbraio 2016)


Le mani di Teheran sulla Cisgiordania

Puntuali, con la revoca delle sanzioni, giungono le prime conferme della penetrazione terroristica dell'Iran nel territorio alle porte di Israele.

Incoraggiato dall'accordo sul nucleare con le potenze mondiali, l'Iran sta già cercando di allungare le sue mani su tutta la regione araba e islamica. La capacità dell'Iran di infiltrarsi è stata messa in difficoltà da anni di sanzioni. Ora però, con la revoca delle sanzioni, gli appetiti di Teheran si sono riattizzati, e il loro primo obiettivo è la Cisgiordania.
In realtà è da molti anni che l'Iran si immischia negli affari interni un po' in tutta la regione mediorientale: prende parte alle guerre civili in Yemen e Siria e continua attivamente a minare la stabilità di molti paesi del Golfo, a cominciare da Bahrain e Arabia Saudita, facendo leva sui musulmani sciiti che vivono in quei paesi....

(israele.net, 23 febbraio 2016)


Il terrorismo addestrato dall'Iran destabilizza il Medio Oriente

Sono tanti i gruppi jihadisti di stampo komeinista

di Nicola Zecchini

 
Il presidente del parlamento iraniano Ali Larijani visita la nuova base missilistica sotterranea
Molto si è detto, molto si è taciuto in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani al Campidoglio avvenuta a fine gennaio. Polemiche sono state sollevate dopo il "velo" posto alle Veneri
capitoline, in pratica chiuse dentro pannelli bianchi sui quattro lati, per non urtare sensibilità e suscettibilità del presidente iraniano durante la conferenza stampa tenuta al Colle insieme al premier italiano Matteo Renzi. I nudi femminili sono stati ritenuti inappropriati ma, solito pasticcio italiano, da chi non si sa. Dal ministero della Cultura erano giunte smentite, da Rouhani pure. Insomma le Veneri si erano coperte da sole in una notte di gelo romana. Ma non è solo questione di nudità celate.
   L'Iran è da tre decenni il più grande esportatore di terrorismo nel mondo. Già dopo gli attacchi avvenuti contro diplomatici israeliani a febbraio 2012 a New Dehli, Tbilisi e Bangkok, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu aveva sottolineato come "L'Iran è il più grande esportatore di terrorismo nel mondo e minaccia l'equilibrio mondiale." Moshe Yaalon, ministro della Difesa israeliano, rispetto agli accordi sul nucleare italiano: "Noi in Israele non siamo per nulla contenti di questo accordo, che non porterà nulla di buono alla regione. Bisogna intendersi innanzitutto sull'Iran e sul suo ruolo nella regione. Questo paese da anni è diventato non solo il primo esportatore di terrorismo, di destabilizzazione nella regione, ma soprattutto il primo sostenitore di una fazione, quella sciita, in uno scontro totale con i governi e gli stati che si rifanno ai sunniti. Dall'Iraq, allo Yemen, al Libano, al Bahrein i capi iraniani esportano il loro sostegno a movimenti terroristici, a milizie che contribuiscono a destabilizzare la regione".
   Ma non è certo solo lo Stato di Israele ad essere preoccupato e a puntare il dito contro Teheran. Nel maggio 2015 Barack Obama in un'intervista al quotidiano panarabo Asharq al-Awsat ha sostenuto che "l'Iran è chiaramente impegnato in comportamenti pericolosi e destabilizzanti in diversi paesi della regione. Contribuisce a sostenere il regime di Assad in Siria, sostiene Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, aiuta i ribelli Houthi in Yemen. Quindi i paesi della regione hanno motivo di essere molto preoccupati per le attività dell'Iran, soprattutto per il suo sostegno a gruppi violenti nei confini di altre nazioni".
   Nel pieno delle tensioni con l'Arabia Saudita, scoppiate dopo l'uccisione da parte di Riad dell'imam sciita Nimr al Nimr, l'Iran ha svelato nuove immagini di una base missilistica sotterranea. L'impianto sotterraneo è stato visitato dal presidente del parlamento Ali Larijani: "Ha fatto una visita alla nuova città sotterranea delle Guardie della rivoluzione islamica, durante la quale ha promesso che il legislatore avrebbe stanziato un budget molto più grande al programma missilistico del paese" ha comunicato l'agenzia iraniana Fars News. Già ad ottobre 2015 era stata fatta un'operazione analoga che riguardava un'altra base sotterranea. Uno dei tanti impianti sotterranei da cui i missili "possono eruttare come un vulcano dalle profondità della terra ... se i nemici fanno un errore", aveva spiegato in quell'occasione il brigadier generale Amir Ali Hajizadeh, capo dell'aviazione delle Guardie rivoluzionarie.
   L'Iran finanzia a piene mani i gruppi terroristici sciiti, quali Hezbollah in Libano, gli Houthi nello Yemen e almeno altri 100 gruppi terroristici. L'opinione pubblica internazionale è impressionata dalle atrocità commesse dal terrorismo islamico di matrice sunnita come ISIS, Al-Qaeda, Boko Haram ma il terrorismo di matrice sciita non è da meno come dimostrano i massacri avvenuti a Tikrit nel marzo 2015. Il jihadismo di stampo komeinista, armato, finanziato e addestrato dall'Iran sta mietendo sempre più vittime in Medioriente e per tecniche di tortura e atrocità compiute non è diverso dai crimini dei terroristi dell'Isis. La Siria, lo Yemen e l'Iraq, in questi anni, sono stati il centro di attacchi drammatici, responsabili di centinaia di vittime innocenti. Il velo alle Veneri è l'ultimo dei problemi.

(Shalom, febbraio 2016)


Cristiani perseguitati: in Canada c'è un ebreo che salva vite grazie al CYCI

di Marco De Palma

Steve Maman, fondatore di "Liberation of Christian and Yazidi Children of Iraq"
Un uomo d'affari ebreo canadese ha fondato una associazione "Liberation of Christian and Yazidi Children of Iraq" (CYCI) al fine di aiutare quanti oggi sono in fuga dalle persecuzioni musulmane in Iraq.
Steve Maman è da oltre un anno che, con la sua associazione, si è schierato dalla parte dei cristiani perseguitati, rapiti da terroristi dell'ISIS e venduti come schiavi del sesso al nord dell'Iraq. L'opera di carità lavora a stretto contatto con team che si occupa di mediare le negoziazioni per salvare soprattutto i bambini e le ragazze rapite e consentire loro di riunirsi alle famiglie.
In una intervista concessa ad un quotidiano di New York ha riferito che, nonostante i pochi fondi, ad oggi hanno assistito circa 1055 persone. Maman ha paragonato la situazione che quotidianamente è sotto gli occhi di tutti, ma nel silenzio generale, a quella degli ebrei in fuga da campi di concentramento nazisti. Ha detto: "E' tutto molto simile a quando c'era chi doveva fuggire dai campi di concentramento e lo faceva lo stesso, nonostante il rischio di morire di fame e di freddo nei boschi … Se vi dicessi il numero di telefonate e messaggi che riceviamo ogni giorno di persone bloccate in fuga e bloccate per strada … E' surreale!"
Il CYCI ha contribuito, proprio nelle scorse ore, a salvare una quattordicenne fatta prigioniera a Lesbo. Molto spesso questi profughi finiscono proprio per nascondersi in Grecia ed essere arrestati. Dopo un'operazione durata sette ore e grazie al CYC, che è riuscito a intercettare il fratello della ragazzina, un'altra vita è stata salvata.
"Non c'è limite a dove dobbiamo andare o a cosa dovremo fare per aiutare persone bloccate o in difficoltà lungo la strada", ha detto Maman . "Ma lo stiamo dimostrando!"

(l'Occidentale, 23 febbraio 2016)


Natanyahu difende il disegno di legge sulla sospensione ed espulsione di deputati della Knesset

GERUSALEMME - Lo scorso 7 febbraio il premier Netanyahu aveva detto che i deputati che hanno visitato le famiglie di "terroristi" e osservato un momento di silenzio in loro ricordo dovrebbero essere espulsi dalla Knesset, il parlamento di Tel Aviv. Tali dichiarazioni erano arrivate dopo la visita dei deputati Jamal Zakalka, Basel Ghattas e Haneen Zoabi (tutti esponenti della Lista congiunta araba Balad) alle famiglie di militanti palestinesi di Gerusalemme uccisi mentre conducevano attacchi contro Israele. Secondo Netanyahu, il parlamento dovrebbe "mettere al bando chiunque agisca in questo modo". Il primo ministro israeliano ha invitato quindi l'opposizione a sostenere una mozione presentata dalla Commissione etica della Knesset contro i tre deputati. "Facciamo grandi sforzi per integrare cittadini arabi nella società israeliana, ma poi questi fanno il contrario costruendo muri di odio", ha affermato Netanyahu.

(Agenzia Nova, 22 febbraio 2016)


Israele ha reso omaggio all'ultimo eroe di Treblinka

In Israele, centinaia di persone hanno partecipato ai funerali di Samuel Willenberg, morto a 93 anni. Era l''ultimo superstite del campo di concentramento di Treblinka, centro di sterminio nazista nella Polonia occupata.
Il presidente israeliano, Reuven Rivlin, ha partecipato alle esequie, definendo Willenberg un modello di eroismo e simbolo di un'intera generazione di sopravvissuti all'Olocausto.

(euronews, 22 febbraio 2016)


Israele scettico sulla tenuta della tregua in Siria

Stato ebraico: salvaguardata la libertà di azione in Siria.

GERUSALEMME - Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, si è detto scettico sul successo del cessate il fuoco in Siria annunciato per la mezzanotte del 27 febbraio da Russia e Stati Uniti.
"Mi pare difficile vedere una tregua se lo Stato Islamico e al-Nusra non faranno parte del processo, e i Russi hanno annunciato di voler colpire entrambi i gruppi" ha commentato Yaalon sottolineando come l'accordo raggiunto da Mosca e Washington salvaguardi la libertà di azione dello Stato ebraico in Siria: "L'azione di Israele si basa su un solo principio: l'autodifesa".

(askanews, 22 febbraio 2016)


Foto inedite, documenti e mappe. Storia della comunità ebraica a Napoli

Il volume sarà presentato il 3 marzo alla Biblioteca nazionale. Dall'Anticaglia fino ai Rothschild.

di Anna Marchitelli

Duemila anni di storia ebraica a Napoli. A partire dall'epoca romana, come testimoniano reperti archeologici, lapidi e catacombe.
E già nel 536, alla vigilia della conquista bizantina, la comunità ebraica napoletana era vivace e numerosa al punto da determinare la vittoria del generale Belisario e tale da resistere alle prime misure discriminatorie dell'ordinamento di Giustiniano. A tratteggiare in modo puntuale e articolato - con foto, documenti, iconografia e mappe - la storia della comunità ebraica di Napoli, è il volume in uscita «La Comunità ebraica di Napoli 1864/2014. Centocinquant'anni di storia», a cura di Giancarlo Lacerenza ed edito da Giannini, che sarà presentato il 3 marzo alla Biblioteca Nazionale.
   Gli ebrei napoletani, si legge, erano tutti concentrati nel vicus Iudaeorum, a ridosso dell'Anticaglia, mentre la loro sinagoga era vicino al mare, presso l'altura di San Marcellino. In età sveva si estesero fino allo slargo di Portanova, delineando quella che sarebbe stata la futura "Giudecca grande". Ma è nella prima età angioina che si registrò un primo vero episodio di persecuzione, sulla scia degli atteggiamenti antiebraici dell'Europa occidentale. Una piccola parentesi che lasciò spazio, in età aragonese, a un periodo d'oro in cui la notevole attività tipografia ebraica produsse 23 incunaboli con testi biblici, di grammatica, diritto e filosofia.
   I due secoli di dominazione spagnola non furono felici e alla fine del 1510 fu decretato l'allontanamento di tutti gli ebrei residenti nel Regno. Per quasi 200 anni nel Meridione gli ebrei non poterono insediarsi, almeno fino al 1747 ma Carlo di Borbone promulgò un bando che ne sancì di nuovo l'espulsione. Secondo la tradizione, gli ebrei esuli lasciarono i propri rotoli sacri agli ebrei di Roma sperando di recuperarli prima o poi. Così fu, ma 100 anni dopo, quasi contemporaneamente all'Unità d'Italia. Quando nel 1864, nel giorno del Rosh hashanah, il Capodanno ebraico, un folto gruppo di ebrei, residenti a Napoli già da qualche decennio, festeggiò l'inizio del nuovo anno inaugurando la loro sinagoga, al primo piano di Palazzo Sessa in via Cappella Vecchia, nei pressi di piazza dei Martiri, proprio lì dove aveva soggiornato sir William Hamilton, ambasciatore britannico presso la corte dei Borboni.
   Secondo molti fu la famiglia Rothschild a determinare la rinascita della comunità ebraica di Napoli: solo dopo il 1821, infatti, quando a Carl Mayer von Rothschild venne permesso di stabilirsi in città e costituirvi la sede della propria banca, la presenza ebraica fu stabile.
   Il volume curato da Lacerenza racconta le tracce ancora visibili della presenza ebraica in città: dalla villa Rothschild, attuale villa Pignatelli alla Riviera di Chiaia, al cimitero ebraico di Poggioreale, fino alle attività commerciali che hanno segnato la società partenopea. Si ricordi la famiglia Ascarelli, imprenditori nel campo dei tessuti, la famiglia Lattes, che si distinse per un secolo nel commercio di articoli per cartoleria e la cui insegna spiccava all'angolo di piazza della Borsa, e la famiglia Campagnano, commercianti di tessuti e corredi con il negozio in via dei Mille. E ancora: Isidoro Rouff, attivo nel settore dei vini e liquori, Vittorio e Aldo Coen, padre e figlio che gestivano l fabbrica di scarpe, e i fratelli Manlio e Fabio Temin che trasferirono all'ombra del Vesuvio la produzione di guanti in pelle.

(Corriere del Mezzogiorno, 22 febbraio 2016)


L'atroce concorso nazista per comporre l'inno del lager

Nel 1938, fra i campi di concentramento, solo Buchenwwald non aveva una sua canzone. Misero in palio 10 marchi: vinsero due musicisti internati. Ma il premio andò a un kapò.

di Filippo Facci

 
Prigionieri nuovi arrivati sono registrati nel campo di concentramento di Buchenwald
 
Ufficiali SS parlano fra loro durante un’ispezione al campo
 
Prigionieri presi nei boschi intorno a Buchenwaldi poco prima dell’esecuzione
Johann Strauss, quello dei mitici valzer viennesi, fu invitato in America a dirigere il Giubileo delle Nazioni e fu un evento grandioso e magniloquente: il Danubio blu, l' orchestra con migliaia di elementi, i colpi di cannone, gli isterismi hollywoodiani, le donne che pietivano ciocche di capelli e lui che però non aveva abbastanza capelli, e allora spediva riccioli di cane. Riuscì a mettere d'accordo il coro più incredibile della storia, quasi ventimila cantanti. Fu irripetibile. Era il 1872.
  Strauss era austriaco. E - pare - era ebreo. Così pure erano austriaci i musicisti Fritz Beda-Lohner ed Hermann Leopoldi: e quando offrirono loro di comporre un'opera destinata a un coro di undicimila persone, alla stregua di com'era capitato a Strauss, non poterono tirarsi indietro. Entrambi avevano conosciuto il velluto dei teatri, l'odore dei belletti, la violentissima luce dei riflettori. Beda-Lohner, un boemo, era un affermato compositore di testi nonché un conosciuto librettista di operette; Leopoldi invece era nato a Vienna e componeva canzoni alla moda nel periodo in cui impazzavano il foxtrot e l' one-step; i suoi spartiti erano stati pubblicati nei fascicoli di musica viennesi e berlinesi e americani, e una delle sue operette contiene una melodia notissima ancor oggi: «Tu che m'hai preso il cuor I sarai per me il solo amor».
  Non poterono tirarsi indietro: anche perché li avrebbero fatti fuori.
  In quell'inverno del 1938 tutti i lager avevano ormai un proprio inno, una loro canzone: e a Buchenwald invece niente. Il capo, il cosiddetto Lagerführer, certo Arthur Rodl, uno sempre alticcio, era imbarazzato e furibondo: che i prigionieri si dessero da fare. Per la preannunciata Canzone di Buchenwald furono messi in palio dieci marchi.

 Decine di opere respinte
  Forse però il lager va un minimo descritto. Buchenwald è una località della Turingia, e significa letteralmente bosco di faggi. Venne istituito come luogo di punizione per detenuti politici e divenne uno dei più vasti campi di concentramento della Germania nazista, raggiungendo il massimo affollamento nel 1944 con oltre centomila internati. È stato uno dei campi affidati alla autogestione da parte dei "triangoli verdi" (i delinquenti comuni) e fu il campo dove maggiormente fu sperimentato l'annientamento per mezzo del lavoro.
  Al comando piovvero decine di opere improvvisate, tutte via via respinte. Nessuna delle proposte incontrava il favore della direzione. Sinché non spuntò il Buchenwalder Lagerlied appunto di Beda-Lohner e Leopoldi, e scelsero quello: ma tutto il merito se lo prese infine un cosiddetto kapò, un triangolo verde, uno di quei criminali comuni che facevano la guardia agli altri detenuti. Si chiamava Fritz Gruebau, come appurerà il processo di Norimberga: si prese i dieci marchi. Nessuno osò smentirlo.
  Poi, un giorno, dopo l'appello serale, con una temperatura freddissima e la neve abbondante, Rodl ordinò: «E adesso cantate la Canzone di Buchenwald». Quelle undicimila persone tutte in piedi, Rodl ubriaco fradicio, e un inferno nell'inferno in cui ciascuno cantava per conto suo: fu uno strazio. Il Lagerfuhrer ordinò che i vari blocchi di prigionieri si esercitassero separatamente per poi ricongiungersi, ma il frastuono si fece ancor più sfasato e intanto le ore passavano, e il freddo aumentava. Alla fine Rodl volle dirigere tutti personalmente, strofa per strofa, e a ogni errore si ripeteva tutto da capo. La canzone diceva: «Buchenwald I non potrò mai dimenticarti I sei il mio destino I solo chi può lasciarti I può sapere I quanto meravigliosa sia la libertà».
  La storia delle prove nel gelido inverno tedesco è stata raccontata da più soggetti: la scena di uomini affamati e al gelo nella luce abbagliante e nella neve alta di un bianco abbagliante si è scavata nella memoria di chi vi partecipò. Il direttore del campo, Rodl, «ubriaco fino a puzzare», continuava a pretendere che tutti ricantassero l'inno fino a quando non avesse funzionato: l'infernale concerto durò quattro lunghe ore sotto la violenza dei riflettori.
  Questo mentre i riflettori delle sale da ballo berlinesi glorificavano Johann Strauss, anche se giusto due anni prima, nel 1936, nella Cattedrale di Santo Stefano, avevano trovato un vecchio certificato da cui si arguiva l'incontestabile origine ebraica di tutti gli Strauss. La Gestapo convocò i topi d'archivio e vietò loro di render noto il documento: il registro dei certificati fu confiscato e interamente copiato, dunque restituito alla Cattedrale privo della pagina riguardante Strauss. L'errore fu corretto, e l'originale saltò fuori solo alla fine della guerra. E si continuò a ballare.
  E a Buchenwald, quella sera, a marciare. Dopo quattro ore nel gelo più rigido, come detto, Rodl impartì che tutti rientrassero nelle baracche, e in genere si rientrava a passo di strada: ma quella volta tutti vennero allineati in file da dieci e obbligati a marciare come in una parata, cantando e sfilando al cospetto dei vari comandanti ubriachi. I gruppi che non cantavano bene venivano obbligati a tornare indietro e quindi a ripassare davanti ai gerarchi. La neve era alta e brillava. La luce dei riflettori era violentissima.

 La morte di Fritz
  A Buchenwald c'erano i forni crematori, alcune sale di dissezione, più altri scantinati con dei ganci fissati nei muri: i prigionieri venivano appesi e torturati a morte. Sugli internati si facevano esperimenti come sulle cavie; venivano fucilati a migliaia, e molti, impazziti per il dolore e per l'orrore di quella vita, quando uscivano per il lavoro, correvano deliberatamente oltre il cordone delle guardie cercando bramosamente la morte. A Buchenwald li sfracellavano con sassi, li affogavano nel letame, li frustavano, li affannavano, li castravano e li mutilavano. Nel block 50, i medici facevano esperimenti di ogni genere: la pelle dei prigionieri che avevano tatuaggi, dopo l'uccisione, veniva conciata e si diceva servisse per fare copertine di libri, paralumi e guanti.
  Il compositore Hermann Leopoldi sopravvisse, e dopo la guerra riprese l'attività teatrale. Invece Fritz Beda-Lohner, nel 1942, secondo alcuni fu ucciso da una sentinella, secondo altrì morì di fame.

(Libero, 22 febbraio 2016)


Milano: Mm sottoscrive un accordo con l’israeliana Mekorot per le risorse idriche

MILANO - Metropolitana milanese, gestore del Servizio Idrico Integrato della città di Milano, ha sottoscritto oggi un accordo internazionale di collaborazione con Mekorot, Società Nazionale per le risorse idriche d'Israele. Il documento firmato oggi rientra nel progetto lanciato recentemente dalla società, Mm Academy, un modello operativo come quello della corporate university con l'obbiettivo di uno scambio a tutti i livelli dei "saperi" per sviluppare ancora di più specifiche competenze professionali. Mm e Mekorot, tramite il centro WaTech per l'innovazione e le nuove tecnologie, condividono un forte impegno per migliorare continuamente il livello di servizio ai loro clienti e credono che la cooperazione internazionale e lo sviluppo tecnologico sono gli strumenti chiave per raggiungere tale obiettivo. I principi su cui si basa la cooperazione comprendono: il supporto reciproco per attività di sviluppo, sperimentazione e marketing di tecnologie del settore idrico di interesse comune, al fine di sfruttare i vantaggi competitivi delle singole parti e di promuovere uno sviluppo efficiente ed economico di entrambe le organizzazioni. Le parti possono anche collaborare nella valutazione e commercializzazione delle tecnologie sperimentate. Quindi, lo scambio di know-how tecnico e gestionale, anche mediante stage di personale presso il partner, al fine di rafforzare le proprie competenze grazie alle eccellenze complementari del partner. E' già stato attivato l'avvio della collaborazione, una delegazione di tecnici Mm è già presente da oggi al 25 febbraio nella sede di Mekorot a Tel Aviv.

(Adnkronos, 22 febbraio 2016)


Il Ministro delle Finanze israeliano promette di ridurre il costo dei generi alimentari

GERUSALEMME - Il ministro delle Finanze israeliano, Moshe Kahlon, ha promesso di ridurre il prezzo dei generi alimentari nel paese adottando già nei prossimi giorni misure atte ad allentare le restrizioni in vigore sulle importazioni. Lo riferisce il quotidiano israeliano "Jerusalem post". Israele ha tariffe doganali tra le più alte e pone numerose restrizioni alle importazioni di genere alimentari rispetto agli altri paesi dell'area Ocse; l'intento del ministro è ora aumentare la concorrenza interna abbassando i prezzi. Kahlon ha spiegato: "In linea di principio stiamo valutando la possibilità di ridurre i dazi sulle importazioni. Al momento i cibi freschi sono penalizzati da dazi molto elevati e da restrizioni sulle importazioni. Puntiamo ad abbassare i prezzi di carni, verdura, frutta e di tutto ciò che compone il paniere alimentare".

(Agenzia Nova, 22 febbraio 2016)


Teva: la casa farmaceutica israeliana usata in tutto il mondo

 
La Teva Pharmaceutical Industries Ltd è una multinazionale israelo-americana con sede a Petah Tikva, specializzata principalmente in farmaci generici, ma si interessa anche di farmaci di marca e principi attivi. Si tratta della più grande produttrice di farmaci generici al mondo. I centri Teva si trovano in Israele, Nord America, Europa e Sud America.
Il predecessore della Teva fu la Salomon, Levin, e Elstein Ltd. un distributore all'ingrosso con sede a Gerusalemme, fondato nel 1901.
La qualità di Teva, riconosciuta in tutto il mondo, anche dai medici italiani, viene ampiamente sottolineate sul sito web:

La nostra grande esperienza nel mondo farmaceutico, il nostro impegno nella ricerca e la nostra profonda conoscenza dei comparti della salute, ci consentono di essere il leader mondiale fra le aziende produttrici di farmaci equivalenti. Fin dalla sua nascita, oltre un secolo fa, Teva Pharmaceutical Industries Ltd. ha sempre perseguito lo stesso obiettivo: offrire farmaci di alta qualità, accessibili al maggior numero di persone possibile in tutto il mondo.

Proprio per questa voglia di continua innovazione, la Teva è impegnata nel rendere disponibili sempre più prodotti, mantenendo uno standard qualitativo tra più alti del mondo, producendo 73 miliardi di capsule e compresse all'anno.
Basta fare un giro sul web per sondare l'opinione di pazienti e medici, i quali, dopo aver evidenziato l'eventuale presenza di effetti collaterali di un farmaco Teva (ma che comunque accade anche con altri farmaci), ne suggeriscono l'assunzione.
Anche in Italia c'è una filiale Teva, nata nel 1996, commercializza e distribuisce nel territorio italiano i farmaci prodotti dall'azienda, raggiungendo nel 2015 la soglia dei 400 dipendenti.
Teva è da sempre al fianco della comunità scientifica mondiale per aumentare le probabilità di cura dei pazienti grazie anche al supporto del progresso scientifico e tecnologico.

(SiliconWadi, 22 febbraio 2016)


Oltremare - Giochi d'azzardo

di Daniela Fubini, Tel Aviv

Le vie dei politici per evitare i problemi reali sono infinite, e su questo ci si può mettere un bell'amen anche nella nostra santissima terra. Ma stavolta, l'invenzione di una Las Vegas israeliana è davvero un po' grossa per passare inosservata. A parte il fatto che il gioco d'azzardo è giusto un filo problematico da un punto di vista strettamente ebraico, qualcuno deve spiegarmi come esattamente Eilat potrebbe trasformarsi nella città dei casinò senza che ci si possa arrivare nemmeno in treno.
Ricapitoliamo: una settimana fa si ricomincia a parlare di rivitalizzare l'economia del profondo sud di'Israele, e Bibi appoggia l'idea del ministro dell Turismo Yariv Levin che propone di trasformare Eilat in un centro per il gioco d'azzardo. Bibi appoggia il concetto ma parla di un solo casinò e solo per i turisti. Levin rilancia, dicendo che qui o si fa Las Vegas o si muore. Insorgono i religiosi, che qualcosa di Halakhah si ricordano ancora, pur sedendo nella Knesset e passando la maggior parte del tempo a dissezionare protocolli e a boicottare l'entrata dei Charedim nell'esercito e nella vita produttiva dello Stato. Insorge anche, inspiegabile, il parlamentare più insubordinato, sguaiato, urticante e antipolitico, tale Oren Hazan che di Casinò se ne intende da ex-gestore (fuori Israele) e da assiduo avventore, e però li sconsiglia al popolo per vaghi motivi etici.
Tutto ciò è intrattenimento allo stato puro. Finché non ci ricordiamo che una fetta non del tutto secondaria dell'economia israeliana si fonda sui siti di gioco d'azzardo online, che hanno molteplici forme, e sedi volanti in paesi terzi, ma danno da mangiare a plotoni di nuovi immigrati che parlano lingue madri di tutto il mondo e guadagnano abbastanza bene da non volersene più andare, una volta entrati nel giro. Sarebbe interessante scoprire se quegli stessi impiegati dell'azzardo virtuale, asettico e distante, accetterebbero di lavorare in un casinò vero, con vincitori e perdenti reali, e non numeri sui loro schermi. Tutti ad Eilat.


(moked, 22 febbraio 2016)


Comunità ebraiche nella Tuscia

VITERBO - Secondo appuntamento dei "Pomeriggi Touring". Venerdì prossimo (26 febbraio) alle ore 17,00 nella sala conferenze del Museo della Ceramica di Palazzo Brugiotti (Viterbo via Cavour 67 ) Bonafede Mancini parla degli Ebrei e delle loro comunità presenti nel Viterbese tra XVI e XVII secolo.
   Il filo rosso dei Pomeriggi 2016, dal titolo intrigante di "Marginalia", indaga infatti sulle "genti di fuori" nel nostro territorio, sul loro processo di integrazione con le popolazioni locali, sui problemi economici e sociali che hanno provocato, sui contributi culturali dati e ricevuti.
   "Città rifugio per le mie genti", così nel 1587, il medico ebreo David De Pomis chiamò i piccoli centri che, posti sui confini tra le terre del Patrimonio di San Pietro e quelle toscane, accolsero nuclei di famiglie e piccole comunità giudaiche espulsi dallo Stato della Chiesa per effetto delle leggi antiebraiche. Storia e storie di convivenze, intolleranze, emarginazione che nei secoli XVI e XVII medici, commercianti e piccoli banchieri ebrei, vissero a Viterbo e nelle terre di una Tuscia giudaica ancora poco studiata e nota. Una piccola ma diffusa presenza che nella vita quotidiana ha contribuito ad allontanare i pregiudizi ma talvolta anche ad erigere muri all'interno delle singole comunità.
   A Viterbo la comunità ebraica occupava in quei tempi alcuni spazi della città fra cui quelli riuniti intorno alla ex chiesa di S. Biagio in via San Lorenzo. Presso il Museo Civico è custodita una epigrafe con iscrizione ebraica posta sulla tomba di un giovane di sette anni tale Ruben figlio di Netanel Chaim morto nel 1401. Il reperto proviene da Poggio Giudio, fuori Porta Faul.
   I "Pomeriggi" sono organizzati dal consolato Touring di Viterbo, guidato da Vincenzo Ceniti, in collaborazione con la Fidapa e il patrocinio della Fondazione Carivit. Ingresso libero.

(OnTuscia, 22 febbraio 2016)


Netayahu sostiene il generale Eisenkot contro l'uso eccessivo della forza

L'uso della forza contro i palestinesi provoca un dibattito in Israele nel quale si esprime anche il primo ministro Benjamin Netanyahu. In cinque mesi 176 palestinesi sono stati uccisi da soldati o poliziotti israeliani perché accusati di aggressioni o tentativi di aggressione con coltelli. Ventisette le vittime israeliane.
Netanyahu ha difeso il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot che ha invitato i propri uomini a moderare l'uso della forza. Dichiarazioni criticate da alcuni membri del governo.
"C'è stata una discussione vuota", ha affermato Netanyahu. "Il capo dello staff militare affermava semplicemente una cosa ovvia. In ogni caso le forze di difesa israeliane e le forze di sicurezza operano come si deve. Tutto quello che è stato detto dopo la dichiarazione del generale Eisenkot nasce dall'ignoranza o da calcoli politici".
"Non svuotate i caricatori", aveva raccomandato Gadi Eisenkot ai propri uomini, riferendosi alla una adolescente uccisa a novembre perché avrebbe aggredito con delle forbici due israeliani. I soldati le hanno sparato numerose volte mentre era a terra, immobile, come mostrano le telecamere di sorveglianza.
Ultimo episodio questa domenica: un palestinese è stato ucciso a un posto di controllo in Cisgiordania, perché avrebbe tentato di accoltellare un soldato.

(euronews, 21 febbraio 2016)


Tra successi e fallimenti, i social network ebraici

Tra alimenti kosher ed eventi organizzati per lo shabbat, ecco i social network creati dalla community ebraica

Sono circa sedici i milioni di ebrei sparsi in tutto il mondo, di cui poco meno della metà vive in Israele. In molti, per rimanere in contatto con i vari familiari presenti negli Stati Uniti (dove sono presenti oltre cinque milioni di ebrei) o in qualche altre nazione europea, usano i social network site. Non solo Facebook, che rimane l'applicazione più utilizzata dai giovani ebrei, e Twitter, ma anche social network creati e pensati nei laboratori di Tel Aviv, denominata la Silicon Valley israeliana. L'obiettivo dei programmatori è di formare una community online dove gli ebrei possono scambiarsi liberamente informazioni sulla religione, contattare parenti che vivono lontano o cercare notizie sui negozi che vendono alimenti kosher, cioè che rispettano i dettami presenti all'interno della Torah, il libro sacro dell'ebraismo.
Tra i molti progetti social nati negli ultimi anni, solamente pochi hanno avuto successo: ad esempio Shabbat, un'applicazione che prende il nome dal giorno di riposo degli ebrei e che aiuta a organizzare eventi durante il sabato festivo. Ecco i social network e le applicazioni che non possono mancare nello smartphone di un ebreo 2.0.

The jewish social network: un fallimento clamoroso
Nonostante sia uno dei primi social media dedicato agli ebrei, jewish-social-network.com non è riuscito mai a ottenere un grande successo tra i giovani. Gli iscritti alla piattaforma possono condividere e discutere insieme ai propri coetanei i dettami dell'ebraismo, cercare nuovi amici al riparo da commenti anti-semiti che sempre più spesso trovano rifugio sui social network. Inoltre, jewish-social-network.com offre agli utenti articoli e contenuti sulla religione scritti da esperti del settore. Infine, le pubblicità presenti sul portale sono adatte (kosher) ai dettami della Torah.

Jdate
Oltre agli insuccessi, alcune applicazioni e social media sono entrati nel cuore degli ebrei. Jdate è un sito d'appuntamento per i giudei: gli utenti possono iscriversi alla piattaforma e cercare l'anima gemella. Sono molti gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma per cercare una fidanzata con cui costruire una vita e un matrimonio felice, dall'applicazione per Google Play Store e App Store fino alla chat e al servizio di instant messaging.

Shabbat.com
Shabbat.com, invece, utilizza il giorno di riposo dell'ebraismo (lo shabbat) per organizzare eventi e cene. Ogni utente può diventare un host e offrire alle persone iscritte al servizio un pranzo kosher, sfruttando il sabato festivo per stringere nuove amicizie. Shabbat è diventato in poco tempo uno dei social network più utilizzati dagli ebrei e conta al momento oltre cinquecentomila eventi organizzati. Tra un pranzo e una cena, in molti hanno anche trovato la propria anima gemella. È disponibile anche l'applicazione per gli utenti Android e iOS.

I social del futuro: tra incertezze e opportunità
Altri esperimenti social sono ancora agli inizi, ma porteranno alcune novità all'interno del settore dei social network dedicati agli ebrei.
Tribester è ancora in fase di lancio e promette di essere un sito di appuntamenti alternativo, in cui ogni utente potrà mettere in mostra il meglio di sé senza aver timore di essere preso di mira da qualche utente anti-semita.
Schtik, invece, è un vero e proprio social network dove ogni giudeo può condividere foto e video. La piattaforma è divisa in diverse sezioni che raccolgono tutti i contenuti postati: l'utente dovrà solamente scegliere quella giusta e andare alla ricerca del filmato o dell'articolo.
B-Linked invece è una piattaforma dedicata ai giovani ebrei che possono sfruttare il social network per fare nuove conoscenze, postare foto dei propri viaggi e per parlare del mondo universitario o scolastico. Lo staff organizza eventi, manifestazioni e convegni, dove ogni ragazzo potrà dire la sua sulla religione e sull'ebraismo.

(Fastweb.it, 21 febbraio 2016)


Tra gli Hezbollah libanesi: "Difenderemo Assad dai terroristi"

Le milizie sciite hanno com priorità la riconquista di Aleppa

di Giordano Stabile

BEIRUT - "I nostri ragazzii combattono ad Aleppo per salvare anche noi qui a Beirut. I takfiri ci vorrebbero tagliare la testa a tutti". Nel quartiere di Mouawad la guerra in Siria è sentita come vicinissima e l'unico senso di sicurezza viene dai reparti di Hezbollah protagonisti della spettacolare avanzata di febbraio. E così per Hassan AlHgji, il fruttivendolo sul marciapiede della via principale di questo sobborgo a Sud della capitale libanese, dove comincia la parte di città controllata dal Partito di Dio sciita. Ed è cosí per l'ufficio politico di Hezbollah, che ha scommesso moltissimo, quasi tutto, sulla vittoria in Siria.
   Nel suo ultimo discorso Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, ha calcato la mano e ha detto che «i ragazzi» resteranno in Siria «per secoli» se necessario. Alti funzionari, che parlano a condizione dell'anonimato, confermano: «Siamo in Siria, ma invitati da un governo, che può non piacere ma è legittimo - argomentano -. Mentre turchi e sauditi hanno mandato migliaia di terroristi non invitati». Sull'esito della battaglia, pur con gli scaramantici inshallah, sono ottimisti: «I turchi non potranno entrare con le truppe. Non hanno copertura aerea, a meno di non togliere di mezzo 150 jet russi. I sauditi invece non sono proprio in grado. Basta vedere quello che hanno combinato in Yemen».
   A Mouawad, come a Beir Al-Abed, a Borj Al-Barajneh, scendendo verso Sud, il paesaggio urbano cambia in pochi chilometri come in altri Paesi in centinaia. La Beirut newyorchese del Down Town e quella parigina di Monot spariscono. Le scritte sono quasi tutte in arabo in segno di «decolonizzazione».
   Poster e altarini ricordano i martiri, i ragazzi caduti al fronte, secondo fonti ufficiose oltre mille. Nelle vie principali i jersey di cemento in mezzo alla carreggiata costringono le auto a gincane per arrivare agli edifici «sensibili».
   I takfiri, cioè gli estremisti sunniti dell'Isis, hanno già colpito più volte, e il 12 novembre due kamikaze hanno fatto 60 morti.
   Vendetta per il ruolo di Hezbollah in Siria, che nel 2013 ha salvato Bashar al-Assad, oramai assediato nel suo palazzo presidenziale. E Hezbollah il nucleo principale dell'annata sciita creata dall'Iran per salvare l'alleato di Damasco. Hezbollah è stata anche la prima «proiezione» all'estero di Teheran. Un modello ripetuto poi in Iraq a partire dal 2003 con quelle che oggi sono Hashd al-Shaabi, le forze di mobilitazione popolare.
   Queste forze si ritrovano per la prima volta tutte assieme sul fronte di Aleppo. «Non ci sono stime sicure, ma i ribelli - conferma Hossam Abouzahr del Rafik Hariri Center for the Middle East - intercettano un numero sempre maggiore di comunicazioni in farsi, curdo e dialetti iracheni». Le cifre ufficiose parlano di 8-10 mila Hezbollah, 6 mila iracheni, 3500 afghani, 2000 pachistani. E poi da 1500 a 3 mila iraniani, che hanno soprattutto il ruolo di coordinamento.
   La svolta è arrivata con i russi e la creazione di una «war room» composta da governativi siriani, russi, iraniani ed Hezbollah che pianifica le operazioni. E ha stabilito come priorità Aleppo. «Liberare la città - conferma Hezbollah - darebbe di nuovo il controllo effettivo del Paese al governo siriano. Le idee di cambi di regime sono roba del passato».
Sul piano regionale, invece, la vittoria sarebbe la massima espressione delle ambizioni iraniane e un colpo a Turchia-Arabia saudita. Anche i sunniti hanno la loro «legione straniera» ad Aleppo, composta da asiatici turcofoni e volontari da altri Paesi arabi.
   Nella «mini-guerra mondiale» siriana sono soprattutto stranieri «irregolari» a confrontarsi. Ma potremmo presto vedere gli eserciti regolari.

(La Stampa, 21 febbraio 2016)



I due preti giusti

Storia di due impavidi sacerdoti che dopo l'8 settembre '43 salvarono centinaia di ebrei dalle mani di nazisti e fascisti. E che, grazie all'aiuto di povere famiglie di contadini, diedero loro conforto e rifugio.

 
Borgo San Dalmazzo
BORGO SAN DALMAZZO (Cn), metà febbraio - Qui un piccolo gruppo di ebrei - qualcuno arriva da Milano, qualcun altro da Torino, qualche locale - s'è ritrovato alla stazione ferroviaria per commemorare i ventisei ebrei che il 15 febbraio 1944 furono deportati nel campo di concentramento di Fossoli e poi in Germania. Orazioni e ricordi di chi oggi vede come le traiettorie della Storia abbiano intersecato le proprie storie intime e familiari. C'è chi racconta la vicenda dei vicini di casa, chi di conoscenti, chi di nonne e nonni che in quegli anni fuggirono dai nazisti, ma anche di parenti - ebrei fascisti - che ai "neri" si consegnarono spontaneamente («"siamo italiani, siamo fascisti, che mai potranno farci?", si chiedevano ingenuamente»).
  Alla stazione di Borgo ci sono tre vagoni rossi. Sono piccoli, stretti e chiusi ermeticamente: anche l'aria era un lusso per chi era trattato peggio di una bestia. Il rabbino intona la preghiera. È un momento semplice e dignitoso, ma non si prega solo per gli ebrei. Vittorio Bendaud, che coordina il Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, ci tiene che due parole e una preghiera di ringraziamento siano spese per due sacerdoti cattolici: don Raimondo Viale e don Francesco Brondello. I loro nomi compaiono tra i giusti delle nazioni allo Yad Vashem di Gerusalemme. Questa è la loro storia.

 Dov'erano tutti gli altri?
  Quando rammentava la sua infanzia, don Viale amava ricordare che a casa sua si viveva di patate e polenta. «Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono cresciuto. È nell'infanzia che ho imparato a resistere». Figlio di uno spaccapietre, Raimondo nacque nel 1907 a Limone Piemonte, «in una zona piena di vipere». Ordinato sacerdote nel 1930 divenne parroco a Borgo San Dalmazzo sei anni dopo. Carattere fumantino e poco incline ai compromessi, dal pulpito il "don guastafeste" non risparmiava critiche al regime fascista. Per questo, il 2 giugno 1940, per aver definito in un'omelia la guerra «un'inutile strage», fu arrestato, condotto nel carcere di Cuneo, picchiato, giudicato colpevole, mandato al confino ad Agnone in Molise, da cui tornò solo il 20 settembre 1941.
  Il 25 luglio e l'8 settembre 1943 sono due date importanti per la storia d'Italia, ma per don Raimondo fu più significativo ciò che accade pochi giorni dopo, il 12 settembre. Dalla Francia, infatti, iniziarono ad arrivare a piedi centinaia di persone. Fra di loro c'erano i soldati italiani della IV armata e gli ebrei che provenivano dal centro di raccolta di Saint Martin Vésubie. Erano per lo più polacchi, francesi, tedeschi; qualche ungherese, austriaco, belga. C'erano molte famiglie con bambini che trascinavano pochi stracci e un tozzo di pane. Il 18 settembre il comando tedesco delle SS rese noto che, entro sera, tutti gli ebrei avrebbero dovuto presentarsi in caserma: «Trascorso tale termine - recitava il dispaccio - tutti gli stranieri che non si saranno presentati verranno immediatamente fucilati». La medesima sorte sarebbe toccata «a coloro nella cui abitazione detti stranieri verranno trovati».
  Saranno 349 quelli che si consegneranno e che il 21 novembre saranno caricati sui vagoni in partenza da San Dalmazzo verso la Francia, e di qui poi ad Auschwitz (ne torneranno solo 9). Il 4 dicembre '43 il campo di concentramento di Borgo passò nelle mani fasciste. Dalla stazione, il 15 febbraio partirono i ventisei ebrei di cui vi abbiamo detto (ne sopravvissero solo due). E tutti gli altri? Che fine avevano fatto le altre centinaia di ebrei che erano giunte in Italia?

 Il funerale due anni dopo
  Come tutti gli abitanti della zona, don Viale aveva assistito all'arrivo delle famiglie ebree e dei soldati italiani sbandati. Per lui, aiutare quei poveretti fu una semplice questione di carità cristiana. Confortato dal sostegno del cardinale di Torino, Maurilio Fossati, decise così di darsi da fare per trovare loro rifugio. Rischiò letteralmente la pelle, don Raimondo. I nazisti avevano già fatto vedere di cosa erano capaci. Per rappresaglia il 19 settembre a Boves avevano incendiato le case e ucciso 24 persone tra cui il parroco, don Giuseppe Bernardi, e il giovanissimo vicecurato, don Mario Ghibaudo, catturato mentre cercava di mettere in salvo il Santissimo. Il corpo martoriato di don Mario finì proprio nella canonica di don Viale che, di notte, con l'aiuto di don Brondello e contro gli ordini nazisti, lo trasportò nel cimitero per dargli degna sepoltura. Il funerale di don Mario fu celebrato solo due anni dopo, il 19 settembre 1945. Don Ghibaudo è uno dei "Dieci" di don Didimo Mantiero e il 31 maggio 2013 è iniziato il processo di canonizzazione.

 Nemmeno uno fu catturato e ucciso
  Lo scrittore-partigiano Nuto Revelli ha raccolto in un libro la testimonianza di don Viale. Si intitola Il prete giusto (Einaudi, 1998) ed è il racconto della vita del nostro eroe. Eroe che, però, non amava troppo vantarsi delle proprie gesta. «Il mio - raccontò - era un lavoraccio da esaurire un elefante. Ero imprudente come uno scemo». Per fortuna, don Raimondo non era l'unico scemo della zona. Bisogna cercare di immaginarsi cosa significasse per dei poveri contadini con tante bocche da sfamare prendersi il rischio di dare rifugio a persone che nemmeno parlavano l'italiano. Nasconderle per quasi due anni, condividendo con loro quel poco che si poteva racimolare durante i rigidi inverni del '43 e del '44. Quella rete di famiglie non tradì nessuno. Nemmeno uno degli ebrei che furono soccorsi dagli amici di don Viale fu catturato e ucciso.
  Gli ultimi mesi di guerra e gli anni successivi non furono per don Viale meno tribolati. Confortò negli ultimi momenti, a rischio di fare una brutta fine, i quattordici partigiani catturati e fucilati il 2 maggio '44 nella caserma di Tetto Gallotto. Terminata la guerra, si spese invano perché i partigiani risparmiassero una spia fascista, Ettore Salvi, che fu giustiziata il 12 febbraio '46 a Cuneo. Don Raimondo rimase sempre un irregolare. Antifascista ai tempi del fascismo, anticomunista nel primo dopoguerra («il comunismo è una dittatura militaresca»), insofferente verso ogni autorità, negli anni Settanta fu sospeso a divinis, straniero in quella stessa Chiesa che tanto amava. Poi, nella primavera del 1980 il riconoscimento di giusto, solo quattro anni prima della sua morte, il 25 settembre 1984. La piazza antistante la caserma, oggi una scuola, porta il suo nome.

 Fortunato? No, miracolato
  Don Francesco Brondello nacque a Borgo San Dalmazzo l'8 maggio 1920. Lo chiamavano il "prete volante" o il "prete scalatore" per le sue insuperabili doti in montagna. Quando arrivarono gli ebrei nel settembre del '43 anche lui aiutò, brigò, si attivò per portare cibo e lettere («facevo il portalettere degli ebrei», dirà una volta). Due sorelline ebree, Chaya e Gitta Kantoriwicz, che oggi vivono a Chicago, ricordano ancora quando giunse nel loro nascondiglio. Si presentò con una macchina fotografica, scattò due foto, tornò il giorno dopo con i documenti falsi. Altri hanno ricordato che fu lui che, sempre a rischio di cattura, girò di baita in baita, di casolare in casolare, solo per ricordare loro di festeggiare Yom Kippur. Don Brondello rimase a Valdieri fino al termine del conflitto perché, spiegava, «un sacerdote non abbandona il suo posto, il suo dovere». Ma la pagò cara. Arrestato dai fascisti nel 1944 fu imprigionato a Cuneo. Era stato prelevato da due ufficiali che, raccontò una volta, mentre «cantavano a tutta forza con rabbia le loro canzonacce: "Morte, morte a papa Pacelli / siamo rinati a libertà"», lo condussero fino in caserma. Qui gli misero «una bomba a mano in bocca», lo picchiarono, lo torturarono. Ma don Francesco non parlò, non tradì. Disse solo che lui la pensava come il Buon Samaritano: non si chiede la carta d'identità al bisognoso. Fu solo grazie all'intervento di una donna, amante del capo delle Brigate Nere, che ebbe salva la vita. «La Bibbia - spiegò - ci racconta la storia di Rachav, la donna che a Gerico prima nascose e poi fece fuggire gli esploratori inviati da Giosuè. Era solo una prostituta ma aveva intuito che "il Signore vostro Dio è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra" e diventò uno strumento di un disegno divino. E quella era una poveretta, l'amante di un brigante feroce, ma ebbe pietà e si diede da fare per salvare un sacerdote».
  Don Francesco ne passò davvero di tutti i colori. Ma a chi gli chiedeva se si ritenesse fortunato, rispondeva piccato: «Fortunato? No, io non userei questa parola. Se uno è in pericolo, in una situazione, e riesce a salvarsi, può trattarsi di fortuna e può dire a se stesso "questa volta mi è andata bene". Ma a me capitò di scampare alle pallottole del militare tedesco a Nizza, e poi alla caduta sulla montagna, e di essere catturato dalle camicie nere ma di esserne poi rilasciato, e il rastrellamento a Valdieri non fece vittime… Quante volte sono stato miracolato? No, non credo possa trattarsi di un caso fortunato, credo proprio che il Signore abbia voluto proteggermi e salvarmi. Ma non c'era da aver paura, trovavo consolazione e coraggio nella promessa del Vangelo: "Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"».

 Noi esistiamo grazie a lei
  Quando il 2 settembre 2004 fu riconosciuto giusto tra le nazioni con una cerimonia nella Sinagoga di Cuneo, si commosse fino alle lacrime quando rivide Chaya e Gitta, le due ragazzine cui aveva scattato una fotografia tanti anni prima. Si presentarono con le loro famiglie, mariti, figli e nipoti, una cinquantina di persone, una piccola comunità di scampati all'orrore: «Don Francesco, noi esistiamo solo grazie a lei».
È morto una domenica del 2015. Era il 15 febbraio, lo stesso giorno in cui, più di settant'anni prima, tre carrozze rosse erano partite per Auschwitz. 

(Tempi, 21 febbraio 2016)


L'intelligence israeliana intercetta una spedizione di droni di contrabbando verso Gaza

GERUSALEMME - Lo Shin Bet, l'intelligence israeliana per i servizi interni, ha intercettato una spedizioni di droni di contrabbando diretta nella Striscia di Gaza. Lo riferisce il quotidiano israeliano "Jerusalem post". Secondo l'intelligence di Gerusalemme i droni sarebbero stati destinati ai gruppi terroristici che operano nella Striscia. Da quanto ai apprende gli agenti di frontiera israeliane hanno fermato il camion, un veicolo israeliano di giocattoli, che trasportava i droni per un controllo al valico di Kerem Shalom. Nel corso dell'ispezione gli agenti di sicurezza hanno rinvenuto diversi droni di vari modelli e dimensioni, dotati di telecamere di alta qualità. Secondo le autorità israeliane le telecamere sarebbero state utilizzate dai gruppi terroristici per raccogliere informazioni sull'esercito israeliano. (segue) (Res)

(Agenzia Nova, 21 febbraio 2016)


Willenberg, l'ultimo superstite del campo di Treblinka è morto.

Samuel Willenberg
 
Samuel Willenberg, l'ultimo sopravvissuto degli internati che avevano organizzato la rivolta nel campo di sterminio nazista di Treblinka, è morto a Tel Aviv all'età di 93 anni.
  Sarà sepolto domani allo Yad Vashem a Gerusalemme. Nato in Polonia e deportato a Treblinka a 19 anni, Willenberg era riuscito a fuggire dal lager con altri 200 deportati, fuggendo nelle foreste vicine. Willenberg entrò quindi nelle forze partigiane polacche. Nel 1943 combatté i nazisti a Varsavia. Nel 1950 emigrò in Israele. Raggiunta l'età della pensione si era dedicato alla scultura e aveva scritto un libro di ricordi, "Rivolta a Treblinka". Nel campo di Treblinka in 13 mesi furono massacrati circa 870.000 ebrei polacchi e greci e 2.000 zingari.
  «Quei luoghi isolati erano stati scelti, con l'approvazione del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, per farne un enorme carnaio, quale l'umanità non aveva ancora mai conosciuto prima dei nostri giorni crudeli, neanche al tempo della barbarie primitiva » (Chil Rajchman nella prefazione di Annette Wieviorka a: Treblinka 1942-1943 - Io sono l'ultimo ebreo)
  Treblinka fu uno dei più importanti e sinistri centri di sterminio del regime nazista, secondo la nomenclatura adottata dallo storico Raul Hilberg. Fu l'ultimo lager ad entrare in funzione di un gruppo di quattro campi di sterminio aperti dal 1941 al 1942 nell'est della Polonia occupata, edificati per attuare il progetto denominato Operazione Reinhard (in tedesco Aktion Reinhardt) nome in codice dato dai nazisti al progetto di sterminio degli ebrei in Polonia. Il campo è tristemente noto, nei rapporti fatti dai pochi sopravvissuti, per lo sterminio perpetuato con balorda violenza ed insolita ferocia sulle vittime.
  Sono in molti a dire che Treblinka sia stato dieci volte più tragico di Auschwitz, in quanto a torture e annientamento dei deportati.
  Il primo campo di sterminio nazista fu Chełmno nel 1941, seguito poi da Bełżec, Sobibór ed infine Treblinka, la cui costruzione iniziata a fine maggio - inizio giugno del 1942, fu conclusa e divenne operativa il 22 luglio 1942. A sessanta chilometri da Varsavia e vicino ad una zona scarsamente popolata e deprimente, nascosta da una folta vegetazione boschiva e di alte piante di pini, il campo di sterminio venne costruito da imprese tedesche nelle vicinanze di un preesistente campo penale istituito nel 1941.
  Fra i molti libri scritti sul terribile campo di sterminio nazista segnaliamo il libro di Sereny Gitta. «In quelle tenebre» (1974) che riporta gli ultimi giorni di vita di Franz Stangl, capo del campo di Treblinka, pochi giorni prima del verdetto che lo vide condannato all'impiccagione. Stangl attraverso una serie di incontri dentro il carcere ripercorre insieme all'autrice gli anni del campo di sterminio insieme alle nefandezze fisiche perpetrate ai danni dei deportati.

(la Voce del Trentino, 21 febbraio 2016)


«Kosher Western», la cultura ebraica conquista Hollywood

Da oggi al Museo di via Valdonica a Bologna una mini rassegna di tre film di genere da Sidney Pollack a Mel Brooks.

BOLOGNA - Se il cibo kosher è con poche possibilità di equivoci quello conforme alle regole che derivano dalla Bibbia, quando si accosta lo stesso termine a un classico genere cinematografico americano come il western, l'Interpretazione appare curiosa. Nonostante, ad esempio, pochi anni fa al Festival di Cannes, Quentin Tarantino avesse definito il suo Bastardi senza gloria un «sogno kosher», riferendosi alla sequenza finale in cui la protagonista si vendica dei nazisti. Ora il Museo Ebraico di Bologna ha messo in piedi una rassegna di tre proiezioni riunite proprio sotto la dicitura «Kosher Western». Alla base del ciclo la densa presenza ebraica nel tessuto vivo del cinema americano, attestata da produttori come i Mayer e i Goldwyn, registi come Lubitsch, Billy Wilder, Mankiewicz, Preminger e Spielberg e attori quali i fratelli Marx, Mel Brooks, Jerry Lewis, Ioan Crawford e Lauren BacalI. In questo trittico' però, si punta al cuore narrativo del cinema americano, il western. Con riletture che spesso assorbono paradossi verbali e trasgressioni alle regole del genere provenienti dal profondo della cultura yiddish della tradizione ebraica dell'Europa orientale. Il primo film in programma, oggi alle 15.30 nella sede di via Valdonica 1/5 con ingresso gratuito, è Joe Bass, l'implacabile, diretto da Sidney Pollack nel 1968 e interpretato da Burt Lancaster, Telly Savalas e Shellev Winters. La storia di un cacciatore di pelli derubato da pellerossa, e poi finito prigioniero di un gruppo di cacciatori di scalpi nel tentativo di recuperare la propria merce, contiene, anche attraverso la figura di uno schiavo nero, un continuo rovesciamento di ruoli e stereotipi, tra superiorità razziali ostentate e pregiudizi consolidati. Anche perché nel film non è facile distinguere i buoni dai cattivi e, se il cacciatore bianco è quanto mai rude e animalesco, di contrario lo schiavo ha tratti decisamente raffinati. I film che seguiranno nelle prossime due domeniche saranno anch'essi impregnati di ironia dissacratoria. Dalla parodia di Mel Brooks in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, con Gene Wilder, domenica 28, a Scusi, dov'è il West? di Robert Aldrich, domenica 6 marzo. In quest'ultimo caso la tradizione teatrale yiddish è fondamentale per la costruzione della strana coppia formata da un rabbino e un bandito, ancora Gene Wilder con Harrison Ford. Insieme in un viaggio che porterà rav Avrom Belinski da uno sperduto villaggio della Polonia a una comunità ebraica di San Francisco rimasta senza guida spirituale. P.D.D.

(Corriere di Bologna, 21 febbraio 2016)


Gli ebrei di Bulgaria

Nicopolis sul Danubio fu importante tappa del commercio del sale, al quale la comunità ebraica del luogo partecipò attivamente.

di Giulio Busi

Il Danubio è un fiume di segreti. E anche se gli ci vogliono quasi tremila chilometri, prima di arrivare al mare, di confidenze non gliene strapperete molte. Qualche mormorio, la maestà dei ponti, i riflessi di città troppo ricche, troppo belle, viziate dai secoli - di più, probabilmente, non si farà sfuggire. Tra tanti arcani ben custoditi, è naturale che ve ne siano parecchi ebraici. Puntate un nome, Nikopol, e aspettate che venga a galla qualcosa d'inaudito. Nell'età digitale, in cui, oltre all'acqua, anche le parole fluiscono, un volume elettronico di Zvi Keren, sugli ebrei di Bulgaria, può portarvi sulla via giusta. Nikopol è solo un villaggio, direte voi, pressappoco a metà strada tra Sofia e Bucarest, chissà cosa ci si potrà mai trovare. Un tempo si chiamava Nicopolis, fu addirittura capitale e teatro di una clamorosa sconfitta crociata, nel 1396, quando i turchi sbaragliarono i fatui cavalieri di Borgogna, venuti fin qui per scacciare gli infedeli e scacciati, a loro volta, con ignominia. Acqua passata, glorie o vergogne lontane. Eppure, sulla riva meridionale del vecchio, inesplicabile Danubio, fiorì una prospera comunità ebraica. Nikopol, già porto ragguardevole, era una tappa importante sulla via del sale, bene essenziale per l'impero ottomano, e gli ebrei partecipavano ampiamente all'impresa. Come intendenti delle miniere nella vicina Valacchia, trasportatori e mercanti. E con il sale, crebbero sinagoghe, arrivarono i rabbini e s'infittirono i misteri. Proprio a Nikopol abitò per una manciata di anni, tra il 1522 e il 1537, Yosef Caro, uno dei maestri più importanti di tutta la cultura rabbinica. Giurista, codificatore impeccabile del diritto ebraico, Caro fu anche cab balista di vaglia. In un diario mistico, cominciato mentre viveva e insegnava ai bordi del gran fiume, annotò con cura le rivelazioni che gli andava facendo una misteriosa voce interiore. Il maggid, come si chiama in ebraico, è una sorta di alter ego profetico, che discute, rimprovera, esorta. Potete chiamarla autocoscienza ante litteram, o pensare sia solo una réverie fluviale, fatto sta che il maggid, lo spirito loquace, un bel giorno si stancò di starsene in quel posto lontano da tutto, e stracolmo di sale: «ti suggerisco caldamente di andartene», disse a Yosef, che prontamente se ne partì per Costantinopoli, e da lì salpò per la Terra d'Israele. A Safed, in Galilea, Caro sarebbe diventato una celebrità riverita in tutta la diaspora.
   Prodigi che non si ripetono, penserete, sicuri che con il Maggid sia svanito anche il cabbalistico genius loci. E invece, dopo che molte altre chiatte se n'erano scivolate di fronte a Nikopol, nel 1752 vi capitò Jacob Frank, un tizio ben più chiacchierato dell'integerrimo rabbi Caro. Frank, in fama di corruttore e spergiuro, è noto per aver rinfocolato e trasformato l'eresia sabbatiana, quella fondata, a metà Seicento, dallo pseudo-messia Shabbetay Zevi. È forse un caso se il nostro eretico decide di sposare proprio una ragazza ebrea del luogo, di nome Hanna? Ecco che la sera stessa delle nozze, i due testimoni gli spifferano tutti i segreti della setta, per filo e per segno. «Dov'è il messia»», chiede Frank, e la risposta non si fa aspettare: «A Salonicco». Per l'eccitato Frank fu l'iniziazione decisiva, che l'avrebbe spinto a fondare un movimento proprio, a proclamarsi lui stesso salvatore, e a vestire la propria figlia, la bellissima e poco austera Eva, dei panni di messia al femminile. Il racconto di Nikopol, trasmesso gelosamente nella letteratura dei seguaci di Frank, riflette un antico rituale, ovvero la rivelazione della dottrina del messia nascosto allo sposo, subito dopo la cerimonia nuziale. Non ci sono due segreti uguali, e il pio cabbalista Caro sarebbe spiacevolmente sorpreso, nel sentirsi messo assieme a quel millantatore di Jacob Frank. Ma tant'è, a vagare lungo le rotte e i porti del Danubio, si rischia di confondere lecito e illecito, pietà e trasgressione. Il Danubio è fiume di enigmi, taciturno fin che è tra castelli di Baviera ed eleganze austro-ungariche. Aspettate che arrivi a Nikopol, e domandategli di nuovo, magari vi risponderà. Attenti però, potrebbe essere un segreto compromettente.

(Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 2016)



La sapienza grida

La sapienza grida per le vie,
fa udire la sua voce per le piazze;
nei crocicchi affollati ella chiama,
all'ingresso delle porte, in città, pronunzia i suoi discorsi:
"Fino a quando, o scempi, amerete la scempiaggine?
fino a quando gli schernitori prenderanno gusto a schernire
e gli stolti avranno in odio la scienza?
Volgetevi a udire la mia riprensione;
ecco, io farò sgorgare su voi il mio spirito,
vi farò conoscere le mie parole.
Ma poiché, quand'ho chiamato avete rifiutato d'ascoltare,
quand'ho steso la mano nessuno vi ha badato,
anzi avete respinto ogni mio consiglio
e della mia correzione non ne avete voluto sapere,
anch'io mi riderò delle vostre sventure,
mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso;
quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta,
quando la sventura v'investirà come un uragano,
e vi cadranno addosso distretta e angoscia.
Allora mi chiameranno, ma io non risponderò;
mi cercheranno con premura, ma non mi troveranno.
Poiché hanno odiato la scienza
e non hanno scelto il timore dell'Eterno
e non hanno voluto sapere dei miei consigli
e hanno disdegnato ogni mia riprensione,
si pasceranno del frutto della loro condotta,
e saranno saziati dei loro propri consigli.
Poiché il pervertimento degli scempi li uccide,
e lo sviarsi degli stolti li fa perire.
Ma chi m'ascolta se ne starà al sicuro,
sarà tranquillo, senza paura d'alcun male".

dal libro dei Proverbi, cap.1

 


Hezbollah: «Colpiremo la fabbrica di ammoniaca e faremo 800mila morti»

Minacce a Israele dal Libano.

di Fiamma Nirenstein

Una minaccia hitleriana: non può essere definito diversamente il discorso del leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah dal bunker-nascondiglio. Ha detto dallo schermo che, se vorrà, userà i suoi missili sulla fabbrica di ammoniaca di Haifa, la seconda città costiera di Israele e causerà un'esplosione che farà 800mila morti.
Il discorso è stato tenuto nella giornata «della fedeltà ai martiri e ai leader». «E un fatto matematico - ha detto Nasrallah -. Pochi missili su pochi impianti di ammoniaca equivalgono allo stesso numero di morti che farebbe una bomba atomica... voi (israeliani) avete la più grande forza aerea, i missili, e altri mezzi, ma noi possiamo fare lo stesso con pochi missili a poche fabbriche di ammoniaca». Ma non funziona questa presentazione degli hezbollah come un Davide contro Golia: il numero dei loro missili ormai, premio di fedeltà per la guerra di Assad in cui gli hezbollah hanno collaborato a fare 250mila morti, ammonta ormai, si calcola, a 150 mila. E infatti Nasrallah si è contraddetto: «I leader di Israele capiscono che la resistenza (lui la chiama cosi, ndr) ha la capacità di coprire l'intera Palestina occupata (e chiama cosi Israele, ndr) di missili». E poi di nuovo però un passo indietro: «...non vogliamo la guerra... ma conserviamo questa capacità deterrente».
   Il vero motivo del discorso di Nasrallah, del quale si è scritto che abbia una malattia grave e che sia in cura a Teheran presso specialisti russi, risiede nella complessa situazione degli hezbollah. La scelta ormai quadriennale di fiancheggiare Assad come maggiore strumento egemonico iraniano, ne ha migliorato le capacità di combattimento dopo le esperienze da protagonisti di Qusayr, Qalamoun, Arsal. Ne ha fatto il protettore del libano dalla minaccia jihadista sunnita. L'esperienza di combattimento ha attratto molti giovani libanesi, la loro influenza si è espansa fino a diventare in certi casi consiglieri degli Houthi filoiraniani in Yemen. Le sue strutture militari, il numero dei suoi missili puntati su Israele si è enormemente ampliato. Ma i morti in battaglia (si parla di ben 2000) sono troppi, c'è un capillare ritiro in atto. Inoltre la Siria ha dominato per decenni il Libano con la forza, per molti libanesi, il ruolo di fiancheggiamento della Siria è sgradito; e la vicinanza all'Iran ha creato una faccia puramente iraniano-sciita, troppo per un gruppo terrorista che ha sempre cercato di giocare la carta della resistenza antimperialista antisraeliana come quella maggiore, e ne ha fatto una fonte di egemonia nel mondo arabo.
   Nasrallah ha paralizzato la vita interna del Libano, fra l'altro impedendo l'elezione del presidente; le sue fonti di finanziamento potrebbero subire un cambio di rotta nella leadership iraniana dopo le elezioni. Ed ecco quindi che per rafforzare l'immagine, Nasrallah ricorre all'odio antisraeliano.

(il Giornale, 20 febbraio 2016)


Helene Mayer, la fiorettista ebrea che gareggiava per Hitler a Berlino 1936

Aprì la strada a Jesse Owens

di Francesca Galluzzo

 
Helene Mayer, a destra, riceve la premiazione con il saluto nazista
Jesse Owens non fu l'unico protagonista dell'Olimpiade del 1936, ma di fatto fu presente ai Giochi grazie a lei. Tra le file della Germania nazista gareggiava infatti un'atleta ebrea, Helene Mayer. Medaglia d'oro ad Amsterdam 1928, evitò il boicottaggio americano accettando la convocazione olimpica
  Esce ora nelle sale cinematografiche "Race", film che racconta la vita di Jesse Owens, vincitore di quattro medaglie d'oro ai Giochi di Berlino 1936. Lui, atleta di colore, trionfò nelle Olimpiadi della Germania nazista e trasformò una vittoria sportiva in una questione ideologica; con le sue vittorie Jesse Owens rispondeva coi fatti ai teorici della superiorità della razza ariana e questo era abbastanza per renderlo una leggenda vivente. La sua non fu, però, l'unica storia degna di nota dell'Olimpiade e nel nostro viaggio nel tempo nella storia olimpica di questa settimana vi raccontiamo di Helene Mayer, fiorettista tedesca, medaglia d'oro a soli 17 anni ai Giochi di Amsterdam 1928, unica atleta di origine ebrea tra le file della Germania.

 La giovane campionessa
  Helene Mayer nasce a Offenbach sul Meno nel dicembre 1910 e fin da giovanissima dimostra eccellenti doti sportive. Entra a far parte del prestigioso Offenbach Fencing Club e a 14 anni vince il suo primo titolo nazionale; nel 1928 arriva la vittoria olimpica, seguita a solo un anno di distanza dall'oro mondiale bissato nel 1931. Nel 1932 Helene si reca a Los Angeles in occasione dei Giochi Olimpici, conclude quinta, ma decide di fermarsi per un periodo in California per allenarsi e studiare alla Southern California University.
La sua sembra una vita destinata al successo, ma tutto cambia quando, nel 1933, Hitler sale al potere in Germania e Helene Mayer, figlia di un medico ebreo, viene espulsa dall'Offenbach Fencing Club. Senza un posto in cui allenarsi una volta tornata a casa, Helene decide di rimanere negli Stati Uniti, dove continua gli studi e si mantiene insegnando tedesco e facendo l'istruttrice di scherma. La situazione peggiora ulteriormente nel 1935, quando a seguito della promulgazione delle "Leggi di Norimberga" la medaglia d'oro di Amsterdam, che nell'albero genealogico ha due nonni ebrei, viene catalogata come tedesca di "sangue misto" e si vede togliere parte dei diritti di cittadinanza.
  Le Leggi di Norimberga mostrano chiaramente al mondo il vero volto del nazismo e di fronte a una politica tanto inaccettabile parte dell'opinione pubblica americana chiede al proprio comitato olimpico di boicottare le Olimpiadi del 1936. Berlino ha speso molto per i Giochi e intende ottenere il massimo risultato possibile dalla manifestazione, sia in termini economici che, soprattutto, di propaganda, e il governo nazista cerca delle contromisure per evitare l'assenza statunitense. In occasione della visita dei rappresentanti del comitato olimpico americano dai muri della città vengono fatti sparire i manifesti di stampo antisemita e, allo stesso tempo, Helena Mayer viene convocata per i Giochi di Berlino, così da dimostrare che la Germania dava spazio anche agli atleti di origine ebrea nella propria rappresentanza.

 I Giochi di Berlino
  A sorpresa, e nonostante le tante lettere ricevute che le chiedevano di boicottare i Giochi, la Mayer decide di accettare la convocazione e scendere in pedana sotto le insegne della Germania nazista. È quanto basta agli americani per convincersi (o far finta di essere convinti) delle buone intenzioni tedesche e mettere la propria delegazione su una nave diretta in Europa, cosa che forse non avrebbero fatto se Helene fosse rimasta in California invece che recarsi a Berlino.
  Iniziano i Giochi e le vicende di Jesse Owens mettono subito in secondo piano tutto il resto, anche l'argento che la Mayer aggiunge al medagliere tedesco e che, da "vera tedesca" come lei si è sempre definita, la fiorettista celebra con il saluto romano, così come avevano fatto tutti gli altri suoi connazionali andati a medaglia fino a quel momento.
  Conclusa l'esperienza olimpica, non trovando più spazio in Germania, Helene Mayer torna definitivamente negli Stati Uniti e prende la cittadinanza americana. Rientra in patria solo nel 1952, a guerra ampiamente finita, e muore un anno dopo a causa di un tumore, portando via con sé la risposta a una domanda che, ai tempi, molti si erano fatti. Per quale motivo aveva accettato la convocazione olimpica?

 Perché andò ai Giochi?
  Chi si concentra sul lato sportivo sostiene che la fiorettista, almeno in parte incurante delle vicende politiche, cercasse un riscatto dopo il deludente quinto posto di Los Angeles 1932, mentre l'ipotesi più accreditata è quella che vuole la Mayer accettare l'invito del comitato olimpico tedesco per poter rivedere la madre, rimasta in Germania dopo la sua partenza. Rimane poi la teoria secondo cui Helene avesse chiesto al governo tedesco di riacquistare la piena cittadinanza in cambio della sua partecipazione ai Giochi e la sua formale adesione agli ideali del partito nazista (nel caso, il governo tedesco non avrebbe poi mantenuto la parola visto che la Mayer fu costretta a tornare negli USA).

(Eurosport.it, 20 febbraio 2016)


Primarie repubblicane in South Carolina, Cruz: "Non sarò un presidente neutrale"

Cruz attacca Trump sulla richiesta di neutralità tra Israele e palestinesi per accaparrarsi il voto evangelico.

WASHINGTON - Israele vs Palestina entra nel dibattito repubblicano per la corsa alla Casa Bianca. La polemica tra due dei principali alla primarie del partito per la nomina presidenziale Donald Trump e il senatore Ted Cruz. Quest'ultimo ha criticato la chiamata alla neutralità del suo avversario in una manifestazione a West Columbia, ieri alla vigilia del voto primario nel stato del South Carolina: "Trump ha detto pubblicamente che sarebbe stato neutrale tra Israele e palestinesi. Lasciate che vi dica questo: Come presidente ho alcuna intenzione di essere neutrale". "L'America resterà senza scusarsi con la nazione di Israele". Secondo gli analisti Cruz punta a conquistare così gli elettori cristiani evangelici, che sono fortemente favorevoli ad una posizione filo-israeliana, proprio per battere Trump questa sera in South Carolina. Trump è in testa in tutti i sonaggi questa sera, ma il vantaggio varia incredibilmente dal 5 al 18 per cento. Nel suo ultimo intervento il senatore ha promesso maggiori controlli per tutti i potenziali rifugiati che cercano di entrare negli Stati Uniti, provenienti dalla crisi per fermare i terroristi: "Non abbiamo ammettere altri rifugiati che poi si scoprono essere infiltrati di ISIS".

(il Velino, 20 febbraio 2016)


Applausi e commozione per Il violino della Shoah tornato "libero"

Un teatro gremito di studenti ha applaudito la storia dello strumento che ha suonato nell'orchestra di Auschwitz e partito da Tradate. Numerose le testimonianze.

di Manuel Sgarella

Un teatro gremito di ragazzi ha accolto il ritorno a Tradate del "Violino della Shoah". Strumento partito dalla città nel '43 con destinazione Auschwitz, perché proprio da questa città furono deportati di fratelli Levi, Maria ed Enzo, che erano ospitati dalla famiglia Sternfield, imprenditori della città, a Villa Truffini, per sfuggire alle persecuzioni razziali.
Purtroppo, però, vennero trovati lo stesso: il capostazione di Tradate riuscì a salvare il padre, ma loro vennero deportati. Maria portò con sé questo violino ed entrò a suonare nell'orchestra del campo di concentramento, permettendole di rimanere in vita. Nel corso del tempo, però lei perse la vita, e il violino venne custodito dal fratello fino alla liberazione. Da allora se ne persero le tracce, e il ritrovamento è avvenuto per merito del collezionista Carlo Alberto Carutti. Sabato 20 febbraio, l'amministrazione comunale ha organizzato una mattina per gli studenti durante la quale questo violino è tornato a suonare "libero".
Laura Cavalotti, sindaco di Tradate, ha aperto l'incontro: «Poter raccontare quanto accaduto è la somma dei pezzi di un puzzle: prima è emersa la storia del violino parlando con Federica Broggi, professoressa dell'Istituto Pavoni, poi la passione di Federico Colombo degli Studi Storici, ma anche l'ingegnere Carutti che ha ritrovato il violino e lo ha messo a disposizione per questa giornata». E poi l'appello agli studenti: «Da questo evento vorrei che rifletteste sulla storia, cercando di mantenere la sensibilità e non diventare indifferenti crescendo. Mantenete l'attenzione alla persona, sempre».
Sul paco è salito anche Federico Colombo, con in mano il cappello del capostazione Andrea Albisetti, portato dall'unica erede oggi vivente, Maria Rosa Galli, presente in sala (qui la sua intervista). «Come il violino anche questo è un simbolo di un periodo che non va dimenticato. Questo cappello è stato indossato da un uomo che ha rischiato la propria vita per salvare i perseguitati. E oggi in sala abbiamo un persona che ha conosciuto quest'uomo».
Ed ecco la testimonianza di Gianna Sternefeld, figlia dell'imprenditore tradatese che ha ospitato diverse persone perseguitate: «La persona che lo indossava era una persona speciale, un grande antifascista. Era riuscito a organizzare un gruppo di partigiani che hanno cercato di salvare chi era perseguitato in quel momento. Ha salvato il padre dei fratelli Levi, purtroppo col rimorso di non aver capito la gravità del momento, non riuscendo a far scappare anche i figli prima che arrivassero i tedeschi, perché avevano voluto aspettare il padre».
Prima dell'esecuzione del violino, sono stati gli stessi studenti del liceo Marie Curie a portare la testimonianza, con tanta emozione, di quanto accaduto nei campi di concentramento, con una domanda: «Perché tanta crudeltà? A questo non riusciamo a darci una risposta».
Sul palco anche Carlo Carutti, 93 anni, appassionato di musica di Milano, che ha ritrovato il violino dei fratelli Levi. «Ho sempre pensato che nulla avviene per caso, se ho ritrovato questo strumento è perché questo tornasse a vivere a raccontare al mondo quanto aveva vissuto. Niente avviene per caso, e anche in questa situazione la mia passione è utile per il ricordo».
La mattina è terminata proprio con l'esecuzione del violino da parte del professor Lo Guercio, direttore dell'orchestra del Lago Maggiore, a cui è seguito un lungo applauso da parte degli studenti. Per tutti, una mattina difficile da dimenticare.

(VareseNews, 20 febbraio 2016)


Israele: dove la giustizia è uguale per tutti e la morte è quotidiana

di Deborah Fait

Israele ha una peculiarità, in verità una tra le tante, che poche nazioni al mondo hanno. Scrivo spesso che Israele è un paese che non conosce la noia, un paese dove una notizia, anche la più importante, dopo qualche ora, passa in seconda linea di fronte ad avvenimenti nuovi, quasi sempre tragici.
  Sono passati solo tre giorni da quando Ehud Olmert, già primo ministro di Israele, è stato accompagnato in prigione e già non se ne parla più, come non si parla più di un ex presidente, dimessosi dalla carica prima del processo, e condannato a 7 anni di carcere per turpitudine, cioè per essere stato accusato di violenza sessuale su alcune sue collaboratrici quando era ministro del turismo. Dopo il processo Moshè Kazav fu incarcerato, era il 2011, nel marzo del 2016 saranno 5 anni tondi tondi e tutto fa pensare che sconterà la sua pena fino all'ultimo giorno.
  A capo del collegio di giudici che decise la sua condanna era George Karra, un arabo israeliano, che in seguito sarà candidato alla Corte Suprema del Paese in cui, secondo i tanti odiatori, vige l'apartheid!
  Un'apartheid che vede 52 giudici arabi, un giudice arabo alla Corte Suprema, 16 deputati arabi, arabo è il terzo partito del Paese. Per non parlare dei drusi che sono nostri fratelli e arrivano ai gradi più alti dell'esercito, della Knesset e della diplomazia o dei beduini le cui donne studiano finalmente all'università, insegnano nelle scuole ebraiche, diventano medici e avvocati.
  Ricordiamo un beduino, Ismail Khaldi console a S. Francisco. Questo è il paese dell'apartheid!
  Ma non divaghiamo, Olmert, condannato a 19 mesi per corruzione, si farà la sua galera come decretato dai giudici. Naturalmente lui si proclama innocente ma fosse dipeso da me lo avrei condannato solo per l'obbrobrio dei palazzi dell'affare Holyland, un vero e proprio colpo nello stomaco, e per aver attentato, facendosi corrompere, alla gloria di Israele e alla storia pulita e onesta dei suoi Padri fondatori.
  Israele non è un paese corrotto, la sua è una storia di gente che ha sempre amato l'essenziale e che fino agli anni 90 del secolo scorso andava orgogliosa di una dignitosa quasi-povertà. Credo comunque che oggi sia molto difficile trovare un paese dove non esista la corruzione, nemmeno i paradisi scandinavi ne sono esenti e lo dimostrano proprio recentemente le accuse al Ministro degli esteri svedese, Margot Wallstroem, si proprio quella che aveva accusato Israele di omicidi extraterritoriali, coinvolta in uno scandalo immediatamente insabbiato.
  Qual'è allora la differenza tra Israele e il resto del mondo occidentale?
  Semplice, in Israele la legge è proprio uguale per tutti e chiunque, dal Presidente all'ultimo cittadino del Paese, se giudicato colpevole, paga il suo debito con l'assoluta certezza della pena. Israele è l'unico paese al mondo che ha processato, giudicato e condannato un Primo Ministro, unico paese al mondo che ha processato e condannato alla galera un Presidente dello stato.
  Ho nominato i Padri (e Madri) fondatori e mi vengono inevitabilmente alla mente Golda Meir e il suo tre camere e cucina in cui riceveva i ministri offrendo loro tazze fumanti di caffè; Menachem Begin e la sua onestà; David Ben Gurion, i capelli bianchi al vento, la sua camicia aperta, gli immancabili sandali marroni e la sua casetta nel kibbuz Sdè Boker nel Neghev dove si possono ancora vedere le consunte poltrone di pelle dove lui e Paula passavano le serate e, naturalmente, l'immensa libreria.
  Personaggi unici e leggendari che gli israeliani non dimenticano e di cui hanno sempre nostalgia.
  La vicenda di Ehud Olmert è finita e cancellata dalle cronache dei media perchè nel frattempo sono accadute altre cose molto più gravi e dolorose. Aveva 21 anni, si chiamava Tuvia, serviva nell'Unità combattente di Nahal, sposato con un bimbo di pochi mesi. Erano tutti e tre, Tuvia, la giovanissima moglie e il loro bambino, al supermercato per fare la spesa prima dello Shabbat quando due ragazzini di 14 anni, due esemplari dell'esercito di bambini assassini allevati da Abu Mazen e, prima di lui, da Arafat che aveva inventato e programmato i corsi propedeutici per terroristi organizzando lezioni di odio e violenza dalle scuole materne in su.
  I due quattordicenni hanno colpito Tuvia alle spalle, lo hanno pugnalato due, tre, cinque volte, i medici hanno trovato una quantità di coltellate, fino a quando è caduto agonizzante sotto gli occhi stravolti della moglie e del suo bambino.
  Poi, scappando hanno accoltellato, ferendolo, un altro avventore del supermercato fino a quando sono stati uccisi e trasformati, per il popolo palestinista e il suo capo supremo, detto anche da Papa "angelo della pace" Abu Mazen, in martiri.
   Ricordiamolo Tuvia Weissman, ragazzo di 21 anni, assassinato perchè ebreo, ricordiamolo bello e sorridente come ce lo mostrano le foto assieme al suo bambino. Oggi, durante i suoi funerali, come sempre con la partecipazione di migliaia di persone in lacrime, altri tre israeliani sono stati accoltellati, otto attacchi terroristici in 12 ore. Nei 4 mesi dell'intifada dei coltelli sono state uccise 33 persone innocenti, più di 300 i feriti e a Ramallah non hanno più strade, piazze e scuole da intitolare agli assassini.
  Ne parlano i media in Italia? Forse mi è sfuggito, ma non ho sentito la notizia della morte di Tuvia nè della morte di Almog assassinato a Tel Aviv mentre parlava al telefono con la sua ragazza, nè di Eden colpito a morte da un sedicenne arabo mentre dormiva in autobus o di Gal che era di guardia alla tomba dei Patriarchi a Hebron.
  Vite inutilmente spezzate da giovanissimi terroristi cresciuti ed educati all'odio, imbevuti di veleno, senza anima e senza coscienza, veri e propri zombi adolescenti programmati per uccidere.
   Mentre Israele è invaso da questi giovani assassini pronti a tutto pur di ammazzare l'ebreo ecco che arriva un'altra minaccia all'esistenza di Israele dal Libano, dove Nasrallah, non pago della guerra in Siria, ha minacciato di far saltare per aria gli impianti di ammoniaca di Haifa che, ha dichiarato il mascalzone, avrebbero l'effetto d una bomba all'idrogeno e potrebbero ammazzare quasi un milione di israeliani.
  Danny Danon, ambasciatore di Israele all'ONU, ha chiesto a Ban Ki-moon di condannare simili dichiarazioni genocide ma la risposta è stata il silenzio.
  Mi sarei meravigliata del contrario vista l'ossessione antisraeliana di cui l'ONU si nutre e dopo le dichiarazioni del Segretario Generale sui poveri ragazzini palestinesi che ammazzano per frustrazione e non per puro odio razzista.
  Per finire in gloria ho letto oggi una notizia scandalosa che arriva dall'Italia. A Milano, alla Fiera del turismo, BIT, esiste uno stand della "palestina" che non parla di Ramallah o di Gaza, bensì di Israele. Gerusalemme, il Monte degli Ulivi, la Chiesa del Santo Sepolcro, tutto in chiave palestinese. Presentano Israele, i suoi luoghi sacri, le sue bellezze, chiamandolo palestina, nei depliant si legge che la "palestina" va dal mare Mediterraneo al fiume Giordano, con tanto di gigantografia dell'aquila palestinista.
   Israele è scomparsa per riapparire come palestina. Si suppone che lo stand sia stato organizzato dall' URNWA perchè ragazzi che lavorano per questa agenzia palestinista, targata ONU, giravano tra la gente chiedendo soldi e firme non si sa per quale motivo.
  Ho saputo che negli anni passati lo stand denominato "palestina" (lo scrivo sempre minuscolo intenzionalmente) esponeva banchi pieni di sassi.... forse in onore dalle sassaiole che i bambini arabi palestinisti, dolci e innocenti creature, scagliano contro le auto di israeliani tentando di farli uscire di strada.
   Provate a pensare cosa sarebbe successo se, durante una fiera internazionale del turismo, anzichè negare l'esistenza di Israele attribuendogli un altro nome, qualcuno avesse aperto uno stand negazionista nei confronti di qualsiasi altro paese del mondo.
  Eppure qualcuno osa ancora parlare di pace tra Israele e una popolazione di terroristi dove le madri si lamentano di non avere abbastanza figli da mandare ad assassinare ebrei.

(Inviato dall'autrice, 20 febbraio 2016)


Nessuno li vede più

Nel '500 i Down erano pure nei quadri. Oggi stanno per essere eliminati tutti. Come il cugino di Ratzinger.

di Giulio Meotti

 
Adorazione del Bambino Gesù - Metropolitan Museum di New York
E saremmo davvero noi, cinquecento anni dopo, i "progressisti"? Un anonimo fiammingo nel XVI secolo realizzò un bellissimo quadro dell'Adorazione del Bambino Gesù, che viene esposto oggi al Metropolitan Museum di New York. Nel quadro, osservando bene, tra gli adoranti si trovano un angioletto e un pastorello affetti dalla sindrome di Down. Non sappiamo se l'artista li abbia usati semplicemente perché facevano parte della sua stessa famiglia, o perché la sua visione artistica aveva una disposizione particolarmente comprensiva nei confronti dell'umanità. Cinquecento anni dopo, quegli stessi volti "orientali" fatichiamo a trovarli per strada. Che sta succedendo Ogni anno, il 21 marzo, si celebra la "Giornata della sindrome di Down". Ma per quanto a lungo ancora Quando è stata l'ultima volta che avete visto qualcuno con la sindrome di Down
   Un film, "Ventiquattro settimane", ha appena scosso le coscienze in sala durante la proiezione al Festival di Berlino. La pellicola della regista tedesca Anne Zohra Berrached narra la storia di Astrid, incinta di quattro mesi, che viene a sapere che suo figlio nascerà con la sindrome di Down, la malattia descritta per la prima volta nel 1866 da John Langdon Down. La donna deve decidere se interrompere la gravidanza.
   Ha scosso il film, perché non soltanto in Germania oltre il 90 per cento delle donne sceglie l'aborto se il bambino ha la trisomia 21, ma anche per il passato tedesco, con lo spettro dell'eutanasia nazista dei bambini disabili che ricorre anche nel film. Di recente, la Zeit aveva dedicato uno speciale alla trisomia dal titolo: "Wer darf leben". Chi può vivere.
   Perché la società occidentale ha inventato nel Novecento forme di eugenetica democratica, ha obiettato orripilata a quella nazista, e adesso si è pentita dell'obiezione. Il Daily Telegraph commenta che nuovi test genetici prenatali porteranno alla definitiva "estinzione" dei Down. Nell'articolo, Tim Stanley scrive che l'aborto dei bambini Down in Inghilterra ha visto una impennata del 34 per cento fra il 2011 e il 2014. Nel 2014, sono stati 3.100 gli aborti effettuati per questa ragione. Nel 2011 erano stati 2.300. Una organizzazione di mamme inglesi si batte contro questa pratica e distribuisce t-shirt con scritto: "State calmi, è soltanto un cromosoma in più".
   Cosa sono questi test Sono in grado di analizzare il Dna del bambino dal sangue della madre. Un test "fai da te" giudicato "non invasivo", a differenza dell'amniocentesi e la villocentesi, ma che ha sollevato lo spettro dell'eugenetica nei paesi dove è già in circolazione. Test in grado di determinare se il bambino è affetto da trisomia 21, la sindrome di Down.
   Didier Sicard, il celebre internista dell'Hòpital Cochin di Parigi, già presidente del comitato di Bioetica francese, ha scritto che con questi test "la nascita di un figlio con sindrome di Down sarà considerata un errore medico. Il sistema francese ha fatto di questo 'sradicamento' una questione di sanità pubblica. Il principio di precauzione ha portato alla selezione dei non nati. E' eugenetica". Associazioni di persone con sindrome di Down si battono presso la Corte europea per i diritti umani chiedendo di abolire il test. Uno di questi test si chiama "Harmony". Lo slogan dice tutto: "24 millilitri di sangue per scoprire la sindrome di Down". Christie Hoos, una madre canadese, aveva postato una foto di sua figlia che ha la sindrome di Down sul suo blog personale. Per scoprire poi che quella foto era stata utilizzata da una società che vende uno dei test in questione.
   Il prodotto pubblicizzato si chiama "Tranquility" ed è realizzato da una società di biotecnologia svizzera. "Tranquility" utilizza campioni di sangue materno per verificare la presenza di sindrome di Down. Con la foto della ragazzina trisomica c'era anche l'avvertenza: "Non lasciate che questo accada a voi". "Lebensunwertes Leben" si diceva in Germania settant'anni fa: vita indegna di essere vissuta.
   Già oggi, anche senza i test, i bambini trisomici stanno scomparendo. In Inghilterra, la metà dei bambini abortiti perché Down non vengono neppure registrati, secondo un'inchiesta parlamentare condotta per conto del ministero della Sanità. Uno studio britannico ha scoperto che il numero dei bambini Down è sceso del 21 per cento tra il 1989 e il 2003. E proprio mentre le donne hanno cominciato in un numero sempre maggiore a ritardare il parto oltre i 35 anni, aumentando sensibilmente la probabilità di concepire un bambino disabile.
   Il dottor Brian Skotko, uno dei massimi esperti in America di trisomia, ha scritto un saggio scientifico chiedendosi se la sindrome di Down "sparirà". Dal 1974 al 2015, il numero di bambini Down negli Stati Uniti è calato del 30 per cento.
   In Francia e in Svizzera, su cento gravidanze con sindrome di Down, sono 96 quelle che attualmente vengono interrotte. Il deputato francese Olivier Dussopt, come riporta l'agenzia di stampa Gènéthique, ha detto: "Quando sento che 'purtroppo' il 96 per cento delle gravidanze con sindrome di Down finisce con l'aborto, la vera domanda che mi faccio è perché ne rimane il quattro per cento".
   Proprio in Francia uno spot televisivo, trasmesso in occasione della Giornata mondiale per le persone Down il 21 marzo di due anni fa, premiato a Cannes e diffuso anche dall'Onu, faceva parlare i bambini con la sindrome cromosomica più diffusa al mondo. Il Consiglio superiore per l'audiovisivo, il massimo organismo di sorveglianza del settore in Francia, ha vietato il filmato perché "indirizzandosi a una futura madre, sembra avere una finalità ambigua e può non suscitare un'adesione spontanea e consensuale". La Fondazione Jéròme Lejeune, che porta il nome del celebre medico che scoprì l'origine genetica della trisomia 21 ma cui non fu mai perdonata la sua condanna dell'aborto, ha denunciato che "la Francia è il paese leader nell'eliminazione dei bambini con trisomia 21 prima della loro nascita".
   Ma altrove è lo stesso. Numeri impressionanti. Uno studio del 2007 ha rivelato che il 92 per cento delle donne in Olanda ha interrotto gravidanze di bambini con sindrome di Down. In Spagna saliamo al 95 per cento di eliminazioni, tanto da spingere il direttore della Fundacion Vida, Manuel Cruz, a dire che i bambini con sindrome di Down sono "in pericolo di estinzione" nella penisola iberica. In soli quindici anni si è passati da un bambino trisomico su 600 nati a uno su mille.
   Il numero dei bambini Down in Spagna è diminuito nell'ultimo quarto di secolo di più del 50 per cento. Tanto da spingere l'associazione spagnola dei malati di sindrome di Down, "Down Espafia", a lanciare una petizione al precedente esecutivo, quello guidato da José Luis Zapatero, perché abolisse la norma eugenetica voluta nel 2010 dal suo governo.
   E in Italia le interruzioni di gravidanza riguardanti i bambini affetti dalla sindrome di Down sono cresciute in questi dieci anni a una media annua del 17 per cento.
   Un altro segnale della lenta scomparsa del "problema Down" sono i fondi allocati negli Stati Uniti alla ricerca scientifica da parte dei National Institutes of Health. 22 milioni di dollari annui, contro i 68 milioni per la fibrosi cistica, una malattia che coinvolge 30 mila americani rispetto ai 400 mila con la sindrome di Down. 100 dollari a testa è quanto viene investito dalla ricerca per un trisomico, contro tremila euro per uno affetto da fibrosi. "I genetisti si aspettano che la trisomia scomparirà, perché quindi finanziare la ricerca", ha detto al New York Times il dottor Alberto Costa, uno dei più impegnati in America sulla sindrome di Down.
   Ma il record mondiale spetta alla Danimarca. Il numero di bambini nati con sindrome di Down in Danimarca è diminuito drasticamente negli ultimi anni, tanto che entro la data fatidica del 2030 potrebbe già essere un brutto ricordo. Copenaghen vuole diventare "il primo paese 'Down free'". Nel 2015, il 98 per cento delle donne incinte con bambini Down ha scelto di avere un aborto. "Ci stiamo avvicinando a una situazione in cui quasi tutte le gravidanze vengono interrotte", ha detto alla stampa danese Lilian Bondo, a capo dell'associazione di ostetricia Jordemoderforeningen. Dal 2004, tutte le donne incinte in Danimarca sono state in grado di approfittare di un'offerta di studi fetali del sistema sanitario al fine di rilevare anomalie all'inizio della gravidanza. Fino al 2004, solo le donne oltre i 35 anni ne facevano ricorso.
   Nel 2014, in Danimarca sono nati soltanto due bambini Down per scelta, 32 per "errore diagnostico". Lo teorizzano pure ideologicamente come "sorteringssamfundet": ordinamento della società. Si eliminano i disabili per rendere migliore la comunità. Nella televisione danese si trasmettono programmi su quanto sta accadendo. Uno porta il titolo "Ded over Downs": morte ai Down.
   Non è strano contemplare un mondo senza più persone Down, la più famosa e la più comune delle disabilità psicofisiche Ci ripetono ogni giorno che questi bambini trisomici hanno sempre maggiori opportunità di vivere a lungo (la loro aspettativa di vita è passata da 25 a 60 anni) e meglio rispetto al passato. Ogni settimana sulla stampa si pubblicano storie di ragazzini Down che diventano reginetta del ballo, atleti, persino modelle, parlamentari, consiglieri comunali, suore. Eppure, stiamo sempre più galoppando verso un mondo perfetto, dove non vedremo più in giro bambini con quegli strani e goffi volti, perché stiamo "curando" la loro malattia con l'eugenetica.
   Accadde già a un bambino tedesco nel 1941. Viveva nella Baviera sud orientale con i suoi genitori e venne portato via di casa soltanto perché aveva la sindrome di Down. Nessuno lo vide mai più. Venne ucciso nel programma di eutanasia "Aktion T4".
   Aveva un cugino di nome Joseph Ratzinger.

(Il Foglio, 20 febbraio 2016)


Sarebbe questa la superiore civiltà occidentale giudaico-cristiana da difendere contro la barbarie? A una religione che infonde il terrore davanti a un Dio che ordina di sgozzare gli infedeli si risponde con una religione laica priva di ogni timor di Dio. “Pensa a te stesso, solo a te stesso, e se qualcuno attenta al tuo programma di felicità personale, sopprimilo”, questo è l’unico grande comandamento della superiore religione laica occidentale. Tutto il resto è conseguenza. Se per noi i Down sono persone a cui si presenta “una vita indegna di essere vissuta”, allora ciascuno di noi, anche il più bello e il più intelligente, se non si sarà preoccupato di conoscere qual è il vero motivo per cui il Creatore l’ha messo al mondo, un giorno dovrà riconoscere che ha vissuto “una vita indegna di essere vissuta”. E per fargliene capire le conseguenze gli sarà presentato l’esempio di quello che è stato fatto ai Down. M.C.


Trieste - Da quell'ostia profanata partì la caccia all'ebreo

Si intitola "L'accusa del sangue. A partire dalla predella sul "Miracolo dell'Ostia profanata" di Paolo Uccello" la lezione che Anna Foa (professoressa di Storia moderna all'Università di Roma La Sapienza) terrà domenica 21 febbraio a Trieste.

di Anna Foa

La quinta formella dipinta da Paolo Uccello nel 1468: rappresenta la storia della dissacrazione
Le sei formelle della predella del Sacrilegio dell'Ostia di Urbino, dipinte da Paolo Uccello intorno al 1468 su commissione della confraternita locale del Corpus Domini, rappresentano una storia, quella della dissacrazione da parte degli ebrei dell'ostia consacrata, che all'epoca ha già una lunga storia nel mondo cristiano. Una calunnia che ha dato vita a processi e roghi contro singoli ebrei ed intere comunità, che si è diffusa in gran parte dell'Occidente cristiano e che è intimamente connessa alla devozione eucaristica e ai dibattiti teologici che l'hanno accompagnata.
La storia raccontata da Paolo Uccello riprende una vicenda avvenuta a Parigi nel XIII secolo, tranne che per il rogo finale di tutta la famiglia dell'ebreo, dove la storia diverge dal modello originale, in cui la famiglia si sarebbe invece convertita. È un canovaccio che è molto simile a quello dell'accusa di sacrilegio rituale che si sarebbe verificata a Trani intorno al 1000, ancora ricordata nella processione pasquale che a tutt'oggi vi si svolge dell'ostia fritta. Nella prima formella di Paolo Uccello una donna cristiana consegna ad un prestatore ebreo nella sua bottega (è una delle poche immagini che abbiamo di un banco di prestito ebraico) un'ostia sottratta alla comunione in cambio della restituzione del suo mantello, dato in pegno. Nella seconda formella l'ebreo è intento a friggere l'ostia, con tutta la famiglia intorno, ma dall'ostia comincia ad uscire un fiume di sangue, il sangue del Cristo presente nell'ostia. Le guardie sfondano la porta e arrestano gli ebrei sacrileghi. Nella terza formella l'ostia viene solennemente riconsacrata davanti all'altare. Successivamente vediamo l'impiccagione della donna cristiana, ormai pentita. La quinta formella consacra il rogo dei quattro ebrei, i genitori e i due bambini. L'ultima formella mostra il demonio e l'angelo che si contendono l'anima della donna cristiana, che sarà salvata.
   La pala sotto cui sono collocate le formelle fu dipinta più tardi, tra il 1472 e il 1474, dal pittore fiammingo Giusto di Gand e raffigura l'istituzione dell'Eucarestia da parte di Cristo durante l'ultima cena. La predella commenta cioè, con la profanazione dell'ebreo e il miracolo che testimonia la presenza del Cristo, la celebrazione eucaristica. La profanazione è qui un'ulteriore conferma della presenza del Cristo nell'ostia, dal momento che l'intento dell'ebreo è proprio quello di ripetere, "uccidendo" l'ostia, l'uccisione di Gesù.
   Molte sono le leggende nate intorno alla profanazione dell'ostia consacrata, e non tutte hanno come presunto autore un ebreo. In altri episodi, come in un caso che sarebbe avvenuto a Bolsena nel 1263, è un prete invaso dai dubbi sull'Eucarestia a lasciar cadere l'ostia, che comincia a sanguinare. Il miracolo ha dunque la funzione di ribadire la presenza reale del Cristo e si collega solo in alcuni casi alla propaganda antiebraica, sottolineando che proprio il fatto che un infedele creda nell'Eucarestia fino al punto di profanarla ribadisce nel modo più netto la presenza reale.
Tra le accuse antiebraiche, quella di Praga nel 1389, quando l'intera comunità ebraica viene massacrata, quella di Poznan in Polonia nel 1399, quella di Passau, in Austria, nel 1477, dove molti membri della locale comunità ebraica furono messi a morte. Con l'affermarsi in Germania della Riforma protestante e la sua polemica contro l'eucarestia, le accuse di sacrilegio dell'ostia diminuirono sensibilmente. Strettamente connessa, dal punto di vista della struttura dell'accusa, a quella di sacrilegio dell'ostia è quella di omicidio rituale rivolta agli ebrei. La prima documentata è quella di Norwich, in Inghilterra, del 1144, probabile invenzione di un monaco che aveva l'intento di dotare l'abbazia di un nuovo Santo. Secondo l'accusa, gli ebrei sarebbero soliti, nei giorni della loro Pasqua, uccidere ritualmente un bambino cristiano per usarne il sangue a scopo magico, medicinale o per mescolarlo al pane azzimo. Lo scopo è quello, anche qui, di ripetere ritualmente l'uccisione di Cristo. Molto diffusa in area tedesca, spagnola e francese, l'accusa conobbe minor fortuna in Italia. A Roma fu totalmente assente, mentre la ritroviamo nel 1475 a Trento (città sottoposta al dominio del principe vescovo tedesco Giovanni Hinderbach) dove l'intera comunità fu processata e tutti gli uomini arsi sul rogo, mentre le donne furono obbligate alla conversione. Il culto del piccolo Simonino da Trento, la presunta vittima degli ebrei, fu abolito dalla Chiesa solo nel 1965, il giorno stesso della pubblicazione della Dichiarazione Nostra Aetate che mutava profondamente i rapporti tra Chiesa ed ebrei. Ma sussiste a Trento, ricca di siti su Internet, un'accesa propaganda antiebraica volta a far restaurare il culto di Simonino.
   Mentre l'accusa di sacrilegio dell'ostia non fu mai contestata formalmente dalla Chiesa, quella di omicidio rituale lo fu invece molto spesso, come dimostra la Bolla di Innocenzo IV del 1247, dove la si confuta attribuendola all'avidità di impadronirsi delle ricchezze degli ebrei. L'unica accusa del genere convalidata dai papi, sia pur con molte riserve, fu quella di Trento. Tanto l'accusa dell'ostia che quella del sangue rappresentano già nei secoli in cui appaiono per la prima volta una trasformazione della tradizionale visione antigiudaica. In esse, come anche in quella dell'avvelenamento dei pozzi, l'ebreo è accusato non per quel che crede ma per quel che è, nella sua natura fisica. Potremmo parlare di semi di antisemitismo.
   Destinate a scomparire, anche se non del tutto, fra XVII e XVIII secolo, le accuse riemersero nel XIX secolo. Alla fine dell'Ottocento, infatti, mentre numerosi processi per omicidio rituale si svolgevano in Europa orientale, le accuse sono riprese dalla pubblicistica cattolica e fin dalla rivista dei gesuiti La civiltà cattolica, con numerosi articoli di Padre Oreglia. Don Davide Albertario la propaganda sull'Osservatore cattolico di Milano. Con l'inizio del nuovo secolo, sotto Pio X, la propaganda di questo genere sembra fermarsi. La riprendono con forza i nazisti, come documentano libri, articoli propagandistici e immagini virulente della rivista nazista antisemita lo Stürmer. Ma ancor oggi, se navighiamo in Internet, la troviamo riproposta, con tutto il truculento armamentario iconografico che la contraddistingue, nei siti ultra cattolici ed antipapali e su quelli neonazisti.

(Il Piccolo, 20 febbraio 2016)


La lotta dell'ex 007 gay

di Davide Frattini

Davanti ai parlamentari israeliani ha salutato i due figli e Alon, «l'amore della mia vita». I gemelli Ella e David sono nati da poco attraverso la maternità surrogata negli Stati Uniti. Perché Amir Ohana è il primo deputato apertamente gay a entrare alla Knesset per il Likud, il partito conservatore al governo. 0 come ha proclamato nel giorno dell'insediamento: «Sono omosessuale, un falco della destra nelle questioni di sicurezza, un liberal in quelle sociali». Ufficiale dell'esercito, per un periodo agente dello Shin Bet (i servizi segreti interni), Ohana è un ebreo di origini marocchine e ha sempre sostenuto il Likud al punto di ammettere: «Se la coalizione dovesse decidere di non votare per una legge in favore della comunità gay, non avrei altra scelta che obbedire». In Parlamento l'hanno applaudito (un laburista all'opposizione è l'unico altro parlamentare ad aver dichiarato la sua omosessualità), il premier si è complimentato per il debutto ma tra i partiti che sostengono Benjamin Netanyahu ci sono le formazioni ultra-ortodosse e tredici deputati religiosi hanno lasciato l'aula in segno di protesta durante il discorso di Ohana. Così gli analisti fanno notare che una giornata di festa per la comunità Lgbt si è trasformata nell'annuncio di una sconfitta: è improbabile che questo governo riesca ad approvare nuove legislazioni favorevoli, Netanyahu ha una maggioranza risicata (un solo deputato) e gli ultraortodossi sono pronti a bloccare qualunque legge. II primo ministro è preoccupato di perdere i voti che gli permettono di sopravvivere e non ha condannato il boicottaggio contro Ohana degli haredim.
   Dalla fine degli anni Novanta — scrive un rapporto dell'istituto Molad — Israele è diventato uno dei Paesi più avanzati nel riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali. Quell'evoluzione si è rallentata: nei 2013 di 17 leggi proposte sui tema la maggior parte è stata fermata dall'intervento dei gruppi più conservatori e oltranzisti nella coalizione al potere. Da avvocato e politico, Ohana ne è consapevole ed è per questo che ha voluto subito raffreddare le aspettative.
   
(Corriere della Sera, 19 febbraio 2016)


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L'inevitabile declino del sionismo laico

di Marcello Cicchese

Abbiamo volutamente evitato di pubblicare la disgustosa fotografia dell'articolo qui sopra riportato in cui si vedono due uomini sorridenti che tengono fra le braccia due "figli" ottenuti attraverso la "maternità surrogata" negli Stati Uniti. "Gay", "maternità surrogata", "stepchild": l'importante è trovare dei nomi adatti. O inventarseli, se non ci sono. Cambiate i nomi e cambiano le cose; inventate nuovi nomi e diventate creatori. Tanti creatori al posto dell'unico Creatore. E in tutto questo Israele è all'avanguardia. Come in tante altre cose del resto, positive e negative. La foto che non abbiamo riportato può essere presa come segno testimoniale dell'inevitabile, forse imminente, declino del sionismo laico, partito e avanzato per un lungo tratto senza fare riferimento diretto a Dio, ma piuttosto inglobandolo e adattandolo in qualche forma che fosse accettabile dai religiosi più o meno ortodossi. L'equilibrio tra politica e riferimento a Dio è sempre stato precario in Israele, e si avvicina il tempo in cui si trasformerà in caduta. Una caduta che però, come tutte le precedenti cadute per Israele, dovrà essere seguita da un nuovo inizio. Quale? Possiamo cominciare a chiedercelo, anche se non sappiamo o vogliamo dare una risposta.
   Quello che vogliamo dire fin d'ora è che comunque un nuovo inizio ci sarà, perché è da escludere la "fine di Israele", come alcuni temono ed altri sperano. "Dio è morto", ha detto un baldanzoso, ammaliante filosofo dell'Ottocento. Dio però non è morto, e quindi anche il popolo ebraico, oggi rappresentato da Israele, non è morto. Israele c'è, perché Dio c'è. Questo spiega anche la tenace persistenza dell'antisemitismo personale, sociale e politico: perché l'umanità ribelle vorrebbe far sparire Dio, e non riuscendoci tenta di far sparire una sua creatura: Israele.
   Per quel che ci riguarda, continueremo a difendere il popolo ebraico nel suo diritto biblico e internazionale ad avere su quella terra contesa uno Stato ebraico di nome Israele, perché questa è la volontà di Dio chiaramente espressa nella Sacra Scrittura, ma non abbiamo mai voluto e tuttora non vogliamo difendere Israele in tutto quello che fa su quella terra. Lo Stato di Israele ha diritto a quella terra, ma in ultima analisi questo diritto gli viene da Dio, non dagli uomini. Dunque Israele è destinato, primo fra tutte le nazioni, a fare i conti con il suo Dio, che è anche l'unico Dio creatore dei cieli e della terra.
   Molti sottolineano la cattiveria di Israele verso i palestinesi, i missili, le case abbattute, la violenza dei militari, ma tutti questi fatti rientrano in ciò che si chiama difesa del diritto all'esistenza, e non solo del diritto, ma anche dell'esistenza vera e propria. E' questo che dà fastidio al mondo, ed è per questo che Israele viene rimproverato con argomentazioni ipocritamente moraleggianti. Quello che invece a molti non dà fastidio, anzi è additato come esempio da seguire, è proprio la corruzione del rapporto personale, familiare e sociale con il Dio Creatore. Considerare l'omosessualità, anzi il diritto all'omosessualità, anzi il diritto al matrimonio omosessuale, anzi il diritto ad avere figli artificialmente prodotti per accontentare i rapporti innaturali tra due persone dello stesso sesso, senza tener conto di quello che Dio ha chiaramente espresso nelle sue Scritture che sono patrimonio di quel popolo, questo sì, davvero, è grave su tutti i piani: personale, sociale, politico, teologico.
   Nell'articolo si legge che il premier Netanyahu si è complimentato con il parlamentare omosessuale. Se la cosa è vera, questo potrebbe essere il segnale di una sua prossima uscita di scena dalla politica che conta. Chi scrive pensa che Netanyahu, sorretto anche dalle preghiere di cristiani evangelici, sia stato inaspettatamente rieletto in modo così grandioso alle ultime elezioni proprio perché aveva pubblicamente dichiarato che con lui non avrebbe visto la luce nessuno stato di "Palestina", cosa in linea con il piano di Dio. E' possibile allora pensare che la sua attuale approvazione di un tale abominio davanti a Dio sia il segnale di una sua prossima uscita di scena. Non è detto, ma è possibile. Si vedrà.
   Qualcuno giudicherà inopportune certe considerazioni "religiose" su temi di politica mondiale, ma in un momento in cui riferimenti a Dio come quelli del Mufti a Gerualemme, del Papa in Vaticano, dell'Ayatollah Khamenei a Teheran, del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi a Mosul sono all'ordine del giorno, sarebbe bene che chi crede in Dio cominci a farlo intervenire esplicitamente nei suoi discorsi su Israele. Certo, è un rischio, ma è un rischio che bisogna correre. Anche non farlo è rischioso.
   In Israele ci sono oggi due gruppi che richiamano il paese a Dio con riferimenti che sono patrimonio del popolo ebraico: gli ebrei ultraortodossi e gli ebrei messianici (credenti in Gesù Messia). I primi sono accanitamente contro i secondi, ma non viceversa. Parlando sempre per sommi capi, senza entrare in differenze interne particolari, i due gruppi hanno alcuni punti in comune: 1) il riferimento a Dio sta all'inizio dei loro discorsi, e non alla fine; 2) non si aspettano la soluzione definitiva dei problemi di Israele né dalla benevolenza del mondo né dalla forza militare di Israele; 3) credono che la soluzione definitiva dei problemi di Israele e di quelli di tutto il mondo dipenda dalla venuta, o dalla manifestazione, del Messia promesso a Israele.
   Ovviamente, come si sa bene, il contrasto fondamentale sta nell'indicazione della persona del Messia, e anche, all'interno dei singoli gruppi, dei tempi e dei modi in cui il Messia agirà. Ma in ogni caso è destinato ad avvicinarsi il tempo in cui questo tema uscirà dalla cronaca di costume per porsi al centro dell'attenzione e dell'interesse di tutta la nazione. Il sionismo puramente laico allora non ci sarà più.

(Notizie su Israele, 19 febbraio 2016)


Kamal al Labwani: «Il Golan? Ne faremo un enorme giardino»

Siria. Parla Kamal al Labwani, oppositore siriano, ieri a Gerusalemme per illustrare il piano per una "zona sicura" a ridosso del Golan per i civili siriani e a difesa di Israele. Labwani non contempla la restituzione al suo Paese del Golan occupato dallo Stato ebraico nel 1967.

di Michele Giorgio

 
Kamal al Labwani ieri a Gerusalemme conversa con una soldatessa israeliana
«Il Golan? Ne faremo un giardino, il Golan sarà un enorme giardino per tutti, per israeliani e siriani. Importante non è il territorio ma la pace e avviare relazioni diverse. Io immagino una confederazione tra i due Paesi. I confini non sono rilevanti». Così, sorridente, Kamal al Labwani, siriano ed esponente dell'opposizione al governo di Damasco, ci ha detto al termine dell'incontro con la stampa organizzato ieri a Gerusalemme per illustrare il suo piano per la creazione di una "zona sicura per i civili" sul versante siriano del Golan occupato da Israele nel 1967.
   Una "zona sicura" dove, ha affermato al Labwani, «far transitare e arrivare aiuti umanitari» lunga ben 23 chilometri e profonda 10. Di fatto sarebbe è una "zona cuscinetto", una "fascia di sicurezza", volta a proteggere Israele e a garantire libertà di movimento ai "ribelli" armati. Un progetto che ricorda molto da vicino le «aree umanitarie» proposte dalla Turchia di Erdogan per occupare porzioni di territorio siriano a vantaggio dell'opposizione anti Assad. «Noi siriani dall'altra parte del confine (sul Golan) cerchiamo la tranquillità — ha spiegato al Labwani — ma saremo pronti a difendere la 'zona sicura' contro le minacce di Hezbollah e dell'Iran e anche lo Stato islamico. Il problema comunque è Hezbollah che vuole arrivare con i suoi uomini fino al confine e attaccare Israele. Noi non lo permetteremo».
   Chi sia Kamal al Labwani e quanto rappresentanti l'opposizione siriana cosiddetta "moderata" non è facile dirlo. Di lui si sa che è un medico, che è stato imprigionato a Damasco negli anni 80 e dopo il 2000 e sarebbe autore di iniziative per le riforme nel suo Paese. I suoi contatti con Israele, avviati dopo l'inizio della guerra civile nel 2011, si sono intensificati negli ultimi due-tre anni. Ha visitato più volte lo Stato ebraico e questa volta è arrivato fino a Gerusalemme con in tasca la proposta della "zona sicura" elaborata con l'aiuto di Motti Kahana, un israeliano-americano nato e cresciuto ad Aleppo che negli Stati Uniti sta trovando appoggi ed finanziamenti. Al Labwani afferma che il suo viaggio non prevede incontri con i vertici israeliani ma nei giorni scorsi è stato alla Knesset e ha avuto colloqui con molti parlamentari. «Mantengo rapporti con la Coalizione Siriana (dell'opposizione) ma non ne faccio più parte stabilmente», ha ripetuto in un paio di occasioni, aggiungendo che «i dirigenti della Coalizione operano all'estero, vivono a Istanbul mentre io sono tra la gente nel sud della Siria. Loro sono lontani dalla realtà sul terreno che io conosco molto bene. Non ho un partito alle spalle ma so che tanti gruppi (armati) che operano nel sud della Siria sono dalla mia parte e vogliono avere rapporti con Israele e la costituzione della 'zona sicura'».
   Come un po' tutti gli oppositori anti Assad anche al Labwani critica i Paesi europei e quelli confinanti con la Siria che si oppongono o ostacolano l'ingresso dei profughi siriani. Non muove alcuna critica invece all'Arabia saudita, nemica di Assad, che non ha accolto neppure un rifugiato pur intervenendo nel conflitto sponsorizzando e rifornendo di armi varie formazioni jiahadiste e ora minaccia di inviare sue truppe in Siria. Al contrario, al Labwani ha parole di elogio per Riyadh. «Mi recherò presto in Arabia saudita che, ne sono certo, fornirà aiuti e armi ai siriani che, se necessario, difenderanno la 'zona sicura'» ha annunciato. L'oppositore siriano non chiede a Israele di accogliere profughi. In ogni caso, il governo Netanyahu ha ripetuto che non riceverà siriani in fuga dalla guerra (e neppure i migranti e richiedenti asilo africani che bussano alle porte meridionali del Paese). «A Israele chiediamo solo di consentire in caso di urgenza umanitaria o a causa di bombardamenti di Assad o dei russi di lasciare arrivare i siriani fino ad Haifa da dove potranno imbarcarsi», ha detto al Labwani.
   La "zona sicura" a prima vista potrebbe apparire un progetto molto astratto, senza concrete possibilità di realizzazione. Il silenzio del governo Netanyahu però non deve ingannare. Israele, lo ha detto apertamente anche al Labwani, mantiene ormai rapporti stabili con i gruppi armati dell'opposizione siriana che operano tra Deraa e il Golan. Quando Tel Aviv creò alla fine degli anni 70 la fascia di sicurezza in Libano del sud si rivolse, per presidiarla, a miliziani locali, agli ordini prima di Saad Haddad e poi di Emile Lahoud. Potrebbe optare per una soluzione simile anche sul confine con la Siria, se Kamal al Labwani, come afferma, può parlare a nome di migliaia di siriani pronti a «difendere se stessi e Israele» e, naturalmente, a rinunciare al Golan.

(il manifesto, 19 febbraio 2016)


La debolezza di Barack è un regalo all'Iran

Washington in confusione. La Casa Bianca tace sugli attentati in Turchia e sull'avanzata di Assad. Così Teheran metterà le mani sulla Siria.

di Carlo Panella

L'attentato di Ankara con i suoi 28 militari uccisi davanti al Parlamento turco, seguito ieri da un attentato nel Kurdistan turco che ha ucciso altri 7 militari, è stato attribuito dal governo non all'Isis, ma all'Ypg, il partito dei curdi siriani, alleato del Pkk, il partito dei curdi turchi. Attribuzione certa, secondo Ankara, perché basata sulle impronte digitali dell'attentatore, un curdo siriano, che erano state registrate mesi fa. Stranamente, il Ypg ha smentito questa attribuzione, sostenendo «di non essere in guerra con la Turchia», pur essendo bombardato da giorni in Siria dalla artiglieria turca.
   Comunque sia, l'attentato di Ankara ha aumentato le pressioni di Erdogan e del re Salman dell'Arabia Saudita su Obama perché decida di impegnare la sua Coalizione in Siria, per impedire che Aleppo cada. E Aleppo in questi giorni è sotto assedio di una poderosa offensiva da parte di una alleanza di terra che vede impegnati proprio i miliziani curdi del Ypg, i Pasdaran iraniani, Hezbollah e le milizie di Assad, con la fondamentale copertura aerea della Russia. Nei giorni scorsi, il Segretario di Stato Usa John Kerry, a proposito di questa offensiva su Aleppo, aveva minacciato: «Assad deve rispettare gli impegni presi a Monaco per una tregua su Aleppo o ci saranno truppe di terra aggiuntive».
   Era parsa una decisa svolta bellicista da parte dell'Amministrazione Obama, quasi un via libera all'ingresso di truppe turco-saudite e forse anche americane in Siria, come richiesto da Ankara e Ryad. Non era così, Kerry minacciava a vuoto e Obama continua nel suo amletico indecisionismo e continua a fingere, così come fa l'Europa, che sia possibile trattare una tregua su Aleppo con Putin e l'Iran. Così, mentre la Casa Bianca continua a cercare «una soluzione politica», i russi continuano a bombardare i quartieri di Aleppo controllati dai ribelli anti-Assad, mentre i curdi del Ypg e i Pasdaran iraniani continuano a marciare su Aleppo, troncando ogni possibilità di far arrivare via terra aiuti militari ai ribelli anti-Assad dalla Turchia. Ma Obama non decide e preme a parole su Putin - che ha inutilmente demonizzato sull'Ucraina - per convincerlo a smettere di avanzare in Siria. Putin gli parla al telefono, come ha fatto tre giorni fa, ma continua a bombardare e a vantarsi di avere ormai ripreso ai ribelli anti Assad ben 800 chilometri di territorio siriano. Mentre Assad, ringalluzzito, dichiara di essere ormai prossimo a riconquistare tutta la Siria. E Obama non solo non minaccia Putin e l'Iran di ritorsioni se non cessano gli attacchi, ma addirittura straparla: «Non è una gara tra me e Putin quella per porre fine alla crisi siriana. Putin farebbe meglio a lavorare con gli Usa per una transizione politica. È difficile che l'opposizione siriana accetti un accordo se i bombardamenti russi continueranno. In realtà il sostegno militare della Russia non è un segno di forza del regime di Assad ma, al contrario, una testimonianza della sua debolezza». Siamo all'incredibile: Obama finge di non accorgersi che Assad è in effetti solo un debole fantoccio, ma solo perché in Siria, grazie all'alleanza con Putin, ormai detta legge l'Iran, che la considera una sua provincia. E, se Aleppo cadrà, Obama trascinerà nella vergogna qualsiasi candidato Democratico alla presidenza Usa.
   
(Libero, 19 febbraio 2016)


L'Ambasciatore Naor Gilon con gli assessori Michele Fioroni e Maria Teresa Severini
L'Ambasciatore di Israele in visita a Perugia

Nel corso dell'incontro si è evidenziato come Israele possa essere considerato un modello di innovazione tecnologica.

Nel corso della sua visita privata a Perugia, l'Ambasciatore di Israele in Italia, S.E. Naor Gilon, ha effettuato questa mattina una tappa di cortesia anche a Palazzo dei Priori. A riceverlo l'Assessore allo Sviluppo Economico Michele Fioroni e l'Assessore alla Cultura e Turismo Maria Teresa Severini.

Nel corso dell'incontro si è evidenziato come Israele possa essere considerato un modello di innovazione tecnologica, un paese all'avanguardia soprattutto nel settore ambientale energetico, con il quale, come ha sottolineato l'Assessore Fioroni, è auspicabile promuovere azioni di collaborazione e di rafforzamento dei rapporti, per attivare opportunità di sviluppo per il territorio perugino.

"Israele - ha detto S.E. Gilon - è un paese giovane, in cui grazie alle capacità di innovazione garantite dall'ecosistema, i giovani trovano lavoro. Abbiamo scarsa disoccupazione e un PIL crescente. Senza dimenticare - ha concluso - che oltre mezzo milione di israeliani su un totale di 8 milioni e mezzo di abitanti, arrivano in Italia come turisti, soprattutto nelle grandi città come Roma, Milano o Venezia. Senza sapere che esiste un luogo così bello e con una qualità della vita così alta come l'Umbria".

Promozione e sviluppo del turismo sono stati, dunque, altri due argomenti al centro dell'incontro odierno. L'arte, la storia e la cultura di Perugia sono, infatti, elementi affascinanti per un paese relativamente giovane come Israele.

Ma soprattutto i giovani rappresentano un importante focus da sviluppare, soprattutto sul piano degli scambi universitari, contando peraltro sul ruolo di Perugia capitale dei giovani 2016.
Infine, come ha auspicato l'Assessore Severini, significative collaborazioni possono essere attivate anche nell'ambito musicale, dal jazz alla classica, con importanti artisti di origine israeliana.
L'incontro privato di oggi, dunque, si è concluso con l'auspicio di poter avere una prossima occasione ufficiale di confronto sulle opportunità presentate.

(UmbriaJournal, 18 febbraio 2016)


Addio Angelo Ventura. Analizzò terrorismo italiano e antisemitismo

Professore emerito di storia contemporanea presso l'Università di Padova. "L'ideologia della violenza e il terrorismo hanno tratto origine principalmente dalla borghesia intellettuale e naturalmente le istituzioni formative".

a cura di Francesco Saba

Angelo Ventura
Nei scorsi giorni è scomparso il professore emerito di storia contemporanea presso l'Università di Padova, Angelo Ventura, protagonista, tra gli altri, degli anni di piombo e degli studi sul terrorismo italiano di quegli anni. Tra gli altri, negli anni '80 scrisse un testo allora passato inosservato per il clima generale, culturale e politico, che si intitola "Per una storia del terrorismo italiano" ed. Donzelli, al quale aggiunse una recente introduzione, nell'ultima edizione. Secondo il professor Ventura, analizzando la realtà degli ambienti terroristici soprattutto del nord Italia: «L'ideologia della violenza e il terrorismo hanno tratto origine principalmente dalla borghesia intellettuale e naturalmente le istituzioni formative», «hanno trovato nelle istituzioni culturali - dalla università, alla scuola, all'editoria - condizioni favorevoli al proprio sviluppo, incontrandovi risposte tardive, spesso ambigue e certo insufficienti »; d'altronde, «la cultura della violenza del terrorismo è nata e si è sviluppata all'interno delle istituzioni culturali trovando simpatie, indulgenza e omertà nell'establishment intellettuale».
   Analizzando in particolare il ruolo avuto da "Potere operaio" e alla sua capacità di ramificarsi in diversi contesti: «il terrorismo sarebbe rimasto un fenomeno assai circoscritto se contemporaneamente Potere Operaio non avesse gettato nel campo della lotta armata il peso decisivo di un'organizzazione stesa in tutto il paese forte di migliaia di militanti, allievi nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e nei quartieri dei principali centri urbani, infiltrati nelle istituzioni».
   Secondo Ventura le responsabilità e connivenze sono gravissime: «il fatto è che la cultura della violenza del terrorismo è nata e si è sviluppata all'interno delle istituzioni culturali trovando simpatie, indulgenza e omertà nell'establishment intellettuale(..) la responsabilità del gruppo dirigente di Potere Operaio e Autonomia - di Negri, Piperno, Scalzone e compagni - nella fondazione del partito armato non poteva ad esempio essere sconosciuta ai dirigenti del 'Il Manifesto'» e continuando afferma che «'Lotta Continua' e 'Il Manifesto' abbiano tenuto nei confronti del terrorismo rosso un comportamento simmetrico a quello tenuto da 'Il Secolo d'Italia' nei confronti delle trame nere e del terrorismo di destra».
   Passando ad analizzare le cause invece afferma che ruolo decisivo hanno giocato gli «atteggiamenti di estraneità verso lo Stato, ideologie rivoluzionarie avverse al sistema democratico e alla moderna società industriale, che giustificano in linea di principio la violenza», «in realtà l'ideologia della violenza del terrorismo non avrebbe trovato un suo spazio vitale del mondo della cultura se non avesse potuto insinuarsi in un senso diffuso di disagio, di sofferenza nei confronti del sistema politico sociale senza cioè un vero e proprio divorzio degli intellettuali dello Stato». Un'altra causa individuata dal professore Ventura è la prevalenza ossessiva ed ingiustificata di una certa cultura: «ma la cultura, ossessivamente propagandata e anzi imposta dogmaticamente per tanti anni, restava ancora quella marxista stalinista, rivoluzionaria, maturata nelle condizioni dell'Europa ottocentesca della prima rivoluzione industriale o della Russia arretrata. (….) Era questo il clima culturale che si respirava ancora nelle sezioni comuniste e perfino sia pure, in misura minore, in quelle del partito socialista; era questa l'ideologia che plasmava formalmente che ne segnava l'orizzonte culturale dei militanti politici e sindacali e soprattutto degli intellettuali».
   All'epoca si era in presenza di un vero e proprio scontro violento tra visioni ideologiche dogmatiche: «occorre ricordare che non era in corso un pacifico dibattito politico culturale, ma una spietata guerra unilaterale, dichiarata dal terrorismo contro lo Stato e la società civile; un attacco proditorio e feroce al quale lo Stato non potevo rispondere accettando logica della guerra dovendo invece restare fedele alla propria natura di regime democratico fondato sulle regole dello Stato di diritto».
   I saggi di Angelo Ventura, scritti tutti all'inizio degli anni ottanta - nel fuoco più cruento dello scontro - e qui raccolti per la prima volta, sono insieme una testimonianza drammatica di altissimo valore civile e un presupposto indispensabile da cui partire, per chi voglia tentare di costruire oggi una storia del terrorismo italiano. Ventura, professore di Storia contemporanea all'Università di Padova (il luogo forse più denso di trame e di intrecci in quegli anni) pose la sua lucidità di storico al servizio di un'analisi rigorosa del fenomeno, cercando di individuarne nel modo più preciso cause e responsabilità. E per questo motivo pagò di persona il prezzo di un grave attentato.

Dell'autore si ricordano:
Per una storia del terrorismo italiano, editore Donzelli (1 marzo 2010).
Breve descrizione.
"Tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni ottanta l'Italia intera fu scossa dal terrorismo politico. Progressivamente sconfitto fino a ridursi a una dimensione marginale e sempre meno in grado di colpire, il terrorismo italiano rimane però uno dei nodi essenziali della nostra storia recente. Non solo esso ha segnato le vicende delle ali più radicali del nostro schieramento politico, ma ha rappresentato un drammatico problema generale per tutte le forze politiche, per lo Stato e per le sue istituzioni, per i suoi corpi di intelligence, di polizia e di giustizia, per gli interi equilibri che ne sono risultati in termini di coesione della compagine nazionale."

Il razzismo antisemita nell'ideologia e nella politica del regime, editore Donzelli (30 novembre 2013).
Breve descrizione.
"Una vera comprensione dell'Italia repubblicana si può avere solo se si parte da uno studio approfondito del fascismo, e in particolare del ruolo delle élites intellettuali e del grave e delicato nodo del razzismo italiano e della persecuzione antiebraica. Da questa radicata consapevolezza storiografica - e prima ancora etico-civile - prende le mosse Angelo Ventura nei contributi sul fascismo, l'ideologia antisemita e la persecuzione contro gli ebrei che vengono proposti e organizzati in volume. Storico tra i più valenti e rigorosi della sua generazione, Ventura affronta qui una delle questioni più spinose del nostro Novecento: capire se l'ideologia razzista sia stata il frutto di qualche bellicosa intemperanza dell'ala più intransigente del fascismo militante, o se invece non sia penetrata nei gangli più profondi della cultura nazionale, insediandosi fin nel cuore delle più sofisticate "cittadelle" intellettuali e delle più prestigiose università. In questi saggi, Angelo Ventura disegna un profilo profondamente innovativo dell'antisemitismo italiano e offre al contempo il giudizio più equilibrato e completo sull'opera di un altro grande storico del fascismo, Renzo De Felice.

(Stato quotidiano, 18 febbraio 2016)


La straordinaria cura contro la leucemia che ha profonde radici israeliane

 
La tecnologia impiegata dai ricercatori americani per aiutare i pazienti affetti da leucemia, che è stata recentemente annunciata in tutto il mondo come potenzialmente "straordinaria", è stata scoperta inizialmente dal Prof. Zelig Eshhar del Weizmann Institute.
Lo studio sul cancro effettuato su pazienti affetti da una forma di leucemia, i quali hanno visto la loro malattia regredire dopo che essere stati trattati con alcune cellule T geneticamente modificate, ha profonde radici in Israele.
Uno dei primi al mondo a lavorare sull'innovativa tecnica per curare il cancro, è stato il Prof. Zelig Eshhar. Parlando lo scorso mercoledì su Israel Radio, Eshhar si è detto orgoglioso di sentir parlare dei risultati dello studio presso la University of Pennsylvania.

Non sono sorpreso di sentire questi risultati. Nel nostro laboratorio, abbiamo curato molti ratti e topi dal cancro. Lo sto dicendo da anni che potremo trattare anche le persone.

In un articolo apparso sulla rivista Science Translational Medicine, un gruppo di ricercatori dell'Abramson Cancer Center dell'Università della Pennsylvania e del Perelman School of Medicine ha riferito che 27 pazienti su 29 con un tumore del sangue in fase avanzata, hanno visto i loro tumori regredire o scomparire del tutto quando hanno ricevuto le cellule T geneticamente modificate. Le cellule T sono state in grado di distruggere le cellule tumorali - in particolare quelle che erano responsabili della leucemia linfoblastica acuta (ALL).
Secondo i ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center, dove è stata eseguito lo studio, i pazienti, ad alcuni dei quali era stato detto di avere appena 2 mesi di vita, non solo sono sopravvissuti, ma ora, dopo la terapia, non hanno alcun segno della malattia.
La terapia prevede l'estrazione di cellule T. In circostanze normali, le cellule T cercano di combattere le cellule cancerose, ma poiché il corpo è stato indebolito dal cancro, la risposta non è di solito abbastanza forte per impedire la diffusione del tumore. Inoltre, le cellule tumorali sono geneticamente programmate per eludere le cellule T, come spiegato dal Dott. Stanley Riddell ricercatore, oncologo e leader dello studio.
Riddell, insieme con i colleghi Dott. David Maloney e il Dott. Cameron Turtle, hanno estratto le cellule T dai pazienti e le hanno geneticamente modificate per sviluppare una "aggressiva" risposta alla malattia. Come risultato, i pazienti hanno visto un significativo miglioramento e in alcuni casi anche una guarigione completa.
Il Prof. Zelig Eshhar del Weizmann Institute, ha commentato:

Ho sentito un grande senso di soddisfazione dopo aver sentito la notizia. Il prossimo compito del mio laboratorio è quello di espandere la ricerca e cercare di attaccare altre forme di cancro.

Eshhar conduce la ricerca sulle cellule T da oltre un decennio ed è fiero del fatto che il suo lavoro sui topi sia progredito fino al punto in cui il team americano è stato in grado di proseguire lo studio sugli esseri umani.

Ovviamente è necessario molto più lavoro. Un problema con questo tipo di terapia è che si devono sviluppare cellule T specifiche per ogni tipo di cancro. Ma studi come questo sono un grande impulso per andare avanti con la ricerca.

(SiliconWadi, 18 febbraio 2016)


Il boicottaggio non preoccupa gli esportatori. In Israele c'è chi snobba il Bds

di Daniel Reichel

Il boicottaggio è un tema che preoccupa molto Gerusalemme. Per questo la recente decisione del governo britannico di promuovere una legge che di fatto vieti la possibilità agli enti pubblici del paese di boicottare i prodotti israeliani è stata accolto con grande favore dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu. "Voglio elogiare la Gran Bretagna per aver rifiutato di discriminare Israele e gli israeliani, per aver difeso la sola e unica democrazia del Medio Oriente", il commento di Netanyahu (nell'immagine con il Premier britannico David Cameron a Londra) in riferimento all'iniziativa di Londra: il progetto di legge prevede di vietare la possibilità a qualsiasi ente a partecipazione pubblica di imporre il boicottaggio di un membro della World Trade Organization, di cui Israele fa parte dal 1995. Per queste realtà - come università o unioni studentesche - non sarà possibile escludere l'acquisto di prodotti di aziende che considerano, secondo propri standard, "non etiche". E se la politica israeliana plaude a questa decisione, una parte del mondo economico sembra proprio snobbare il Bds: da un sondaggio realizzato dall'ente governativo Israel Foreign Trade Risks Insurance Corporation risulta che solo il 6 per cento delle aziende esportatrici israeliane si dichiara preoccupato per gli eventuali danni economici del boicottaggio. Secondo l'indagine, che fa riferimento a 150 compagnie medio-grandi, il 42 per cento ritiene che altre siano le preoccupazioni, ovvero vorrebbe che il governo e i leader economici si occupassero dell'attuale tasso di cambio tra shekel, dollaro ed euro. Tornando al boicottaggio, il fenomeno interessa soprattutto l'Europa e gli Stati Uniti e il presidente di ASHR'A Tzahi Malah non vede questi due mercati nel futuro delle esportazioni israeliane. Intervistato dal sito di informazione economica Globes, Malah ha spiegato che le nuove direttrici che le aziende israeliane stanno seguendo portano in Africa e in Asia. "Il 90 per cento delle assicurazioni nel portafoglio di ASHR'A sono legate ad accordi in Asia e Africa". E quest'ultima, afferma Malah, costituisce il mercato con il più grande potenziale.
   Tra gli scettici sul peso effettivo del movimento Bds (nato una decina di anni fa con l'intenzione di "fermare l'occupazione israeliana in Palestina", come dichiarano i suoi promotori) anche figure del mondo accademico israeliano. In un'intervista David Newman, rettore della facoltà di Scienze umanistiche e sociali dell'università Ben Gurion, ha affermato che "c'è un brusio dei media generato dal movimento per il boicottaggio e questo è sicuramente spiacevole. Dall'altra parte l'impatto sulla cooperazione accademica e per la ricerca tra Israele e Stati Uniti e tra Israele ed Europa è minimo. Per come la vedo, è inesistente". Lo stesso Newman afferma però che, soprattutto negli Stati Uniti, il clima che si respira nelle università rispetto a Israele può danneggiare il paese.
   E proprio negli Usa il presidente Barack Obama dovrebbe presto firmare una legge simile a quella proposta in Gran Bretagna in cui si condanna ufficialmente il boicottaggio d'Israele. Nella sezione 909 della legge per la Facilitazione e il sostegno del commercio si legge che Washington si oppone "ad azioni politicamente motivate che penalizzino o comunque limitino i rapporti commerciali con Israele, come nel caso di boicottaggi, disinvestimenti o altre sanzioni".

(moked, 18 febbraio 2016)


Il capo degli studenti di Oxford si dimette: "Qui è pieno di antisemiti"

"Una parte della sinistra ha un problema con gli ebrei" .

di Giulio Meotti

Alex Chalmers
ROMA - Alex Chalmers è un brillante studente di storia di vent'anni all'Università di Oxford. E' anche il presidente dell'Associazione studentesca laburista che esiste dal 1919, la più influente, quella da cui ha lanciato la sua carriera politica Ed Miliband, la stessa confraternita che nelle scorse settimane ha cercato di abbattere la statua di Cecil Rhodes con l'accusa di "razzismo". Due giorni fa, Chalmers, che ebreo non è, si è dimesso con un gesto plateale di protesta contro quella che ha denunciato come una università piena di antisemiti. E dopo che la sua stessa associazione ha approvato la "Israel Apartheid Week". Chalmers ha detto che "gran parte" dei membri della "sinistra" in facoltà ha "un qualche tipo di problema con gli ebrei" e sfoggia "tendenze intolleranti". Secondo lo studente, a Oxford si "molestano gli studenti ebrei" e si "invitano oratori antisemiti". Ha paragonato questi gruppi di professori e studenti al Ku Klux Klan. "Nonostante l'impegno dichiarato per la liberazione, gli atteggiamenti di alcuni membri del club verso le minoranze stanno diventando avvelenati", ha detto Chalmers. "Spero che la mia decisione in qualche modo faccia conoscere l'antisemitismo che è passato inosservato da troppo tempo a Oxford". Intanto la sua decisione ha spinto il parlamentare laburista John Mann a chiedere al suo partito di tagliare ogni legame con l'associazione studentesca. Nelle università di Londra si respira un'aria di sospetto e intimidazione. Capita che la Southampton University, una delle più prestigiose università pubbliche del Regno Unito, organizzi un convegno internazionale in cui a essere in discussione non è la politica di Israele, ma il suo "diritto all'esistenza". Capita che la Queen Mary Students' Union si gemelli con l'Università di Gaza, che non è una generosa scuola dove il popolo palestinese si alfabetizza, ma una delle centrali di Hamas, politiche e logistiche, nella guerra allo stato ebraico. Capita che Marsha Levine, accademica dell'Università di Cambridge esperta in storia del cavallo, respinga una semplice richiesta di informazioni da parte di una studentessa israeliana spiegando il suo rifiuto come parte del boicottaggio di Israele. "Risponderò alle tue domande quando ci sarà pace e giustizia per i palestinesi in Palestina", ha detto Marsha Levine, che ha rincarato dicendo: "Gli ebrei si sono trasformati in mostri, sono diventati i nazisti".
   "Dobbiamo muoverci in gruppo perché girare da soli all'interno del campus sta diventando pericoloso", denuncia Moselle Paz Solis, a capo della Jewish Society, il gruppo degli iscritti ebrei. Di recente, l'ex parlamentare e agitatore George Galloway si era rifiutato di dibattere in pubblico a Oxford con uno studente, Eylon AslanLevy, quando aveva scoperto che aveva il passaporto israeliano. Dal campus di Oxford arrivano ogni giorno denunce di antisemitismo: gruppi di studenti che cantano "Razzi su Tel Aviv", studenti che chiedono ai loro compagni di studi ebrei di denunciare pubblicamente il sionismo e lo stato di Israele, studenti che usano l'epiteto "Zio" (una parola che normalmente si trova sui siti web neonazisti).
   Qualche settimana fa, la polizia inglese è dovuta intervenire al King's College di Londra dopo che uno studente pro Israele è stato picchiato da manifestanti. Ospite d'onore Ami Ayalon, attivista per la pace ed ex capo dei servizi segreti israeliani. E' finita con lanci di sedie, finestre fracassate e allarmi antincendio disattivati. L'incontro è stato sospeso e l'edificio evacuato. Ieri, l'ambasciata israeliana a Londra ha diffuso un comunicato che suonava più come un epitaffio: "Siamo costernati per l'antisemitismo, l'intimidazione di studenti ebrei e il sostegno al terrorismo contro Israele a Oxford. Non ci si aspetterebbe tale attività vergognosa da nessuna persona moralmente decente né in una delle più prestigiose università del mondo". Ci voleva uno studente al secondo anno per denunciare la saccenza e la violenza di prof. e universitari.

(Il Foglio, 18 febbraio 2016)


Trovati i resti un antico insediamento nell'area di Gerusalemme

Gerusalemme era già abitata molto prima di quanto si pensasse. Archeologi israeliani hanno recentemente portato alla luce i resti del più antico insediamento sinora conosciuto nell'area della moderna Gerusalemme, risalente a circa 7.000 anni fa. Lo ha annunciato mercoledì la Israel Antiquities Authority. I reperti sono stati scoperti durante gli scavi effettuati prima della costruzione di una nuova strada nel quartiere di Shuafat, nella parte nord-est della città. Lo scavo ha rivelato i resti di due case e vari oggetti tra cui vasi di terracotta, strumenti di selce e una ciotola di basalto, che gli esperti hanno datato al 5.000 a.e.v, inizio del Calcolitico (età del rame). "Il periodo calcolitico è documentato nel Negev, nella piana costiera, in Galilea e sul Golan - ha spiegato Omri Barzilai, capo del ramo preistorico della Israel Antiquities Authority - ma è quasi del tutto assente nella colline di Giudea e a Gerusalemme". I resti ora ritrovati sono anteriori di quasi 2.000 anni rispetto alle altre testimonianze di insediamenti umani finora conosciute nella zona.

(israele.net, 18 febbraio 2016)


Autobomba ad Ankara, è strage di militari

I terroristi hanno colpito un convoglio nel centro della città uccidendo 28 persone tra soldati e civili. Uno smacco per Erdogan.

di Carlo Panella

Isis o Pkk? Nessuna rivendicazione può dirimere la questione. L'unica cosa certa è che l'attentato di Ankara, con i suoi 28 militari uccisi e le sue decine di feriti, ha colpito al cuore, ha sfregiato, il regime di Erdogan e messo in ridicolo le sue pur feroci misure di sicurezza. I terroristi infatti hanno dimostrato di sapere colpire al cuore, impuniti, la sua capitale, persino nel quartiere dove hanno sede il Parlamento e alcuni ministeri e di essere in grado di fare a pezzi addirittura una colonna militare che si spostava nelle sue sorvegliatissime strade, non un obiettivo disarmato come furono l'estate scorsa i manifestanti filo curdi di Suruç o quelli che si erano radunati in corteo davanti alla stazione di Ankara.
   Quanto alla matrice del clamoroso attentato, gli avvenimenti degli ultimi giorni portano molti elementi a favore della pista curda. Infatti da giorni, l'artiglieria turca bombarda in Siria le postazioni dell'Ypg, curdo siriano, alleato del Pkk curdo turco, per impedire la manovra tentata, con l'appoggio determinante dell'aviazione russa e dei Pasdaran iraniani: unire le due regioni curdo siriane sotto il controllo militare del Pyg-Pkk. Sono bombardamenti che sul piano politico colpiscono in Siria un fronte composito e inedito composto dai curdi siriani e turchi, alleati dei russi, dei Pasdaran iraniani e delle milizie di Assad. Un fronte sconcertante ed eterogeneo in apparenza, ma in realtà omogeneo che ora si è mosso all'attacco con lo scopo rivendicato giorni fa da Assad: fare riconquistare al dittatore di Damasco il controllo di tutta la Siria che diventerebbe così un protettorato politico militare di Mosca e di Teheran, con un forte appoggio ai curdi in funzione anti turca.
   Per impedire che questa strategia si sviluppi, i bombardamenti turchi colpiscono in particolare la strategica base aerea siriana di Menneh Marinaz con un obbiettivo strategico, impedire che venga chiusa la strada attraverso la quale i ribelli antiAssad che occupano ancora alcuni quartieri di Aleppo e che sono assediati dalle truppe di Assad e dei Pasdaran, vengono riforniti dalla Turchia. Dunque, è possibile che l'attentato di Ankara sia una risposta curda non solo a questa iniziativa turca, ma anche all'escalation che Turchia e Arabia Saudita hanno in progetto e di cui parlano pubblicamente da giorni: una loro operazione militare di terra e di aria sul suolo siriano che impedisca alle milizie di Assad e ai Pasdaran iraniani, col determinante appoggio della aviazione russa, di riconquistare Aleppo.
   Le pressioni di Ankara e di Ryad su Washington perché dia il suo placet a questa clamorosa escalation bellica sono fortissime. Così come enormi sono le lacerazioni dentro l'amministrazione Usa. La strategia mediorientale di Obama ha infatti trovato nell'assedio russo-iraniano di Aleppo (dell'Iran del "riformista" Rohani!) il sigillo del suo disastroso fallimento. Se i bombardamenti russi e l'azione di terra di Assad, degli iraniani e dei curdi del Ypg, loro formali alleati, portassero alla riconquista della città, Turchia e Arabia Saudita, che fanno della caduta di Assad il principale loro obiettivo, subirebbero una umiliante sconfitta. E la Turchia avrebbe da temere una azione militare sempre più invasiva e micidiale da parte dei curdi turchi, appoggiati da quelli siriani, ora inseriti nella alleanza con Mosca e Teheran. Quindi Turchia e Arabia Saudita reagiscono e reagiranno. E Obama deve decidere se appoggiarli o non fare nulla, al solito. Intanto i terroristi colpiscono ovunque.

(Libero, 18 febbraio 2016)


Buber nel ventre del nazismo nascente

Alcuni scritti inediti del pensatore ebreo, fra cui una conferenza tenuta nel 1933 davanti ai membri del gruppo "Völkisch", bacino di coltura
del nazionalsocialismo.

di Riccardo De Benedetti

Martin Buber
Qualcosa di essenziale attraversale pagine di questo libro che raccoglie testi di Martin Buber (Israele e i popoli. Per una teologia politica ebraica, Morcelliana, pagine 288, euro 25,00), anche di tragico. Le circostanze: il grande pensatore è chiamato a partecipare a Kassel, venerdì 6 gennaio
1933, a una convegno dal titolo: "I fondamenti spirituali e religiosi di un movimento völkisch". L'ambito è quello del Köngener Bund, accolita di intellettuali che stanno transitando verso un conclamato nazismo. Non tutti. C'è anche Marianne Weber, la moglie del grande sociologo Max. Il movimento "völkisch" è prodromico al nazismo, ma raccoglie anche attenzioni da parte di pezzi di teologia protestante, meno di quella cattolica, movimenti giovanili di destra e molto paganesimo. Anzi la prevalenza dell'aspetto pagano dei movimenti che sorreggono il nazismo è chiarissima. Cosa ci fa il grande pensatore ebreo assieme a questa compagnia imbarazzante? Discute. Soprattutto con Wilhelm Hauer (1881-1962), personaggio di snodo nelle vicende culturali del Reich: professore ordinario di lndologia a Tübingen, conoscitore dell'induismo nel quale individuava le radici spirituali del germanismo. Sotto il suo influsso il movimento, che aveva radici nei gruppi giovanili Wandervogel, diventa fautore di una religione völkisch e si dota di un organo di stampa dal titolo: "Kommende Gemeinde" (La comunità che viene). Non pensiamo però che si tratti solo di bizzarri cantori di jodel in calzoncini di cuoio, tutt'altro. Da Köngen passarono, per citarne pochi: lo scrittore Hermann Hesse, Karl Otto Paetel ed Ernst Niekisch, nazionalboscevichi. Nel 1933 il percorso di Hauer sta concludendosi direttamente nelle braccia di Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich, che gli conferiranno la tessera delle SS il 15 agosto del 1934. Ma di cosa discute Buber? Della teologia-politica che dovrebbe sorreggere l'azione di ogni popolo che si rispetti, salvaguardandone il ruolo storico- epocale, la missione e la dimensione identitaria. Sullo sfondo la natura del sionismo, il suo significato, che supera l'interesse dei tedeschi a risolvere la questione ebraica (sollevata dai tempi dello stesso Karl Marx) per diventare il luogo nel quale il popolo ebraico stesso è chiamato a rispondere alla sua situazione storica.
   La drammaticità di questa conferenza? Manca solo qualche giorno alla presa del potere di Adolf Hitler, dove tutto precipita. Quella di Buber rimarrà la testimonianza, per certi versi imbarazzante e quasi mai compresa in tutta la sua valenza, non certo del tentativo improbabile di appeasement con il nazismo antisemita, quanto di un mondo di equivoci e dilemmi, qualche volta misteri. Sono questi, paradossalmente, a gettare una luce importante su quei convulsi anni che troppo spesso si tende a far passare come anni di follia collettiva (che ci fu), ma le cui premesse sono originate da questioni che hanno attraversato, come mai nella storia occidentale, il nesso tra politica-religione-etnia e le forme della modernità tecnico-economica. In quei dibattiti, passano in rassegna tutte le sfumature possibili e immaginabili, tutte le più improbabili declinazioni di idee, dottrine, storie e drammatiche scempiaggini.
   Il testo della conferenza di Buber a Kassel è presentato per la prima volta al mondo, con un apparato critico ricchissimo, curato con certosina attenzione e scrupolo filologico da Stefano Franchini. Il volume accoglie anche altri interventi (come il dibattito con il teologo Karl Ludwig Schmidt), sempre sul ciglio dell'abisso, di quegli anni che documentano lo scontro durissimo tra figure della teologia cattolica e protestante (non tutta) e il neopaganesimo germanico proposto da studiosi e intellettuali che nel Reich millenario di Hitler vedevano profilarsi la sagoma di un mondo liberato dalla rivelazione del Dio unico, sostituito dal sangue, dalla terra e dal prevalere della razza indogermanica.
   Buber tiene il punto sulla questione dell'unicità del patto tra Dio e popolo di Israele, ne rivendica la legittimità e nel discutere gli obblighi che ne derivano agli ebrei crede di poter convincere i völkisch a non considerarlo un patto il cui assolutismo mette in questione il loro.
La discussione, ovviamente, s'infrange rantolando contro il muro degli eventi che incalzano e alla sorda violenza di chi aveva già deciso per lo sterminio.

(Avvenire, 18 febbraio 2016)


Onifai - Ospite d'onore Gabi Noah, allievo del fondatore del Krav Maga

Domenica prossima Onifai si trasformerà nella capitale sarda del "Krav Maga", sistema di combattimento militare di origine israeliana. L'associazione sportiva dilettantistica Ichnos Krav Maga Sardegna, presieduta da Sebastiano Lai, ha organizzato l'evento con il patrocinio del comune di Onifai. Ospite d'eccezione Gabi Noah, allievo diretto del fondatore della disciplina di combattimento e autodifesa Imi Lichtenfeld, artista marziale e militare israeliano. Gabi Noah è a sua volta istruttore dell'esercito Israeliano ed è considerato attualmente il migliore istruttore della disciplina al mondo. Lo stage di autodifesa si terrànella palestra delle scuole elementari di Onifai in via Zicchinu Mulas e sarà diviso in due momenti principali. La mattina dalle ore 10 alle 13 si terrà il corso di difesa da strangolamenti, prese e chiavi al collo, mentre dalle ore 14 alle 17 si terrà il corso di difesa contro aggressioni con armi come bastoni, coltelli o pistole.

(La Nuova Nuoro, 17 febbraio 2016)


Finalmente sul web i 13 mila fascicoli sulle stragi naziste (ne mancano 645)

di Virginia Piccolillo

C'è tutto il carteggio su Kappler, un gran numero di documenti su Cefalonia, lo sterminio della risiera di San Sabba, le note del ministero della Guerra su crimini e massacratori e le liste di chi passò dalle file naziste alle poltrone di governo o ai vertici della giustizia tedesca. Sono tredicimila i documenti sulle stragi nazifasciste che la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha desecretato e messo online. Ma, a sorpresa, i 645 fascicoli occultati in quello che Franco Giustolisi definì l'Armadio della Vergogna, non ci sono. Così ieri, mentre fioccavano complimenti unanimi all'iniziativa c'è chi si è chiesto: perché non si possono «sfogliare» i faldoni delle stragi, da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto? Agli uffici della Camera spiegano che quei faldoni sono voluminosi da scannerizzare e si possono consultare su carta, nell'archivio della Camera. Ma Carlo Carli, ex deputato ds, relatore di minoranza della commissione d'inchiesta che indagò sull'occultamento degli atti, in un angolo nascosto di Palazzo Cesi, obietta: « È molto importante ciò che ha fatto la presidente Boldrini. E credo che per lei non sia stato neanche stato facile realizzarlo. Ma auspico che i 695 fascicoli, alcuni dei quali solo di una o due pagine, vengano messi in rete e indicizzati (con la dovuta tutela dei dati sensibili). Così da far vedere a tutti come già nel 43-'45, i testimoni avessero indicato i responsabili di violenze indicibili sulla popolazione. Ma nessuno li perseguì. Un po' perché l'esercito tedesco venne utilizzato durante la guerra fredda contro il blocco comunista. Un po' perché se avessimo chiesto l'estradizione dei nazisti avremmo dovuto concederla per i fascisti che avevano compiuto stragi in Jugoslavia o in Grecia».

(Corriere della Sera, 17 febbraio 2016)


Israele interessato a investimenti in Montenegro

PODGORICA - Israele e' interessato a investimenti in Montenegro, in particolare nei settori industriale, del turismo, dell'agricoltura. Lo ha detto il presidente del parlamento israeliano Julii Edelstein che ha avuto oggi a Pristina colloqui con la dirigenza montenegrina. Un impulso al rafforzamento dei rapporti economici e commerciali fra i due Paesi, ha detto Edelstein, verra' anche dall'istituzione a partire da aprile di un collegamento aereo diretto fra Israele e Montenegro. "Sono sicuro che cio' costituira' una svolta per cio' che concerne il turismo", ha detto il ministro israeliano. Oltre al presidente del parlamento montenegrino Ranko Krivokapic, Edelstein ha incontrato a Podgorica il presidente Filip Vujanovic e il premier Milo Djukanovic.

(ANSAmed, 17 febbraio 2016)


Così svelo i segreti di Roma

Intervista David Kertzer. L'autore deI «Patto col diavolo» ha scritto molti libri nella CapitaIe: «IL babbo, un rabbino, era il cappellano degli Alleati che sbarcarono ad Anzio. E mi raccontava le sue storie» .

di Lauretta Colonnelli.

David I. Kertzer a Roma
Se David I. Kertzer, sessantenne di New York, premio Pulitzer per la Biografia 2015, professore di scienze sociali e antropologia alla Brown University, ha vissuto buona parte della sua vita a Roma e qui ha scritto tutti i suoi libri, lo deve alle storie che gli raccontava il padre quando era bambino.
   Storie che trasportavano il piccolo David ad Anzio, dove il rabbino Morris N. Kertzer era sbarcato come cappellano militare con le truppe alleate. E poi a Roma, dove gli Alleati erano entrati il 4 giugno del 1944 liberando la città dall'occupazione nazista. Cinque giorni dopo, nella Sinagoga a cui erano stati tolti i sigilli messi dalle SS, il rabbino Kertzer celebrò il rito di Shabbat. Accorsero quattromila ebrei romani, quelli rimasti dei dodicimila che fino a un anno prima risiedevano nella capitale. E insieme a loro c'era un centinaio di soldati ebrei dei battaglioni americani e inglesi.
Kertzer raccontava al figlio quei giorni minuto per minuto. Ma c'è un episodio, tra i tanti di quel tempo, che David non rievoca quasi mai, per la commozione che gli provoca ancora.
   Lo fa adesso, nella biblioteca dell'American Academy in Rome, mentre preannuncia l'incontro del 23 febbraio alle 18 con lo storico Mauro Canali a Villa Aurelia: il primo degli appuntamenti organizzati per la prossima primavera dall'accademia americana con i grandi protagonisti della cultura contemporanea. «Il mio babbo ricordava, tra i cento soldati ebrei, un ragazzo romano, che a sedici anni era riuscito a fuggire dalla città dopo l'emanazione delle leggi razziali e nella sua fuga era arrivato fino in America. Poi si era arruolato nell'esercito alleato. Arrivato a Roma, aveva cercato inutilmente sua madre, che come tanti altri aveva lasciato la propria casa e si era nascosta da qualche parte. Non sapeva come fare per scoprire se era ancora viva. Sperava di vederla durante la cerimonia di Shabbat, ma come ritrovarla in mezzo a più di quattromila persone? Allora il babbo invitò il giovane soldato a salire accanto a lui sulla pedana del Tempio. "Sarà lei a vederti", gli disse. Il ragazzo obbedì. E dopo un minuto un grido altissimo fece rabbrividire la folla. La madre l'aveva riconosciuto». David Kertzer, aggiunge che questa scena fu raccontata all'epoca da molti giornali americani e dipinta da molti illustratori e lui leggeva e rileggeva quelle pagine. A ventitré anni decise di partire per l'Italia. «Dovevo preparare la mia tesi di dottorato sui rapporti tra religione e politica. Scelsi Bologna e presi casa in un quartiere popolare dove potevo analizzare la convivenza tra cattolici e comunisti. Vi ritornai più volte. Avevo unito gli studi di storia sociale a quelli di antropologia. Mi interessava lavorare sul campo. Avevo cominciato a indagare la trasformazione del mondo contadino in mondo urbano e l'impatto che questa trasformazione aveva sulla vita delle famiglie. Poi qualcuno mi segnalò il caso di Edgardo Mortara».
    Il caso del bambino ebreo rapito nel 1858 dall'Inquisizione oggi è noto proprio grazie al libro che Kertzer pubblicò nel 1997, «Prigioniero del Papa Re» (Rizzoli). Steven Spielberg - la copertina del volume che ricostruisce il caso Mortara Qualche mese fa Steven Spielberg ha annunciato che ne farà un film. Kertzer intanto ha continuato a lavorare sul tema delle relazioni tra il Vaticano e gli Ebrei, districandole in numerosi best seller.
   Il più recente, «Il patto col diavolo», uscito nel 2014 con Rizzoli, ha vinto il Pulitzer. Racconta la storia dei rapporti tra Pio XI e Mussolini, attraverso documenti inediti e segreti su spie fasciste inserite nei vertici della Chiesa. Adesso sta preparando un volume sulla Repubblica Romana del 1849. Dove cerca i documenti? «Ho trascorso alcuni mesi negli archivi diplomatici di Parigi e Nantes. Sono trascurati dagli studiosi, ma se si vuole sapere cosa pensava il Papa in quei giorni, le sue emozioni, i suoi gesti più privati, bisogna leggere le lettere degli ambasciatori, che riferiscono nei minimi particolari i loro incontri col Papa al ministro degli esteri francese».
   Fino a ottobre continuerà le ricerche a Roma, dove è anche «trustee» presso l'American Academy. Ama la città per le camminate lungo il Tevere. La detesta per le difficoltà burocratiche che incontra negli archivi.
   
(Corriere della Sera, 17 febbraio 2016)


Parigi ripropone una conferenza internazionale che rischia di fallire prima ancora di iniziare

Israele: solo i negoziati diretti possono portare alla pace, per questo i palestinesi li rifiutano.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la cancelliera tedesca Angela Merkel, martedì a Berlino
La Francia ha formalmente presentato a Israele, martedì, il suo piano volto a convocare una conferenza di pace internazionale per promuovere la soluzione a due stati del conflitto israelo-arabo-palestinese. In un incontro a Gerusalemme con Alon Ushpiz, direttore politico del ministero degli esteri israeliano, l'ambasciatore francese in Israele Patrick Maisonnave ha aggiornato il governo israeliano sul piano di Parigi, senza tuttavia che ne venissero divulgati particolari e dettagli.
"Israele sostiene negoziati diretti con i palestinesi e si oppone a qualsiasi tentativo di predeterminare l'esito di tali negoziati", ha chiarito in un comunicato il portavoce del ministero degli esteri israeliano Emmanuel Nacason....

(israele.net, 17 febbraio 2016)


«Prof negazionista segnale preoccupante, giusto escluderlo»

«Le nuove tecnologie hanno fatto ricordare ai vertici M5S chi fosse questo signore ... »

 
Ruth Dureghello
«Bene, è un segnale importante: non per la comunità ebraica ma per tutta la società».
   Ruth Dureghello, il presidente della comunità ebraica di Roma, accoglie con sollievo la notizia dell'esclusione dalle cosiddette «comunarie M5S» di Antonio Caracciolo, il ricercatore di Filosofia del diritto della Sapienza che nel 2009 definì la Shoah «una leggenda» prima di finire davanti al Consiglio universitario nazionale per un procedimento disciplinare. Nel presentare la candidatura, l'altro giorno, ha detto di «essere stato prosciolto con formula piena»: evidentemente, non gli è bastato. «La libertà di opinione è importante - hanno spiegato dal M5S - ma ci sono drammi nella nostra storia su cui non si possono avere dubbi. L'olocausto è uno di questi».

- Ruth Dureghello, ma la scelta non è tardiva? Fino a metà giornata di oggi, quindi, il Movimento cinque stelle non sapeva chi fossero i candidati?
  «Possiamo anche ammettere che non lo sapessero fino a oggi... Ciò che è certo è che i giornali prima e i social dopo, da Facebook a Twitter, ne hanno parlato moltissimo: ecco, diciamo che le nuove tecnologie hanno fatto ricordare ai vertici del movimento chi fosse questo signore ... ».

- Ha definito questa decisione del Movimento «un segnale importante». Perché?
  «Perché avere come candidato un negazionista sarebbe stato un segnale terribile, e non per la comunità ebraica ma per la nostra democrazia: sempre, ma soprattutto in questa fase storica così poco serena. E poi credo che fosse un dovere del Movimento Cinque stelle mandare un messaggio chiaro e inequivocabile: non sto parlando del singolo candidato, sto dicendo che il Movimento aveva il dovere di dire chiaramente a quali valori fa riferimento, a quali prinicipi si ispira».

- Come aveva accolto la candidatura del prof negazionista?
  «Pensando che il negazionismo indebolisce le istituzioni, e che gli elettori dovevano tenere bene a mente ciò che era successo. Voglio essere chiara: non sto esprimendo giudizi sulle persone e non ho preclusioni di sorta verso questo o quel partito. Però se non viene dalla politica la difesa di certi ideali e di certi valori, da chi deve venire?».

(Corriere della Sera - Roma, 17 febbraio 2016)


Il ministro Giannini contro il boicottaggio accademico di Israele

Il ministro dell'Istruzione interviene sulle firme dei professori italiani contro Gerusalemme di cui aveva scritto il Foglio.

 
Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini
Durante il conferimento di una laurea honoris causa alla presidente dell'Unesco, Irina Bokova, il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini è intervenuta in merito alla campagna per il boicottaggio accademico di Israele lanciato in Italia due settimane fa e che ha raccolto 312 firme.
   "Ho molto apprezzato la risposta data dalla Conferenza dei Rettori delle università italiane all'appello firmato da alcuni docenti universitari per il boicottaggio del Technion di Haifa", ha detto il ministro Giannini. "L'accusa è che in quella Università si faccia ricerca finalizzata anche a generare oppressione ai danni del popolo palestinese. L'Italia, la cui amicizia con Israele è profonda e che non sottovaluta la minaccia all'esistenza e alla vita dello Stato portata da gruppi terroristici, sostiene tutti gli sforzi negoziali per giungere a una pace duratura. Ma non è questo il punto. È l'idea stessa di progresso della scienza che, per principio, esclude la modalità del boicottaggio".
   Lo scorso 2 febbraio, Giulio Meotti aveva scritto per primo della vicenda su queste colonne, parlando di un "il salto di qualità, con tanto di apprezzamento da parte di Hamas, che sul suo sito ufficiale scrive: 'Il Movimento per la Resistenza Islamica saluta una petizione di accademici e ricercatori italiani per boicottare le istituzioni e le università di ricerca israeliane'. A parlare così è Sami Zuhri, il portavoce del regime islamista di Gaza. Il riferimento è al documento, firmato da 168 accademici italiani, che invita a boicottare l'accademia israeliana, a cominciare dal Technion di Haifa, fucina di ben quattro premi Nobel. I 168 docenti e ricercatori italiani hanno messo giù un vero e proprio programma di lavoro: 'Non accetteremo inviti a visitare istituzioni accademiche israeliane; non parteciperemo a conferenze finanziate, organizzate o sponsorizzate da loro, o comunque non collaboreremo con loro'.

(Il Foglio, 17 febbraio 2016)


L'articolo di Giulio Meotti


Gerusalemme low cost, le proposte degli ostelli

Prezzi invitanti, indirizzi centralissimi e comodi per raggiungere tutte le maggiori attrazioni di Gerusalemme caratterizzano gli ostelli della città, pronti ad accogliere chi ricerca una sistemazione di qualità, ma con un occhio di riguardo al budget.
   A Gerusalemme, due indirizzi in particolare si sono sottoposti a lavori di restauro: il primo è The Post Hostel, 43 camere dotate di bagno, cassaforte, charging station, nuovi letti, wi-fi gratuito ovunque, più due camere dedicate ai visitatori portatori di disabilità. Con un bar che serve cocktail, birre e vini da tutto il mondo, una stanza relax, una cucina comune e numerose attività organizzate durante tutta la settimana, il The Post parte da 19 dollari per una camera condivisa a notte, mentre per la camera privata, a notte, il costo parte da 91 dollari.
   Antesignano di tutti gli ostelli di Gerusalemme, il Jerusalem's Abraham Hostel è sito nel centro della città: disposto su tre livelli, con 280 posti letto divisi in 75 camere, accoglienti spazi pubblici, servizio bagagli 24 ore su 24, lavanderia e asciugatrici, il Jerusalem's Abraham Hostel ha vinto negli ultimi quattro anni il Certificato di eccellenza di TripAdvisor per l'accoglienza e per la qualità dei servizi. L'ostello offre un bar posto sulla terrazza dell'edificio, da cui godere di una spettacolare vista sui tetti di Gerusalemme, un'area lounge con un tavolo da biliardo e una sala relax. Inoltre l'ostello ha elaborato nuovi pacchetti e tour alla scoperta dei dintorni di Gerusalemme, oltre a mettere a disposizione degli ospiti delle biciclette con cui spostarsi per la città. Costo della camera condivisa a notte a partire da 21 dollari, mentre per la camera privata, a notte, il costo parte da 68 dollari.
   Infine, un indirizzo non propriamente low cost, ma dallo charme inconfondibile, il Mamilla Hotel, inserito nella Condé Nast Traveler Gold List 2016 come uno dei migliori hotel dell'area Africa e Medio Oriente. Anche la sua Spa è stata inserita tra le miglior spa al mondo nella categoria "Gold List 2016 delle spa più rilassanti al mondo".

(Travel Quotidiano, 17 febbraio 2016)


Un arresto e nuove prove collegano Fatah all'intifada dei coltelli

Catturato il capo di un'organizzazione terroristica vicina ad Abu Mazen, coordinava attacchi contro gli ebrei. Quasi metà degli assalitori palestinesi ha vent'anni o meno.

di Gabriele Carrer

Jamal Abu Lel, capo del gruppo terroristico palestinese Tanzim
Il servizio di sicurezza interno di Gerusalemme, lo Shin Bet, ha arrestato lunedì Jamal Abu Lel, il capo del gruppo terroristico palestinese Tanzim, organizzazione vicina e alleata al presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen e a Fatah e adesso accusata di aver organizzato attacchi con arma da fuoco contro ebrei e di aver finanziato il terrorismo legato alla cosiddetta intifada dei coltelli. Jamal Abu Lel era un cittadino legale di Gerusalemme est, ma gestiva le operazioni terroristiche dal campo profughi di Qalandiya fuori Ramallah, dove si sono verificati scontri e attacchi contro la polizia. L'arresto è solo l'ultima delle prove che collegano il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen alle violenze omicide contro gli ebrei. Il mese scorso il Foglio ha rivelato come gli ufficiali della sua guardia presidenziale usino le piattaforme social per organizzare e coordinare gli attacchi con coltello, dando un nome e un volto ai principali burattinai di questa terza intifada.
  Lo Shin Bet ha inoltre pubblicato nuovi dati su questa nuova ondata di violenze contro gli ebrei, che mostrano come circa la metà dei terroristi palestinesi autori di attacchi da ottobre a oggi aveva 20 anni o meno e più di uno su 10 era di sesso femminile. Gli uomini dell'intelligence hanno preso in esame 228 attacchi e tentativi di attacco verificatisi tra il 1 ottobre 2015 ed il 10 febbraio 2016, limitatamente a quelli ritenuti "significativi". Il 37 per cento dei terroristi aveva un età compresa era tra i 16 ed i 20 anni; questi si aggiunge un ulteriore 10 per cento di attentatori minori di 16 anni. Si nota così che il 47 per cento dei terroristi è costituito da giovani di 20 anni o meno. Inoltre, un terzo degli assalitori era nella fascia di età 21-25 anni mentre un altro 10 per cento aveva 30 o più anni. Vagliando le statistiche secondo il sesso, si nota una significativa partecipazione femminile: 24 assalitori, ossia l'undici per cento del totale, era infatti di sesso femminile.
  Dall'inizio di questa nuova intifada, originata dalla morte della giovane coppia Na'ama ed Eitam Henkin per mano di una cellula di cinque uomini di Hamas, sono morti almeno 30 israeliani ed oltre 170 palestinesi, la stragrande maggioranza dei quali durante attacchi o tentativi di attacco contro israeliani ed ebrei, documentano i servizi segreti. Lo Shin Bet la scorsa settimana aveva documentato 169 attacchi terroristici da parte di palestinesi contro gli israeliani nel mese di gennaio, a fronte dei 246 del mese precedente. Da settembre a novembre erano stati registrati rispettivamente 223, 620 e 326 attacchi. Tra dicembre e gennaio si è verificata una diminuzione del 32 per cento che riporta ai livelli del periodo precedente l'escalation di violenze di settembre.
  Analizzando i dati secondo la logica geografica si scopre invece che circa tre quarti degli attacchi (174) sono avvenuti in Cisgiordania, dalla quale proveniva circa l'80 per cento degli assalitori. Le principali fucine di terroristi sono state la regione di Hebron e Yattir (il 40 per cento proveniva da quell'area) e di Ramallah e Binyamin (circa il 25 per cento). 36 assalitori provenivano dalla capitale Gerusalemme, presa di mira dal 16 per cento degli attacchi. Le violenze entro la Linea verde hanno invece riguardano il 10 per cento del totale: 21 terroristi si trovavano all'interno illegalmente, mentre solo due erano in Israele legalmente. Uno di questi era un rifugiato sudanese residente ad Ashkelon e, secondo quanto riferito dal rappresentante della comunità sudanese Kamel Hassan, aveva problemi mentali.
  Oltre all'arresto di Jamal Abu Lel, lunedì inoltre sono emerse nuove prove che collegano Fatah all'intifada dei coltelli. Sono particolari di primo piano dell'attacco di domenica contro le forze di polizia alla Porta di Damasco, l'entrata della città vecchia di Gerusalemme. Uno dei due assalitori, ucciso della guardie prima che potesse seminare morte, è stato riconosciuto come un agente di polizia dell'Autorità palestinese. Omar Ahmed Amru, questo il suo nome, è stato addestrato in Giordania nel programma americano di training per il personale di sicurezza della PA. Non è che l'ultimo caso di poliziotti dell'Autorità coinvolti nell'intifada contro gli israeliani: il 31 gennaio, a Bet Eil in Samaria, Amjad Abu-Omar, ufficiale di sicurezza con un passato da guardia del corpo del procuratore generale della PA, ha aperto il fuoco contro tre agenti israeliani ferendoli dopo aver annunciato via Facebook il suo martirio: "Buongiorno, diventerà uno shahid (testimone della fede o martire, ndr) e mi unirò ad Allah e al suo messaggero Maometto. Questa è una mattina di vittoria", scriveva.

(Il Foglio, 17 febbraio 2016)


Orange, Richard minacciato di morte

Il numero uno dell'operatore transalpino presenta denuncia dopo aver ricevuto telefonate minatorie legate al "caso" Israele. Nei giorni scorsi aveva incontrato Netanyahu per porre fine alla polemica sull'annunciato ritiro del marchio della telco dallo Stato ebraico.

di A.S.

Stephane Richard
"Stephane Richard ha ricevuto minacce di morte al telefono e i suoi dati personali sono stati pubblicati su internet nel contesto della controversia legata alla presenza di Orange in Israele". Ad affermarlo è una fonte vicina al caso che nei giorni scorsi ha creato tensione tra la diplomazia francese e quella israeliana. Stephan Richard, numero uno di Orange, ha presentato la richiesta al tribunale di Parigi venerdì, prima di partire per Israele, dove avrebbe incontrato il premier Benjamin Netanyahu per porre fine al caso.
   Richard, ha presentato una denuncia al tribunale di Parigi per aver ricevuto minacce di morte, estese anche ai familiari, nell'ambito della polemica sul presunto boicottaggio della società verso Israele. Dopo che le informazioni personali sono state diffuse in rete il ceo - secondo la denuncia - ha ricevuto centinaia di chiamate, alcune con minacce di morte.
   La settimana scorsa, dal Cairo, Richard aveva suscitato un'ondata di polemiche affermando che sarebbe stato pronto ad andarsene il giorno dopo dal mercato israeliano se avesse potuto farlo senza danni economici per la società. Un'affermazione che era stata interpretata come una presa di posizione a favore della campagna di boicottaggio in atto contro lo Stato ebraico rispetto alle politiche del governo Netanyahu nella Cisgiordania occupata. Il giorno dopo Orange aveva reso pubblica l'intenzione di tagliare la collaborazione con Partner, azienda affiliata in Israele. Di fronte alla forte reazione israeliana, con appelli all'intervento del governo francese e richieste di dimissioni dell'ad, Richard aveva fatto marcia indietro, ribadendo la presenza sul mercato israeliano e l'intenzione di restarvi.
   "Voglio chiarire in modo definitivo che Orange è un'azienda che non ha mai sostenuto e mai sosterrà alcun tipo di boicottaggio contro Israele", aveva detto, esprimendo "profondo rammarico per l'impatto venuto dal contesto e dall'interpretazione" delle sue affermazioni dei giorni scorsi: "Non erano dovute a considerazioni politiche - aveva spiegato - ma solo da strategie commerciali di marchio".
   A rinfocolare le polemiche in occasione delle dichiarazioni di Richard dal Cairo c'era stato il fatto che in molti le avevano collegate al rapporto pubblicato nelle ultime settimane da un gruppo di Ong, intitolato "I legami pericolosi di Orange nel territorio palestinese occupato". Le Ong chiedevano al Governo francese, azionista dell'operatore tlc, di intervenire per mettere un termine all'accordo tra Orange e Partner. Indirettamente, sostenevano, Orange con questa partnership si sarebbe resa complice dell'occupazione palestinese in Cisgiordania.

(CorCom, 16 febbraio 2016)


Sarei io il mandante dell'omicidio Regeni

Un giornalista egiziano ha scoperto e rivelato in diretta tv il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. Si tratta di un egiziano diventato una spia di Israele, un apostata che ha abbandonato l'islam e si è convertito al cristianesimo, un losco individuo prezzolato che ora è diventato ateo e comunista per denaro.

di Magdi Cristiano Allam

Il giornalista egiziano Mohammed El Gheit ha scoperto e rivelato in diretta televisiva il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni.
   Si tratta di un egiziano diventato una spia di Israele, un apostata che ha abbandonato l'islam e si è convertito al cristianesimo, un losco individuo prezzolato che ora è diventato ateo e comunista per denaro. Si chiama Magdi Allam. Che sarei io. Domenica 14 febbraio, alle ore 22.45 locali, il sito del settimanale El Fagr, che dovrebbe essere laico e liberale, all'indirizzo http://www.elfagr.org/2030782#, ha pubblicato la mia foto in grande come notizia di apertura con il seguente titolo: «Video. El Gheit rivela: una spia di Israele in Egitto dietro all'assassinio del giovane italiano». Nel video El Gheit, conduttore del programma «Sveglia», trasmesso dalla televisione satellitare Ltc, sostiene con tono perentorio: «Ieri c'erano i funerali del giovane italiano Giulio Regeni. Voglio dirvi che c'è un uomo, una spia segreta, che ho scoperto, che sta montando una campagna contro l'Egitto, sta istigando il mondo contro l'Egitto dopo l'assassinio di Giulio Regeni. Quest'uomo, forse siamo la prima trasmissione che ne parla, è un egiziano, purtroppo, ha studiato in Egitto, si chiama Magdi Allam. La storia di Magdi Allam è una storia che andrebbe bene per un film come Sprofondare nell'abisso. Perché ora lui è una spia di Israele. Ha lasciato l'Egitto, è partito per l'Italia, non ha trovato lavoro, voleva lavorare nel giornalismo. All'improvviso, lui che era chiaramente nato musulmano, è diventato cristiano.
   Ha annunciato il suo ingresso nel cristianesimo cattolico e osservate che la sua conversione è avvenuta da parte del vertice della Chiesa cattolica, all'epoca di Benedetto XVI. Magdi ha iniziato a lavorare nel quotidiano comunista l'Unità. Ha sposato prima un'ebrea e poi un'israeliana, io ovviamente distinguo tra gli ebrei e gli israeliani sionisti. Dopo averla sposata, ha scritto un libro dal titolo Io amo Israele, che gli ha fruttato un milione di dollari. Questo libro ogni anno viene ristampato in Israele e lui continua a guadagnarci. Ho domandato ad un amico: è ancora cristiano? Mi ha detto che non è più né cristiano né niente altro, al punto che due anni fa ha annunciato l'abbandono del cristianesimo e la sua adesione agli atei o ai comunisti sempre per interessi materiali».Ovviamente io ho sporto denuncia. Ci mancava pure El Gheit! Non bastavano le condanne a morte degli islamici fuori e dentro l'Italia.
   Trattandosi di una trasmissione popolare e di un sito giornalistico che conta circa 500 mila seguaci, gli egiziani e gli arabofoni si sentiranno ancor più legittimati a uccidere la spia d'Israele, l'apostata e il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. E non pensiate che visto che si tratta di un'assoluta idiozia, allora si può stare sereni. Purtroppo nessuno di noi può sentirsi al sicuro con coloro che hanno messo in soffitta la ragione e il cuore, ottemperando letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano, a ciò che ha detto e ha fatto Maometto o, anche, all'odio cieco nei confronti di Israele da posizioni nazionaliste.

(il Giornale, 16 febbraio 2016)


Israele: in costruzione il Timna Airport. Inaugurazione prevista per il 2017

ROMA - Stanno per concludersi i lavori di costruzione dell'Aeroporto Ilan and Assaf Ramon, meglio noto come il Timna Airport, la cui inaugurazione è prevista per il 2017.
Il nuovo aeroporto controllerà e gestirà le attività delle due strutture già esistenti a Eilat, dove operano i voli interni con Tel Aviv ed Haifa, e Ovda, per i voli low-cost e charter per l'Europa durante la stagione invernale.
L'aeroporto di Timna è localizzato a 19 km a nord di Eilat e per il primo anno è stato previsto un flusso di 2 milioni di viaggiatori, fino a raggiungere i 4 milioni entro il secondo anno di operatività.

(FerPress, 16 febbraio 2016)


Cinque Stelle sospendono il professore negazionista

Il docente della Sapienza Antonio Caracciolo, accusato di aver negato lo sterminio degli ebrei, fuori dalle Comunarie.

Sarà sospeso e non potrà partecipare alla corsa del MoVimento 5 Stelle per il Campidoglio Antonio Caracciolo, il docente della Sapienza che definì il dramma dell'olocausto "una leggenda", sarà raggiunto nelle prossime ore da una mail di sospensione. Il professore quanto alle camere a gas dichiarò: "Ammesso e non concesso che queste siano mai veramente esistite, sono una delle tante verità da verificare. Così come lo sono i sei milioni di morti nei campi di concentramento, per i quali non ci sono fonti storiche certificate". La motivazione dell'esclusione, naturalmente, è legata alla sua presa di posizione che, all'epoca, sollevò un vero e proprio vespaio di polemiche. "La libertà di opinione è importante - spiegano dal M5S - ma ci sono drammi nella nostra storia su cui non si possono avere dubbi. L'olocausto è uno di questi". Le tesi negazioniste, espresse dal 65enne e mai smentite, sono subito state riprese e diffuse su tutti i social network. La decisione di sospendere il candidato è arrivata dopo una vera e propria insurrezione del web. In rete sono arrivate a fiumi le polemiche. Questi alcuni dei commenti: "Bella gente. Caracciolo definisce l'Olocausto una "leggenda" candidato a Roma con il #M5S,". "Il candidato grillino Caracciolo difendeva "il diritto dei negazionisti a esprimere le proprie idee". La web democrazy del M5S è una fogna». Il professore nel 2009 militava in Forza Italia e si definiva coordinatore provinciale dei club azzurri a Seminara (Reggio Calabria) avendone fondato uno nel 2003. Caracciolo ha sostenuto che nel 2010 fu sottoposto a procedimento dal Consiglio Universitario Nazionale. Ne fu prosciolto con formula piena per insussistenza del fatto e del diritto. Ma quelle parole non hanno mai smesso di girare sui social. Grillo ha sempre difeso, sul suo blog, il principio della libera espressione di pensiero. Ma difendere fatti come quello della Shoah è davvero troppo anche per lui.

(Tempi, 16 febbraio 2016)


Il girl-power delle A-Wa, tre israeliane cantano hip-hop in arabo

Cresciute in Israele, la famiglia di origine ebraico-yemenita

 
Il girl-power delle A-Wa, tre israeliane
cantano hip-hop in arabo
ROMA - Sembrano eroine delle mille e una notte, invece sono tre sorelle israeliane che hanno fondato la band A-Wa ("Sì", in arabo). Questo è il video musicale di "Habib Galbi" (dall'arabo 'Amore del mio cuore'), una canzone d'amore un po' triste, che Tagel, Tair e Liron hanno fatto uscire nel 2015, senza rivelare le loro origini ebraiche.
   Il loro genere mette insieme il presente con il passato, con un mix di folk yemenita, hip-hop e musica araba.
   "Nostro padre ci filmava mentre cantavamo in salotto e ballavamo. Ci faceva ascoltare molta musica greca ed egiziana e anche yemenita, perché le sue origini sono quelle", spiega Tagel Haim, 26 anni. Tair Haim, la più grande del trio con i suoi 32 anni, aggiunge: "Abbiamo questo 'girl power' e l'essere sorelle, ma cantiamo anche le canzoni delle donne yemenite, che sono vecchie di secoli, trasmesse di generazione in generazione oralmente".
   Le tre sorelle cresciute nel sud di Israele, vicino ai confini con la Giordania e l'Egitto, sono figlie di un architetto e di una terapista olistica. La famiglia si trasferì nello Stato ebraico appena creato tra il 1949 e il 1950, come altre migliaia di ebrei yemeniti. Non mancano i fan arabi: "Spesso parliamo e rispondiamo a persone che ci lasciano commenti dal mondo arabo, è meraviglioso", conclude Liron.

(askanews, 16 febbraio 2016)


A proposito del film-documentario "Shores of Light" a Firenze

Riceviamo e pubblichiamo.

A proposito dell'evento di ieri, la proiezione del film-documentario "Shores of Light", tengo a dire che il merito è tutto di Isa Zatelli, una delle maggiori bibliste italiane, che insegna nella nostra Università. È lei che ha ideato l'evento di ieri che abbiamo recepito nel nostro programma e contribuito ad organizzare.
Voglio anche dire che alla presentazione del film hanno partecipato, oltre all'Ambasciatore Gideon Meir, anche il Rettore della nostra Università, Luigi Dei e la Presidente della Comunità ebraica di Firenze, Sara Cividalli. Hanno dato un contributo di grande rilievo per la comprensione dell'argomento del film Fabrizio Lelli, che insegna nell'Università del Salento, e Amira Meir, del Beit Berl College. Naturalmente tutti dobbiamo ringraziare la regista Yael Katzir, presente insieme a una delle protagoniste della vicenda narrata, Shuni Lifshitz. Voglio anche sottolineare il ruolo di Eugenio Giani, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, che non solo ha ospitato l'evento, ma è anche intervenuto nella discussione.
Quello di ieri è un caso esemplare del metodo che intendiamo seguire per far conoscere la realtà di Israele e quindi per combattere l'antisemitismo anche nelle sue forme più insidiose, come è il caso del boicottaggio accademico: non isolarsi, non coltivare la separatezza, ma cercare di chiamare a collaborare tutte le istituzioni e tutti gli enti che sono disponibili a cercare la verità.
Prof. Valentino Baldacci
Presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze

(Associazione Italia-Israele di Firenze, 16 febbraio 2016)


L'Occidente teme i caccia russi acquistati da Teheran

I diretti antagonisti dei Su-30 iraniani sarebbero i caccia israeliani ed americani. Accordo formalizzato già nelle prossime ore a Mosca.

di Franco Iacch

 
Su-30 russo
L'Iran vuole i caccia intercettori a lungo raggio Su-30 russi. Il potenziale acquisto sarà discusso già nelle prossime ore, durante il pianificato viaggio a Mosca, del Ministro della Difesa iraniano, Hossein Dehghan.
Il generale Dehghan, dopo la fine delle sanzioni in base al rispetto dell'accordo sul nucleare, ha ricevuto via libera per avviare un imponente programma di riarmo. Il primo punto in programma riguarda la consegna finale dei sistemi di difesa aerea S-300. Il contratto da 800 milioni di dollari per cinque sistemi Almaz-Antey S-300 era stato siglato nel 2007. La fornitura fu poi congelata a seguito delle sanzioni imposte dalle Nazioni Unite alla Repubblica Islamica. Fornitura ritornata valida dopo gli accordi sul nucleare siglato tra le potenze mondiali e l'Iran e la fine delle sanzioni. Israele ha cercato, invano, di bloccare la vendita dei sistemi S-300. Il motivo è facilmente intuibile: una linea difensiva, schierata a ridosso degli impianti nucleari di Teheran (ritenuti i primi obiettivi in caso di attacco israeliano), provocherebbe quasi certamente delle pesanti perdite. Se gli S-300 dovessero entrare in possesso degli Hezbollah, la supremazia aerea regionale di Israele verrebbe messa in discussione. Ma sul taccuino del Ministero della Difesa iraniano c'è anche il caccia intercettore Sukhoi Su-30 "Flanker". "L'Air Force iraniana ha bisogno del Su-30. Abbiamo posticipato a lungo l'acquisizione, adesso è giunto il momento di siglare i contratti".
   Più che una visita di cortesia, Dehghan è da questa mattina a Mosca per siglare accordi miliardari. Il Su-30, 40 milioni di dollari a velivolo, è il caccia scelto dagli iraniani per modernizzare l'aviazione. Teheran potrebbe optare per la variante avanzata già acquistata da India, Malesia, Algeria ed in servizio con l'aviazione Russia o per la versione M2 (la più economica), priva di alcune migliorie strutturali e con un'avionica meno completa. Il Su-30, però, aumenterà significativamente le capacità dell'aviazione iraniana che ancora oggi ha in linea pochissimi F-14A Tomcat ed una ventina di MiG-29. Il resto della sua flotta è composta da vecchi caccia americani (F-4/F-5) e cinesi, a sua volta copiati dai MiG-19/21 russi. L'Iran ha fino ad oggi modificato le cellule dei Northrop F-5 o presentato al pubblico prototipi di cartapesta come il Qaher-313. In una recente simulazione, l'ultima versione del Su-30 ha dimostrato le sue capacità nel combattimento manovrato contro l'F-35 (che non è stato concepito per il dogfight, essendo una piattaforma tattica). I diretti antagonisti dei Su-30 iraniani, che dovrebbero acquistare la versione depotenziata, ma comunque altamente capace della piattaforma russa, sarebbero gli F-15/F-16 israeliani seguiti dagli F-18 Hornet degli USA.

(il Giornale, 16 febbraio 2016)


Ankara: vicini a un’intesa per la normalizzazione dei rapporti con Israele

Da dicembre ripresi i negoziati.

ISTANBUL - Turchia e Israele sono vicini a un accordo per normalizzare le relazioni dopo più di cinque anni di gelo diplomatico. Lo ha rivelato un autorevole funzionario turco, che ha chiesto di mantenere l'anonimato. Turchia e Israele erano alleati regionali fino al 2010, quando un raid sanguinoso della Marina dello Stato ebraico sulla nave Mavi Marmara, che portava aiuti alla striscia di Gaza, provocò una crisi. Ma il clima è cambiato quando a dicembre è emerso che c'è stato un incontro segreto per un riavvicinamento. I media turchi hanno scritto che le delegazioni turca e israeliana si sono incontrate anche a febbraio.
"I colloqui proseguono. Siamo vicini a concludere un accordo (sulla piena normalizzazione dei rapporti), ma non è ancora concluso, quindi non dirò altro" ha detto il funzionario ai giornalisti a Istanbul. "Le parti dovrebbero dimostrare una volontà politica di concludere" ha aggiunto.
Le condizioni di Ankara per la normalizzazione sono tre: la revoca del blocco su Gaza, il risarcimento delle dieci vittime turche a bordo della Mavi Marmara e le scuse per l'incidente. Israele ha già chiesto scusa e i colloqui sui risarcimenti hanno fatto progressi. Resta il blocco israeliano sulla striscia di Gaza, controllata da Hamas. !Abbimao presentato molto chiaramente il nostro punto di vista" ha detto il funzionario. "Abbiamo chiesto le scuse e le abbiamo avute. Sui risarcimenti i negoziati stanno per chiudersi. La revoca del blocco su Gaza è la nostra terza condizione".

(askanews, 16 febbraio 2016)


Israele, l'unico Paese dove i politici corrotti vanno in galera

Olmert in cella (dopo l'ex presidente Katsav)

di Daniel Mosseri

Ehud Olmert
«Da primo ministro ero responsabile della sicurezza di Israele: adesso sto per finire dietro le sbarre. Capirete che per me si tratta di una trasformazione strana e dolorosa». Dopo aver registrato un breve video poi affidato ai media, l'ex premier israeliano Ehud Olmert ha iniziato il breve viaggio che lo ha portato dalla sua residenza nei pressi di Gerusalemme fino al carcere Maasiyahu di Ramle, poco lontano da Tel Aviv. Là deve scontare una sentenza a 19 mesi di carcere per corruzione. Olmert è stato condannato nel 2014 per avere accettato mazzette durante il suo doppio incarico da sindaco della Città Santa (1993-2003) e da ministro del Commercio (2003), prima cioè di diventare capo del governo (2006-2009). Contro di lui l'accusa di aver intascato soldi da un costruttore edile al quale l'allora sindaco avrebbe assegnato lotti per lo sviluppo del progetto immobiliare Holy Land. Sebbene i suoi addebiti siano precedenti alla sua premiership, circostanza che lo stesso Olmert ha sottolineato nel suo messaggio, non capita tutti i giorni che un ex primo ministro finisca in prigione.
   Pane per i denti di «Only in Israel», rubrica radiofonica dedicata a fatti unici o bizzarri avvenuti nello Stato ebraico. «Non è un fatto positivo per Israele», hanno sottolineato gli autori, «perché un primo ministro in carcere è sempre motivo di imbarazzo. A Nixon lo avevano risparmiato. Allo stesso tempo va riconosciuto che la legge in questo Paese non guarda in faccia a nessuno». A Olmert glielo potrà confermare il carcerato n. 1418989, al secolo l'ex capo dello Stato Moshe Katsav (2000-2007) che a Maasiyahu sta scontando una condanna a 7 anni per lo stupro, quando era presidente, di una ex dipendente. Per Maasiyahu sono transitati anche l'attuale ministro degli Interni, l'ortodosso Ariyeh Deri - due anni dentro per corruzione fra il 2000 e 2002 per una mazzetta ricevuta nel 1993 al suo primo mandato al Viminale israeliano - nonché l'ex ministro del Commercio Avraham Hirschon - incarcerato per sei mesi nel 2009 per appropriazione indebita.
   Israele Paese di politici corrotti? Forse, ma non più di quanto lo siano quelli nostrani. In molti puntano il dito contro un sistema elettorale proporzionale che favorisce la proliferazione di partiti e partitini con il relativo indotto clientelare. All'ex premier sarà comunque riservato un trattamento speciale: sarà confinato in un'ala con altri detenuti già sottoposti allo screening dello Shin Beth, l'intelligence interna. Il sistema giudiziario israeliano è duro ma non folle, e le autorità vogliono evitare che Olmert possa essere minacciato da altri carcerati, magari intenzionati a estorcergli qualche segreto di Stato.

(Libero, 16 febbraio 2016)


Il promo del prof negazionista. "Io assolto"

Antonio Caracciolo, 65 anni, anche lui in corsa nel movimento di Grillo.

Non ho nulla da nascondere», dice Antonio Caracciolo, 65 anni, ricercatore di Filosofia del diritto alla Sapienza, candidato alle Comunarie del M5S. Nel 2009 sulle sue posizioni che negavano la Shoah, «una leggenda su cui esistono solo verità ufficiali non soggette a verifica storica e contraddittorio», si scatenò una polemica che lo portò davanti al Consiglio Universitario Nazionale per un procedimento disciplinare.
   Da quella vicenda, scrive, «sono stato prosciolto nel gennaio 2010 con formula piena». C'è anche lui tra i 200 aspiranti candidati del M5S per il Campidoglio. E non è il solo che, nel corso degli anni, si è guadagnato qualche titolo di giornale. Per tutt'altro motivo, una ribalta mediatica è toccata anche a Giovanni Sebastiani, 50 anni, manager con una lunga esperienza nei trasporti, nel 2008 per tre mesi presidente "fantasma" di Atac, nominato con ordinanza sindacale (mai ratificata dall'assemblea della municipalizzata) da Gianni Alemanno. Una promozione per il dirigente già amministratore unico di Officine grandi revisioni che venne poi scalzato dalla nomina di Massimo Tabacchiera. Nei due minuti di video, Sebastiani rivendica il suo ruolo di «tecnico» e le sue battaglie contro i «poteri forti» e le «ritorsioni gravissime» che per questo ha dovuto subire.
   Ma è sul professor Caracciolo che si concentrano le polemiche maggiori. Il suo caso finì sui giornali e lui stesso rivendica ancora oggi nel suo curriculum di presentazione quelle posizioni: «Ero e sono contrario a ogni legge sul "negazionismo"». Nel 2009, esprimeva su alcuni siti ripresi poi anche dall'estrema destra, dubbi su Auschwitz, sul numero di morti e sospendeva il giudizio «in attesa di prove certe o di un mio personale ed informato convincimento».
   Tre anni fa, da attivista del Movimento, si attirò diverse critiche proprio per queste sue posizioni. Oggi Caracciolo tenta il salto dal web fino all'Aula Giulio Cesare.
   Nella sua "dichiarazione d'intenti", oltre a dare conto del suo proscioglimento davanti al Consiglio universitario nazionale se la prende con i media «non hanno voluto dare nessuna notizia di questa mia assoluzione, mentre prima si erano tutti accaniti nella denigrazione: per questo da allora "odio" il mondo della carta stampata e delle televisioni, ma anche certi giudici e certi personaggi».
   Conscio, probabilmente, che i temi di cui si fa portatore sono decisamente "divisivi" annuncia: «A beneficio dei miei elettori, posso rispondere tranquillamente e serenamente su questa materia a chiunque fra essi avesse domande da farmi».

(la Repubblica, 16 febbraio 2016)


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Anche "Notizie su Israele" ha avuto l'onore di essere preso in considerazione dal ricercatore Antonio Caracciolo. Lo studioso di filosofia del diritto alla Sapienza di Roma, in un suo intervento del 23 luglio 2009 sul portale CIVIUM LIBERTAS, aveva manifestato l'intenzione di scandagliare a fondo tutto il contenuto del nostro sito al fine di sbugiardarne i "testi alquanto idioti" ivi presenti. Non ci risulta che la cosa sia stata fatta. Ripresentiamo il testo dell’intervento in rete del suddetto ricercatore di filosofia del diritto alla Sapienza di Roma. Titolo e immaginetta compresi.




Sionismo: 67. Marcello Cicchese e le sue "Notizie israeliane"

Il nome di Marcello Cicchese non mi è altrimenti noto che per una rassegna stampa da lui curata fin dal 2001, ben prima che Angelo Pezzana avviasse la sua «Informazione Corretta». Per fortuna, non troviamo la stessa volgarità che è propria dei "corretti commenti", tali da farci perdere spesso le staffe. Forse proprio ciò che costoro vogliono. Bisogna evitarlo. Abbiamo archiviato in un solo file tutte le otto annate di "Notizie su Israele" e le andremo scandagliando con il motore di ricerca. Ormai, ci sembra riduttivo ed assai limitato uno spettro di analisi che privilegia un livello basso come quello di IC. È necessario estendere al massimo l'uso delle fonti per la nostra ricerca sulla Israel Lobby in Italia e in Europa. Rispondo subito ad alcuni testi alquanto idioti che ho trovato in "Notizie su Israele" a proposito del complottismo, termine con cui si intende denigrare quanti scrutano i fenomeni lobbistici. Alle loro caricature si potrebbe rispondere con una semplice immagine: una squadra di calcio. E che i giocatori non sono una squadra, giocano ognuno per conto loro e magari mandano la palla nella rete del proprio portiere? Tutti i giocatori esistono come squadra ed hanno senso se fanno parte della squadra. L'associazionismo ebraico-sionista è una ahimé fin troppo pronunciata realtà che non può essere ignorata. Bisogna poi imparare distinzioni essenziali fra termini come giudeo, ebreo, sionista, lobbista e simili. La propaganda sionista tende a fagocitare ogni cosa e ad annullare le distinzioni. La prima volta che ho sentito parlare, in America, di cristiani sionisti, la cosa mi era parsa incredibile. Invece, pare che il fenomeno - in America - sia alquanto diffuso e radicato. Dico subito che per me questo questo cristianesimo non ha nulla di cristiano. Basta scorrere le annate di "Notizie su Israele" per vedere come non vi sia nessuna briciola di pietà per i palestinesi, degni soltanto di essere sterminati, di essere offerti in "olocausto". Tante le assurdità che andremo ad esaminare in questa importazione italiana, ovvero traduzione in lingua italiana, di un fenomeno che credo sia totalmente estraneo al sentimento e alla religiosità italiana. Se il signor Cicchese capitasse su queste righe, lo assicuriamo che non abbiamo nulla di personale contro lui, ma ci riserviamo il diritto costituzionale di studiare criticamente un fenomeno pubblico presente in rete, i cui testi possono e saranno da noi sempre citati e del caso riportati indicandone scrupolamente la fonte, come del resto richiesto.

(Civium Libertas, 23 luglio 2008)


Naturalmente non abbiamo risposto e non abbiamo avuto alcun contatto con l'autore di questo scritto.


Netanyahu: "E' il momento di rendere pubblici i nostri rapporti con gli Stati arabi"

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, intervenendo alla Conferenza dei Presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche statunitensi, ha affermato che è arrivato il momento di rendere pubblici i rapporti fra lo Stato Ebraico e alcuni paesi arabi che fino ad ora sono stati tenuti segreti.
Secondo Netanyahu tutti gli Stati arabi moderati vedono ora in Israele un alleato e non un nemico come una decina di anni fa. I motivi di questo radicale cambio di rotta sono da far risalire all'avvento dello Stato Islamico di Siria e Iraq e alla politica estera aggressiva dell'Iran.
"I più importanti Stati musulmani stanno cambiando il loro punto di vista su Israele, non ci vedono più come nemici ma piuttosto come alleati nella lotta contro l'Islam militante. Tutto ciò ha permesso di forgiare nuovi legami, alcuni in maniera discreta, altri invece più diretti. Penso sia arrivato il momento di un cambiamento, possiamo aspettarcelo presto e dovremmo richiederlo."...

(Progetto Dreyfus, 16 febbraio 2016)


Proiettato a Firenze "Shores of Light", film-documentario della regista israeliana Yael Katzir

Comunicato dell'Associazione Italia-Israele di Firenze

Ieri pomeriggio si è svolta la seconda iniziativa della nostra Associazione Italia-Israele di Firenze, ricostituita di recente dopo un lungo silenzio. L'argomento erano i campi di transito in Italia dopo la II guerra mondiale, cioè i campi dove venivano raccolti gli ebrei che erano sopravvissuti ai lager nazisti o che comunque erano dispersi per tutta Europa per essere poi avviati verso la Palestina, cercando di sfuggire al controllo britannico. In questo caso è stato proiettato il film-documentario della regista israeliana Yael Katzir "Shores of Light" (versione italiana) sul campo di Santa Maria di Leuca. Ci sono stati vari interventi, fra i quali quello dell'Ambasciatore Gideon Meir, che ha retto la sede di Roma fino al 2012. L'iniziativa, progettata da Ida Zatelli, ha avuto un successo superiore a qualsiasi aspettativa: la Sala del Gonfalone del Consiglio regionale della Toscana era piena di gente, tanto che hanno dovuto aprire un'altra sala contigua e alla fine hanno dovuto bloccare l'accesso del pubblico perché non c'era assolutamente più posto. È un fatto molto significativo, che fa riflettere sul fatto che l'attenzione e la vicinanza al mondo ebraico e allo Stato d'Israele sono molto più ampie di quanto i media vogliano far credere. Il presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze nel suo intervento ha parlato soprattutto dell'antisemitismo contemporaneo, e in particolare della campagna di boicottaggio accademico in corso, dicendo che è inutile contrapporre una lista di nomi a un'altra lista di nomi. Il boicottaggio si combatte soprattutto facendo conoscere la realtà di Israele, i suoi straordinari successi nel campo della ricerca scientifica e delle tecnologie più avanzate.
La segreteria

(Associazione Italia-Israele di Firenze, 16 febbraio 2016)


Il divino multiculti arredato Ikea

In Germania chiuse le "stanze del silenzio". Così finisce il sincretismo.

di Giulio Meotti

 
Una delle "stanze del silenzio" chiuse in Germania, quella dell'Università di Francoforte
ROMA - Era stato annunciato come un esperimento di condivisione multiculturale di fronte all'arrivo di centinaia di migliaia di migranti da integrare nella società tedesca e nelle sue gloriose università. L'Università di Dortmund aveva aperto una sala di preghiera interreligiosa e si era data delle regole, che piacciono sempre ai tedeschi. L'avevano chiamata "raum der stille", la stanza del silenzio, sorta in tante università della Germania in questi due anni. Appena venti metri quadrati, le pareti dipinte di verde, un tappeto rosso, due divani, due sedie, una libreria Ikea. Minimalismo da dio unico. Spazio rigorosamente "neutrale". Lo trovi nelle università di Berlino come di Brema. Studenti di ogni fede, cristiani, ebrei, buddisti e musulmani, potevano trovare lì un punto di raccoglimento, lasciando fuori un po' della loro identità per far spazio a quella di tutti. Ma non è andata benissimo.
   Due giorni fa l'annuncio: "Il tentativo di creare una stanza del silenzio non religiosa ha fallito", ha detto Eva Prost, l'addetto stampa dell'Università di Dortmund. "Non ritenteremo". Molti studenti si sono lamentati di essere stati segregati da altri studenti musulmani nella parte più piccola della stanza, assieme alle donne. Copie del Corano erano disposte nella stanza, quando l'accordo, affisso sulla porta d'ingresso, vietava espressamente i simboli religiosi. Studenti musulmani avevano intimato alle donne di indossare il velo e di rinunciare al provocante profumo. All'Università di Bochum, la "sala di meditazione" è stata chiusa a causa della presenza di salafiti. Anche la "sala di preghiera" all'Università di Essen, che era stata pubblicizzata come "un luogo di tolleranza e di coesistenza pacifica", è stata chiusa. "Dal momento che le sale di preghiera vengono utilizzate solo da un gruppo religioso" ha detto il Rettorato, e non è difficile immaginare quale dio venerasse quel gruppo. E' andata meglio finora all'Università Goethe di Francoforte, dove la "casa del silenzio" resiste, ma grazie al fatto che si è deciso di legittimare la preghiera separata fra uomini e donne. In pratica, l'adozione della sharia. La Germania non è affatto nuova a esperimenti di sincretismo.
   La chiesa evangelica di Königshardt-Schmachtendorf a Oberhausen si è appena offerta alle autorità per ospitare un certo numero di migranti. E per evitare di apparire "offensiva" nei confronti dei musulmani, la chiesa ha dismesso il fonte battesimale e le croci. A Petriplatz, nel centralissimo quartiere Mitte di Berlino, sorge la "House of One", un edificio ecumenico unico in Europa: una moschea, una chiesa e una sinagoga sotto lo stesso tetto. L'edificio è stato edificato sulle macerie della vecchia chiesa di San Pietro, a testimoniare il passaggio di testimone. Lo chiamano "amalgama religioso". Purtroppo finisce sempre con una chiesa trasformata in sexy shop e con la nascita di una nuova moschea. Come nella scicchissima "raum der stille".

(Il Foglio, 16 febbraio 2016)


Al parlamento giordano incontro tra autorità ed esponenti Bds per accordo con Israele su gas

GERUSALEMME, 16 feb - Il parlamento giordano terrà oggi pomeriggio una riunione con gli attivisti del movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) creato nel 2005 da organizzazioni non governative palestinesi, per discutere dell'accordo con Israele sul gas. Lo riferisce il quotidiano israeliano "Jerusalem post".
La Ong sta esercitando pressioni sul governo per impedire la firma dell'accordo; diversi parlamentari, circa 30, hanno già annunciato che voteranno contro la ratifica dell'intesa commerciale. La decisione di tenere una discussione sull'argomento è stata presa dopo che domenica scorsa, il 14 febbraio, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che la Giordania ha deciso di annullare il contratto. Gli attivisti di Bds contestano il premier israeliano che alcune settimane fa avrebbe tenuto un incontro segreto con alti funzionari giordani e i rappresentanti della compagnia Noble energy. Il coordinatore generale della compagna per la cancellazione del contratto, Hisam Bustani, parlando con la stampa giordana ha sottolineato che "se Amman ha deciso di annullare il contratto è un passo avanti che garantisce la sicurezza del paese e mette fine al finanziamento del terrorismo sionista, ma siamo in attesa di una conferma ufficiale".
Lo scorso 2 febbraio il movimento giordano Bds ha lanciato una campagna sui social network contro le importazioni di gas da Israele in seguito alla ripresa dei negoziati tra la Giordania e la società energetica statunitense Noble energy. Il giorno precedente una delegazione di Noble energy era giunta ad Amman per discutere con gli alti funzionari del governo locale dell'accordo sul gas israelo-giordano, secondo quanto riferisce il quotidiano locale "al Ghad". Un alto funzionario che ha partecipato alla riunione ha riferito al quotidiano giordano che l'incontro aveva lo scopo di discutere questioni tecniche e di negoziare un accordo di importazione di gas da Israele, sottolineando che "non è stata presa alcuna decisione in merito alla firma di un accordo formale per l'importazione di gas". Il Bds ha colto l'occasione offerta dall'incontro per rilanciare sui social la sua campagna contro le importazioni di gas da Israele, che era stata lanciata nel settembre 2014, dopo la firma da parte della Giordania di un accordo da 15 miliardi di dollari con Israele per la fornitura di gas. Il movimento ha espresso la sua opposizione alla ripresa dei negoziati sul social network "Twitter" tramite l'hashtag "il gas del nemico è occupazione".

(Agenzia Nova, 16 febbraio 2016)


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