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Notizie febbraio 2011

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Reticenza e silenzio di Benedetto XVI

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Conoscere le proprie origini è un diritto su cui si discute molto. Un figlio adottato potrebbe voler conoscere chi erano i suoi veri genitori; una persona concepita con procedure "medicalmente assistite" potrebbe voler sapere chi era il suo padre biologico o la madre che ha offerto l'ovulo o l'utero. Qualche volta gli interessati ignorano del tutto di essere figli di genitori diversi da quelli che li hanno cresciuti; altre volte lo sospettano o ne sono consapevoli, ma non desiderano affatto fare delle ricerche. Si prospettano drammi, crisi di identità, equilibri da distruggere e ricostruire. Ma pensiamo a un'altra eventualità, quella dei bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini. Certo per loro, ormai settantenni, sarebbe un trauma mettere in discussione la loro storia; al qualcuno non gliene importerebbe niente, ad altri sì. Se sono donne, i loro figli sarebbero inconsapevolmente ebrei. Per noi è importante che questa verità venga a galla, anche se sempre più lontana. Perché dietro c'è una storia di violenza (la persecuzione) su cui si è sovrapposto un atto di solidarietà (il rifugio) trasformato in un'altra violenza, seppure differente (la negazione dell'identità). Fa impressione il fatto che la Chiesa, salvo rare eccezioni (un caso è quello del giovane prete Wojtyla) abbia spesso rifiutato di collaborare seriamente su questo punto; a 13 mesi dalla nuova richiesta fatta a papa Benedetto XVI (in occasione della sua visita alla Sinagoga di Roma) non c'è stata alcuna risposta decisiva. Talvolta nascondere a qualcuno le sue vere origini può essere un atto di misericordia; ma nel caso dei bambini ebrei battezzati la reticenza e il silenzio sono solo il segno dell'incapacità di rapportarsi all'ebraismo in modi non conflittuali.

(Notiziario Ucei, 28 febbraio 2011)

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Netanyahu: "Amicizia con Usa ancora più salda"

Il Primo Ministro Netanyahu in risposta ad una serie di domande al termine della conferenza stampa del Consiglio dei Ministri, in merito alle questioni relative al supporto dell'Iran al movimento di Hamas, ai recenti disordini in Libia e ai rapporti con gli Stati Uniti d'America, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: "Relativamente all'invio di armamenti ad Hamas e nella striscia di Gaza, ribadisco che l'Iran continua a sostenere la fazione palestinese, inviando armi nel territorio allo scopo di nuocere ad Israele.
Nessun Paese, in primo luogo Israele, permetterebbe il continuo bombardamento delle sue città e dei suoi abitanti. Per quanto riguarda gli eventi in Libia invece, credo sia orribile che un governo ordini alle Forze Armate di far fuoco sul proprio popolo. Tutti i Paesi civilizzati dovrebbero condannare azioni simili, noi per primi. In queste settimane abbiamo visto cose analoghe anche nelle vie di Teheran, nel momento in cui il regime iraniano ha scagliato la polizia sulla folla. Tutto ciò è sconvolgente e, in entrambi i casi, una forte e chiara condanna è d'obbligo. Le nostre relazioni con gli Stati Uniti sono eccellenti. E' un'alleanza basata su vari fattori- dalla sicurezza, ai valori più fondamentali. Gli Stati Uniti, la Polonia ed altre democrazie europee, hanno compreso che Israele possa essere considerato una rocccaforte dei valori democratici - valori a cui il popolo americano non potrebbe rinunciare. Per questo motivo l'amicizia è così forte".

(FocusMo, 28 febbraio 2011)

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Divertimento a Tel Aviv

Non solo misticismo e spiritualità nell'affascinante Israele: a Tel Aviv si alternano storia e modernità, sapere e svago. Di giorno e di notte.

 Gerusalemme prega e Tel Aviv si diverte,
     recita un noto detto israeliano
E' la Collina della Primavera, come il suo nome ebraico suggerisce: parliamo di Tel Aviv, città israeliana sul Mar Mediterraneo, nonché centro dell'area metropolitana più grande e popolosa in Israele. Modernità e frenesia son qui poco distanti dal misticismo e dal clima di devozione della vicina Gerusalemme. Nella città "giovane" di Israele, i consigli turistici in 3 tappe per non farsi mancare davvero nulla, dalla cultura al divertimento.
Prima tappa ad Ein Bokek, sulle rive del Mar Morto, nella depressione più profonda della Terra, a circa 400 metri sotto il livello del mare. Qui le acque sono molto salate e molto dense: non vi nuotano difatti né pesci né altre forme vegetali.
Seconda tappa: visita a due dei siti archeologici più interessanti del Paese: il primo è la Fortezza di Masada, dove il re Erode il Grande nel 30 a.C. fece erigere una fortificazione inespugnabile, della quale fanno parte una quarantina di torri alte più di venti metri. Grazie agli scavi compiuti a partire dagli anni '60, sono state riportate alla luce le vestigia dell'antica fortezza: resti dei campi militari romani, mosaici, bagni e massi di pietra utilizzati dalle catapulte poste a difesa delle fortificazioni. Una piccola sinagoga è l'unico segno tramandatoci dall'occupazione zelota, mentre risale al quinto secolo una basilica fatta edificare da monaci penitenziali. Il secondo sito archeologico, quello del Qumran, si dice sia stato abitato, tra il secondo e il primo secolo a.C., dalla setta ebraica degli asceti Esseni, dove nel 1947 furono trovati i Manoscritti del Mar Morto.
Per la terza tappa, dopo una full immersion nella storia e nelle culture del luogo, è giunto il momento di dedicarsi ad un po' di svago e di relax per il centro. Si può scegliere tra una passeggiata a pieni polmoni allo HaYarkon Park, od una sontuosa colazione al Porto di Tel Aviv, uno dei posti più belli della città, od ancora optare per dell'insano shopping nel Gan HaHashmall, tra boutique di lusso seppur a prezzi contenuti. Per un piccolo break, c'è lo yogurt gelato -usanza molto praticata in città- del "Tamara yogurt", magari da consumare su qualche panchina del centro. Se invece la fame si fa davvero sentire, meglio abbandonarsi agli chef del "Goocha" per una cena a base di pesce. Per l'ultima notte prima della partenza, ci si può concedere un po' di follia alcoolica con un cocktail al "Gazoz", nel cuore della città, accompagnato da tanta buona musica.

(Libero-news.it, 28 febbraio 2011)

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Hamas scioglie un piccolo sit-in per l'unità palestinese

GAZA - Un addetto alla sicurezza di Hamas osserva oggi la scena: dieci attivisti richiamati da un invito su Facebook a partecipare ad una manifestazione a Gaza per l'unità dei palestinesi.
"Dov'è la rivoluzione?", chiede con una nota di sarcasmo.
Nel giro di pochi minuti, le forze di sicurezza del movimento islamico che governa l'enclave entrano nella principale piazza di Gaza. Testimoni dicono che un agente ha dato un pugno all'organizzatore della manifestazione e gli altri nove hanno obbedito all'ordine di sciogliere il sit-in.
"Siamo un gruppi di giovani indipendenti. Le rivoluzioni egiziana e tunisina ci hanno dato una scossa e confermato la sensazione che i giovani possono cambiare le cose", ha detto ai giornalisti l'animatore dell'evento, Ahmed Arar, prima che il gruppo venisse disciolto.
I dimostranti vogliono che le due amministrazioni rivali, quelle di Hamas nella Striscia di Gaza e quella del presidente palestinese Mahmoud Abbas in Cisgiordania, si sciolgano a beneficio di un governo di unità nazionale.
Gli attivisti hanno organizzato su Facebook la manifestazione. Ehab al-Ghsain, portavoce del ministro dell'Interno di Gaza, ha detto che l'assembramento non era stato autorizzato.

(Reuters, 28 febbraio 2011)

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L'Israel Credit Cards-Cal paga cara la scelta "etica"

Le entrate della Israel Credit Cards-Cal Ltd. (Visa) sono diminuite del 20 per cento nel corso del 2010, dopo che la compagnia ha deciso di non consentire più l'utilizzo delle proprie carte di credito per il pagamento di gioco d'azzardo e acquisto di pornografia on line.
Nel 2010 le entrate derivate da attività in internet sono colate a picco, diminuendo del 72 per cento; in totale, lo scorso anno la società ha registrato profitti per 215 milioni di shekel, circa 43 milioni di euro, contro i 249 milioni del 2009, quasi 50 milioni di euro. Escludendo il guadagno realizzato con la vendita di alcuni pacchetti di azioni, le perdite nette sono pari al 20 per cento: un risultato peggiore rispetto a quello del 2008. «Abbiamo impiegato buona parte del 2010 per cercare di fare fronte alla crisi», ha commentato l'amministratore delegato di Israel Credit Cards (Icc). Malgrado questo, le carte di credito Icc continuano ad essere le più costose per i clienti israeliani: uno studio della Banca d'Israele ha rilevato che i clienti Icc pagano per le spese mensili 2.5 volte di più rispetto alla compagnia più economica del Paese. Icc addebita anche gli interessi più alti in assoluto per il credito non bancario, e la percentuale continua a salire: dall'11.6 per cento del 2009 all'11.9 per cento nel 2010.

(FocusMo, 28 febbraio 2011)

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El Al, nuovo volo tra Milano e Tel Aviv

A partire dal 1 aprile 2011 fino al 2 settembre 2011 (ultimo ritorno) sarà operativo un nuovo volo diretto El Al da Milano Malpensa a Tel Aviv, portando così a quota 12 i collegamenti settimanali della compagnia israeliana per l'Italia. Il volo partirà da Tel Aviv il venerdì alle 14.45 e il sabato da Malpensa alle 22.30. La flotta impiegata sulla rotta Italia-Israele è costituita da aeromobili Boeing 737-800 di nuova generazione, con una capacità di 142 posti e due classi di servizio (economy e business). Le frequenze dall'Italia offrono, oltre alla possibilità di proseguire per Bangkok, Pechino, Hong Kong, Johannesburg e Mumbai, anche nuove coincidenze per Eilat, la riviera del Mar Rosso, collegata con tre voli giornalieri da Tel Aviv.

(Travel, 28 febbraio 2011)

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In memoria degli ebrei cacciati da Gheddafi

Era il 1987. Da New York dove allora viveva, Herbert Pagani, cantante, poeta e scrittore, iscritto al Partito Radicale, rendeva pubblica la seguente lettera aperta, scritta in occasione del decimo convegno internazionale degli ebrei di Libia cacciati da Gheddafi.

di Herbert Pagani

Ci sono paesi disarmati dalla storia, incapaci di offrire ai loro popoli, contro un misero presente, la consolazione di un glorioso passato. Incapaci perfino di trarre profitto dalle loro disgrazie, di trasformare gli oltraggi subiti in leggende esportabili. Paesi che, privi di un fiume per benedire le loro terre, di un eroe per difenderle, di un poeta per cantarle, sono affetti da anonimato cronico.
    Il paese in cui sono nato è fra questi. Prima che il suo nome fosse propulso nel cielo dei media, dai capricci congiunti del petrolio e di un tiranno, quest'immenso territorio non è stato, per duemila anni, che una fabbrica di dune. Uno zero, un'amnesia, un sacco di sabbia sventrato e disperso su 1.759.000 chilometri quadrati di mancanza d'ispirazione del Creatore, una sala d'aspetto immemorabile dove non ha mai degnato fermarsi il treno di un'epopea, un vuoto, soffocante e torrido che separava come una punizione, l'Egitto dalla Tunisia. Oggi ancora, benché l'afflusso dei petrodollari gli abbia permesso di passare dall'oscurità all'oscurantismo, questo paese resta, agli occhi del mondo, l'anticamera delle Piramidi, il retrobottega dei gelsomini. Culturalmente parlando: il parente povero dell'Islam. Il Colonnello lo sa. Anzi, ne è così conscio che dopo aver importato i migliori architetti d'Occidente per tracciare audaci prospettive ha tentato di appropriarsi della storia dei suoi vicini, con proposte di matrimonio di un'insistenza patetica, generalmente rifiutate, o seguite da immediati divorzi.
    Arrenditi all'evidenza, Colonnello: malgrado i tuoi sforzi, questo paese resta senza viso, come i tuoi sicari, e senza voce, come in passato. Tutte le popolazioni che vi hanno vissuto, nei secoli, hanno subito lo stesso destino di "cancellazione". Cominciamo dalle minoranze, etniche o religiose, berbere, cristiane ed ebraiche, che chiamaste "dimmi", cioè cittadini "protetti". Delicato eufemismo per dire ostaggi in attesa di conversione. Essere l'oppresso di un potente offre a volte vantaggi culturali: catene d'oro, tempo per piangere. Essere l'oppresso di un oppresso, nessuno. Ebrei di un paese senza luce, fummo gli ebrei più spenti del Mediterraneo.
    Privi di quel prestigio di riflesso di cui godono, di solito, i domestici che grandi Principi, e di cui godettero, almeno una volta durante il loro esilio, tutte le altre comunità. La nostra storia fu così negata, sepolta, per tanti secoli, che senza il libro dello storico Renzo De Felice "Ebrei in un paese arabo", di questa non resterebbe più, oggi, traccia, né domani, ricordo. Infatti, dopo aver assaggiato come tutte le consorelle un menù di umiliazioni di una varietà squisita: massacro alla romana, alla musulmana, alla spagnola, segregazione alla maltese, all'ottomana, leggi razziali nazi-fasciste, e per finire pogrom post-bellici, compiuti dai nostri fratelli arabi sotto l'occhio dei nostri tanto attesi liberatori britannici, la mia comunità fu pregata di lasciare il paese l'indomani della guerra dei Sei Giorni, meno i suoi morti, trattenuti per portare il loro contributo alla Rivoluzione, mediante ossa e lapidi le quali, debitamente frantumate dai bulldozer, sono servite da base a un'importantissima autostrada costruita d'urgenza per collegare il nulla al nulla, e a due giganteschi alberghi per un turismo tuttora inesistente. Così io, ebrei senza più radici né memoria, ho aperto il libro e ho scoperto che la nostra presenza il Libia risaliva a più di 2.170 anni; che precedeva quindi non solo l'invasione araba, ma anche quella romana; che bellicosi e fedeli al nostro Dio, contro l'esercito romano eravamo sollevati, appena avuta notizia della caduta del tempio di Gerusalemme; che quella sommossa ci era valsa decine di migliaia di vittime, ma anche una lapide in latino che riferisce il fatto, e senza la quale non sapremmo che fummo una così antica e coraggiosa comunità. Ma questa è storia, divedo girando le pagine, storia che fonda la sua legittimità, ma non basta, io voglio di più, io… io non sapevo cosa volessi, ma lo trovai. A pagina 41. Un censimento della popolazione ebraica di Tripoli: 4.500 abitanti. Certo non erano i poeti matematici filosofi e medici che fiorivano i giardini della Spagna musulmana, e curavano i mal di testa dei califfi illuminati, ma era pur sempre la mia famiglia, o perlomeno il perimetro sociale entro il quale senza dubbio alcuno, si era mossa. Mi misi dunque a trascrivere questa lista a mano, sicuro che uno dei miei sarebbe passato, presto o tardi, sotto la mia penna.
    Ma di cosa si lamenta?, dirà il Colonnello sotto la sua tenda. Voleva partire, l'abbiamo lasciato partire. Certo, ci hai perfino incoraggiati a farlo, spogliando i pochi pazzi, ancora attaccati alla loro terra, dei loro beni e dei loro diritti. Ma stai tranquillo, non è per nostalgia, che ti scrivo. Non faccio parte di quei poveri infelici che per rivivere la loro infanzia tripolina vanno a passare le vacanze a Tunisi. Se ti scrivo è per dirti che la nostra comunità è viva, che cresce e prospera, che si è rifatta, hamdullah. Perché avendo perso tutto non aveva altra scelta se non avanzare. Noi siamo come le api, Colonnello, se il padrone del campo ci ruba il miele a settembre, lo rifacciamo in fretta, prima dell'inverno, e se continuiamo a punzecchiarti con le nostre richieste di risarcimenti è meno per interesse che per dignità, per ricordarti il tuo debito ma soprattutto la tua perdita. Siamo produttori di beni, materiali e morali, lo siamo sempre stati e tu lo sai, perché il lavoro non ci fa paura, perché per noi il lavoro non è mai stato punizione, bensì espressione, anzi, benedizione. La prova, dopo un mese nei campi profughi di Latina e Capua, i nostri hanno abbandonato le baracche e sono partiti in cerca di lavoro, e l'Italia, che dandoci rifugio e cittadinanza ha creduto di farci la carità, si è ben presto accorta di aver fatto un investimento. Tu invece, come tutti i governanti del nuovo mondo arabo, hai voluto lavar via gli ebrei dal tuo tessuto sociale. Ne hai corroso le fibre: commercio, artigianato, agricoltura, professioni liberali, tutto si è dissolto, è volato via come sabbia nel Ghibli e tutta l'esperienza che comprate all'Occidente non potrà sostituire l'esperienza antica che avevamo noi di voi, noi, la cui vocazione è stata, da sempre, la comunicazione fra gli esseri, i gruppi, le etnie, le discipline, i principi, gli stati, le civiltà. Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli, e che la tua nazione potesse proseguire, come in passato, il suo esaltante compito: essere la pagina vuota del Grande Libro dell'Islam.

(Notizie Radicali, 28 febbraio 2011)

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Cultura ebraica, un secondo corso a Gavardo

Mercoledì pomeriggio l'avvio del secondo corso di cultura e lingua ebraica promosso dalla Pro loco del Chiese.

GAVARDO (BS) - Lo scorso anno ha suscitato un vasto interesse in tutta la Valle Sabbia il "Primo corso di cultura e lingua ebraica", tanto che gli organizzatori della Pro loco del Chiese hanno pensato di bissare.
Mercoledì, alle 17, presso la sala superiore del Museo civico archeologico è in programma l'avvio del secondo corso, che consta di quattro incontri complessivi, i primi quattro mercoledì di marzo (2, 9, 16, 23)
La proposta della Pro loco del Chiese è stata patrocinata dall'Amministrazione comunale di Gavardo che ha riscontrato viva soddisfazione tra i partecipanti dello scorso anno.
Il corso sarà condotto dal rav Luciano Caro, Rabbino capo di Ferrara e delle Romagne, che condurrà i partecipanti ad affrontare alcuni degli aspetti legati alla vita sociale nell'ebraismo, la vita morale, Abramo e Giacobbe.
Nonostante l'insolito orario sono già molti gli iscritti e tutto lascia presagire che non ci vorrà molto a raggiungere la soglia dei 40 partecipanti, che gli organizzatori non intendono oltrepassare.
Chi desidera partecipare può provare ad iscriversi telefonando al Presidente della Pro Loco del Chiese, sig. Giuseppe Mazza - tel. 339 6016169, preparando 20 euro quale contributo spese per il necessario materiale di cancelleria.
Sempre in tema di cultura ebraica, venerdì 18 marzo, sempre a Gavardo, alle 20.30 presso la biblioteca comunale, sarà presentato il volume "Il prestigiatore di Dio". L'autore Ariel Toaff sarà eccezionalmente in Italia e per l'occasione sarà introdotto da Flavio Casali, coordinatore dell'evento.

(Valle Sabbia News, 28 febbraio 2011)

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Gli ebrei nel Monferrato, dall'ancien regime alla restaurazione

CASALE MONFERRATO - Una narrazione precisa, capace di far vivere in modo concreto un periodo tra i meno conosciuti della storia casalese. E' quanto è riuscito al professor Pietro Gallo chiamato a presentare, domenica 29 febbraio presso la Comunità Ebraica di Casale Monferrato, il suo volume "Gli ebrei nel Monferrato,dall'ancien regime alla restaurazione".
    Insieme a Giorgio Ottolenghi, Presidente della comunità, lo storico Andrea Testa, e Luigi Cabiale, sindaco di Ottiglio (comune che ha dato contributo e il patrocinio all'opera), Gallo ha dato vita a pomeriggio ricchissimo di aneddoti, in cui si rincorrono cognomi che ancora oggi sono quelli dei Monferrini. Ad esempio la forte discriminazione a cui erano soggetti gli ebrei a metà del settecento portò diverse conversioni la famiglia dei Sacerdoti a convertirsi diventando Sacerdote e i Morello, ebrei tesorieri dall'origine del Comune di Casale nel 1725, a diventare Conti Morelli di Popolo e Marchesi Morelli di Ticineto.
    Tempi migliori arrivarono con Napoleone nel 1796. A Cherasco Vittorio Amedeo III firma l'armistizio e a Casale gli ebrei abbracciano gli ideali della rivoluzione, tanto che quando l'11 dicembre del 1798 il re Carlo Emanuele IV abbandona Torino e nella sua fuga passa da Casale un gruppo di giacobini assalta la carrozza e tra questi c'è un tale Moise Ottolenghi al quale sputare contro la carrozza dei Savoia frutta una condanna a morte. Deportato ad Alessandria per la fucilazione, viene salvato in extremis dalle truppe Napoleoniche vincitrici a Marengo.
    E' logico che in questo contesto la comunità ebraica diventi il principale finanziatore delle truppe napoleoniche. Grazie ai francesi finalmente può prosperare: nel 1802 la comunità ebraica casalese è la più importante del territorio e ha diritto a formare il concistoro ebraico, il cui scopo principale era la difese dell'identità ebraica.
    Diritti che durarono fino alle restaurazione: nel 1814 il concistoro venne sciolto e la vite fece un altro giro. Gli ebrei vengono spinti alla conversione, in alcuni casi arrivando addirittura al loro sequestro. L'opera del prof. Gallo riporta ad esempio il caso della bella e giovane ebrea casalese Mester,prelevata da casa sua e obbligata a scrivere una lettera ad una sua amica- anch'essa ebrea- dicendo che l'aveva fatto di sua volontà. Nel 1848 Carlo Alberto equipara i diritti civili, rimarranno in vigore fino al 1938, abbrogati dalle leggi razziali, un altro segno di come la vita degli ebrei sia sempre stato un susseguirsi di speranze e tragedie.
Domenica 6 marzo l'attività culturale della Comunità Ebraica di Casale Monferrato prosegue alle 16,30 con la conferenza Il Femminile nella Torah - il Libro di Ruth. Ne parla la studiosa di storia e tradizioni ebraiche Roberta Cerutto.

(Il Monferrato, 28 febbraio 2011)

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Atr, Pomigliano «vola» in Israele. Per la prima volta un aereo turbprop

Israir Airlines opziona due aerei utilizzati sulle rotte interne: commessa da 35 milioni di dollari

NAPOLI - È la prima volta in assoluto che l'industria aeronautica italiana, e in particolare quella made in Campania, sbarca sul mercato civile israeliano. Ed è anche la prima volta che una compagnia aerea israeliana dota di un aereo turbprop (con motore ad elica). Un traguardo raggiunto grazie all'acquisto, da parte di una delle più grandi compagnie aeree del Paese mediorientale, la Israir Airlines, di due esemplari di Atr 72-500, l'aereo regionale della joint venture paritetica tra Alenia Aeronautica ed Eads, realizzato quasi totalmente nello stabilimento di Pomigliano d'Arco....

(Corriere del Mezzogiorno, 28 febbraio 2011)

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«Rovesciate i leader e instaurate la sharia»

Al Qaida lancia un appello ai musulmani in rivolta.

I terroristi di Al Qaeda nel Maghreb islamico insieme
ad alcuni ostaggi

Rovesciare i leader e instaurare la sharia, la legge islamica. È il contenuto dell'appello inviato da 'Al Qaida nella penisola arabica' a tutti i musulmani del mondo arabo.
Lo riferisce il Site, centro americano di sorveglianza dei siti islamici. L'organizzazione, che ha sede nello Yemen, ha messo in rete il 26 febbraio su alcuni forum che invocano la 'guerra santa' una dichiarazione di dieci minuti di Hibrahim al Rubeish, ex detenuto di Guantanamo. Al Rubeish chiama alla rivolta, si dichiara soddisfatto per la cacciata dell'ex presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, ma avvisa che vi saranno nuove sollevazioni se non sarà instaurato un governo che applichi la legge islamica. Le punizioni previste dalla sharia per adulterio, consumo di alcol o furto vanno dalla flagellazione, alle amputazioni e alla lapidazione.

(Lettera43, 27 febbraio 2011)

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Colpo al nucleare iraniano

Il supervirus informatico Stuxnet ha colpito a morte (almeno per ora) la centrale atomica di Bushehr, il fiore all'occhiello del programma nucleare degli ayatollah che secondo le parole dell'ambasciatore russo presso la Nato, rischiava, senza il blocco del combustibile, «un nuovo incidente nucleare come quello avvenuto nel 1986 a Chernobyl».
La clamorosa notizia è trapelata attraverso poche righe al punto 42, del paragrafo J del rapporto "riservato" sul nucleare iraniano dell'Aiea, l'Agenzia internazionale dell'Onu per l'energia atomica, inviato il 25 febbraio al consiglio dei governatori. Una frase apparentemente insignificante che, invece, ha messo a nudo il più eclatante fallimento del regime iraniano. L'Iran comunica all'Aiea a Vienna il 23 febbraio che avrebbe proceduto ad estrarre il combustibile nucleare per «esami e attività tecniche» della centrale da mille Megawatt di Bushehr....

(Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 2011)

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Una alimentazione ricca di ferro per curare la cefalea

di Edoardo Capuano

Dall'università di Tel Aviv, in particolare dal Department of Biochemistry continunao ad arrivare interessanti notizie su ricerche relative ad alimentazione e terapie per contrastare disturbi e malattie.
Una recente ricerca sottolinea l'importanza di assumere più ferro, per i soggetti che soffrono di cefalea cronica, che non abbia motivazioni di tipo gnatologico o osteoarticolare.
Fegato, ceci, anacardi, pistacchio, cacao, lenticchie, cozze, sono questi gli alimenti che oltre ad essere ricchi di ferro, danno la maggiore disponibilità all'assorbimento. Infatti non tutti i cibi ricchi di ferro sono poi ugualmente efficaci nel cedere il ferro all'organismo.
Una colazione con l'aggiunta di frutta secca e la sostituzione della pasta con minestre di ceci e lenticchie sono l'ideale per avere riserve di ferro, per contrastare la cefalea cronica. Senza dimenticare che il ferro migliora la funzionalità del sistema nervoso, epidermico, circolatorio e osseo.

(ECplanet, 27 febbraio 2011)

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Gaza, lanciato un razzo su Israele

GERUSALEMME, 27 feb - Un razzo tirato dalla Striscia di Gaza e' caduto questa mattina nel settore di Eshkol, nel sud di Israele, senza causare vittime ne' danni.Lo ha detto un portavoce militare. Ieri l'aviazione israeliana aveva lanciato una serie di raid contro la Striscia di Gaza, con un bilancio di quattro feriti,in risposta a lanci di razzi da Gaza.
In particolare mercoledi' uno dei razzi aveva raggiunto per la prima volta il capoluogo Beer Sheva, provocando danni ma non vittime.

(ANSA, 27 febbraio 2011)

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Carne di maiale sul volo Londra-Tel Aviv. I passeggeri si arrabbiano, easyJet si scusa

EasyJet c'è ricascata. E, per la seconda volta in poco più di un anno, è riuscita a compiere un'altra gaffe nei confronti degli ebrei. Se a novembre 2009, la compagnia di voli low-cost aveva chiesto scusa dopo aver fotografato alcune modelle - comparse nella sua rivista ufficiale - tra le pietre del Memoriale della Shoah di Berlino, stavolta ha fatto di peggio: in un volo Londra Luton-Tel Aviv di quattro ore e mezza ha servito ai passeggeri un pranzo la cui unica carne era quella di maiale. Altro che macellazione secondo le regole kosher. In mezzo ai panini c'era carne vietatissima per gli ebrei.
Molti passeggeri si sono rifiutati di mangiare. Altri, all'atterraggio, hanno fatto protesta ufficiale. La compagnia s'è scusata. E ha detto che c'è stato un errore nel rifornimento alimentare dei voli in partenza da Londra.
«È stato tutto molto sgradevole», ha raccontato uno dei passeggeri, Victor Kaufman, 25 anni, residente a East Finchley. «Credo che easyJet abbia bisogno di un paio di lezioncine sul rispetto della cultura se vuole continuare ad espandersi in Medio Oriente. Anche perché non solo noi ebrei, ma anche i musulmani non possono mangiare la carne di maiale».
La tratta Londra-Tel Aviv è stata inaugurata il 2 novembre 2009 dalla compagnia arancione. Esattamente lo stesso mese in cui è stata distribuita la rivista con le foto all'interno del Memoriale della Shoah di Berlino.

(Falafel Cafè, 27 febbraio 2011)

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Perché tacere, perché parlare

di Ugo Volli

Gli sconvolgimenti politici in corso nel mondo arabo determineranno probabilmente notevoli cambiamenti per la vita di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e dunque naturalmente ci colpiscono tutti.
Ma ci riguardano "come ebrei"? Dev'esserci una presa di posizione ebraica su questi temi? E' una domanda su cui vale la pena di riflettere, anche perché spesso di fatto ci viene posta, con due possibili estensioni. Da un lato molti ci chiedono, ebrei e non ebrei, che ci siano delle prese di posizione dell'ebraismo italiano su temi interni come la crisi politica in corso, o addirittura la definizione dell'identità nazionale italiana. Gli ebrei sono pochissimi rispetto all'elettorato generale, ma sono spesso corteggiati da politici che ci chiedono legittimazione se non proprio approvazione, per le loro politiche. Dall'altro canto, sulla politica internazionale ci si chiede di prendere posizione "indipendentemente dagli interessi nazionali di Israele". E' comprensibile, ci vien detto, che Israele preferisca la continuità di regimi con cui ha stretto accordi di pace che non hanno prodotto grandi risultati in termini di amicizia e conoscenza fra i popoli, ma almeno hanno garantito che non ci fossero attacchi militari, come accadeva nei primi decenni della sua esistenza. Ma gli ebrei, che non sono uno stato ma una religione attaccata all'etica, non debbono appoggiare le rivolte contro i dittatori, senza farsi impaurire troppo dalle loro conseguenze?
Insomma, l'ebraismo, anche un ebraismo numericamente molto limitato come quello italiano, dovrebbe prendersi l'incarico di parlare anche sui problemi politici che non lo investono direttamente, provando a farsi "luce fra le nazioni", come suona l'antica profezia? Io non credo. E non solo per l'antica prudenza che le comunità della Diaspora hanno imparato nei secoli ad applicare. Né perché le comunità sono ovviamente divise al loro interno per orientamento politico e sono pochi i temi su cui si potrebbe raggiungere un consenso sufficientemente vasto. E neppure infine perché obiettivamente di queste crisi sappiamo ancora poco, non conosciamo bene la causa scatenante delle rivolte, la loro reale organizzazione, tanto meno l'assetto conclusivo che raggiungeranno.
Il problema vero è che, in quanto ebrei, oggi noi non siamo davvero liberi nelle nostre società e probabilmente non lo saremo mai, contro tutte le illusioni assimilazioniste. In quanto cittadini sì, siamo certamente liberi, almeno fino a che l'aspetto ebraico non venga tirato in ballo; ma in quanto ebrei siamo soggetti a una pressione storica che continua dai tempi dell'antisemitismo esplicito e che non è affatto conclusa. Le stesse richieste di pronunciarci, il modo in cui funziona l'identificazione "buona" fra ebraismo e Shoà (in quanto contrapposta all'altra identificazione, quella "cattiva" fra ebraismo e Israele), ci toglie libertà. Il mondo cattolico ci interpella secondo un paradigma analogo, amandoci come vittime, trattandoci nel migliore dei casi con diffidenza come soggetto politico internazionale (Israele), coltivando un'ambigua parentela (i "fratelli maggiori" che nella narrazione biblica sono sempre destinati a essere spodestati).
Noi non solo non siamo in grado di farlo, ma sbaglieremmo proprio ad accettare la posizione di libero soggetto politico collettivo, a maggior ragione di giudici della città. Perché in quanto ebrei, in quanto popolo, questa posizione non verrebbe accettata, se non in quanto coincidente con le posizioni di una certa parte. Questo è vero nel quadro nazionale, ma ancor di più in quello internazionale. Il nostro spazio di libertà autentica come ebrei è Israele; noi, collettivamente, in quanto ebrei, non possiamo giudicare senza tener conto di questo fatto. Chi lo fa a titolo individuale esercita un suo diritto e magari anche un dovere di cittadino, ma si pone in un certo senso fuori dalla condizione ebraica, la delimita dentro di sé a un dato secondario rispetto alla sua definizione politica, al suo prendere partito nella città.

(Notiziario Ucei, 27 febbraio 2011)

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Italia e UE esposte a terrorismo jihadista

Nei territori Palestinesi "Hamas potrebbe vedere accresciuta la propria influenza sia tra i palestinesi sia nel mondo arabo, mantenendo alti i toni del confronto con Israele", lo segnalano i servizi segreti italiani alla luce della crisi dei paesi nordafricani. In particolare l'Egitto è alle prese con "una fase di passaggio non priva di criticità". Nella loro relazione al Parlamento gli 007 sottolineano poi l'esposizione crescente dell'Europa - e dell'Italia - al terrorismo di matrice jihadista, sia come retrovia logistico e di reclutamento per gli estremisti, sia come "potenziale teatro di pianificazioni offensive contro obiettivi istituzionali e 'simbolici', luoghi pubblici e personaggi accusati di essere nemici dell'Islam".

(corrispondenti.net, 26 febbraio 2011)

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Gaza, l’aviazione israeliana bombarda campi della Jihad islamica

Non ci sono state vittime

GAZA, 26 feb. - L'aviazione israeliana ha bombardato questa mattina presto due centri di addestramento del gruppo integralista palestinese della Jihad islamica nella striscia di Gaza, senza provocare vittime. E' quanto si è appreso da fonti palestinesi e militari israeliane.
Gli aerei hanno colpito due siti, nella località meridionale di Khan Younis e l'altro vicino a Nousseirat, nel centro della striscia di Gaza, hanno precisato servizi di sicurezza palestinesi. L'esercito israeliano ha annunciato che la sua aviazione ha colpito "un certo numero di covi terroristici" in rappresaglia dopo lanci di razzi e granate contro il sud di Israele. Raid aerei avvenuti dopo un'escalation di violenze questa settimana, che ha visto in particolare un razzo abbattersi sulla città di Beersheva, la capitale del Negev a 40 chilometri da Gaza, senza provocare feriti ma danneggiando delle case. Era la prima volta che un razzo colpiva Beersheva (20.000 abitanti) dall'offensiva israeliana di dicembre 2008-gennaio 2009, che mirava a far cessare i lanci dalla striscia di Gaza. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha lanciato un duro avvertimento ad Hamas, al potere a Gaza, e ai gruppi armati di territori palestinesi, annunciando che l'esercito risponderà "con la forza" in caso di attacchi contro il territorio israeliano.

(TMNews, 26 febbraio 2011)

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Un missile informatico contro la bomba iraniana

di Giovanni Marizza

Non dev'essere una cosa simpatica trovarsi nel centro di controllo di una centrale nucleare iraniana costruita dagli scienziati russi quando arriva un "missile cibernetico". I tecnici stanno al loro posto, osservano i dati sugli schermi dei computer per accertarsi che rimangano entro i valori stabiliti, pronti ad intervenire secondo precise procedure in caso contrario. Effettivamente tutto sembra normalissimo, i display mostrano cose rassicuranti ma in verità miliardi di dati sono già andati perduti per sempre. Anche le centrifughe costruite dalla Siemens sembra stiano lavorando come previsto ma in realtà sono bloccate già da decine di minuti, perché la bomba informatica ha già colpito.
Quando i cavi cominciano a bruciare senza che l'apparato antincendio entri in funzione, le macchine iniziano a fondere, il calore si fa insopportabile, il fumo invade gli ambienti senza che i dispositivi di aspirazione diano segni di vita, allora è già troppo tardi: è solo la parte finale, la più appariscente, dell'esplosione di questa nuova arma. Il lavoro di una decina di anni è andato irrimediabilmente perduto e con esso milioni di dollari e, come se non bastasse, anche i progetti di distruggere con l'arma atomica il Piccolo Satana.
Questo dev'essere avvenuto alla fine del 2010 quando un "missile cibernetico" denominato "Stuxnet" ha colpito la centrale nucleare iraniana di Bushehr. Chi ha lanciato quest'arma micidiale? Israele? Gli USA? Entrambi mediante una joint task force che opera in una centrale segreta del deserto del Negev, come ha sostenuto il New York Times? Forse un giorno ce lo dirà Wikileaks, ma per il momento nessuno dei due è disposto a rivelare certi dettagli, né l'Iran può ammettere una simile disfatta.
Il 7 giugno 1981, per distruggere l'impianto nucleare irakeno Osirak costruito dai Francesi, Israele aveva impiegato una squadriglia di aerei F16 rischiando le vite di decine di piloti, la sopravvivenza del governo in carica (mancavano tre settimane alle elezioni della Knesset) e la riprovazione internazionale. Di questi tre rischi, solo il terzo si è puntualmente avverato, ma le ambizioni nucleari del regime irakeno sono state stroncate per sempre.
Trent'anni dopo, la tecnologia permette di ottenere lo stesso risultato a tavolino e senza spargimento di sangue (nell'attacco a Osirak morirono dieci soldati irakeni e un tecnico francese). Non più decine di velivoli da guerra superarmati ma un silenzioso megavirus informatico invisibile. Non più schiere di piloti ben addestrati ma equipes di tecnici informatici altrettanto ben preparati, sostenuti dall'intelligence che con ogni probabilità ha infiltrato agenti provvisti di certificati di sicurezza fin nelle più segrete gallerie sotterranee di Busheher.
Una conferma indiretta di quanto è avvenuto nell'ormai ex reattore nucleare iraniano ci viene da Dimitry Rogozin, ambasciatore russo alla NATO, che nel corso dell'ultimo Consiglio NATO-Russia ha chiesto (invano) un'indagine dell'Alleanza Atlantica sul fattaccio. E ha aggiunto indignato: "L'incidente che ha causato l'infezione del software di Busheher ha comportato il fatto che le centrifughe siano andate fuori controllo. Un attacco informatico come questo può causare una nuova Chernobil!"
Il diplomatico russo, in sintesi, sembra dire: "Non si fanno queste cose!". Già, non si fanno queste cose. Ma quali cose, esattamente? Lanciare un cybermissile contro un progetto nucleare iraniano oppure costruire un impianto nucleare per un paese che intende distruggere Israele?

(l'Occidentale, 26 febbraio 2011)

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La Russia intende rispettare il contratto firmato nel 2007 malgrado le proteste di Israele

Mosca rispetterà il contratto per la fornitura di missili da crociera Yakhont alla Siria, nonostante le critiche di Israele e le preoccupazioni degli USA: lo ha annunciato il ministro russo della difesa Anatoli Serdiukov, citato dalle agenzie.
''Il contratto è in fase di realizzazione'', ha dichiarato il ministro. Si tratta di un contratto firmato nel 2007, anche se finora non c'è stata alcuna consegna. Israele teme che tali missili possano essere trasferiti dalla Siria a Hezbollah, in Libano.
Lo scorso mese di settembre aveva duramente criticato la scelta di Mosca.
I media israeliani avevano sottolineato come un eventuale trasferimento dei missili ad Hezbollah avrebbe messo in pericolo le navi della marina di Tel Aviv che incrociano al largo delle coste libanesi.
Secondo gli esperti la Siria dispone di materiale bellico russo piuttosto vetusto.

(Rsi.ch, 26 febbraio 2011)

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Israele: cresce il valore dello shekel sul dollaro

Nel 2010 la Banca d'Israele ha virtualmente perso 17.6 miliardi di shekel (circa 5.5 milioni di euro) a causa del rafforzamento della moneta israeliana sul dollaro. Il costo dello shekel rispetto alla valuta a stelle e strisce è andato aumentando in modo più o meno continuo nel corso dell'anno passato, mentre parallelamente le cospicue riserve di dollari dell'istituto di credito centrale hanno perso di valore, anche se la dirigenza della banca ha sottolineato che si tratta di una «perdita sulla carta».
Per cercare di limitare, o almeno rallentare l'apprezzamento dello shekel sul dollaro, il governatore dell'istituto, Stanley Fischer, ha continuato negli ultimi tempi a comprare consistenti somme di denaro straniero. L'obiettivo del numero uno della Banca d'Israele era evitare che lo shekel troppo forte diventasse un ostacolo per le esportazioni israeliane. In questo senso, è stato bene accolto il recente indebolimento della valuta locale nel cambio con quella americana; indebolimento dovuto ai disordini che stanno sconvolgendo il Medio Oriente.

(FocusMo, 26 febbraio 2011)

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Fayyad: Posso risolvere la disputa con Hamas

Il primo ministro dell'Autorità Palestinese, Salam Fayyad, giovedi ha detto al quotidiano di Israele, Jerusalem Post, di essere determinato a lavorare per porre fine alla spaccatura fra la Cisgiordania e la striscia di Gaza.
"Questo lavoro, ha affermato, rientra nel mio piano per stabilire, entro settembre, gli organi istituzionali dello stato". Fayyad, che si è incontrato a Rammallah con il vicepremier del Lussemburgo ed il Ministro degli Affari Esteri, Jean Assemblon, ha riferito che avrebbe intenzione di porre fine alla crisi con Hamas e di riunire i territori Palestinesi attraverso un governo di unità nazionale.

(FocusMo, 25 febbraio 2011)

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Preoccupazione a Tel Aviv: serve un'alternativa al gas egiziano

TEL AVIV, 25 febbraio - Secondo esperti di questioni energetiche, citate dal The Jerusalerm Post, è assolutamente necessario che il governo di Benjamin Netanyahu si dia da fare per trovare delle forniture alternative al gas naturale in arrivo dall'Egitto, viste le trasformazioni politiche in atto al Cairo. Il gas egiziano raggiunge l'entità ebraica su un gasdotto che da el Arish, nel Sinai, sbocca ad Ashqelon. Col gas egiziano Tel Aviv produce il venti per cento del proprio fabbisogno nazionale di energia elettrica.

(Arab Monitor, 25 febbraio 2011)

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Milano - Emozioni a lieto fine

 Rav David Sciunnach e l'assessore della Comunità
     Milo Hasbani alla stazione di polizia di Tel Aviv
La Comunità Ebraica di Milano si prepara a una grande festa per il ritorno dei preziosi rimonim e delle corone dei Sefarim del tempio di via Guastalla che erano statte rubate circa un mese fa. E' l'epilogo di un episodio che ha costellato le scorse ore di dolore, di speranze e infine di sollievo per gli ebrei milanesi. Un fatto sconcertante e inquietante che ha però consentito di mettere nel mirino e far cadere nella rete tesa dagli inquirenti una banda che mirava ai tesori culturali della minoranza ebraica in Italia e a Milano. Quattro arresti, il recupero dell'intera refurtiva e l'individuazione di una banda che puntava ai beni culturali ebraici in Italia, questo il bilancio dell'operazione portata a termine in poche ore grazie alla stretta, fattiva collaborazione fra Comunità ebraica di Milano e inquirenti italiani e israeliani. Ora i preziosi oggetti voleranno in Italia.

(Moked, 25 febbraio 2011)

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La Siria potrebbe aver costruito un sito nucleare

VIENNA - Le agenzie occidentali di intelligence sospettano che la Siria possa aver costruito un sito nucleare segreto vicino a Damasco, secondo un quotidiano tedesco, e un gruppo di esperti americano sostiene che potrebbe essere collegato a un sito bombardato da Israele nel 2007.
Se confermata, la notizia diffusa oggi dal Sueddeutsche Zeitung aumenterebbe i timori dell'Occidente che il Paese arabo fosse coinvolto in attività nucleari segrete prima dell'attacco israeliano e aumenterebbe le pressioni per un intervento dell'agenzia Onu per il nucleare.
Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, da Gerusalemme ha detto:
"Le autorità internazionali e le organizzazioni di intelligence sono a conoscenza di ciò e l'Agenzia internazionale per l'Energia atomica sta lavorado per poter accedere ed effettuare ispezioni in quel sito".
L'Institute for Science and International Security (Isis), gruppo di esperti con sede a Washington, ha detto che non è noto lo stato operativo di quello che si sospettava fosse un piccolo impianto di conversione dell'uranio, vicino alla città di Marj as Sultan.
"Tuttavia, c'è il sospetto che la Siria possa aver svuotato gli edifici prima della metà del 2008 e preso provvedimenti per nascondere le precedenti attività nel sito", ha detto in un'analisi diffusa assieme alla notizia del quotidiano tedesco.
Un alto politico statunitense ha detto di essere "estremamente preoccupata" per la notizia e ha sollecitato il presidente Barack Obama a essere duto con la Siria, applicando fino in fondo le sanzioni previste dalla legge del 2003.
Per oltre due anni la Siria si è rifiutata di consentire agli ispettori Onu di visitare di nuovo un sito distrutto da Israele nel settembre 2007, che secondo le notizie dell'intelligence Usa ospitava un reattore nucleare.

(Reuters, 25 febbraio 2011)

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Gaza, milioni di dollari in fumo in raid israeliano

Milioni di dollari in contanti destinati a Hamas sarebbero andati in fumo nel raid condotto ieri dall'aviazione israeliana a Rafah contro una vettura su cui viaggiavano due attivisti, che sono rimasti feriti.

Fonti palestinesi hanno precisato che l'aviazione ha colpito una jeep appena emersa dal Sinai egiziano a Rafah da uno dei sempre più ampi tunnel per il contrabbando. A bordo, oltre ad una ingente somma di valuta in contanti c'erano anche armi, secondo le fonti. Agenti di Hamas accorsi sul posto hanno poi recuperato solo una piccola parte delle banconote, mentre le altre sono rimaste incenerite nell'incendio.
Il contrabbando di armi dal Sinai, secondo i servizi di intelligence israeliani, è molto aumentata nelle ultime settimane con il crollo del regime di Hosni Mubarak e con il parallelo indebolimento nella zona dell'esercito egiziano che in passato lottava contro il contrabbando e che adesso in quella zona deve dare invece la precedenza al mantenimento dell'ordine, di fronte alla crescente inquietudine di bande di beduini armati.

(swisscom, 25 febbraio 2011)

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Israele: sistema antimissile operativo tra poche settimane

L'Iron Dome, il sofisticato sistema di difesa anti-missile a cui Israele sta lavorando da anni, sarà operativo in poche settimane. A dichiararlo sono fonti dell'esercito israeliano. La "cupola di ferro" sarà in grado di intercettare razzi Grand e Katyusha sparati da Gaza e dal Libano contro il territorio israeliano.
Da quattro giorni i militari starebbero effettuando prove tecniche nel deserto del Negev; finora, ogni altro collaudo era stato fatto dalla società che produce le batterie Iron Dome, la parastatale Rafael. L'altro ieri le sirene d'allarme hanno suonato a Beer Sheva, nel sud del Paese: la città, considerata la "capitale del Negev", è stata colpita da due missili Grand. E' la prima volta dai tempi dell'operazione Piombo Fuso contro la Striscia (tre settimane a cavallo tra 2008 e 2009) che degli ordigni sparati da Gaza raggiungono questa zona, a 40 chilometri dal confine con l'enclave palestinese. Non ci sono stati feriti, ma quattro persone sono state ricoverate in stato di choc. «Per fronteggiare armi di questa gittata bisogna avere una grande preparazione», ha commentato oggi un portavoce dell'esercito israeliano, aggiungendo: «L'aviazione israeliana sta procedendo velocemente e in modo spedito per mettere l'Iron Dome in grado di funzionare il prima possibile».

(FocusMo, 25 febbraio 2011)

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JewBoxRadio, parole e musica per raccontarsi al mondo

di Rossella Tercatin

Da fine febbraio è online JewBoxRadio. La Comunità ebraica di Milano diventa così promotrice di una radio a tutti gli effetti, che potrà essere ascoltata 24 ore al giorno, attraverso il suo sito e quello di Radio 105, che ha sponsorizzato il progetto fornendo strumentazione e consulenza tecnica. Per scoprire il mondo di JewBoxRadio, Pagine Ebraiche varca una porta rossa. Dietro a quella porta ci sono conduttori, ospiti, autori, tecnici. Ma anche chi si occupa dei dettagli amministrativi: i diritti discografici, quelli fonografici, le liberatorie… Così circondati da microfoni, cuffie, mixer, pannelli per insonorizzare, i ragazzi di JewBoxRadio hanno fatto in modo che un progetto con grande potenziale, ma anche numerosi ostacoli da superare, diventasse realtà. "Questa radio, come suggerisce il nome, vuole essere un contenitore in cui i membri della Comunità possono diventare protagonisti, raccontando il loro modo di vivere l'ebraismo in tutte le sfaccettature - spiega Simone Mortara, consigliere della Comunità che insieme a Gad Lazarov ha seguito la realizzazione di JewBoxRadio - Il nostro motto è: tutti possono essere spettacolo". E in effetti sono oltre sessanta le persone coinvolte, con sei redazioni tematiche, dall'intrattenimento all'attualità, dall'ebraismo alla musica, una decina di programmi originali, un gruppo di tecnici diciottenni formati "in casa", una campagna pubblicitaria di lancio e molto altro. "Quando abbiamo cominciato a lavorare alla radio - racconta Ruben Gorjan, responsabile del progetto - avevamo tre obiettivi: diventare un gruppo, dare a dei ragazzi la possibilità di coltivare le proprie passioni sviluppando delle competenze professionali, raccontare la nostra Comunità e l'ebraismo alla società civile. I primi due obiettivi si sono realizzati, ora è arrivato il momento di scoprire come andrà con l'ultimo!". Già perché JewBox si propone di essere un'emittente della Comunità per la Comunità, ma anche per chiunque provi interesse per la cultura ebraica. "Ora che la radio va online, la sfida sarà quella di migliorarne sempre più il contenuto, e magari studiare qualche collaborazione con iniziative analoghe, in Italia e all'estero" conclude Mortara. E chissà che in futuro non arrivi anche il brivido della diretta…

(Pagine Ebraiche, marzo 2011)

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Insulti contro gli ebrei, arrestato lo stilista inglese John Galliano

PARIGI - Lo stilista inglese John Galliano è stato arrestato a Parigi per aver rivolto insulti anti semiti ad una coppia seduta in un caffè nel quartiere di Marais.
E' quanto rivela all'Afp una fonte della polizia francese, spiegando che "al momento non sappiano cosa lo abbia spinto ad insultare le due persone". Galliano, fashion desiner per Dior, trovato anche sotto l'effetto dell'alcol, è già stato rilasciato.

(Blitz quotidiano, 25 febbraio 2011)

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Tre razzi lanciati nel sud di Israele a pochi chilometri da Gaza

GAZA - Dopo la mezzanotte almeno tre missili sono esplosi nel sud di Israele. Lo riferisce Israel Radio, specificando che non c'è stato nessun ferito. I missili erano dei Grad e due sono esplosi vicino alla città israeliana di Beersheba, a 30 chilometri da Gaza. La polizia israeliana ha riferito che uno dei missili ha incendiato una casa e un altro è caduto vicino alla città di Netivot.

(Blitz quotidiano, 24 febbraio 2011)

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Israele introduce robot per le ispezioni ai checkpoint in Cisgiordania

Il robot EyeDrive
Cri. - Domenica scorsa, 20 febbraio, la radio israeliana ha riportato la notizia del test eseguito da un battaglione dell'esercito israeliano su un robot a quattro ruote chiamato "EyeDrive". Il test è stato effettuato presso un checkpoint tra Israele e il nord della Cisgiordania, vicino alla città di Tulkarem.
L'apparecchio è stato posizionato per ispezionare i fondi di automobili e camion palestinesi: l'operatore-programma "EyeDrive" rotola al di sotto dei veicoli al fine di controllarli, per poter scannerizzare presunti oggetti di contrabbando e inviare un video dell'operazione.
Un ufficiale dell'unità ha affermato che il robot è "scrupoloso, più efficiente, sicuro e rispettoso dei proprietari e degli autisti dei veicoli sottoposti ai controlli".
L'apparecchio pesa 3,5 kg ed è poco più alto dello spessore due libri messi sovrapposti, è equipaggiato con quattro videocamere roteabili a 360 gradi, un software per il movimento e l'individuazione audio e video. Esso, inoltre, dispone di diversi sensori. Il dispositivo viene comandato tramite un computer portatile wireless ed "è dotato di potenza e memoria sufficienti da poter essere usato in operazioni antiterrorismo e di sorveglianza", come affermato dalla radio israeliana.
Nella norma, il personale esegue le ispezioni usando uno specchio montato su un bastone che permettere ai soldati di individuare eventuali esplosivi. Tuttavia, questo attrezzo fornisce una visuale limitata e richiede molto più tempo. Già il Genio militare israeliano faceva uso di un'altra versione dello "EyeDrive", e modificato, ora l'apparecchio è stato preparato per l'utilizzo presso i checkpoint.

(Infopal, 24 febbraio 2011)

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Israele: nel giro di un mese molte certezze naufragate

Le vecchie certezze del Medio Oriente sono state capovolte e Israele ha visto molti dei suoi partner più affidabili colpiti o "soffiati via" dall' agitazione popolare. L'Egitto era da tempo uno degli alleati più importanti di Israele e i rapporti erano tranquilli anche con la Tunisia. Con le recenti dimostrazioni per il cambiamento anche in Giordania, il Bahrein ed il Marocco, Israele si scopre un po' confuso. "Molte delle nostre presunte certezze sono naufragate nel giro di un mese; - ha detto Mark Heller, analista dell'Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale a Tel Aviv - qui stiamo brancolando nel buio e con strumenti limitati dobbiamo capire questi fenomeni". Gli israeliani si preoccupano che i movimenti arabi verso la democrazia siano dominati dagli estremisti, come accaduto nell'Iran dopo la rivoluzione 1979 che ha spodestato lo scià. Si preoccupano inoltre per la transizione caotica fra la sommossa e la stabilità democratica. Ritengono che i Fratelli Musulmani dell'Egitto facciano pressione per una maggiore solidarietà con i Palestinesi ed Hamas, il ramo palestinese della fratellanza. E temono infine che i partner regionali di Israele nel controllo dell'Iran siano in pericolo o stiano per cadere. Gli analisti arabi controbattono che le nuove realtà e democrazie arabe dovrebbero essere accolte favorevolmente da Israele, perché la nuova generazione araba condivide molti dei valori di Israele e dell'Occidente. Discutono anche sul fatto che non c'è appoggio fra i capi dell'Egitto per l'abrogazione del trattato di pace del 1979.

(FocusMo, 24 febbraio 2011)

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Libia, Israele e Palestina

Gheddafi mette d'accordo israeliani e palestinesi. Ieri i diplomatici dei due Stati, presso il Consiglio dell'Onu per i Diritti Umani, hanno co-firmato per la prima volta un documento in materia di politica estera, con cui si condanna la Libia di Gheddafi per le violazioni dei diritti umani commesse in questi giorni. L'unione è però durata poco più di qualche ora. Nella tarda serata di ieri, due potenti razzi sono stati sparati dalla striscia di Gaza - nelle mani dell'organizzazione terroristica Hamas - verso la città israeliana di Beersheva. Se non fosse stato per le sirene d'allarme, che hanno prontamente avvisato la popolazione, sarebbero potute morire numerose persone. Un'azione, quella degli estremisti di Hamas (che gestiscono unicamente la striscia di Gaza, mentre la Cisgiordania è nelle mani dell'Autorità nazionale palestinese presieduta da Abu Mazen) frutto di: una tensione perpetua tra l'esercito israeliano e l'associazione terroristica Hamas; delle rivalità tra Hamas e l'Anp (che rappresenta i palestinesi nelle sedi internazionali); e della crescenti rivoluzioni che hanno sovvertito le dittature arabe. Da una parte c'è quindi un'Anp, molto dura nei confronti di Israele ma dialogante, e dall'altra un Hamas che nel suo statuto si pone come obiettivo la distruzione dello Stato di Israele.
   Tornando alla Libia. Si è spesso detto che la nascita di uno Stato di Palestina avrebbe causato crisi interne alle teocrazie, o dittature, del mondo arabo. Oggi - ma bisogna dirlo con tutte le cautele del caso - si sta forse verificando il processo inverso: le popolazioni arabe hanno capito che la causa dei loro mali non sono gli ebrei o Israele ma i dittatori che li governavano. Un effetto domino al rovescio: l'indipendenza delle popolazioni arabe potrebbe portare i palestinesi al compimento del loro processo storico-politico.
   Forse queste rivoluzioni, stanno facendo comprendere ai palestinesi e non, che il male non è Israele (dove di arabi ne vivono oltre 1 milione e mezzo) ma l'assenza di sovranità popolare. Un concetto, quello della sovranità popolare, pilastro di ogni democrazia. Certo: nessuno può prevedere quali regimi, democrazie e leader andranno a sostituire gli ex dittatori. E i pericoli del fondamentalismo islamico sono reali. Quello che però sappiamo per certo è che nella testa dei cittadini dei Paesi coinvolti dalle rivoluzioni - e non solo - si è installata l'idea che il popolo ha la possibilità di esercitare la propria sovranità. Un'idea di portata rivoluzionaria, se si pensa che una gran parte di queste donne e questi uomini, fino a qualche mese fa, era abituata a delle elezioni sistematicamente vinte dai soliti leader politici con le solite maggioranze bulgare. Anzi, arabe.
   In questo processo così importante per gli equilibri mondiali, così come quelli interni, la lentezza dell'Europa e dell'Italia nel reagire a questi cambiamenti è imbarazzante. Vuota di concretezza. Ma questa, si sa, non è una novità. Da italiano di religione ebraica, figlio di genitori libici, che dopo il colpo di stato di Gheddafi hanno perso tutto quel che avevano, mi auspico che il popolo libico possa ritrovare una sua dignità democratica. Infine, ma questa è una riflessione aperta, dà da pensare il fatto che i libici nelle piazze di Tripoli e Bengasi, e di tutto il mondo, facciano un parallelismo tra Gheddafi e Hitler. Forse nel mondo arabo si sta facendo spazio l'idea che il vero male assoluto non sono gli ebrei, o Israele, ma la mancanza di democrazia?

(Front Page, 24 febbraio 2011)

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Israele: rallenta la produzione industriale

Malgrado nel 2010 l'economia dello Stato ebraico sia cresciuta significativamente - i dati parlano di un incremento del 7.8 per cento rispetto al 2009 e di 6mila nuovi posti di lavoro -, secondo l'Ufficio centrale di statistica, negli ultimi tre mesi del 2010 il settore secondario ha fatto registrare un calo del 6 per cento.
Le cifre del periodo ottobre-dicembre non sono le uniche. Sempre per il 2010, l'istituto ha rilevato anche una diminuzione pari al 32.5 per cento nella produzione definita "di media-tecnologia": prodotti chimici, macchinari, strumenti elettronici e di trasporto. Oltre alla riduzione nelle vendite, l'analisi mostra una diminuzione delle offerte di lavoro quantificata attorno all'1 per cento. L'indebolimento dell'industria - si legge nello studio - è dovuto a un calo nelle esportazioni, spiegato in modi diversi: gli industriali affermano che la causa sia lo shekel troppo forte rispetto a dollaro ed euro; gli economisti, al contrario, fanno notare che il rallentamento è un trend globale, e puntano il dito contro la crisi del debito dei Paesi europei. Altri ancora ricordano poi che la crisi economica mondiale esplosa nel 2009 non è ancora finita, e che questo grava sulla domanda di merci e beni da parte di Europa, America e Sudest asiatico. A prescindere dalle cause, l'Ufficio centrale di statistica conclude il resoconto affermando che il settore industriale nazionale sembra essere all'inizio di una crisi: «La crescita registrata fino a giugno 2009 si è fermata nel giugno 2010, e i numeri raccolti a partire dal mese successivo vanno tutti in direzione di un declino nella produzione».

(FocusMo, 24 febbraio 2011)

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Minatori cileni in visita ringraziamento in Israele per otto giorni

GERUSALEMME - I minatori cileni salvati dalla miniera di San José crollata lo scorso anno hanno cominciato quello che definiscono un pellegrinaggio di ringraziamento in Israele, che durerà 8 giorni. I 25 uomini, che hanno trascorso 69 giorni intrappolati sottoterra, visiteranno la Via Dolorosa, la Chiesa della Natività e altri luoghi simbolo per la religione. La visita comprende anche una tappa sul mar Morto e al muro del pianto ed è stata promossa dal ministro del Turismo israeliano, Stas Misezhnikov, che si è detto contento di "accogliere coloro che incarnano il trionfo dello spirito umano". Esteban Rojas, uno dei minatori, ha raccontato che nei giorni di prigionia avevano pregato Gesù e ora sono orgogliosi di poter visitare la terra dove Gesù ha vissuto.

(Blitz quotidiano, 24 febbraio 2011)

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Israele: IV Conferenza-Fiera internazionale sulle energie rinnovabili

Mentre la Libia affonda nella guerra civile e l'Egitto cerca di dare forma al dopo-Mubarak, da Eilat, nel sud d'Israele, arriva un nuovo, allarmante monito: «Se i disordini contageranno anche l'Arabia Saudita, il mondo sarà costretto a fronteggiare una catastrofe economica». A dirlo è Gal Luft, esperto di energia dell'Istituto di Analisi sulla sicurezza globale di Washington.
Luft ha parlato oggi durante la IV Conferenza-Fiera internazionale sulle energie rinnovabili apertasi ieri nella cittadina sul Mar Rosso. «L'economia globale - ha spiegato l'analista - non potrebbe sopravvivere pagando un prezzo di 200 dollari per un barile di petrolio. Abbiamo visto cosa sta accadendo oggi con la Libia; provate solo a immaginare cosa succederebbe un domani se l'Arabia saudita venisse travolta da simili disordini e interrompesse le forniture di petrolio». Anche il ministro israeliano delle Infrastrutture, Uzi Landau, è intervenuto all'appuntamento internazionale. Il ministro ha auspicato che Israele e, in generale, l'Occidente si affranchino prima possibile dalla dipendenza dal petrolio arabo, spingendo l'acceleratore sulle energie rinnovabili. «Il petrolio finanzia il terrorismo islamico - ha accusato Landau -; ogni volta che mettiamo mano al portafogli per pagare la benzina, il 20-30 per cento finisce nelle tasche di Paesi che sostengono i professionisti del terrore. In questo modo, finanziamo al-Qaeda e Hezbollah, l'Iran e le sue ambizioni nucleari». «L'introduzione delle automobili elettriche in Israele - ha aggiunto - è una missione nazionale, e il mercato di queste vetture, così come il ministero lo ha immaginato, sarà aperto, competitivo e sicuro. La nostra politica è di mantenere aperto l'accesso ai diversi competitori». La Conferenza-Fiera internazionale Eilat-Eilot sull'energia rinnovabile è il più importante appuntamento del settore in Israele, e una delle vetrine internazionali più conosciute. L'evento punta a far incontrare gli attori locali e internazionali, privati e istituzionali, che operano nel campo dell'ambiente e dell'energia pulita in modo da offrire opportunità di business nel mercato locale e globale, e definire le linee strategiche per le politiche energetiche del futuro.

(FocusMo, 23 febbraio 2011)

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Polemica in Israele sul servizio di mappatura strade di Google

Si teme che "Street view" agevoli gli attentati, dopo gli attacchi con razzi progettati dai palestinesi con Google Earth

ROMA, 23 feb. - E' polemica in Israele su "Street View", il servizio di Google che consente di percorrere con il computer le strade di diversi Paesi. Alcuni ministri sono a favore della sua introduzione, anche per promuovere il turismo, ma altri sono preoccupati che la mappatura possa agevolare eventuali attacchi terroristici.
I terroristi palestinesi nella striscia di Gaza, infatti, hanno rivelato di essersi basati su immagini satellitari di Google Earth per progettare gli attacchi con i razzi. Google, che ha già lanciato "Street View" in 27 Paesi, non ha ancora detto quando farà partire il servizio in Israele, ma pare intenzionata a mappare le strade di Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa, secondo quanto riporta il "Los Angeles Times". E' comunque probabile che il governo israeliano vieterà di mostrare sul web le zone dove vivono primo ministro e presidente, quelle dove sorgono edifici governativi, ambasciate straniere, centrali elettriche e altri impianti potenzialmente a rischio attentati.

(TMNews, 23 febbraio 2011)

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I Palestinesi guardano con preoccupazione ai disordini arabi

Il negoziatore dell'Autorità Palestinese, Nabil Shaath ha affermato che i recenti disordini in Medio Oriente rallenteranno il processo di pace israelo-palestinese.
"La debolezza della posizione araba era una delle ragioni dietro allo squilibrio fra la Palestina e Israele" ha dichiarato Shaath. Shaath ha poi escluso la possibilità che l'Autorità Palestinese, nelle attuali condizioni, ritorni al tavolo delle trattative con Israele. Il Presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, ha dichiarato recentemente che le prossime elezioni si terranno a settembre. Tuttavia, ha aggiunto, che con molta probabilità Hamas boicotterà il processo elettorale nella Striscia di Gaza.

(FocusMo, 23 febbraio 2011)

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L'Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak

di Fiamma Nirenstein

La fregata Alvand passa il canale di Suez
Guardiamole bene quelle due navi iraniane che sono entrate alle quattro del pomeriggio nel Mediterraneo. È uno spettacolo del tutto nuovo, ed è tutto dedicato a noi, europei, israeliani e americani, messo in scena per farci digrignare i denti: dal 1979 l'Egitto non lasciava passare dal suo prezioso corridoio le navi dell'Iran khomeinista, il Paese della rivoluzione sciita integralista e nemica acerrima del potere sunnita, se non di quello estremista di Hamas, dei Fratelli Musulmani e di Al Qaeda e altri compagni del genere. Adesso, invece, ecco il primo gesto dell'Egitto post-rivoluzionario: visto che l'alleato americano si è scansato appena la folla si è messa in marcia, il nuovo-vecchio potere militare immagina prudentemente nuove alleanze. Meglio non litigare con Ahmadinejad che riempie di lodi la rivoluzione egiziana. Anche i sauditi, anch'essi sunniti, non hanno mai avuto simpatia per l'Iran khomeinista, al contrario. Anzi, ultimamente si sono battuti per difendere Mubarak: il re Abdullah ha fatto una telefonata durissima a Obama per dirgli di non umiliare il suo amico. Ma il presidente americano l'ha abbandonato, ed ecco che anche i sauditi tastano nuove possibilità strategiche: le navi iraniane hanno fatto scalo, sembra, al porto saudita di Jedda.
Anche se l'Iran sostiene che non portano armi, le due navi sono una fregata classe Alvand, dotata di missili di vario tipo, e una nave appoggio di classe Kharg, assai grossa (33mila tonnellate) carica di chissà che; porta anche qualche elicottero, forse tre.
Una graziosa esibizione di forza, che si inquadra nel «Decennio del Fajr», quando, ricorrendo l'anniversario della rivoluzione, si mostrano tutte le acquisizioni migliori del regime. Il ministro dell'Energia si è vantato che l'Iran continui senza remissione a costruire la sua potenza atomica: Se qualcuno ancora non sapesse a che serve, Khamenei, rispondendo alla reazione di Israele al passaggio delle navi ha detto che «Israele è una nazione cancerogena». Insomma, da distruggere.
Tutto regolare, mentre Ahmadinejad esalta le rivoluzioni che finalmente metteranno il mondo musulmano sulla via del vero Islam e intanto scatena la Guardia Rivoluzionaria contro la propria popolazione che manifesta.
Ma di nuovo c'è che, dopo le rivoluzioni arabe, l'Iran lancia la sua sfida direttamente, e non attraverso gli Hezbollah o la Siria o Hamas come fa sempre. Si presenta armato di fronte alle coste di quel paese che dichiara a ogni passo di voler distruggere; il simbolo di tutto ciò che l'Islam deve dominare per costringere il mondo a un califfato universale che inghiotta l'Europa e poi l'America, intenzione più volte ribadita. E certo gli è ben presente che poco lontano cui sono le coste europee, le nostre coste giudaico cristiane.
Adesso con i loro missili, le navi iraniane si piazzeranno per un lungo periodo probabilmente nel porto di Tartus, in Siria, vicino agli Hezbollah cui portano probabilmente bei doni. Mentre transitano davanti a Israele tutto potrebbe accadere, un incontro ravvicinato fuor di controllo con la marina israeliana, un colpo scappato, diciamo così, per sbaglio... e fra qualche mese forse un rimescolamento di navi iraniane da guerra e la flottiglia (dicono fra le 50 e le 100 navi) programmata dall'Ihh turca e dai suoi amici per approcciare di nuovo Gaza!
L'Iran esprime, con Suez, una volontà indubitabile di spostare l'attenzione dalla sua piazza repressa senza pietà allo sberleffo internazionale. Ma si tratta soprattutto, per il regime di Khamenei e di Ahmadinejad, anche di una vera mossa di conquista: il Mediterraneo è fatto, specie con la enorme confusione libica, di equilibri delicatissimi, di limitazioni reciproche talora esplicite e talora sottaciute che certo però non comprendono l'ingresso di un elefante nella cristalleria. Ahmadinejad, così certo pensa lui, mette le sue navi sul muso di Israele e davanti al muso di tutti noi, e queste navi irridono alle nostre inutili sanzioni, e anche alle autentiche ispirazioni occidentali e democratiche che certo animano gran parte delle rivoluzioni in Egitto, in Tunisia, in Marocco, nello Yemen, in Bahrein, in Libia... incitano tutte le parti più estreme delle folle arabe a aderire a un'ideologia islamista, e soprattutto, promettono guerra. Non dovremmo permettere che questo accada. Dove è l'Unione Europea? E Obama, ci lascia sempre più soli?

(il Giornale, 23 febbraio 2011)

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«Gheddafi resterà al suo posto», pensano gli ebrei di Roma che lasciarono la Libia nel 1967

di Chiara Beghelli

Secondo un detto sulla porta delle case ebraiche si trovano sempre due oggetti: uno è la Mezuzah, che contiene passi della Torah e che si bacia quando si entra e quando si esce; l'altro è la Mizvada, la valigia, ricordo dei viaggi già percorsi e monito di quelli che inevitabilmente verranno. Per gli ebrei, però, chi non se ne andrà mai è proprio Muammar Gheddafi. Shalom Tesciuba ha 76 anni, ne aveva 33 quando assieme agli altri ebrei libici fu costretto a lasciare Tripoli. Era il 1967, e Gheddafi non si era ancora neppure iscritto all'Accademia militare di Bengasi. Ma il 5 giugno era scoppiata la Guerra dei sei giorni fra Israele e la compagine Egitto-Siria-Giordania, e per gli ebrei, che per oltre duemila anni avevano vissuto in pace e prosperità su quel lato del Mediterraneo, tutto cambiò.

Oggi il signor Tesciuba è il presidente del Comitato Assistenza Ebrei di Libia che si trova a Roma, in via Padova, quartiere Piazza Bologna, e da lì segue quello che sta accadendo nel paese dove è nato. Anche se, dice, «da 15 giorni non abbiamo più notizie dalla Libia, seguiamo quello che accade tramite Al Jazeera».
La sua comunità è composta da circa tremila persone, arrivate 44 anni fa a Roma con venti sterline e un massimo di venti chili di bagaglio. La Libia allora stava cambiando. «Ma oggi non cambierà nulla. Entro 5-6 giorni, una settimana al massimo, queste rivolte rientreranno. Forse ci sarà qualche riforma, ma sarà molto lieve. Il fatto è che la stampa esagera molto: in Libia tutto sommato si vive bene, anche perché il costo della vita è molto basso. Pensi che un chilo di carne costa solo 4 euro. E Tripoli stessa è piena di auto di lusso».
Certo, doveva essere bella la Tripoli degli anni Sessanta, dove commerciava spezie: «Ma due ore dopo lo scoppio della guerra c'erano già stati assalti ai negozi degli ebrei, vennero uccise due intere famiglie, ci furono centinaia di feriti. Dieci giorni dopo la polizia iniziò a chiederci se volevamo andarcene. Io ho lasciato casa mia con ancora le tende alle finestre. E sono arrivato qui, dove ho ripreso la mia attività».

Hamos Guetta, invece, imprenditore lo è diventato qui in Italia. Oggi ha 56 anni, ne aveva 12 quando lasciò la Libia con la sua famiglia. Ha fondato i brand di abbigliamento Obj e Oxer, con circa 40 negozi solo a Roma, gestisce il sito Italiaebraica.it e poche ore fa ha caricato sul suo canale Youtube un video sulla storia degli ebrei libici, che si apre con le palme del lungomare di Tripoli immortalate con una tremante Super8. Anche secondo lui Gheddafi alla fine resterà al suo posto, per tre motivi: «Innanzitutto ha centinaia di villaggi beduini dove rifugiarsi. Poi ha il sostegno di molta parte delle famiglie "bene" di Tripoli, che temono l'avvento delle fazioni islamiste della Cirenaica, che Gheddafi ha represso finora, e che allargano il sostegno grazie al loro network con altre decine di famiglie. E poi è stato molto abile a costruirsi una rete di interessi internazionali».
«Comunque va ricordato - continua - che non è stato Gheddafi a cacciare gli ebrei dalla Libia, ma solo a ufficializzare il sequestro dei loro beni deciso nel 1967. Quell'anno a lasciare la Libia furono gli ebrei più capaci, gli imprenditori, mentre i poveri erano già partiti nel 1948 per cercare fortuna in Israele. Per questo dico che l'emigrazione in Italia, e a Roma soprattutto, è stata un'emigrazione "di qualità". Un patrimonio intellettuale che oggi dà lavoro a circa cinquantamila persone. Eppure ho molti amici, proprietari di marchi molto noti, che preferiscono non rivelare chi sono, per paura che l'antisemitismo faccia calare le vendite. E pensare che nel 1930 mio nonno pagava in anticipo il raccolto agli arabi, e con una stretta di mano». Ma la Libia di oggi è ancora più lontana. E le strette di mano per strada, almeno per ora, appartengono al passato.

«Nel 1967 avevo 18 anni. Tutta la mia adolescenza è stata segnata dall'angoscia che ci avrebbero massacrati», racconta David Meghnagi, 61 anni, psicanalista, docente di Psicologia Clinica, Psicologia dinamica e Psicologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Roma Tre, già vicepresidente delle Comunità Ebraiche Italiane e autore del libro "Le sfide di Israele", pubblicato di recente da Marsilio. «Ricordo che a poche ore dallo scoppio della guerra la popolazione si riversò in strada, pensando che avessero vinto gli arabi. Rimanemmo chiusi in casa per un mese. Infine, a luglio, ci fecero partire con un visto turistico». Con quello che sta accadendo oggi in Libia vanno fatte molte distinzioni, sottolinea il professor Meghnagi: «Oggi sta implodendo un regime costruito sulla violenza, che per troppo tempo è stato tollerato dalla comunità internazionale. E' una situazione tragica, con grandi pericoli, difficili da prevedere: potrebbe scoppiare una guerra civile che durerà per anni, il paese potrebbe frammentarsi sul modello della Somalia. E tutto ciò a poca distanza dall'Europa. Il Mediterraneo è un mare in ebollizione e per ricomporre la pace bisognerebbe dar vita a una sorta di "Piano Marshall" fra le sue due sponde, basato sul riconoscimento dei diritti dei popoli. In primis di Israele». Per ora i fumi dell'"ebollizione" appannano il futuro. «Vede, per molti anni ho lavorato sul tema dell'elaborazione del lutto, del trauma da separazione, anche in collaborazione con il mio amico Primo Levi - conclude Meghnagi - E posso dire che di tutti i mali dell'umanità, forse il più terribile è la perdita della speranza in un futuro migliore».

(Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2011)

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Germania, prima sinagoga "riformata"

La Germania da domenica ha la sua prima sinagoga "riformata" dai tempi della Shoah; un passo significativo nel revival dell'ebraismo riformato, che ha le sue origini proprio in Germania.

di Marco Tosatti

Rachel Dohme, presidente della congregazione ebraica di Hameln
La Germania da domenica ha la sua prima sinagoga "riformata" dai tempi della Shoah; un passo significativo nel revival dell'ebraismo riformato, che ha le sue origini proprio in Germania. La sinagoga, costruita nella città di Hameln, nel nord del Paese, è stata edificata sulle fondamenta della sinagoga precedente distratta durante la Notte dei Cristalli del 1938. La congregazione ha ricevuto un appoggio finanziario per la sinagoga dai governi federale e locale.
"E' incredibile che dopo la Shoah, una sinagoga possa essere costruita con denaro che viene da organizzazioni politiche tedesche" ha dichiarato il presidente della congregazione Rachel Dohme. La congregazione riformata è stata fondata nel 1197 e ha circa 200 membri, la maggior parte dei quali viene dall'ex Unione Sovietica. L'ebraismo riformato, o liberale, ebbe il suo pioniere in Germania in Israel Jacobson due secoli fa. Afferma l'eguaglianza dei sessi per diritti e responsabilità e permette sermoni nelle lingue locali.
Circa il 20 per cento degli ebrei tedeschi segue il movimento di riforma: "La gente si sta spostando dall'ebraismo ortodosso verso un ebraismo moderno" ha detto Dohme. "Nei prossimi venti anni ci sarà un cambio di grandi proporzioni". La popolazione ebraica in Germania si aggira intorno alle 200mila unità. C'erano circa 500mila ebrei in Germania prima dell'avvento al potere di Hitler nel 1933.

(La Stampa, 23 febbraio 2011)

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Israele: approvata la legge sulla trasparenza in materia di finanziamenti esteri

Negli ultimi mesi in Israele l'attenzione politica e mediatica è stata rivolta ad alcune proposte di legge. Una di queste, proposta da Zeev Elkin del Likud, riguarda la trasparenza in materia di sostegno finanziario da parte di un'entità politica estera. Il disegno legge è stato convertito il 21 febbraio. La questione della trasparenza, che è stata richiesta alle Organizzazioni Non Governative in materia di contributi ricevuti da entità politiche straniere, è una legge già consolidata nell'ambito del Diritto che regola le Associazioni(art. 36 bis).
Tale legge obbliga le ONG, i cui ricavi superino i 300mila Nis e che abbiano ricevuto oltre 20mila Nis in contributi stranieri, a fornire una relazione annuale sull'importo ricevuto, il suo scopo, l'identità del donatore ed eventuali condizioni particolari, indispensabili alla ricezione del contributo. Nulla nella legge, impone restrizioni ai contributi stessi. La nuova normativa si occupa invece di un rafforzamento dell'obbligo di trasparenza. Quindi, per esempio, amplia gli obblighi di segnalazione,includendo anche organizzazioni più piccole e indipendentemente dalla quantità delle entrate. Si tratta quindi, per il Elkin, di una semplice estensione degli obblighi attualmente esistenti.

(FocusMo, 23 febbraio 2011)+

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Israele: inflazione oltre il 3%

Gli analisti di Goldman Sachs sono pessimisti riguardo all'inflazione in Israele, e reputano che potrebbe superare il 3 per cento nel corso del 2011.
La banca d'affari americana ha pubblicato un resoconto sull'economia israeliana in seguito alla decisione presa ieri dalla Banca centrale dello Stato ebraico di innalzare il tasso d'interesse per il secondo mese di fila, portandolo al 2.5 per cento. Secondo lo studio, l'inflazione rimarrà oltre l'1-3 per cento, ovvero il livello di stabilità indicato dal governatore Stanley Fischer. In particolare, è stato previsto un picco del 4.5 per cento intorno alla metà di quest'anno; mentre in seguito, nel primo trimestre del 2012, il tasso d'inflazione dovrebbe tornare a essere inferiore al 3 per cento. L'istituto di New York ha preconizzato anche che la Banca d'Israele aumenterà ulteriormente il tasso d'interesse fino al 3.25 per cento entro la fine di giugno e fino al 4.25 per cento entro fine dicembre.

(FocusMo, 22 febbraio 2011)

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Il ruolo degli Usa

di Francesco Lucrezi, storico

"Mano di budino, in guanto di mozzarella". Così, con amara ironia, il Tizio della sera ha inteso sintetizzare, su l'Unione informa del 17 febbraio, l'atteggiamento dell'amministrazione americana nei confronti dell'Iran e dei suoi propositi aggressivi. Lo sconfortante giudizio, purtroppo, sembra cogliere nel segno, e pare ben inserirsi in una più generale valutazione dell'attuale capacità di iniziativa e di governo, sul piano mondiale, degli Stati Uniti, di fronte, in particolare, agli imprevedibili sommovimenti in atto in tutto il mondo islamico.
Personalmente, ho sempre ritenuto che la considerazione dell'influenza, diretta o indiretta, degli Stati Uniti sulle più diverse vicende della politica mondiale sia spesso stata fortemente esagerata dall'opinione pubblica internazionale, per diversi motivi: grossolana semplificazione di situazioni diverse e complesse (l'idea di un unico regista occulto rappresenta un comodo parametro di giudizio comune), gusto di dietrologia ("c'è dietro la CIA"), acritica ammirazione o, più spesso, antipatia per la superpotenza d'oltreoceano (ritenuta capace di tutto, soprattutto di qualsiasi "gioco sporco" a difesa del dominio del "dio dollaro"). Tale sopravvalutazione, ovviamente, non poteva che crescere ulteriormente dopo la caduta del muro e l'implosione, nel 1991, dell'Unione Sovietica, l'altro colosso che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, dell'America era stato il tradizionale rivale e avversario.
Al netto di tali esagerazioni, comunque, non c'è dubbio che gli Stati Uniti abbiano costantemente giocato nel Medio Oriente, nel secondo dopoguerra, un ruolo da protagonisti. Basti ricordare la sicurezza e la capacità di leadership dimostrata da Bush senior, nel 1990-91, di fronte alla crisi del Kuwait, quando l'America sembrò, con un capolavoro diplomatico e militare, ergersi con successo a paladina e garante della legalità internazionale, nell'ammirazione di tutti.
I vent'anni trascorsi, da quei giorni, sembrano molti di più, e la capacità di guida e di intervento degli Stati Uniti - e, ancor più, la generale percezione di tale capacità: cosa di massima importanza in politica estera, ove l'apparire conta, spesso, ancor più dell'essere - sembra essere precipitata a picco. Al di là dell'innegabile immagine di impotenza, quello che impressiona, dell'attuale politica internazionale americana, è l'impressione di una totale mancanza di visione, di strategia. Cosa vorrebbero, quale futuro preferirebbe l'America per il Medio Oriente? Mistero. Da quello che appare, Washington assiste ai vari rivolgimenti con un atteggiamento di imbarazzato stupore, e gli improvvisati commenti del Presidente Obama suscitano ormai lo stesso interesse di quelli rilasciati da un tassista, o da un amico al bar.
La superpotenza, evidentemente, è in crisi d'identità. Quanto al suo storico appoggio a Israele (anch'esso, comunque, sopravvalutato: soldati americani sono caduti, negli ultimi settant'anni, a decine di migliaia, in quasi tutti gli angoli del pianeta, ma neanche uno al fianco degli israeliani), è forse presto per dire se, e in che misura, esso appaia in crisi, o indebolito; il sostegno allo Stato ebraico, per fortuna, è ancora sentito come giusto, necessario e importante da una larga maggioranza dell'opinione pubblica statunitense. Ma, certamente, Israele sa che, nel nuovo, sempre più preoccupante scenario, dovrà affidamento, in ogni caso, soprattutto su sé stesso.

(Notiziario Ucei, 23 febbraio 2011)

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Banca di Israele: aumento del tasso di interesse

La banca d'Israele innalza il tasso d'interesse, portandolo al 2.5 per cento. La decisione è stata presa nella serata di ieri dal governatore dell'istituto, Stanley Fischer; gli analisti internazionali, che avevano largamente preconizzato la mossa, sottolineano che si tratta del secondo mese di fila che il tasso d'interesse viene aumentato.
La Banca ha spiegato di aver preso questa decisione guardando alla rapida crescita economica che sta investendo il Paese, determinata dalla domanda interna. La scorsa settimana, l'Ufficio centrale delle statistiche ha pubblicato dati che mostrano un incremento del 7.8 per cento del prodotto interno lordo israeliano nel quarto trimestre del 2010: crescita che la stampa nazionale non ha esitato a definire «boom». Fischer ha dichiarato anche di aver riflettuto sui dati dell'inflazione e sul mercato immobiliare: «I prezzi delle case continuano a salire in modo esorbitante - ha sottolineato il governatore -, negli ultimi dodici mesi sono aumentati del 17.5 per cento. E malgrado in gennaio sia stata registrata una diminuzione del volume dei nuovi mutui, questa tendenza non sembra sul punto di rallentare, anzi».

(FocusMo, 22 febbraio 2011)

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Canale di Suez: giunte navi da guerra iraniane

di Serena Fiona Taurino

Sono entrate, alla fine, nelle acque del Canale di Suez sono passate stamane, all'alba del 22 febbraio, le navi da guerre iraniane attese già dalla settimana scorsa e annunciate da Teheran. E' il primo passaggio di navi iraniane nel Canale dal 1979, azione "provocatoria" secondo le autorità israeliane.
Un funzionario del Canale ha dichiarato che le due navi, una fregata ed una nave di approvvigionamento, "Sono entrate alle 5:45 (le 4:45 in Italia, ndr)". Il passaggio è stato autorizzato dal Consiglio militare al potere in Egitto dall'11 febbraio.
Scelta non facile sul piano diplomatico quella del giovane governo egiziano. Ricordiamo che il Paese è alleato degli Stati Uniti e ha un trattato di pace con Israele, firmato a Washington D.C. sotto l'egida di Jimmy Carter nel 1979, mentre le sue relazioni con l'Iran sono tese da oltre tre decenni.
Un portavoce del ministero israeliano degli esteri, commentando l'annuncio odierno delle autorità egiziane, ha affermato che la presenza militare iraniana nel Mediterraneo "é provocatoria, senza precedenti e rappresenta una sfida alla comunità internazionale".
Tuttavia i mass media israeliani non hanno avuto ancora alcuna conferma diretta dalle autorità isreaeliane del passaggio delle navi e, non si sa quanto prudentemente, si limitino a citare le notizia provenienti dall'Egitto.

(il Quotidiano Italiano, 22 febbraio 2011)

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Si finge nazi per vendicare la famiglia. Dopo 4 anni scopre l'SS che la sterminò

Lo storico americano ebreo Mark Gould, 43 anni, si è trasformato in neonazi per smascherare l'aguzzino che nel 1941 aveva fatto uccidere 28 dei suoi parenti. Su Bernhard Frank, 97 anni, ex Obersturmbannfuehrer di Hitler, ora le autorità Usa e la polizia di Wiesbaden hanno aperto un fascicolo.

Mark Gould (43 anni) con l'ex SS Bernhard Frank (97)
BERLINO - Per vendicare la sua famiglia sterminata dai nazisti, per quattro anni si è trasformato in uno di loro. Ha mangiato con loro, ne è diventato amico, si è vestito come loro e ha urlato i loro slogan. Lo storico americano ebreo Mark Gould, 43 anni, si è finto neonazi per smascherare l'aguzzino delle SS che aveva ucciso 28 membri della sua famiglia. Zii, cugini, nonni, il suo passato e parte del suo futuro. Ma la storia della vendetta Gould l'ha poi raccontata al quotidiano di Amburgo, la Bild.
Dopo averne seguito le tracce, dagli Stati Uniti Gould aveva deciso di trasferirsi in Germania nel 2006. Voleva denunciare la responsabilità nella Shoah di Bernhard Frank, 97 anni, ex Obersturmbannführer di Hitler, che negli anni aveva continuato a praticare indisturbato come 'dottore' e che dalla fine della guerra, viveva tranquillamente in Assia. Gould ne aveva ricostruito il passato, seguito la vita quotidiana, la professione. Frank non era stato un nazista qualsiasi, ma l'ultimo comandante dell'Obersalzberg, il nido dell'aquila sulle Alpi bavaresi, residenza di vacanza di Hitler.
Era stato soprattutto il braccio destro di Heinrich Himmler, capo delle SS che mise in atto la soluzione finale decisa dal Führer. La vendetta di Gould ha cominciato a prendere forma quattro anni fa. Una volta arrivato in Germania aveva iniziato a partecipare a numerose manifestazioni di veterani delle SS in Germania dove era riuscito ad avvicinare Frank. Lentamente l'aveva portato a confidarsi e a intrattenere un rapporto epistolare con lui.
Era stata la sua firma in una di queste lettere a confermargli che fosse proprio l'uomo che cercava: "Era la stessa apposta sotto l'ordine del 28 luglio 1941 di sterminare gli ebrei", ha raccontato Gould alla Bild. "Se la popolazione è inferiore dal punto di vista umano o della razza, bisogna fucilarli tutti", era il testo del messaggio con il quale Frank ordinò di sterminare la popolazione civile della Bielorussia.
In questi quattro anni, lentamente, Gould è riuscito a parlare con Frank anche di quell'ordine. L'ex Obersturmbannfuehrer gli aveva risposto così: "Non c'è niente da criticare, poiché gli ebrei hanno oppresso i tedeschi e con questo si sono scavati la loro fossa". Poco dopo che lo storico americano ha citato a Frank tutti i nomi dei suoi familiari, sterminati su suo ordine. Un appello agghiacciante di morte. "Sei un mio amico o un mio nemico?", gli ha risposto l'ex SS. Non ha mai avuto altra risposta, se non l'elenco di quei 28 nomi.
La Bild ha appreso da ambienti giudiziari che le autorità americane e la polizia regionale di Wiesbaden hanno aperto un fascicolo su Bernhard Frank, in vista di una possibile incriminazione.

(la Repubblica, 22 febbraio 2011)

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Da un sito pro Hamas

Israele, il grande grattacapo degli Usa in Medio Oriente

Press Tv. Secondo Mike Gravel, ex senatore degli Stati Uniti, Israele rappresenta ormai un ostacolo in Medio Oriente per Washington, com'è dimostrato dalle critiche mondiali mosse a Tel Aviv sulle continue attività coloniali nei Territori Palestinesi.
Gravel, in un'intervista concessa alla redazione di Press Tv dedicata agli Usa, ha infatti rivelato che questi ultimi sono l'unico Stato del mondo ad appoggiare Israele, il che rappresenta un enorme imbarazzo per Washington stessa.
Sarà interessante vedere come reagirà Israele, "ostacolo" degli Usa, di fronte al rifacimento dei governi in Egitto, Tunisia, Libia, Algeria ed altri paesi arabi, ha aggiunto l'ex senatore.
Le parole di Gravel si riferiscono in particolare al veto opposto quattro giorni fa dagli Stati Uniti nei confronti di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, in base alla quale si condannava la costruzione di colonie da parte d'Israele sulle terre occupate in Palestina. La risoluzione era stata appoggiata da 130 stati membri.
Si tratta inoltre del primo veto dalla salita al potere dell'amministrazione Obama, e giunge peraltro sullo sfondo delle proteste contro gli alleati degli Stati Uniti nel mondo arabo.
Secondo quanto riportato dai media, Washington ha sostenuto che è il processo di pace - e non le Nazioni Unite - a costituire il mezzo appropriato per risolvere la questione delle colonie, una delle principali dispute fra palestinesi ed Israele fin dal 1967 (anno d'inizio delle attività coloniali).

(Infopal, 22 febbraio 2011)


Ecco che cosa si aspettano queste persone: la stessa cosa che si aspettava nel 2001 l'allora "Ministro palestinese per le questioni su Gerusalemme" Faysal al-Hussein: cioè che gli Stati Uniti cessino di essere "l'unico Stato del mondo ad appoggiare Israele", che si stacchino da lui e lo lascino solo. Dieci anni fa l'elegante e forbito ministro palestinese se l'aspettava dai criminali atti terroristici della seconda intifada. L'aveva annunciato pubblicamente in una conferenza tenuta in Libano nel marzo 2001 per esaltare come una grande vittoria il ritiro delle truppe israeliane dalla zona di sicurezza sud libanese:
    "Noi ci aspettiamo molti scontri con gli israeliani nei prossimi mesi, soprattutto a Gerusalemme. Ci sono tutti gli elementi per un'esplosione. Noi siamo convinti che gli scontri in Gerusalemme scuoteranno il mondo dall'Indonesia al Marocco. E questo sarà un segno per gli USA, che saranno costretti a capire che il loro appoggio a Israele distruggerà la stabilità in tutta la regione. Ci troviamo davanti a una battaglia, e a questa adesso ci stiamo preparando" ( Notizie su Israele 1).
Due mesi dopo Faysal al-Hussein morì fulminato da un infarto cardiaco. E i palestinesi persero la battaglia della seconda intifada. Ma per i loro capi evidentemente la guerra continua. E quando alla fine riusciranno a staccare davvero gli Stati Uniti da Israele, sarà l'inizio della fine per gli Stati Uniti, non per Israele. M.C.

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Israele: dal ministero del Turismo un piano 'rivoluzionario' per il 2011

Previste numerose attività di marketing, tra gli obiettivi 4 milioni di turisti e 15.000 nuovi posti di lavoro

Il ministero israeliano del Turismo ha messo in atto un piano "rivoluzionario" per il 2011. Si tratta dello stanziamento di un budget di 740 milioni di Nis (circa 3.680.000 euro) destinato alla realizzazione di numerose attività di marketing e che mira a raggiungere i seguenti obiettivi: arrivo di 4 milioni di turisti, entrate per decine e decine di milioni di Nis, 15.000 nuovi posti di lavoro. Il budget di 740 milioni di Nis verrà così suddiviso: 265 milioni per attività di marketing destinate all'incremento del traffico aereo, basato sul posizionamento d'Israele come la Terra Santa, con Gerusalemme al suo centro. Nuove campagne pubblicitarie sono in programma; proseguiranno le attività di pr, i seminari per i t.o. e verranno ampliate le attività di co-marketing tra il Ministero e gli operatori del turismo. 375 milioni di Nis è il budget riservato agli investimenti e allo sviluppo delle infrastrutture, di cui 205 milioni destinati a promuovere gli investimenti nel settore del turismo e l'incremento dell'offerta alberghiera, tra cui la costruzione, l'ampliamento e la ristrutturazione di alberghi, soprattutto a Gerusalemme, attorno al Mare di Galilea, e nella regione della Galilea. Per la fine del 2011, è prevista l'apertura di 3.000 camere d'albergo in tutto il Paese.
170 milioni di Nis sono destinati allo sviluppo delle infrastrutture, compreso lo sviluppo delle città turistiche, gli itinerari, i parchi nazionali e nuovi sentieri. 30 milioni di Nis è il budget dedicato ai servizi e ai prodotti turistici, per dare un maggior supporto agli eventi religiosi e culturali, alla formazione di addetti ai servizi, compresi le guide turistiche, gli autisti di autobus, il personale della sicurezza e ad un accurato controllo del livello dei servizi negli alberghi e nei luoghi turistici.

(Guida Viaggi, 22 febbraio 2011)

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Israele: riuscito nuovo test missile antimissile "Arrow"

È stato coronato da pieno successo un nuovo test - il diciottesimo - del missile antimissile Arrow (Hetz), prodotto congiuntamente da Israele e Stati Uniti. Lo ha affermato il ministero israeliano della difesa.
Il test è avvenuto ieri nella costa occidentale degli Stati Uniti. Il missile Arrow è riuscito ad intercettare - grazie al proprio sistema radar "Pino Verde" - il suo obiettivo, che era stato lanciato dall'Oceano Pacifico. Questo obiettivo è stato distrutto nel punto prestabilito.
La settimana scorsa Israele aveva condotto con successo un altro test per verificare l'efficienza di "Cupola di ferro", un sistema di difesa concepito per intercettare i razzi a breve gittata sparati da Gaza verso il vicino territorio israeliano.
Secondo il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak "gli israeliani possono essere dunque fieri che Israele sia divenuto il Paese guida nel mondo nella difesa a più strati da missili e razzi".

(ticinonews.ch, 22 febbraio 2011)

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Israele: dialogo tra gli scrittori Erri De Luca e Meier Shalev

di Giuseppe Favilla

Erri De Luca
L'auditorium del Beit Aba Hushy di Haifa, in Israele, giovedì 24 febbraio, alle ore 19.00 ospiterà un incontro tra scrittori nell'ambito del dialogo interculturale tra Italia ed Israele. Erri De Luca, scrittore, traduttore e poeta napoletano, che ha conciliato impegno politico e sociale con la scrittura e il lavoro manuale, si confronterà con Meier Shalev.
De Luca, come autodidatta approfondisce lo studio di diverse lingue; tra queste c'è l'Ebraico antico, dal quale traduce alcuni testi della Bibbia. Lo scopo delle traduzioni di De Luca, che lui stesso chiama "traduzioni di servizio" - apprezzate anche dai più eminenti specialisti del settore - non è quello di fornire un testo biblico in lingua accessibile oppure elegante, bensì di riprodurlo nella lingua più simile e aderente all'originale ebraico.
Recentemente definito "lo scrittore del decennio" dal critico letterario del "Corriere della Sera" Giorgio De Rienzo, è anche poeta e traduttore. Svolge numerosi mestieri in Italia e all'estero, come operaio qualificato, camionista, magazziniere, muratore. Durante la guerra in ex-Jugoslavia è autista di convogli umanitari destinati alle popolazioni. Pubblica il primo romanzo nel 1989, a quasi quarant'anni: "Non ora, non qui", una rievocazione della sua infanzia a Napoli. Regolarmente tradotto in Francese, Spagnolo, Inglese, tra il 1994 e il 2002 riceve il premio France Culture per Aceto, arcobaleno, il Premio Laure Bataillon per Tre Cavalli e il Femina Etranger per Montedidio. È del 1999 il libro Tu, mio. Collabora a diversi giornali (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Avvenire, Gli Altri) e oltre ad articoli d'opinione, scrive occasionalmente anche di montagna.
Meier Shalev, figlio del poeta Itzhak Shalev, è uno degli scrittori israeliani più importanti tra i contemporanei e tra i più tradotti. Dopo un'esperienza come conduttore televisivo fra gli anni Settanta e Ottanta, si è dedicato a tempo pieno alla scrittura. Ha pubblicato libri per l'infanzia, una raccolta di saggi e vari romanzi, diventati best-seller internazionali.
Tra le sue opere ricordiamo "Per amore di una donna", ambientato prima del 1948, nel territorio sul quale in seguito sarebbe sorto lo Stato di Israele. Il romanzo narra le vicende di una donna e di tre uomini che si innamorano di lei, un contadino, un mercante di carni e un poeta. Nella stessa notte la donna andrà con tutti e tre e da questa unione nascerà un bambino, il cui padre sarà incerto. Nonostante ciò i tre uomini adotteranno insieme questo figlio e ognuno gli darà un'educazione diversa. Paradigma della convivenza fra cultura diverse…

(ItalNews, 22 febbraio 2011)

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Magdi Allam: "Errore più grave? Elezioni subito"

L'europarlamentare: "Dalla Tunisia all'Iran, ma non sarà il 1989 dell'Islam. C'è rischio deriva fondamentalista"

L'Europa non faccia l'errore di premere a tutti i costi per elezioni democratiche. I Paesi del Nord Africa non sono ancora pronti". A dirlo non è un fanatico del fondamentalismo islamico bensì uno dei suoi più accaniti avversari, Magdi Cristiano Allam, giornalista, oggi deputato europeo di 'Io amo l'Italia' e ospite del direttore di Libero Maurizio Belpietro a 'La telefonata' su Canale 5.

- Allam, cerchiamo di capire: regimi che sembravano eterni grazie al sistema poliziesco stanno crollando. Ora tocca alla Libia. Perché?
  E' sconvolgente la rapidità del contagio delle rivolte popolari: Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Bahrain. E' una realtà nuova, ma non possiamo parlare a qualcosa che assomiglia al 1989, perché in Egitto chi mantiente il potere è ancora l'esercito, come in Tunisia. Le cause? Economiche, la frustrazione dei giovani, le disparità palesi tra classi e genti. E ancora, motivazioni etniche, come in Libia".

- E' possibile che i regimi militari passino la mano attraversi elezioni democratiche?
  Noi in occidente siamo affascinati dalle elezioni, che però non esauriscono la democrazia. Ricordiamoci che attraverso elezioni sono andati al potere soggetti come Hitler, Mussolini, Khomeini in Iran, un partito fondamentalista come Hamas in Palestina... Non cadiamo nell'errore di esercitare pressioni per rapide elezioni con soggetti politici fragili e un estremismo islamico viceversa forte e radicato".

- L'alleanza tra esercito e Fratelli musulmani è plausibile?
  Sì, si può verificare una tacita intesa con sicurezza e politica estera in mano ai militari. Il punto critico è il rapporto con Israele, sempre più accerchiato da regimi islamici radicali, che predicano l'estinzione fisica degli israeliani".

- Secondo lei l'Europa non deve premere per una evoluzione 'all'occidentale'. Ma non dovrebbe preoccuparsi in caso di regimi islamici, anche per la fornitura del petrolio?
  In Libia è un genocidio, l'uso di aerei militari sulla folla è brutale e sconvolgente e rappresenta una sconfitta per tutti noi: Gheddafi l'abbiamo sostenuto, coccolato, gli abbiamo venduto armi in cambio di petrolio, fondi sovrani, aperture al libero mercato. Un tracollo così barbaro del regime ci interroga profondamente. La salvaguardia degli interessi delle nostre imprese, legittima, deve essere coniugata al rispetto per la persona e per i diritti umani".

- C'è il rischio che Iran e Siria vengano coinvolte dalla 'rivoluzione'?
  E' un'ipotesi forte perché sono Paesi in cui ci sono le stesse condizioni dei Paesi fin qui contagiati".

- Le comunità cristiane sono rischio?
  Certamente. Quattro giorni fa in Tunisia è stato sgozzato un giovane missionario salesiano. è un contesto in cui gli islamici radicali saranno sempre più forti: l'avvento di regimi peggiorerebbe la situazione".

(Libero-news.it, 22 febbraio 2011)

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Gaza - Hamas vieta ai parrucchieri maschi di lavorare per clienti donne

GAZA CITY - Il gruppo militante di Hamas ha proibito ai parrucchieri maschi di lavorare nei negozi di parrucchieri per donne. Lo ha riferito il Centro palestinese per i diritti umani che ha aggiunto che cinque parrucchieri uomini sono stati interrogati e obbligati a firmare una dichiarazione con la quale si impegnano a non lavorare in saloni per donne. I parrucchieri maschi per clienti donne sono rari nella conservativa Gaza, dove i due generi si mischiano raramente in pubblico. Hamas aveva tentato di imporre un simile divieto il marzo scorso, ma aveva rinunciato per via delle proteste. Si tratta dell'ultimo tentativo di Hamas di imporre la propria rigida interpretazione della legge islamica sui 1,5 milioni di abitanti di Gaza.

(Blitz quotidiano, 21 febbraio 2011)

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Fayyad: proposto a Hamas un governo di unità nazionale

Salam Fayyad
Salam Fayyad tende un ramoscello d'ulivo a Hamas. Ieri il Primo ministro palestinese ha proposto all'organizzazione islamico-radicale di formare un governo di unità nazionale, in modo da spianare la strada alle elezioni previste per la fine dell'anno.
Secondo la stampa palestinese, alcuni contatti in questo senso sarebbero già stati avviati: l'ex ministro degli Esteri dell'Autorità nazionale palestinese, Nabil Shaath, ha dichiarato che presto andrà a Gaza per incontrare alti dirigenti di Hamas e discutere della fattibilità della cosa. Il primo passo - ha spiegato Shaath - è tornare a lavorare su un documento di riconciliazione nazionale, elaborato tempo fa con il sostegno dell'Egitto. In un secondo tempo, ha aggiunto, un eventuale governo provvisorio di unità nazionale potrebbe organizzare nuove elezioni, presidenziali e politiche, in Cisgiordania e a Gaza. Finora, il leader di Hamas, Khaled Meshaal aveva dichiarato di non voler «legittimare» la competizione elettorale indetta dall'Anp. Nel 2007 tra i due partiti Hamas e al Fatah - forza principale dell'Anp - si consumò una rottura totale e cruenta in seguito al putsch militare condotto dagli islamisti nella Striscia. Da allora, tra le due formazioni va avanti una guerra fratricida, che è costata la vita a centinaia di palestinesi, migliaia secondo alcune fonti. Lo stesso presidente palestinese e capo dell'Anp, Abu Mazen, non ha più potuto mettere piede nella striscia costiera: ma ora l'offerta di Fayyad potrebbe forse cambiare le carte in tavola.

(FocusMo, 21 febbraio 2011)

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Iran, sedata la piazza Navi: allerta in Israele

L'opposizione iraniana ha cercato di tornare in piazza ieri a Teheran, ma è stata fronteggiata da un massiccio schieramento di forze di sicurezza, che ha arrestato brevemente Faezeh Hashemi, figlia dell'ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. I siti dell'opposizione hanno parlato di scontri, lanci di lacrimogeni e almeno un morto, ma le autorità hanno smentito. Ai giornalisti stranieri è fatto divieto di recarsi a coprire i raduni che non abbiano ottenuto il permesso delle autorità. Da parte sua, la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, è tornata a manifestare sostegno per quelli che ha definito «movimenti popolari islamici» in Egitto, Tunisia e altri Paesi arabi.
Ieri la tv di Stato Al Alam ha inoltre annunciato che «due navi da guerra hanno attraversato il Canale di Suez e stanno puntando verso un porto siriano», nel Mediterraneo. Ma il direttore dell'Ufficio operazioni del Canale, Ahmad al Manakhly, ha smentito: «Nessuna nave da guerra iraniana ha ancora attraversato il Canale», seppur autorizzate dall'Egitto. Però Israele è in allerta. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: «L'Iran prova ad approfittare della situazione instabile per estendere la sua influenza, spedendo due navi da guerra attraverso Suez e Israele considera che questa iniziativa sia grave. Le nostre necessità di sicurezza aumentano».

(Il Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2011)

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I paradossi di Hamas (in francese)


(Guysen TV, 20 febbraio 2011)

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Slitta il passaggio delle navi iraniane attraverso il canale di Suez

E' stato rinviato di 48 ore il passaggio attraverso il canale di Suez di due navi da guerra iraniane che devono raggiungere la Siria. Lo hanno riferito fonti dell'ente di gestione dello stesso canale.
La fregata Alvand e la nave d'appoggio Kharg, secondo le fonti, avrebbero dovuto imboccare la via d'acqua domani mattina. Stamane la tv iraniana aveva annunciato che le due unità erano già transitate attraverso il canale, ma l' agenzia iraniana Fars aveva poi smentito la notizia.

(Tutto Pozzallo, 21 febbraio 2011)

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Energia: per Israele possibile un'autosufficienza per cento anni

Israele potrebbe vedersi assicurato un secolo di autosufficienza energetica grazie alla recente scoperta, il Leviatan, che rappresenta la maggior riserva di gas trovata in mare degli ultimi dieci anni: lo sostiene l'esperto israeliano Yacob Gilboa, che e' anche professore di geologia. Il Leviatan, che si trova a 130 chilometri dalla citta' di Haifa (nel nord-est del Paese) potrebbe iniziare a produrre gas entro i prossimi cinque anni. Il giacimento ha una capacita' di 450 mila milioni di metri cubi di gas e potrebbe anche nascondere riserve di petrolio a 1.700 metri di profondita' .

(la Repubblica, 21 febbraio 2011)

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Un arabo israeliano va contro la Coca Cola per un ingrediente alcolico

Un arabo israeliano, Malek Salaimeh, ha deciso di ingaggiare una battaglia legale contro la Coca Cola dopo aver appreso di recente - dalle rivelazioni di un sito web statunitense - che in quella bevanda potrebbe esserci una piccola componente di alcol, sostanza il cui consumo è vietato ai fedeli islamici.
«Per me si tratta di un vero incubo», ha spiegato Salaimeh alla radio militare, commentando la propria iniziativa che ha già avuto eco sulla stampa locale. «Da buon musulmano, prego cinque volte al giorno e digiuno nel periodo del Ramadan. Non voglio certo andare incontro a punizioni celesti per aver consumato, a mia insaputa, dosi di alcol». A suo parere era dovere della Coca Cola di precisare che fra gli elementi utilizzati vi era anche l'alcol. «Se lo avessi saputo - ha assicurato - non avrei nemmeno preso in mano le loro bottiglie». Da adesso ne ha comunque già cessato il consumo.
Rivolgendosi ad un tribunale israeliano a nome di tutti i musulmani di Israele (oltre un milione di persone) Salaimeh chiede ora 1'000 shekel a persona (circa 200 euro) come indennizzo, ossia 1,1 miliardi di shekel. La Coca Cola, precisa il quotidiano «Yediot Ahronot», ha replicato che la produzione della bevanda è controllata in maniera meticolosa in oltre 200 Paesi al mondo i quali concordano che essa non è alcolica.

(swisscom, 21 febbraio 2011)

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Israele in forte crescita economica

GERUSALEMME, 20 febbraio 2011 - Il prodotto interno lordo di Israele ha fatto registrare un boom nell'ultimo quarto del 2010. I dati sono stati pubblicati dall'Istituto centrale di statistica dello Stato israeliano. La crescita ammonta al 7,8 per cento. «L'alta percentuale di crescita nella seconda metà del 2010 - ha commentato il ministro delle Finanze, Yuval Steinitz - dimostra il successo della politica economica del governo: responsabile e originale».«Il budget per il 2011-12 - ha aggiunto il ministro - include misure decise per valorizzare la crescita riducendo gli squilibri sociali. La più degna di nota è la redistribuzione su livello nazionale degli introiti fiscali, che consentirà a chi guadagna poco di ottenere un supplemento di salario dallo Stato. Risorse sono state destinate anche alla scuola, con un vasta riforma dell'educazione superiore, e al miglioramento delle infrastrutture tra la periferia e il centro del Paese». Mantenendo la disciplina fiscale e la cooperazione tra le forze sociali, ha concluso Steinitz, «Israele sarà in grado di mantenere questi livelli di crescita, e tutta la popolazione ne beneficerà».

(Notiziario Ucei, 20 febbraio 2011)

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Israele, scoperta a Hirbet Madras una chiesa bizantina

GERUSALEMME, 20 feb. - Una chiesa e un magnifico pavimento a mosaico sono tornati alla luce durante gli scavi compiuti dalla Israel Antiquities Authority a Hirbet Madras, nella piana costiera della Giudea. Vari studiosi che hanno visitato il sito durante gli scavi hanno detto che potrebbe trattarsi della residenza e della tomba del profeta Zaccaria. Nei mesi scorsi era stato condotto uno scavo archeologico a Hirbet Madras in seguito ad un furto di reperti durante il quale i ladri avevano cercato di forzare e saccheggiare un antico complesso sotterraneo.

(Adnkronos, 20 febbraio 2011)

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Navi iraniane nel Mediterraneo: è giallo

La tv di stato di Teheran annuncia il passaggio da Suez, ma le autorità del Canale smentiscono

La nave da guerra iraniana Kharg
MILANO - E' giallo sulle due navi iraniane che potrebbero essere transitate dal canale di Suez dirette nel Mediterraneo. Israele già da due giorni ha lanciato l'allarme predispondendo anche pattugliamenti, mentre le autorità egiziane spiegano che il transito non è avvenuto. Le due navi da guerra iraniane, la fregata Alvand, e la nave appoggio Kharg, non solo non sono transitate nel Canale di Suez, ma non sono neppure arrivate nell'area di attesa dove tutte le navi attendono in fila di ricevere l'ordine di passare ha detto alla tv di stato egiziana il direttore dell'ufficio traffico del Canale, ingegner Mohamed el Manakhly.
TESI CONTRAPPOSTE - Gli iraniani, dal canto loro sostengono invece la tesi dell'attraversamento dela Canale. «Due navi da guerra hanno attraversato il Canale e stanno puntando verso un porto siriano», aveva detto la tv di stato iraniana in lingua araba. Israele aveva definito il passaggio, che sarebbe il primo dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, come «una provocazione».
ISRAELE - Israele considera grave l'iniziativa iraniana» di inviare nel Mediterraneo due navi da guerra: ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu, aprendo la seduta settimanale del consiglio dei ministri. L'Iran, secondo il premier, cerca di sfruttare la instabilità regionale per estendere la propria influenza nel Medio Oriente. La missione affidata a quelle navi, ha rilevato, nè un chiaro esempio.
USA - Gli Stati Uniti stanno seguendo da vicino il possibile transito di due navi da guerra iraniane dal canale di Suez, ha detto invece la Casa Bianca. «Ovviamente stiamo seguendo la situazione», ha detto il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. «Ma dobbiamo aggiungere che l'Iran non ha un passato di condotta responsabile nella regione», ha aggiunto il portavoce nel suo briefing ai media a bordo dell'Air Force One.

(Corriere della Sera, 20 febbraio 2011)

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Hamas, martedì l'Egitto riapre il valico di Rafah

RAFAH - L'Egitto ha deciso di riaprire da martedi' il valico di Rafah con la Striscia di Gaza, chiuso per le proteste anti-Mubarak. Lo ha riferito un dirigente di Hamas, Ghazi Hammad, che ha spiegato che saranno consentiti 300 transiti al giorno. Quello di Rafah e' l'unico accesso a Gaza che non e' controllato da Israele .

(AGI, 20 febbraio 2011)

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Articolo da leggere con attenzione

Israele. La fine dell'era Erekat?

di Jonathan Schanzer

Il capo negoziatore dell'Autorità Palestinese Saeb Erekat ha aspramente criticato, il mese scorso, la tv AL-Jazeera per aver pubblicato documenti "riservati" relativi ai suoi negoziati di pace con Israele, sostenendo che quel reportage aveva messo in pericolo la sua vita. Tre settimane più tardi, quella che sembra essere finita è la sua vita politica. Sabato scorso Erekat ha rassegnato le dimissioni.
Dalla cascata di documenti in stile WikiLeaks conosciuta come "Palestine Papers" è emersa di lui l'immagine di un uomo che era perfettamente a proprio agio, e persino in scherzosa confidenza, con i suoi interlocutori americani e israeliani, pronto a insistere per ottenere concessioni ma anche a farne a sua volta quando necessario. Nel documento a cui la maggior parte degli osservatori attribuisce la sua fine politica, Erekat fa riferimento ai profughi palestinesi come "materia di trattativa", contraddicendo la sua posizione pubblica secondo cui i diritti dei profughi sarebbero assolutamente inalienabili.
La fine dell'era Erekat mette in rilievo un infelice postulato della diplomazia in Medio Oriente: i leader palestinesi non si prenderanno alcun rischio per la pace, non diranno alla loro gente che sono necessari compromessi per porre fine al conflitto e avviare il duro lavoro di edificazione di uno stato.
Al contrario, alimentano la loro popolazione con una dieta costante a base di teorie cospiratorie anti-sioniste, incolpano Israele di tutti i loro mali e imbottiscono il loro pubblico di odio contro i loro alleati, come l'America.
Questa è la narrativa ultranazionalista che va avanti da decenni.
Ben pochi leader palestinesi hanno il coraggio di contestare questa dottrina popolare. Erekat certamente non l'ha mai fatto. Certo, è un diplomatico esperto. Ha partecipato alla Conferenza di Madrid del 1991 e, due anni dopo, alla firma degli Accordi di Oslo sul prato della Casa Bianca (con Rabin e Arafat). Era a Camp David nel luglio del 2000 e a Taba nel 2001.
Praticamente dopo ogni negoziato, però, usciva con la fronte accigliata a un linguaggio tagliente. Ogni volta attribuiva il mancato raggiungimento di un accordo all'intransigenza israeliana o alla collusione degli americani con Israele, sempre al di là del minimo accettabile per i palestinesi.
Ma dopo aver letto i Palestinian Papers è lecito domandarsi: quanto di tutto questo era solo una messinscena?
Nel 1995 Erekat proclamava: "Il processo di pace ci sta sfuggendo di mano per colpa della titubanza di Rabin". Rabin, che quello stesso anno sarebbe stato assassinato, era probabilmente il miglior interlocutore di pace che i palestinesi avessero mai avuto.
L'anno seguente Erekat puntava il dito contro l'inviato Usa Dennis Ross, un professionista dei negoziati di pace, dileggiandolo per il suo ottimismo sulla pace: "Forse il signor Ross vede progressi a modo suo, ma noi non vediamo alcun progresso". Nel 1997 dava la colpa a Washington per le battute d'arresto diplomatiche, nonostante fosse sotto gli occhi di tutti che i continui attentati terroristici di Hamas rendevano quasi impossibile negoziare. "Il fatto che gli Stati Uniti non si sono mostrati fermi con Netanyahu - diceva - ha fatto perdere credibilità al processo di pace".
Quando nel 1999 il presidente Bill Clinton lanciò uno sforzo finale per la pace, Erekat sostenne che gli israeliani cercavano di garantirsi che il processo di pace fosse "distrutto ancor prima di iniziare".
Durante il vertice di Camp David del 2000 - l'occasione in cui le due parti furono più vicine che mai a firmare la pace - Erekat se ne uscì con una delle sue più madornali dichiarazioni, mortificando l'allora predominante tono di cauto ottimismo: sostenne che Israele non poteva avanzare alcuna rivendicazione storica su Gerusalemme. "Non credo - disse - che ci sia mai stato un Tempio (ebraico) sull'Haram (Monte del Tempio). Non lo credo proprio". Quando Fatah, la fazione di Erekat, nel settembre 2000 lanciò l'intifada al-Aqsa, egli diede a Israele la colpa "di tutti gli attuali sviluppi", pur ammettendo apertamente di avere, lui, abbandonato il tavolo delle trattative. Successivamente attaccò gli Stati Uniti per "aver accusato e bastonato i palestinesi" (per il fallimento delle trattative).
Quando il presidente George W. Bush bandì dalla Casa Bianca l'allora leader dell'Autorità Palestinese, Yasser Arafat, per il suo ruolo nel fomentare le violenze, Erekat si presentò come l'uomo chiave della diplomazia. Disse: "Parlare con me, arrivare a un accordo con me, creare uno stato palestinese accanto allo stato di Israele, questo è ciò che garantirà pace e opportunità". Corse persino voce, dopo la morte di Arafat nel 2004, che Erekat aspirasse a diventare presidente. Ma nel 2005 il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) lo escluse dal suo governo. E solo quando il presidente Barack Obama resuscitò il processo diplomatico, Erekat ricomparve come figura chiave.
Diplomatici navigati parevano convinti che la presenza di Erekat costituisse un vantaggio netto per il processo di pace. Ma la verità è che Erekat non si è mai assunto la responsabilità di un solo insuccesso palestinese, e non ha mai fatto il minimo sforzo di per preparare la sua gente ai compromessi che avrebbe dovuto fare. La sua uscita di scena sarebbe dovuta avvenire molto prima.

(Osservatorio Sicilia, 20 febbraio 2011)


"Non credo - disse - che ci sia mai stato un Tempio (ebraico) sull'Haram (Monte del Tempio). Non lo credo proprio". Una persona che fa in pubblico dichiarazioni come questa non avrebbe mai dovuto essere presa in considerazione come interlocutore.

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L'accusa di Israele: "Missili a lunga gittata su una delle navi militari iraniane"

L'allarme l'hanno lanciato i servizi segreti israeliani. Sulla Kharg, una delle due navi militari iraniane che stanno per attraversare il canale di Suez, ci sarebbero centinaia di missili a lungo raggio per i miliziani di Hezbollah. Armi in grado di colpire Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme in pochi minuti. Senza lasciare scampo ai civili.
Il report - secondo i bene informati - si troverebbe già sul tavolo del presidente americano Obama e dei vertici militari egiziani. Gli stessi, questi ultimi, che venerdì 18 hanno dato l'ok al passaggio, dopo aver ritirato l'autorizzazione il giorno prima.
Le due navi dovrebbero approdare o a Beirut oppure in un porto siriano. Il passaggio, tutto in acque internazionali, non esclude però un blitz militare israeliano. E quel dossier sulla scrivania di Obama serve più per avere l'ok dell'amministrazione americana a un intervento al largo delle coste israeliane.
Una prima risposta - americana - l'ha data il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, P. J. Crowley: «Sono molto scettico sul fatto che le navi iraniane stiano andando in Siria solo per esercitazioni congiunte». E ancora: «Nel momento in cui queste attraverseranno Suez, a quel punto valuteremo quali sono le loro reali intenzioni». L'unica cosa che - legalmente - si possa fare è quello di metter su una squadra speciale congiunta delle Nazioni Unite per controllare, in acque internazionali, il vero carico delle navi militari. Questo in forza delle sanzioni imposte dell'Onu all'Iran.
Certo, gl'interrogativi restano. E sono tanti. Cosa stanno trasportando davvero quelle due navi? Niente, come dicono gl'iraniani, o armi, come sostengono gl'israeliani? Dove sono diretti davvero? Dove sta andando tutto quello che c'è in stiva? Nel Mossad c'è chi ha avanzato l'ipotesi che questo gesto eclatante serva anche a distrarre dall'altro fronte, quello iracheno-siriano. È in quest'area che, negli ultimi tre anni, sono passati armi e munizioni. Non solo per Hezbollah, ma anche per Hamas. Un viaggio lungo migliaia di chilometri che parte da Teheran, attraversa il confine turco-iracheno, approda in Siria, poi finisce a Beirut, nelle mani di Hezbollah.
L'unica certezza, per ora, è che quelle due navi - a meno di ripensamenti egiziani - passeranno attraverso il canale di Suez ed entreranno nel Mediterraneo. Per la prima volta dal 1979.

(Falafel Cafè, 19 febbraio 2011)

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WikiLeaks: l’opposizione del Bahrain addestrata da Hezbollah

I gruppi dell'opposizione del Bahrain sono stati addestrati dal movimento sciita libanese di Hezbollah. Questo quanto il re del Bahrain Hamad bin Isa al-Khalifa, sunnita, ha dichiarato al generale statunitense David Petraeus nel luglio del 2008, quando questi guidava le forze alleate in Iraq. Lo rivela un documento diplomatico americano svelato da WikiLeaks. Nello stesso colloquio con l'alto ufficiale americano, il monarca ha anche accusato la Siria di essere coinvolta nelle attivita' mirate a far cadere la dinastia sunnita, pur ammettendo di non avere prova a dimostrazione di questa tesi.
Al-Khalifa confesso' quindi a Petraeus che l'Iran aveva invitato il Bahrain a partecipare alla sua lotta per espellere le forze armate americane dalla regione del Golfo persico.

(Aki, 19 febbraio 2011)

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Uno sguardo al 2011: il Ministero Israeliano del Turismo mira a nuovi record

Il Ministro israeliano del Turismo
Stas Misezhnikov
Il Ministero Israeliano del Turismo ha messo in atto un piano "rivoluzionario" per il 2011: si tratta dello stanziamento di un budget di NIS 740 milioni (circa € 3.680.000,00) destinato alla realizzazione di numerose attività di marketing e che mira a raggiungere i seguenti obiettivi: arrivo di 4 milioni di turisti; entrate per decine e decine di milioni di NIS; 15.000 nuovi posti di lavoro.
Il budget di 740 milioni di NIS verrà così suddiviso:265 milioni di NIS (circa € 53.140.000,00) per attività di marketing destinate all'incremento del traffico aereo, basato sul posizionamento d'Israele come la Terra Santa, con Gerusalemme al suo centro.
Nuove campagne pubblicitarie sono in programma; proseguiranno le attività di PR, i seminari per il Tour Operators e verranno anche ampliate le attività di co-marketing tra il Ministero e gli operatori del turismo.
375 milioni di NIS (circa € 75.196.000,00) è il budget riservato agli investimenti e allo sviluppo delle infrastrutture, di cui 205 milioni di NIS (circa € 41.410.000,00) destinati a promuovere gli investimenti nel settore del turismo e l'incremento dell'offerta alberghiera : la costruzione, l'ampliamento e la ristrutturazione di alberghi, soprattutto a Gerusalemme , attorno al Mare di Galilea, e nella regione della Galilea. Per la fine del 2011, è prevista l'apertura di 3.000 camere d'albergo in tutto il paese.
170 milioni di NIS (circa € 34.089.000,00) sono destinati allo sviluppo delle infrastrutture, compreso lo sviluppo delle città turistiche, gli itinerari, i parchi nazionali e nuovi sentieri.
30 milioni di NIS (circa € 6.015.000,00) è il budget dedicato ai servizi e ai prodotti turistici, per dare un maggior supporto agli eventi religiosi e culturali, alla formazione di addetti ai servizi, compresi le guide turistiche, gli autisti di autobus, il personale della sicurezza e ad un accurato controllo del livello dei servizi negli alberghi e nei luoghi turistici.
Il Ministro del Turismo Stas Misezhnikov ha affermato che "il Ministero del Turismo è già al lavoro per far sì che l'economia del paese sia in grado di gestire il numero previsto di arrivi nel 2011. Il Governo è stato invitato a dare il suo sostegno alle attività di marketing del Ministero del Turismo, al suo programma di investimenti e al miglioramento del prodotto turistico al fine di raggiungere il potenziale del turismo in Israele. Va ricordato che gli obiettivi che ci siamo prefissi non mancheranno di migliorare l'immagine d'Israele nel mondo ".

(Tribuna Economica, 19 febbraio 2011)

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I minatori cileni ospiti del Ministero Israeliano del Turismo

I 33 minatori cileni, messi in salvo grazie alla clamorosa operazione di salvataggio dello scorso anno, hanno accolto l'invito rivolto loro nell'ottobre 2010 dal Ministro Israeliano del Turismo, Saas Mizezhnikov, a partecipare assieme alle loro consorti ad un pellegrinaggio in Terra Santa.
Il gruppo soggiornerà in Israele, ospite del Ministero Israeliano del Turismo, dal 23 Febbraio al 2 Marzo e parteciperà ad un tour che comprende numerose visite ai luoghi sacri cristiani a Gerusalemme - la Via Dolorosa, la Chiesa del Santo Sepolcro, il Giardino del Getsemani, la Sala del Cenacolo - e altri siti come il Muro del Pianto e la Tomba del Re David. E' prevista anche una visita alla Chiesa della Natività a Betlemme. Il gruppo si recherà anche al Mar Morto, a Masada e in Galilea per visitare la Chiesa dell'Annunciazione, Cafarnao, il Monte delle Beatitudine e Cesarea, e concluderà il tour a Tel Aviv, Jaffo .
In occasione della loro visita , i minatori e le loro consorti saranno anche ricevuti dal Presidente d'Israele Shimon Peres.
" Sarà un grande onore per noi darvi il nostro caloroso benvenuto in Terra Santa ", ha affermato il Ministro Israeliano del Turismo. " Il vostro coraggio la forza d'animo e la fede che vi ha sorretto durante il lungo periodo trascorso nelle viscere della terra, sono stati per tutti noi una fonte di profonda riflessione.

(Tribuna Economica, 19 febbraio 2011)

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Quella giornalista stuprata ci ricorda che cos'è la rivolta d'Egitto

di Fiamma Nirenstein

In Piazza Tahrir, che come un grande teatro a più scene ci ha rappresentato per giorni scene di rivoluzione, di gioia e di morte, commedie e tragedie, un'inviata della CBS News è stata brutalizzata sessualmente per mezz'ora da una folla di uomini eccitati. Grandi rivoluzionari, decine di grandi combattenti della libertà che il mondo intero stava esaltando; bastava guardare la CNN e la BBC. Il cameraman di Lara Logan, una bella donna di 39 anni, veterana dell'Irak e dell'Afghanistan, è stato trascinato via e picchiato; la giornalista è stata infine salvata da una folla che le cronache definiscono di «donne e soldati», ma chissà se è una narrativa mirata a ricomporre un'icona.
Negli altri angoli della piazza la storia seguiva il copione: si gridavano slogan, si resisteva all'attacco degli uomini cammellati di Mubarak, si marciava, si filmavano giovani blogger, donne con e senza velo, la loro sete di libertà, il loro coraggio… Intanto, in quell'angolo si stava svolgendo una scena che non poteva, non doveva dire nulla sulla rivoluzione che piace alle telecamere, che nutre gli stereotipi più cari all'informazione liberal. Questa informazione per giorni ha nascosto che non pochi fra i giornalisti occidentali, tutti favorevoli alla rivoluzione, venivano in realtà strattonati e minacciati, talora portati via dalle forze dell'ordine…
Non si è parlato neppure dei molti feroci slogan antisemiti e antiamericani, ben documentati da tante foto. I volti ripresi dalla telecamera di coloro che hanno aggredito sessualmente e brutalizzato Lara sono stati oscurati. I giornalisti in piazza erano là per raccontare la bella rivolta degli egiziani contro il dittatore, per parlare di libertà e di futuro, di modernità e di speranza. Cosa c'entrava che Lara venisse violentata? Che le urlassero, come è accaduto, «ebrea ebrea», giusto la peggiore fra tutte le accuse che quella folla potesse concepire? E mentre Lara veniva trasportata, ridotta a uno straccio, lontano dalla folla per essere rimpatriata e trasferita in un ospedale americano noi giornalisti continuavamo a cantare le lodi di quella piazza. Non solo: altri giornalisti americani, fra cui un certo Nir Rosen, hanno creduto di dover mettere in dubbio la veridicità della storia di Lara, definita una guerrafondaia. Dopo Rosen si è dovuto scusare, ma intanto aveva pagato il suo tributo al suo fantasma di rivoluzione: una folla in rivolta non può che essere buona. Ma non è così: una donna bionda in piazza a lavorare in mezzo a decine di migliaia di maschi, in particolare arabi, è una sfida culturale. Chi ha frequentato come mi è capitato, e come è certo capitato anche a Lucia Annunziata che ha scritto un pezzo su questa vicenda, di trovarsi in una situazione affollata e confusa in questi mondi, sa che può giungere un momento in cui al rischio che ogni giornalista corre, per una donna si aggiunge quello sessuale, che la stessa presenza di una donna crea un circuito di adrenalina, una situazione di aggressività. Può accadere ovunque, ma questo peggiora quando ci si trova in una società in cui, secondo quello che ha riportato all'ONU l'Associazione per i diritti legali delle donne basata al Cairo,le donne egiziane sono private dei loro diritti fondamentali, inclusi quelli di possedere il loro corpo e le loro proprietà. I maschi che uccidono le donne in genere non vengono puniti; se lo sono, restano in carcere fra i due e i quattro anni.
Riporta l'Annunziata che ogni giorno il 98 per cento delle donne straniere in Egitto viene molestata, e così accade al 60 per cento delle donne egiziane. Il più recente rapporto PEW sull'opinione pubblica comunica che l'82 per cento è favorevole alla lapidazione delle adultere. Questo tipo di informazioni le abbiamo lette raramente nei giorni di Piazza Tahrir, invece sono fondamentali per capire cosa è stato l'Egitto, cosa è, e anche purtroppo probabilmente, che cosa sarà o contro che cosa dovrà battersi per diventare un Paese democratico. Solo non chiudendo i nostri e gli altrui occhi su questa realtà noi giornalisti possiamo aiutare a evitarlo.

(il Giornale, 19 febbraio 2011)

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Tel Aviv, tutti gli eventi più importanti della città che non dorme mai

MILANO - Tel Aviv sempre sorprende e stupisce. Ecco una serie straordinaria di imperdibili appuntamenti. Tutti i dettagli qui di seguito su tutti gli appuntamenti più importanti nella città che non dorme mai. A Tel Aviv, i Festival dedicati all' Arte, la Cultura e lo Sport .
Tel Aviv, la "città più internazionale d'Israele", come viene definita dalla Lonely Planet che l'ha inclusa tra le World Top Ten Cities per il 2011, ha recentemente pubblicato un elenco di festival dedicati all'arte, la cultura, lo sport e la musica, che si terranno da Febbraio a Settembre 2011.
Tali eventi, destinati ai visitatori in arrivo nella città costiera mediterranea, non mancheranno di attirare un vasto pubblico e di sorprendere i partecipanti per la loro originalità.

- TLV RUN TLV - 8 Aprile
E' la maratona annuale che propone ai corridori un percorso lungo le spiagge, i parchi, i quartieri Bauhaus della Città Bianca. Quattro sono le corse - da 2.6, 6.2, 13 e 26 miglia - che partiranno dal Parco Charles Clore.
www.tlvmarathon.co.il
- Tel Aviv-Jaffa Open House - 20-21 maggio
I partecipanti a questo evento annuale hanno modo di scoprire le origini e il significato storico di alcuni edifici, residenze e monumenti della città.
www.batim-il.org
- Festival Notte Bianca - 30 giugno
Come ogni anno, il Festival celebra la designazione dell'Unesco attribuita a Tel Aviv, "Città Bianca", per la sua eccezionale collezione di monumenti Bauhaus. Per tutta la notte, decine di migliaia di residenti e visitatori si riversano nelle strade per partecipare ai vari eventi culturali, musicali e teatrali che si svolgono all'aperto, e agli happening proposti dai migliori ristoranti della città. Gratuiti sono gli ingressi ai musei e alle gallerie d'arte.
www.visit-tlv.co.il
- Opera in the Park - 14 luglio
E' il concerto annuale del Coro della Israel Opera. Solisti internazionali ed israeliani si esibiscono nel Flauto Magico di Mozart diretto dal Maestro David Stern. L'evento si svolge nel cuore del Parco Hayarkon di Tel Aviv.
www.israel-opera.co.il/eng
- Loving Art. Making Art- 8-10 Settembre
Il Festival apre la stagione delle mostre dedicate all'arte . Più di 75 musei e gallerie d'arte sono aperti fino a tarda sera, e tante altre mostre collocate nelle vie della città sono pronte ad accogliere il pubblico.
www.goisrael.it

(Cinquew.it, 18 febbraio 2011)

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Egitto, via libera a navi Iran in canale di Suez

CAIRO - L'Egitto ha dato il via libera al passaggio di due navi da guerra iraniane attraverso il canale di Suez. Lo ha detto oggi una fonte della sicurezza, dopo che il ministro degli Esteri israeliano aveva definito la richiesta da parte iraniana "un gesto provocatorio".
"L'Egitto ha dato il via libera al passaggio di due navi iraniane attraverso il Canale di Suez", ha detto a Reuters la fonte.
La tv di stato e l'agenzia di stampa ufficiale hanno successivamente riportato la notizia, senza citare fonti. Una fonte dell'esercito aveva detto in precedenza che il ministero della Difesa stava valutando la richiesta da parte dell'Iran in merito al passaggio delle navi attraverso l'idrovia strategico.'
Gli Stati Uniti, intanto, hanno fatto sapere che stanno monitorando il possibile passaggio delle due navi iraniane attraverso il canale di Suez e hanno aggiunto di non ritenere che l'Iran si sia comportato in maniera responsabile nella regione.
Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, parlando con i giornalisti a bordo dell'Air Force One durante un volo dalla California all'Oregon, ha detto: "Stiamo monitorando la situazione, ovviamente. Ma vorremmo anche dire che l'Iran non ha un passato di comportamenti responsabili nella regione", ha aggiunto Carney.

(Reuters, 19 febbraio 2011)

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Raitalia arriva in Israele

Dal primo febbraio la Raitalia arriva in Israele. NewCo Rai International - società che ha il compito di incrementare la presenza dell'azienda di viale Mazzini a livello internazionale - ha raggiunto un accordo per la distribuzione del canale Rai con Yes DBS, operatore della tv satellitare a pagamento leader in Israele.
Raitalia sarà offerto come canale premium agli abbonati di Yes Dbs, che potranno vedere, tra le altre cose, il campionato di calcio delle serie A e B in diretta. Raitalia è un canale internazionale trasmesso in tutto il mondo, Europa esclusa, che trasmette sia una selezione di programmi Rai, sia programmi originali, prodotti ad hoc per gli italiani residenti all'estero. Il partner, Yes DBS, è l'unico operatore israeliano nella tv satellitare a pagamento: conta 130 canali televisivi per 600 mila abbonati. Attivo dal 2000, nell'ultimo decennio ha consolidato la sua presenza nel mercato dei servizi televisivi in abbonamento, conquistando il 40% circa del mercato televisivo multicanale nazionale.

(FocusMo, 18 febbraio 2011)

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Fratelli Musulmani: il popolo deciderà sul trattato pace con Israele

IL CAIRO, 18 feb - Spettera' al popolo egiziano decidere se mantenere o revocare il trattato di pace in vigore con Israele dal 1979. Lo ha dichiarato un portavoce dei Fratelli Musulmani, Essam al-Erian, in un'intervista ad al-Arabiya nella quale ha spiegato che il gruppo islamico non ha alcuna intenzione di imporre il proprio punto di vista in merito. ''La decisione sul trattato non spetta alla Fratellanza, spetta a tutto il popolo egiziano'', ha detto il portavoce del principale gruppo di opposizione in Egitto.

(Adnkronos, 18 febbraio 2011)

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Abbas: "Il quartiere armeno è parte integrante di Gerusalemme est"

"L'Autorità palestinese considera il quartiere armeno del centro storico di Gerusalemme, parte integrante di Gerusalemme est e non ha intenzione di tornare sui propri passi" ha riferito il presidente Abbas mercoledì.
La dichiarazione è stata fatta durante un incontro con i leader delle varie comunità cristiane presenti a Gerusalemme e in Cisgiordania, nel suo uffico di Ramallah. Documenti pubblicati da Al-Jazeera il mese scorso mostrano come i negoziatori palestinesi abbiano chiesto ad Israele di rinunciare alle rivendicazioni sui quartieri in questione. Abbas sostiene invece che l'Autorità è impegnata a supportare le comunità cristiane e ad accrescere il loro ruolo nella società palestinese. Il presidente ha inoltre aggiunto che il governo è pronto a sostenere qualsiasi progetto finalizzato a preservare la presenza cristiana nei territori palestinesi.

(FocusMo, 18 febbraio 2011)

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Exploit di turisti italiani a Israele, +30% nel 2010

Cresce a doppia cifra la popolarità di Israele fra i turisti italiani: nel 2010 gli arrivi sono saliti del 30% (contro il +3,4% della media dei mercati incoming), toccando quota 157mila presenze. "A questo dato va poi aggiunto quello dei crocieristi, che stimiamo all'incirca in 10mila presenze" precisa Tzvi Lotan, consigliere per gli Affari Turisti dell'Ambasciata d'Israele. Solo l'anno record del 2000, trainato dal Giubileo e dalla visita papale, aveva fatto meglio, con 170mila presenze italiane in Terra Santa. Ma l'obiettivo per il futuro vicino è ancora più ambizioso: "Vogliamo raggiungere, entro il 2012, i 200mila arrivi dall'Italia, superando il record storico dell'anno 2000" annuncia Lotan. La quota di turismo religioso si conferma, come negli anni scorsi, intorno al 60%.

(TTG, 18 febbraio 2011)

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La rete della memoria: Il nuovo libro di Enhanced Press e BBN sull'antisemitismo

A pochi giorni dalla passata "Giornata della memoria 2011" Enhanced Press in collaborazione con la casa editrice BBN pubblica un libro sull'antisemitismo.
La rete della memoria (questo il titolo dell'opera) analizza il tema del pregiudizio antisemita attraverso approcci diversificati di carattere storico-letterario (moduli 2 e 6: da Dante a Shakespeare, fino alla letteratura della Shoah), storico-sociale (moduli 1, 3, 4, 5: di più tradizionale impostazione storiografica ma densi di elementi di carattere sociologico), e filosofico (modulo 7). Ogni modulo è corredato da un apparato di testi (brani letterari, memorialistica, documenti storici originali e - nella versione scolastica - di esercizi, così da offrire contemporaneamente alle informazioni storiche più attinenti al tema dell'opera, anche un'immagine a "largo spettro" della cultura ebraica e dei suoi rapporti con la civiltà europea moderna e contemporanea.

Il libro elettronico è disponibile per iPhone e iPad.
Eccezionalmente in offerta a 0,79 Euro per un periodo di tempo limitato (su App Store).

(iSpazio, 18 febbraio 2011)

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Shock: un italiano su dieci è antisemita

La notizia è dell'Agenzia "Kolòt Voci - Informazione corretta". Secondo una indagine eseguita recentemente risulta che un italiano su dieci è antisemita. La notizia pare difficile a credere, ma ho potuto constatare personalmente che un certo risentimento - per me incomprensibile - esiste purtroppo, specialmente fra i giovani.
Ritorno indietro con la memoria e vedo gli italiani nel 1938 quando passavano dinanzi a un negozio che esponeva il cartello "Questo negozio è ariano", si fermavano festanti e applaudivano. Italiani brava gente? Si, ma sempre in ritardo. Ci sono voluti venti anni (verso la fine del 1942) - quando la guerra di Mussolini era sicuramente persa - perché il popolo italiano capisse a quale terribile conclusione ci avesse portato il fascismo. Il 1938 e le leggi razziali contro gli ebrei furono accolte purtroppo favorevolmente, tanta era la propaganda fascista sui misfatti compiuti dagli ebrei da quando nel 1492 Isabella di Spagna cacciò gli ebrei dalla Spagna. Ma ecco il testo sconvolgente:
Oggi l'avversione nei confronti degli ebrei coinvolge molti under 30 in particolare al Nord. Il dato emerge da un'indagine realizzata dall'istituto di ricerche lARD-Swg di Trieste per la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Più di due giovani italiani su 10 provano pulsioni antisemite, ma quasi la metà dei ragazzi e delle ragazze italiane (47%) dimostra una "forte simpatia" per gli ebrei. Il dato emerge da un'indagine realizzata dall'istituto di ricerche lARD-Swg di Trieste per la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, presentata nell'audizione dell'Osservatorio della Camera dei deputati sui fenomeni di xenofobia e razzismo nel 2010. Nel "bacino" antisemita si riconosce un 6% marcatamente estremista, per cui l'avversione nei confronti degli ebrei risulta decisamente più forte e radicata. Tra i simpatizzanti per gli ebrei si aggiunge una quota più contenuta (31%) il cui livello di propensione nei loro confronti è "moderato".
Tra i giovani italiani, tuttavia, il 71% non ha mai avuto rapporti diretti con gli ebrei. Nel bacino antisemita tale quota raggiunge il 76% e la maggior parte di questi ragazzi dichiara di non aver avuto dei contatti solo perché non è mai capitato, mentre solo il 7% lo ha deciso scientemente. Fra i ragazzi che dimostrano pulsioni antisemite e che hanno avuto contatti con degli ebrei (24%), è il 30% ad affermare che la qualità del rapporto è stata negativa, contro un 32% che ne parla bene e di un 38% che non lo connota né in un senso, né nell'altro.
Gli "antisemiti under 30" sono in prevalenza maschi (60%) e toccano tutte le fasce di età a partire dai 18 anni. Rispetto all'area geografica, emerge che al Nord l'antipatia nei confronti delle persone di religione ebraica è molto più radicata che in altre zone e interessa il 43% dei giovani residenti. Quasi il 60% appartiene alla realtà studentesca o è laureato. Parte dell'antipatia per il popolo ebraico trova le sue fondamenta nel fatto che essi si pongono con maggior lealtà verso il loro mondo più che verso il Paese in cui vivono: a pensarla così è il 38% degli intolleranti (il 51% tra gli antisemiti estremi). Appaiono invece meno convinti (21%) del fatto che gli ebrei abbiano avuto un'influenza negativa sulla cultura e sulla civiltà cristiana.
L'intolleranza della fetta antisemita degli under 30 si esplica anche in un atteggiamento di chiusura verso alcune situazioni, soprattutto l'idea di avere una figlia che fa coppia con un ebreo (51%), quota che scende leggermente (48%) se la cosa riguarda un figlio maschio. A seguire, la sensazione di avere un capo ebreo per il 38% dei giovani antisemiti, che vivrebbero invece con più tranquillità il fatto di avere un collega ebreo (29%). Poco accettate, ma più tollerate, le situazioni che contemplano un vicino di casa ebreo (35%) o la possibilità di sedere alla stessa tavola durante la cena (29%)

(Avanti!, 18 febbraio 2011)

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Egitto, in piazza Tahir per celebrare la vittoria. E nella preghiera: "Libereremo Gerusalemme"

A una settimana dalla caduta di Mubarak la folla torna in piazza per festeggiare. La preghiera, animata dall'imam Yousef al Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani: "La rivoluzione finirà solo quando avremo un nuovo Egitto, il mondo arabo è cambiato

IL CAIRO - La folla è tornata in piazza Tahrir, storico epicentro della rivolta egiziana contro Mubarak, per festeggiare la vittoria. E' la "Marcia della vittoria", a una settimana dalla caduta del regime egiziano. Una piazza in preghiera, animata dal sermone dell'imam Yousef al Qaradawi, che ha salutato la rivolta di piazza affermando che è la prova che "ciò che è illegittimo non può mai battere la verità". "Mi congratulo con la gioventù: sapeva che alla fine la rivoluzione avrebbe vinto" ha detto l'imam. "Ma la rivoluzione finirà solo quando avremo un nuovo Egitto" ha avvertito, chiedendo ai leader arabi di ascoltare il proprio popolo, perché "il mondo arabo è cambiato". Al-Arabiya riporta che all'imam era vietato da 30 anni di recitare il sermone del Venerdì in Egitto. L'ultimo fu nel 1981, dopo l'assassinio dell'allora presidente Anwar Sadat.
Il leader spirituale dei Fratelli musulmani "Riusciremo a liberare Gerusalemme e ad entrare in Palestina". È quanto ha affermato Qaradawi al termine del suo sermone. Il leader spirituale dei Fratelli Musulmani, che non teneva un sermone nel suo paese da 30 anni, ha concluso il discorso con una preghiera per i palestinese. "Io ho un sogno - ha affermato - che è quello di tenere un sermone nella moschea di al-Aqsa, preghiamo affinché si possa tutti andare a pregare a Gerusalemme e liberare la Palestina". Il leader religioso ha anche chiesto "al Consiglio Supremo delle forze armate che detiene il potere in Egitto di aprire la frontiere con la Striscia di Gaza".

(il Giornale, 18 febbraio 2011)

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Islam in rivolta, l'Arabia Saudita ammette: rischiamo di saltare

Il principe saudita: "Se non risolviamo i problemi saremo contagiati". Il Golfo si opporra' militarmente a un eventuale cambiamento di regime in Bahrein, il piccolo paese dove si giochera' il futuro di tutta la regione.

NEW YORK - Il futuro della regione araba e degli equilibri geopolitici mondiali si gioca tutto in uno staterello del Golfo: il Bahrein. Le possibilita' che le rivoluzioni in Egitto e Tunisia potessero contagiare anche gli stati piu' ricchi della regione del Golfo sono sempre sembrate remote. Ma ora che il Bahrein e' in preda alle rivolte della popolazione scontenta e che molti governi di altri paesi stanno facendo i conti con migliaia di oppositori pronti a ribellarsi, lo scenario e' cambiato. Tanto che in un'intervista alla Bbc uno dei principi sauditi, Talal bin Abdul-Aziz Al Saud, ha ammesso che "a meno che i problemi del paese non vengono risolti, e solo il Re Abdullah e' in grado di farlo, quello che e' successo e che sta ancora succedendo e deve succedere nei paesi della regione araba, tra cui il Bahrein, potrebbe contagiare l'Arabia Saudita". Intanto - notizia di oggi - il Consiglio delle sei nazioni della Cooperazione del Golfo ha annunciato che potrebbe intervenire militarmente se il regime in Bahrein dovesse cadere. Per la gente che ha vissuto per anni sotto dittatura e' chiaramente esilarante ed eccitante. Per Israele e Stati Uniti quell'amore della stabilita' dello status quo, e' allarmante. E' proprio la paura dell'effetto domino che spiega il perche' dell'importanza delle rivolte in atto Bahrein, che per gli equilibri geopolitici assumono una valenza addirittura superiore a quelle che hanno coinvolto Tunisia ed Egitto, portando alla cacciata dei rais Ben Ali e Hosni Mubarak. L'arcipelago del Golfo Persico, le cui acque territoriali confinano con Qatar e Arabia Saudita, ha una delle popolazioni piu' diversificate e ricche della regione: il reddito annuale pro-capite e' di oltre $40.000. E' anche un centro finanziario dell'area. L'Egitto - ad esempio - ha un reddito per persona di $6.200. Se salta il Bahrein, non c'e' un solo altro govenro mediorientale che potrebbe sentirsi al sicuro.

(Wall Street Italia, 18 febbraio 2011)

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Il contagio terrorizza Hamas. Blindato il confine a Rafah

È tutto giallo, eh? La sabbia del deserto, il cemento, la polvere. Fa impressione, vero? Chi mai si sognerebbe di entrare, sembra la porta dell'inferno…». Marwan ha ragione. Vista da fuori Rafah, con la sua coltre di polvere ocra, non ha niente di invitante. Se è per questo a giro di sguardo non c'è davvero nulla di affascinante in questo lembo estremo della Striscia di Gaza, di qua la periferia diroccata della Rafah palestinese, di là, tremolante come un miraggio lontano, la Rafah egiziana, a sinistra la lunga linea grigia del deserto e l'inizio di quel confine lungo 270 chilometri tra Egitto e Israele che sta diventando l'incubo delle autorità di Tel Aviv e l'ossessione dei militari....

(Avvenire, 18 febbraio 2011)

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Il libro sugli ebrei aretini presentato alla comunità ebraica di Firenze

La comunità ebraica di Firenze riscopre in qualche modo le sue radici: domenica 20 febbraio alle ore 21 presso la sede del Gruppo di studi storici della Comunità Ebraica di Firenze, verrà presentato, nell'ambito delle iniziative del Gruppo di studi storici della comunità stessa, il libro del giornalista aretino Marco Caneschi, "Storie e 'dinastie' degli ebrei aretini", che ripercorre i vari aspetti della vita della comunità ebraica di Arezzo nel XIX secolo, le famiglie che la componevano, i loro rapporti con la altre città toscane.
Per gli ebrei fiorentini attuali sarà l'occasione di riscoprire mestieri, vicende e altre curiosità dei loro antenati visto che molte famiglie aretine con l'unità d'Italia si trasferirono proprio in quella che era la capitale del Regno. Basti citare Castelli e Passigli ancora oggi molto numerosi a Firenze.
Il libro di Caneschi ha ottenuto molta attenzione nel mondo ebraico italiano con articoli e recensioni
sia per i preziosi documenti archivistici in base ai quali sono ricostruiti nomi e situazioni di un piccolo spaccato di Italia ebraica sia per il capitolo del libro dedicato al Viva Maria, di cui ancora esistono nostalgici locali. Proprio questo sorprende le comunità ebraiche italiane che lo giudicano nella sua portata autentica di movimento sanfedista, antiebraico e fautore di terribili misfatti culminati con i massacri di Siena, Senigallia e con le violenze esercitate ovunque contro gli israeliti.

(Arezzo Notizie, 18 febbraio 2011)

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E Israele decide se dare l'ok o meno a Google Street View

Può un Paese iper-tecnologico avere paura della tecnologia? Sì, se quel Paese si chiama Israele. E se ai confini premono nemici, finti amici, nuove minacce e incognite grandi quanto l'Egitto.
Che sarebbe venuto il momento fatidico, quello dell'incontro tra ragioni di sicurezza e di progresso, questo gl'israeliani lo sapevano. Soprattutto ai ministeri della Difesa e dell'Interno. Ma la macchinina di Google Street View, quella con un complesso sistema di macchine fotografiche a trecentosessanta gradi, fa paura.
In settimana una speciale task force governativa si è riunita una prima volta e presto dovrà dare una risposta al colosso americano Google per quanto riguarda le autorizzazioni ad andare in giro e portare in tutto il mondo le strade lussuose di Tel Aviv, le lunghe discese - o salite - di Haifa, le vie piene di storia di Gerusalemme.
La commissione è chiamata a valutare i possibili rischi che tale servizio può arrecare al Paese. Vedi alla voce "attentati". In questo senso esiste un precedente: Google Earth, quello che utilizza le immagini satellitari, è parzialmente schermato. In pratica Israele dall'alto si vede, ma non al massimo della risoluzione possibile, così da evitare di dare il massimo numero di informazioni a possibili nemici dello Stato ebraico.
Ma Street Viev è diverso. Stavolta le foto non si possono pecettare. Le strade, gl'incroci, gli edifici, l'affollamento, le vie di fuga non si possono nascondere. Ed è su questo che dovranno produrre una documentazione rigorosa i vari ministri: Dan Meridor (Intelligence), Limor Livnat (Cultura e Sport), Moshe Kahlon (Comunicazioni e Welfare), Michale Eitan (Scienza e tecnologia), Stas Misezhnikov (Turismo) e Yossi Peled (senza portafoglio).
Il sì non è scontato. Anzi, per ora prevarrebbe il parere negativo. Ma il Paese dovrebbe poi fare i conti con tutta una serie di considerazioni e controffensive di Google. Si porrebbe un problema di coerenza con la sua immagine di Stato che incentiva l'uso della tecnologia e investe miliardi di dollari nel settore (si pensi al distretto di Tel Aviv e a quello di Be'er Sheva).
L'altra questione è puramente economica: le big del settore a livello mondiale negli ultimi anni hanno investito molti soldi nel Paese. Un parere negativo al servizio Street View potrebbe spaventare eventuali nuove società. Nel 2011, per esempio, la sola Intel ha stanziato 2,7 miliardi di dollari per il micro-chip di ultima generazione che sarà elaborato nel complesso di Kiryat Gap.
Google non è stata da meno. Oltre a comprare decine di start up (nate grazie ai fondi del governo e dei privati), ha acquistato anche l'israeliana Quiksee. Non una società qualsiasi, ma quella - unica al mondo - che ha sviluppato la tecnologia che consente agli utenti di costruire aree in realtà virtuali, in tridimensione, proprio là dove il servizio di Street View non può arrivare.
Entro poche settimane la commissione dovrebbe dare il suo responso. E a quel punto si scoprirà se lo Stato ebraico ha optato per la sua sicurezza interna - a tutti i costi - o per l'apertura alla tecnologia, e quindi anche agl'investimenti.

(Falafel Cafè, 18 febbraio 2011)

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TerraOlivo 2011. Gerusalemme: pronto il programma dell'evento internazionale

"Nella terra degli Ebrei, il re Salomone e il re Davide davano grande importanza alla coltivazione degli alberi di ulivo; il re Davide aveva persino delle guardie che custodivano gli orti e i depositi delle olive, garantendo la sicurezza degli alberi e del loro prezioso olio".

Comincia con un forte richiamo alla Terra Santa ed alla stirpe di Israele la pubblicazione del programma dettagliato delle manifestazioni di TerraOlivo 2011.
Il forte potere simbolico dell'olivo e dell'olio riecheggeranno, nei giorni di TerraOlivo, nei saloni del Jerusalem Inbal Hotel, recentemente proclamato dagli organizzatori sede ufficiale del prestigioso "TerraOlivo 2011 - Mediterranean International Extra Virgin Olive Oil Competition" e della 2^ Conferenza Internazionale dell'Olio Extravergine di Oliva....

(vini e sapori.net, 18 febbraio 2011)

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Tennis - Un'israeliana a Dubai

di Riccardo Bisti

Shahar Peer, figlia di Israele, gioca per il secondo anno consecutivo a Dubai. Nel 2009 le negarono il visto, oggi la tensione si è allentata. E lei continua a giocare bene "Mi trovo benissimo qui". Semifinalista l'anno scorso, quest'anno è già nei quarti. Che faranno gli organizzatori se dovesse arrivare in finale? La confineranno ancora nei campi secondari?


Shahar Peer
Quando le giocatrici finiscono un match, hanno una routine ben precisa. Doccia, interviste, poi tutte in Players Lounge a chiacchierare prima di tornare in albergo. Tutte tranne una. Quando si gioca il torneo di Dubai, per Shahar Peer è tutto diverso. Ha uno spogliatoio tutto per sé, poi si deve rintanare in una specie di bunker in cui guarda qualche film in DVD in compagnia di papà Dov. L'anno scorso la sua presenza a Dubai fece rumore. Ne parlarono anche i media extra-tennistici. La notizia era troppo succosa: una giocatrice israeliana in terra araba, protetta dalle guardie e costretta a giocare sui campi secondari perché sul centrale avrebbe corso chissà quali rischi. Fece ancor più rumore perché l'anno prima le negarono il visto per entrare negli Emirati Arabi Uniti. La WTA fiutò l'incidente diplomatico: dopo averla rimborsata con punti e dollari, hanno obbligato gli organizzatori ad accettare la sua iscrizione. Non c'è offensiva militare che tenga: lo sport deve rimanere fuori da certi meccanismi. L'attenzione sul suo caso la fece giocare bene: si issò in semifinale, battendo anche la futura numero 1 Caroline Wozniacki. Quest'anno Shahar è di nuovo a Dubai: c'è meno clamore attorno a lei, ma la sua presenza non perde connotati simbolici. E continua a giocare bene: è già nei quarti di finale grazie alle vittorie su Martinez Sanchez, Dulgheru e Wickmayer (quest'ultima in rimonta: 3-6 6-4 6-1 lo score). La protezione attorno all'ex soldatessa dell'esercito israeliano (nel suo paese la leva è obbligatoria e dura tre anni, anche se ha potuto usufruire di qualche sconto riservato agli sportivi.) è inferiore, ma ci sono ancora i metal detector fuori dallo stadio. E lei è ancora confinata nella sua abitazione all'interno dell'Aviation Club, anche se continua a sostenere di sentirsi la benvenuta in una città che le hanno sconsigliato di visitare.

- Metal detector si, poliziotti no
  La Peer e la WTA, su consiglio delle autorità locali, non sono autorizzati a fornire i dettagli sulle misure di sicurezza. Eppure Associated Press è riuscita a strappare una dichiarazione a papà Dov, il quale ha detto che "La situazione è molto più rilassata rispetto all'anno scorso". "C'è la stessa gente intorno a me" ha detto Shahar in un'intervista di qualche giorno fa, rilasciata all'interno della sua dimora-bunker "Ci sono tante persone simpatiche che si prendono cura di me. Poi qui sembra di stare in una specie di casa, da cui è possibile trarre ottime ispirazioni….mi sento alla grande. Cercherò di restare qui il più a lungo possibile". Per gli appassionati è una speranza, per gli organizzatori è una minaccia. L'anno scorso hanno accolto con un sospiro di sollievo la sua eliminazione in semifinale, altrimenti sarebbero stati costretti a farla giocare sul campo centrale. Per lei è una motivazione extra, anche se il percorso è duro: nei quarti potrebbe trovare la Wozniacki in un match che per la danese significherebbe leadership mondiale. In semifinale avrebbe la Stosur oppure, chissà, la Jankovic. Come l'anno scorso, Shahar sta giocando sul campo numero 1. Il più lontano dall'ingresso dell'Aviation Club. Il più isolato. Ma lei è arrivata a definirlo la sua seconda casa. "Conosco ogni centimetro e ogni rimbalzo di questo campo" ha scherzato. Solo uan ventina di spettatori hanno seguito il suo match di primo turno. Pochi di più i match successivi. Il torneo di Dubai non attrae il pubblico fino al weekend finale. Nessuno ha mostrato sentimenti pro o contro Israele. E non c'erano poliziotti, mentre si contavano sulle dita di un paio di mani le guardie all'ingresso dell'impianto.

- Un sogno chiamato Pace
  L'anno scorso nessun match della Peer venne trasmesso dalla TV locale (Dubai Sport, che poi irradia le immagini in tutto il mondo). Il campo 1 è senza telecamere. Venus Williams accettò di buon grado di "declassarsi": era stata proprio lei a minacciare di non difendere il suo titolo se alla Peer non fosse stato concesso di giocare. Israele non ha rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi: lo sport ha saputo abbattere barriere importanti, ma è difficile pensare che la presenza della Peer a Dubai possa riavvicinare due Paesi così diversi. Eppure lei ci crede: "Se mi danno l'opportunità di giocare a Dubai e in Qatar (la prossima settimana giocherà a Doha, ndr), e mi dicono di aver apprezzato…beh, la politica passa in secondo piano ed è molto importante. Credo che siamo tutti esseri umani, e dobbiamo lottare affinchè ci sia un rispetto reciproco". Amir Hadad e Aisam-ul-Haq Qureshi, il "doppio della pace" composto da un israeliano e un pakistano, apprezzerebbero sicuramente. Sono stati loro a lanciare la campagna "Stop War, Start Tennis" che ha furoreggiato l'anno scorso. Sognare, in fondo, non costa niente.

(Ubi Tennis, 17 febbraio 2011)

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L'Egitto ferma due navi iraniane

Mezzi da guerra che volevano passare da Suez

17 feb 2011 | Ore 14:34

TEL AVIV - Sarebbe stato il veto dell'Egitto, non una rinuncia spontanea, a fermare nelle scorse ore l'ingresso nel Canale di Suez delle due navi da guerra iraniane dirette in Siria per una missione che sarebbe dovuta essere la prima nelle acque del Mediterraneo dalla rivoluzione islamica del 1979. Lo sostengono fonti ufficiose citate oggi dalla tv Al-Arabia e ritenute attendibili anche dall'analista militare del giornale israeliano «Haaretz» Avi Issacharov.
Le fonti hanno notato come il transito del canale - specie in caso di unità militari - necessiti l'autorizzazione dei ministeri egiziani degli Esteri e della Difesa. Autorizzazione che, nella circostanza in questione, sarebbe stata rifiutata: seppur tacitamente per non alimentare polemiche con Teheran. Il comunicato ufficiale delle autorità del Canale ha spiegato il dietro-front dei due vascelli come un semplice annullamento della missione, senza darne una ragione.
L'avvicinamento delle due navi - individuate come la fregata Alvand e la nave appoggio Kharg - era stato denunciato ieri dal ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, come «una provocazione» e una sfida alla comunità internazionale, già preoccupata per i piani nucleari messi in cantiere dal regime degli ayatollah, nemico dichiarato dello Stato ebraico.

(Corriere del Ticino, 17 febbraio 2011)

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E' ufficiale: navi iraniane verso il Canale di Suez. Direzione: Siria

La fregata iraniana Alvand e il cacciatorpediniere Kharg pronte ad attraversare il viadotto marittimo. Lo conferma l'Iran. Israele non stara' a guardare. Ma aveva dichiarato: "L'Egitto per noi non ha alcuna connotazione militare".

17 feb 2011 | Ore 15:20

E' ufficiale: due navi dell'esercito iraniano attraverseranno il canale di Suez dirette in Siria. La conferma all'avvertimento lanciato ieri dal ministro israeliano degli Esteri e' arrivato un ufficiale della marina iraniana secondo cui l'arrivo al viadotto marittimo e' imminente. Secondo Reuters, "la tv di stato dell'Iran ha detto che per l'Egitto non c'e' nulla di male nel passaggio attraverso il Canale di Suez da parte delle due navi da guerra iraniane". Le navi in questione sarebbe la fregata Alvand e il cacciatorpediniere Kharg. Ieri il ministro israeliano degli Esteri ha definito l'avvenimento "l'ultima provocazione da parte di Teheran", facendo capire che Israele non stara' con le mani in mano. Israele e altri paesi occidentali reputano una minaccia il programma nucleare iraniano, che il paese mediorientale difende dicendo che e' portato avanti soltanto per scopi civili, e ne chiedono l'interruzione. Finora le distanze tra i due stati ne hanno evitato il confronto. Ma la Siria e' uno dei paesi confinanti di Israele ed e' un alleato dell'Iran. "Stanotte due navi militari attraverseranno il Canale di Suez per andare nel Mare Mediterraneo e dirigersi verso la Siria, qualcosa che non succedeva da molti anni", ha dichiarato Avigdor Lieberman in un discorso a Gerusalemme. "Dispiace che la comunita' internazionale non stia mostrando la necessaria prontezza nell'occuparsi delle provocazioni iraniane. La comunita' internazionale deve capire che Israele non puo' permettersi di ignorare queste provocazioni per sempre". Va sottolineando che non e' detto che la presenza di due navi sia legata a una strategia offensiva guerrigliera da parte dell'Iran. Potrebbe anche trattarsi - ad esempio - di un esercizio militare, di attivita' di commercio o di operazioni di anti pirateria. Il mercato e' in tensione: i prezzi del greggio scambiati sul Brent londinese hanno superato quota 104 dollari al barile, mentre i futures sul WTI sono saliti ai massimi di seduta sopra l'area degli 85 dollari. Nel frattempo si segnala una corsa ai beni sicuri come oro e Treasury. Il tutto accade 24 ore dopo che il ministro della Difesa di Israele Ehud Barak ha detto che la rivoluzione pacifica in Egitto che ha fatto cadere Hosni Mubarack "non ha alcuna connotazione militare per Israele". La fregata iraniana Alvand e il cacciatorpediniere Kharg hanno transitato il canale di Suez dirette verso la Siria. A Beirut, il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah ha detto che si aspetta che Israele scenda in guerra contro il Libano perche' allora i suoi uomini prenderanno la Galilea.

(Wall Street Italia, 17 febbraio 2011)

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Concerto del pianista Mattia Peli nella Sinagoga di Regensburg

In ricordo delle vittime dell'Olocausto ("Yom haShoah")

Babij Jar 1941 - Donne denudate, alcune con bambini in
braccio, aspettano di essere uccise a colpi di pistola
La Comunità ebraica di Regensburg (Baviera) ha invitato il pianista italiano Mattia Peli a tenere un concerto nella Sinagoga della città il 20 febbraio 2011, alle ore 15, in ricordo delle vittime dell'Olocausto. Unitamente a letture in tedesco e russo, saranno eseguite musiche d'ispirazione ebraica di Dimitri Schostakowitsch, che il compositore dedicò ai suoi amici ebrei perseguitati in Russia. Al termine, dopo la lettura della poesia "Babij Jar" di J. Jewtuschenko, sarà eseguito, nella revisione del Maestro Peli, il tema principale della sinfonia "Babij Jar" di Schostakowitsch, composta in commemorazione del massacro accaduto esattamente 70 anni fa, nel 1941, nelle vicinanze di Kiev, quando le SS tedesche entrarono in territorio ucraino con il consenso delle autorità locali e fucilarono in pochissimo tempo 33.771 ebrei in una gola chiamata appunto Babij Jar.

Saggio

(Notizie su Israele, 17 febbraio 2011)

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Israele: crescono gli investimenti nel turismo

Il ministero israeliano del Turismo ha stanziato 740 milioni di NIS in attività di marketing per raggiungere il traguardo di 4 milioni di turisti,
entrate per decine e decine di milioni di NIS oltre che 15 mila nuovi posti di lavoro. Nel dettaglio, circa 53 milioni 140 mila euro saranno destinate all'incremento del traffico aereo, basato sul posizionamento d'Israele come la Terra Santa, con Gerusalemme al suo centro. Previste nuove campagne pubblicitarie, attività di pubbliche relazioni, seminari per il tour operators ed ampliate le attività di co-marketing tra il ministero e gli operatori del turismo.Circa 75 milioni 196 mila euro saranno riservati agli investimenti e allo sviluppo delle infrastrutture, di cui circa 41 milioni 410 mila euro destinati a promuovere gli investimenti nel settore del turismo e l'incremento dell'offerta alberghiera : la costruzione, l'ampliamento e la ristrutturazione di alberghi, soprattutto a Gerusalemme , attorno al Mare di Galilea, e nella regione della Galilea. Per la fine del 2011, è prevista l'apertura di 3 mila camere d'albergo in tutto il Paese. Circa 34 milioni 89 mila euro, per lo sviluppo delle infrastrutture, compreso lo sviluppo delle città turistiche, gli itinerari, i parchi nazionali e nuovi sentieri, circa 6 milioni 15 mila euro riservati ai servizi e ai prodotti turistici, per dare un maggior supporto agli eventi religiosi e culturali, alla formazione di addetti ai servizi, compresi le guide turistiche, gli autisti di autobus, il personale della sicurezza e ad un accurato controllo del livello dei servizi negli alberghi e nei luoghi turistici. Il ministro del Turismo Stas Misezhnikov ha affermato che "il ministero del Turismo è già al lavoro per far sì che l'economia del Paese sia in grado di gestire il numero previsto di arrivi nel 2011. Il Governo è stato invitato a dare il suo sostegno alle attività di marketing del Ministero del Turismo, al suo programma di investimenti e al miglioramento del prodotto turistico al fine di raggiungere il potenziale del turismo in Israele. Va ricordato che gli obiettivi che ci siamo prefissi non mancheranno di migliorare l'immagine d'Israele nel mondo ".

(Travel Quotidiano, 17 febbraio 2011)

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Museo dell'Ebraismo e della Shoah di Ferrara

Va allo Studio Arco di Bologna il progetto da 30 milioni di euro

"Per la qualità della soluzione proposta che vede un intervento misurato e flessibile, di grande permeabilità urbana. Notevoli le potenzialità comunicative sul piano simbolico".
Con queste motivazioni la giuria ha selezionato il vincitore del Concorso Internazionale per la progettazione del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, una delle gare attualmente più attese per i significati e per l'ambizione a livello di qualità architettonica del progetto.
Il concorso richiedeva una proposta progettuale volta a recuperare alla città il complesso delle ex Carceri di via Piangipane per farne un museo che divulghi la storia, il pensiero e la cultura dell'ebraismo ed ospiti convegni e mostre sui temi della pace e della fratellanza tra i popoli. 52 in totale le proposte giunte, esaminate dalla Giuria composta da Roberto Bonfil, dagli architetti Guido Canali, Margherita Guccione, Carlo Magnani, e presieduta dal Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna Carla Di Francesco.
Vincitore del primo premio è risultato lo studio Studio Arco-Architettura di Bologna - in collaborazione con lo studio Scape di Roma, con l'architetto Michael Gruber e con Kulapat Yantrasast -, al quale andranno 60mila euro e l'incarico per la progettazione della struttura museale che avrà un costo presunto di 30 milioni di euro. Il museo, che si svilupperà con una superficie di 8000 mq circa, è "come un diaframma permeabile che simbolicamente parla alla città con la narrazione incisa sulle pareti diafane". La proposta vincente ha convinto anche "per la sua forte espressività simbolica e l'equilibrio compositivo. La concezione architettonica della struttura è aperta, ed il Museo è anche parco, limite, percorso, libro, piazza, strumento di comunicazione; il vetro ne è protagonista e plasma lo spazio organizzato in una struttura trasparente permettendo uno scambio interno/esterno".

(exobart, 17 febbraio 2011)

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Alla lettera "L" troviamo quattro parole.

di Sergio Della Pergola

L'insurrezione. Quando una sommossa popolare inizia sotto l'impulso di una certa parte della popolazione senza molta organizzazione ma con molta spontaneità, ma i frutti finali della sommossa li raccoglie un'altra parte della popolazione molto meglio irregimentata e con scopi completamente diversi.
L'imprevedibilità. Quando gli analisti del momento si lasciano trasportare dalle loro ideologie, speranze, ambizioni e reti di interessi vissute da lontano, e non da una sistematica, neutrale e impietosa conoscenza immediata degli attori, dei loro obiettivi e delle loro capacità.
L'impotenza. Quando la rivoluzione che è riuscita a rimuovere il tiranno è acefala - perché non si è mai creata una dialettica politica e non ne esistono le categorie mentali, le formazioni sociali, gli strumenti d'azione, i leaders veramente rappresentativi - e non resta che delegare il potere agli amici del tiranno uscente, o a un altro tiranno ancora peggiore.
L'ipocrisia. Quando si critica sempre il tiranno uscente dopo che la sua debolezza ha permesso la nascita dell'insurrezione, ma non lo si critica mai prima, quando le sue bocche da fuoco puntate sulla folla impediscono l'espressione della volontà popolare.

(Notiziario Ucei, 17 febbraio 2011)

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Navi da guerra iraniane non hanno passato il canale di Suez

ISMAILIA - Le navi da guerra iraniane, che secondo Israele avrebbero dovuto attraversare il canale di Suez nella notte, non sono entrate oggi nel passaggio che conduce dal Mar Rosso al Mediterraneo.
Lo ha riferito un funzionario che gestisce il canale.
Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha detto ieri che due navi da guerra iraniane stavano pianificando di navigare il canale nella notte in rotta per la Siria, descrivendo la mossa come una "provocazione".
"Nessuna nave da guerra iraniana ha attraversato il canale di Suez oggi. Il canale di Suez non ha alcuna nave di guerra iraniana sulla sua lista d'attesa per domani, venerdì", ha detto Ahmed El Manakhly, membro del board responsabile dei movimenti nel canale.

(Reuters, 17 febbraio 2011)

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Calcio: la Palestina scopre anche il campionato femminile

Sono state aperte nuove frontiere in Palestina con il lancio di un campionato femminile ad undici squadre per la prima volta nel paese. Questo ultimo passo nello sviluppo calcistico della nazione così turbata giunge in un momento emozionante per l'arrivo definitivo del gioco più bello, con la Palestina che registra progressi significativi a ritmi incoraggianti. A vedere la partita di apertura di questo campionato storico in questo luogo sono stati il primo ministro palestinese, il dottor Salam Fayaad, consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la pace e lo sport, il dottor Willi Lemke, e il presidente della Football Association palestinese (PFA), Jibril Rajoub. In precedenza, il calcio femminile in Palestina era sempre e solo stato giocato indoor, a cinque, e pertanto questo sviluppo in un formato più tradizionale rappresenta un importante passo avanti per il calcio femminile in questa nazione. Come riconoscimento per i vincitori e i secondi classificati campionato a cinque 2010, Sareiat YMCA Ramallah e Betlemme Deyara rispettivamente, è stato assegnato loro l'onore di giocare il match di inaugurazione di questo nuovo torneo.

(TelecapriSport, 16 febbraio 2011)

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Israele denuncia l'invio di navi di Teheran nel Mediterraneo

Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman si è detto preoccupato dell'invio di due unità da guerra iraniane nel Mediterraneo, definito "una provocazione". "Questa sera due unità da guerra iraniane attraverseranno il Canale di Suez per entrare nel Mediterraneo, con destinazione la Siria: la comunità internazionale dev comprendere che Israele non può ignorare queste provocazioni per sempre", ha dichiarato Lieberman, che ha parlato in occasione della conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche statunitensi, in corso di svolgimento a Gerusalemme.

(Affaritaliani, 16 febbraio 2011)

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Scommesse. Puntate aperte sul prossimo Paese in rivolta

Dopo Tunisia ed Egitto, Yemen e Palestina sono i Paesi a maggior rischio secondo le previsioni degli allibratori: per entrambi la quota è fissata a 2.80. Ma nelle previsioni non manca anche un Paese a vocazione europeista come la Turchia: le rivolte a Istanbul sono quotate a 4, stessa quota per Algeria e Iran, dove i fuochi si sono già accesi. Non immune anche Israele, quotata a 4.50, mentre si giocano a 6 la Libia e a 7 il Marocco.
Salgono invece le possibilità di una diffusione delle rivolte in Pakistan (11), Siria (41) e nei Paesi colpiti dalla guerra, Afghanistan (51) e Irak (71).
«Blindati» appaiono anche gli emirati del golfo, come Kuwait (21) e Arabia Saudita (61).

(il Giornale, 16 febbraio 2011)

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Chef israeliano e palestinese cucinano per la pace a Vienna

Chef israeliano e palestinese cucinano per la pace a Vienna
VIENNA, 16 feb. - "Cucinare per la pace": questo il titolo dell'incontro gastronomico svoltosi ieri sera a Vienna tra due famosi chef, l'israeliano Ran Shmueli e il palestinese Abdalkarim M. Shamsana, a favore dell'organizzazione SOS-Villages che si prende cura dei bambini in Israele e nei territori palestinesi. Alla presenza del vice-cancelliere e ministro delle Finanze austriaco Josef Proll, i due cuochi hanno dichiarato di "avere ancora un lungo cammino davanti a loro per la pace" tra i loro due popoli, "ma i nostri punti in comune sono molto più importanti di ciò che ci separa ed è questo che vogliamo mostrare al mondo, perchè facciamo parte di quell'80% di israeliani e palestinesi che vogliono la pace". Il menù della serata prevedeva tartare di pesce su taboule, filetto di pesce con cous cous e ratatouille (miste di verdure)agnello con purea di piselli e creme brulee all'acqua di rosa. Ran Shmueli, nato a Tel Aviv 46 anni fa, oggi dirige un'impresa di ristorazione, Shmueli Catering Ltd., e offre consulenze; Abdalkarim M. Shamsana, 44 anni, ha cominciato la sua carriera nel 1985 all'Hotel American Colony di Gerusalemme, dove è tornato a lavorare nel 2001 come responsabile delle cucine.

(TMNews, 16 febbraio 2011)

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Egitto: ancora bloccato il gas verso Israele

Avrebbe dovuto riprendere domani, e invece il flusso di gas dall'Egitto verso Israele, interrotto dallo scorso 5 febbraio, resta congelato. «Almeno fino alla fine del mese», ha annunciato Ampal-American Israel Corporation, fondo d'investimento con base ad Herzliyah, che possiede il 12.5 per cento dell'egiziana East Mediterranean Gas Company (Emg), la joint venture israelo-egiziana che trasporta il gas da un Paese all'altro.
A sua volta, la Emg aveva appreso di questa dilazione dalla Compagnia nazionale egiziana del Gas, la quale le ha comunicato che c'è un ritardo nei lavori di riparazione del gasdotto che arriva in Giordania, danneggiato il 5 febbraio dall'esplosione di una stazione di gas nel Sinai, durante i disordini che hanno accompagnato la sollevazione popolare anti-regime in Egitto. Sebbene la porzione di gasdotto intaccata non appartenga al sistema di condutture Emg, la Compagnia nazionale ha comunque preferito non ricominciare a fornire carburante agli israeliani. Decisione dietro alla quale qualcuno ha intravisto un retroscena da chiarire: la scelta della compagnia egiziana è stata interpretata non come una precauzione legata a ragioni tecniche o di sicurezza, bensì come una mossa politica. Secondo il quotidiano a stelle e strisce "Usa Today", i leader del movimento giovanile "6 aprile", molto attivi nella rivoluzione contro Mubarak, avrebbero chiesto al governo militare ad interim, attualmente al potere nel Paese del Nilo, di interrompere le vendite di gas naturale egiziano «all'entità sionista», accusata di «bistrattare i palestinesi». Alla fine febbraio si capirà se queste indiscrezioni sono fondate o meno. Le esportazioni di gas egiziano verso Israele erano iniziate nel 2008, tra le polemiche. I più indignati, ma non gli unici, erano i Fratelli musulmani, la prima forza d'opposizione nell'Egitto di Mubarak, bandita ma di fatto tollerata. Ora che il presidente è stato costretto alle dimissioni, c'è chi teme e chi spera, che l'accordo tra egiziani e israeliani sul gas venga rimesso in discussione. Secondo la Radio militare israeliana, oggi lo Stato ebraico soddisfa il 40 per cento del proprio fabbisogno di gas acquistandolo dal Cairo.

(FocusMo, 16 febbraio 2011)

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Capo Hezbollah attacca israele: prenderemo la Galilea

BEIRUT, 16 feb - Duro attacco contro Israele da parte del leader degli Hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah, il quale ha minacciato di colpire rappresentanti del governo e militari israeliani per vendicare la morte di Imad Mughnieh, uno dei leader del partito libanese, assassinato dai servizi segreti di Tel Aviv a Damasco nel 2008. Nasrallah ha anche fatto appello ai combattenti di Hezbollah a tenersi pronti a conquistare la Galilea nel caso in cui ''si imponesse'' una nuova guerra contro Israele.

(ASCA, 16 febbraio 2011)

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Barak, potremmo dover dare nuova lezione a Hezbollah

Israele potrebbe dover far rientrare le proprie truppe nel Libano meridionale perricordare a Hezbollah la lezione impartitagli durante il conflitto dell'agosto 2006: lo ha dichiarato Ehud Barak, ministro della Difesa dello Stato ebraico, citato dal quotidiano 'Haaretz'. "Anche se la situazione adesso e' tranquilla, ed esiste un deterrente, perche' Hezbollah si rammenta bene la dura bastonatura che prese da noi nel 2006, tuttavia certe cose non durano per sempre, e allora puo'capitare di essere chiamati a ritornare ancora sul posto", ha ammonitio Barak, durante una visita alle forze schierate lungo la frontiera settentrionale insieme al nuovo capo di stato maggiore interforze, generale Benny Gantz. "Dobbiamo esserepronti a tutte le prove", ha proseguito il ministro. "Il segreto consiste nel saper reagire rapidamente non appena succede qualcosa", ha spiegato rivolgendosi ai soldati.

(Affaritaliani.it, 16 febbraio 2011)

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Mezuzà e dollaro del Rebbe per il nuovo Ramatkal

GERUSALEMME - Il nuovo Capo di Stato Maggiore israeliano, il tenente generale Beni Ganz, ha inaugurato il suo ufficio con una Mezuzà, affissa allo stipite della porta dal suo rabbino Chabad, rav Gloiberman, con il quale vanta una amicizia che data da molti anni.
Oltre alla Mezuzà, rav Gloiberman ha donato al nuovo Ramatkal un dollaro del Rebbe di Lubavitch.
All'evento erano presenti tutti i più alti generali incluso il ministro della sicurezza Ehud Barak.

(Chabad.Italia, 16 febbraio 2011)

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Omega3 e salmone alleati a tavola contro l’Alzheimer

ROMA, 16 feb - Una dieta a basso contenuto di colesterolo e ricca di Omega 3 e' una barriera efficace contro l'Alzheimer. In particolare contro le alterazioni provocate da un gene, ApoE4, che sembra essere un fattore di rischio per la malattia. E' quanto stanno studiando i ricercatori israeliani dell'Universita' di Tel Aviv. Il quadro genetico e' abbastanza complesso: esistono due varianti genetiche che controllano la molecola apolipoproteina E, componente essenziale delle lipoproteine che consentono il trasporto del colesterolo nel sangue. Ma se il gene Apoe e' ''buono'', il suo gemello ApoE4 sembra essere responsabile di un difetto metabolico che coopera all'insorgenza dell'Alzheimer. I ricercatori guidati da Daniel Michaelson hanno scoperto che la variante ''tossica'' appare nel 50% dei pazienti colpiti dalla malattia neurodegenerativa e di norma nel 15% della popolazione generale. La buona notizia, che sara' presentata durante una conferenza internazionale a Barcellona, e' che una dieta con molti acidi grassi Omega 3, derivati essenzialmente da pesci come il salmone, riesce a contrastare nei topi i segni dell'invecchiamento cerebrale.

(ASCA, 16 febbraio 2011)

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Sparito in Siria giornalista anti-Hamas

La scomparsa forse legata a un libro polemico su Hamas

GAZA, 16 FEB - Un giornalista palestinese vicino ad al-Fatah, Muheib a-Nawati, e' scomparso dopo il suo arrivo in Siria, all'inizio di gennaio. Lo ha reso noto il presidente dell'Unione dei giornalisti palestinesi, che attende chiarimenti da Damasco. 'Sappiamo bene che il regime siriano e' repressivo.
Lo consideriamo responsabile della sua incolumita'', ha detto.
Fonti di Gaza rilevano che a-Nawati ha pubblicato un libro polemico su Hamas e ritengono che la sua scomparsa possa essere collegata al testo.

(ANSA, 16 febbraio 2011)

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Israele e Palestina, "Le parole malate: la disinformazione..." di Steinhaus

ROMA - Conflitto israelo-palestinese: un diverso punto di vista. Federico Steinhaus in Le parole malate: la disinformazione come sistema. Analisi e commenti sul Medio Oriente 2001-2009 Editrice Uni Service, 2010. Federico Steinhaus, storico e politologo, si è occupato in molte sue pubblicazioni del popolo ebraico e della questione arabo-israeliana. Collabora stabilmente con il sito Informazionecorretta.com, attivo in un continuo monitoraggio di quelle che vengono considerate deformazioni dei media in relazione alla cronaca dai territori mediorientali.
In Le parole malate: la disinformazione come sistema troverete una raccolta dei suoi interventi più significativi pubblicati sul sito tra il 2001 e il 2009.
L'autore mette in evidenza ed esamina polemicamente, partendo da un'approfondita conoscenza dei fatti, la disinformazione con cui spesso i media ingannano i loro utenti in relazione alle problematiche arabo-israeliane.
Riporta quindi, con consueta visione critica, notizie e resoconti dai programmi televisivi e dai media arabi. La posizione dell'autore si evidenzia, ad esempio, nel seguente avvenimento da lui riportato: nel luglio del 2003 si concludevano in Palestina le attività di un campo giovanile, organizzato dal Ministero per la gioventù e lo sport, finanziato dall'Unicef col coordinamento dell'Onu. L'autore sottolinea come le agenzie d'informazione e gli opinion makers hanno dato rilievo a tale positiva notizia, ma non hanno riportato che il campo era intitolato a Wafa Idris, donna kamikaze fattasi saltare in aria a Gerusalemme nell'anno precedente.
L'autore evidenzia altresì come spesso anche la stampa italiana sia preconcettamente filopalestinese e antisraeliana.
L'opera di Steinhaus, al di là di quello che riporta e che denuncia, invita il lettore a riflettere sul rischio di possibili soprusi intellettuali.
Il libro può essere acquistato ordinandolo nella propria libreria di fiducia, oppure on line, sul sito dell'Editrice Uniservice, e su Ibs, Unilibro, Libreriauniversitaria e Webster.

(CinqueW.it, 16 febbraio 2011)

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Tunisia, giovani salafiti contro la sinagoga nella capitale

Un gruppo di militanti islamici ha manifestato a Tunisi chiedendo la chiusura della sinagoga - Nella Tunisia post-rivoluzionaria si accendono gli scontri religiosi: un gruppo di giovani tunisini salafiti ha manifestato nel centro della capitale, invocando la chiusura della sinagoga locale. Lo riferisce Adn Kronos International, che riporta fonti tunisine. A dare il via alla protesta sono state alcune decine di estremisti islamici, che hanno sfilato in corteo lungo Avenue de la Liberté e si sono successivamente raccolti di fronte alla sinagoga. Lì hanno scandito slogan contro gli ebrei, accusati di essere "assassini e criminali". I giovani militanti della protesta appartengono ad un gruppo salafita chiamato Hizb al-Tahrir. Una netta presa di distanza si è avuta invece dai membri del gruppo islamico En-Nahda.

(PeaceReporter, 15 febbraio 2011)

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Israele, boom del mercato automobilistico: importazioni aumentate del 30% in un anno

Alla Fiat dovrebbero iniziare a guardare al mercato israeliano. Almeno viste le performance. Secondo le autorità fiscali nel 2010 il numero delle auto private importate nel Paese è stato di 224.200. Un balzo - in positivo - di circa il 30%. Anche se lo Stato ebraico continua ad avere il problema della sicurezza stradale.
Più in generale, l'importo dei beni di consumo durevoli nel Paese ha avuto un andamento misto l'anno trascorso. Perché se sono aumentati auto, frigoriferi (+7,5%), lavastoviglie (+6,2) e televisori (+8,9), sono invece crollati i deumidificatori (-14,8%) e i lettori dvd (-34,5).
A proposito di autoveicoli, le autorità fiscali hanno fatto notare che le importazioni sono aumentate in un anno in cui le tasse automobilistiche hanno registrato un +14,5%. Il che è presto spiegato: dall'aumento delle imposte sul veicolo sono escluse quelle auto non inquinanti e per questo gl'israeliani hanno deciso di comprarsi una nuova macchina (e rispettosa dell'ambiente) piuttosto che tenersi quella vecchia (inquinante) e pagare di più in bollo.
In assoluto le marche più gettonate sono state quelle asiatiche, da anni ormai leader incontrastate del mercato automobilistico israeliano. I modelli più acquistati? Mazda 3, Hyundai i30 e Hyundai i20. E la Fiat? Lontana, molto lontana.

(Falafel Cafè, 15 febbraio 2011)

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Egitto. Israele cerca una nuova strategia

Il sabotaggio di un gasdotto nel Sinai (nella foto dell'agenzia Reuters) da parte di attivisti di Hamas e di al Qaeda è un cattivo presagio per la frontiera sud di Israele. Lo Stato maggiore israeliano si sta preparando a difendere una frontiera lunga 270 chilometri e pacifica da oltre 30 anni.

La caduta di Hosni Moubarak e la nuova situazione politica in Egitto obbligano il governo israeliano a una totale revisione della sua strategia difensiva. La generazione attuale dei generali israeliani non ha esperienza di combattimento nel deserto perché è stata formata per combattere le milizie di Hamas e di Hezbollah. L'eventualità dell'apertura di un fronte contro l'Egitto necessiterà il rimodellamento delle milizie attive nel sud di Israele, che saranno chiamate a controllare e proteggere 270 chilometri di frontiera con il deserto egiziano.
I servizi segreti israeliani hanno rivelato che Hamas intende approfittare dell'instabilità in cui si trova l'Egitto per utilizzare il Sinai come base operativa contro Israele. Lo scorso 5 febbraio un commando di Hamas ha fatto saltare in aria il gasdotto nel Sinai che alimentava Israele e Giordania. Centinaia di militanti di Hamas e di al Qaeda sono riusciti ad attraversare la frontiera per raggiungere il nord del Sinai. Stando ai servizi segreti israeliani, avrebbero creato un centro di comando per coordinare le operazioni con elementi legati ai Fratelli musulmani egiziani.
Sul piano politico in Egitto, Israele si è espresso poco, ritenendo che sia presto per fare previsioni azzeccate. Dopo le dimissioni di Mubarak, Israele ha avuto numerosi contatti con il regime dei generali attualmente al comando in Egitto. Il 12 febbraio il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak ha discusso telefonicamente con il suo omologo egiziano Mohamed Tantawi per approvare il consolidamento della difesa nel sud del Sinai dalla minaccia di Hamas e al Qaeda tramite lo stanziamento autorizzato di un secondo contingente di soldati israeliani. Un primo gruppo di 800 uomini vi era già presente.
Il maresciallo Tantawi non da nessuna importanza strategica alla penisola del Sinai e non si preoccupa di vederla cadere nelle mani di una coalizione formata da Hamas, al Qaeda e Fratelli musulmani. Men che meno appare interessato a stanziare uomini e armi per la difesa di Israele. Malgrado sia disposto a discutere con il governo israeliano, questo dovrà verosimilmente organizzare da solo le operazioni necessarie alla sua difesa.
Il pericolo per gli israeliani è che rischiano di trovarsi nella stessa posizione degli americani in Afghanistan, condannati ad attaccare i bastioni degli estremisti islamici in Pakistan, ossia in un paese che dovrebbe essere loro alleato.
Una minaccia potrebbe venire anche dall'Arabia Saudita, oltraggiata dalla maniera in cui è stato trattato Hosni Mubarak. Il re saudita ha considerato l'apertura di relazioni diplomatiche e militari con l'Iran. Oltre a rinforzare la minaccia iraniana che pende su Israele, questo potrebbe portare al finanziamento dei militari egiziani favorevoli alle tesi islamiste, causando un allontanamento dell'Egitto dall'Occidente e dunque dagli israeliani.
Come detto la situazione in Egitto è ancora caotica ed è presto per fare previsioni. Sono aperti diversi scenari ma purtroppo nessuno di questi appare favorevole a Israele.

(Ticino live, 15 febbraio 2011)

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Libia in ebollizione. E Gheddafi attacca

«I palestinesi manifestino contro Israele»

Il vento della protesta che soffia nel Nord Africa rischia di travolgere anche Gheddafi da 40 anni al potere a Tripoli. La Conferenza nazionale dell'opposizione libica ha convocato per giovedì prossimo una «giornata della collera». Nei messaggi su Facebook e Twitter si parla di «Intifada» contro il Raìs. «Insieme partecipiamo alla manifestazione per creare un futuro luminoso della libera Libia», si legge sulle pagine web che annunciano la protesta. Caricature di Gheddafi e slogan contro la dittatura riempiono i diversi blog che si sono uniti per sponsorizzare la giornata della collera. Il regime, preoccupatissimo, ha cercato di correre ai ripari con incontri con giornalisti e attivisti politici per avvertire su quali rischi sono connessi a una possibile rivolta e al «caos che potrebbe scatenarsi nel Paese». Nessuno può prevedere cosa potrà accadere giovedì. La Libia - Paese ricco ma con meno abitanti dell'Egitto - presenta da anni una dura repressione nei riguardi delle popolazioni della Cirenaica, da sempre contraria al regime, e conta una nutrita schiera di militanti di Al Qaeda che da vent'anni insegue l'obiettivo di eliminare Gheddafi. Il Colonnello ha cercato di arginare «la collera» mettendo in campo da un lato le forze di sicurezza, dall'altro un maxi-piano di investimenti da 90 miliardi di euro per case e infrastrutture. Iniziative che non hanno fermato gli organizzatori: così, ieri, il leader libico ha sfoderato la retorica anti-occidentale e anti-israeliana issando la bandiera della causa palestinese. Il Colonnello si è presentato in televisione sfruttando le rivolte a proprio tornaconto. «I rifugiati palestinesi dovrebbero capitalizzare l'ondata di rivolte popolari nel Medio oriente, manifestando alle frontiere con Israele finché non verranno recepite le loro domande», ha detto il leader libico. Il leader libico ha sostenuto che questa «invasione» verso Israele è una «proposta di pace». Gheddafi ha, poi, chiamato i Paesi musulmani a lottare insieme contro l'Occidente. Il mondo, ha detto, è diviso fra il bianco - che include Stati Uniti, Unione europea, e i loro alleati - e il verde dell'Islam. «Il colore bianco ha deciso di liberarsi da quello verde», ha affermato. Le nazioni musulmane «dovrebbero quindi essere unite contro il bianco, perché i Paesi bianchi sono nemici dell'Islam». Quindi il Colonnello ha toccato il tema degli estremisti islamici. «Perché è emerso questo movimento? - si è chiesto -. Indipendentemente dal suo comportamento, nella mia analisi questo movimento è una risposta all'arroganza americana nei confronti della nazione islamica e una risposta alla sua egemonia sul mondo islamico».

(Il Tempo, 15 febbraio 2011)

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Dalla Libia al Kuwait, la mappa delle prossime rivolte

Disoccupazione, rincari dei prezzi, corruzione: lo scontento tra la popolazione alimenta le proteste. Nei prossimi giorni manifestazioni in Algeria, Marocco e Camerun.

ROMA, 14 feb. - Prima è stata la Tunisia, che dopo meno di un mese (dal 17 dicembre 2010 al 14 gennaio 2011) di rivolta popolare è riuscita a far dimettere il presidente Zin el-Abidin Ben Ali, al potere da 23 anni. Poi è stata la volta dell'Egitto, dove sono bastati 18 giorni per rovesciare il regime di Hosni Mubarak, l'11 febbraio, che guidava il Paese da 30 anni. Due eventi che stanno alimentando le speranze di chi, negli altri Paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente, spera di poter tradurre nella loro realtà interna quanto è accaduto al Cairo e a Tunisi.
Questo il senso di una serie di proteste in corso nei prossimi giorni: oggi in Iran e Bahrein, il 17 in Libia, il 19 in Algeria, il 20 in Marocco, il 23 in Camerun e l'8 marzo in Kuwait.

IRAN. Qui, oggi, torna in piazza l'Onda Verde riformista in segno di solidaretà con il popolo egiziano e contro la politica di Mahmoud Ahmadinejad, già contestata nel 2009. Teheran ha vietato l'evento, messo agli arresti domiciliari il leader dell'opposizione Mehdi Karroubi e fermato diversi giornalisti, ma i manifestanti hanno deciso di sfidare il regime, forti dei risultati ottenuti in Egitto e in Tunisia.
BAHREIN. Sempre oggi, in Bahrein, è stata proclamata la 'Giornata della rabbia'. Nella notte si sono registrati scontri tra polizia e manifestanti a Karzakan, nella parte occidentale del Paese, e la situazione resta instabile. Nel piccolo Paese del Golfo, da tempo, la minoranza sciita ha denunciato discriminazioni da parte della maggioranza sunnita. Manama ha promesso maggiori libertà e contributi finanziari (mille dinari a famiglia) per contenere le proteste, ma tramite Facebook il popolo è stato chiamato a scendere in piazza per chiedere riforme politiche e sociali.
LIBIA. Alcuni gruppi di opposizione hanno proclamato su Internet il 17 febbraio la 'Giornata della collera' nel paese, destando forti preoccupazioni nel colonnello Muammar Gheddafi. A scendere in piazza saranno in modo particolare gli studenti. Ed è a loro che si è rivolto Gheddafi, al potere da 41 anni, nel corso delle sue ultime runioni. Ieri, alla tv di Stato, ha invitato i rifugiati palestinesi a ''creare un problema per il mondo'' e i ''Paesi islamici a unirsi contro le potenze occidentali''. In Libia, che conta una popolazione di 6,5 milioni di persone e un tasso di disoccupazione che nel 2005 era al 13%, le proteste di piazza sono vietate.
ALGERIA. Dopo la manifestazione di sabato, il 19 febbraio si terrà ad Algeri una seconda manifestazione antigovernativa organizzata tramite Internet dal Coordinamento Nazionale per il Cambiamento e la Democrazia, ma non autorizzata dalle autorità. Oggi il ministro degli Esteri algerino, Mourad Medelci, ha annunciato che ''a giorni'' sarà tolto lo stato di emergenza, in vigore da 19 anni. Quasi 35,4 milioni di abitanti, un tasso di disoccupazione pari al 10,2%, il paese è attraversato da un malcontento fortissimo. Dall'inizio di gennaio si sono registrati una decina di casi di auto-immolazioni. Per fronteggiare l'emergenza il governo algerino è dovuto intervenire per fermare l'aumento dei prezzi.
MAROCCO. Il 20 febbraio sarà la volta del Marocco, che fino ad ora era stato l'unico paese dell'area risparmiato dall'ondata di proteste, ma che come la Tunisia sta vivendo un difficile momento economico. Nello stato con 32,3 milioni di abitanti e il 10% di disoccupati, inoltre, la reputazione della famiglia reale è stata danneggiata dai file di Wikileaks, nei quali si denuncia una ''avidità feroce'' dell'entourage di re Mohammed VI. Ma la monarchia, forte del sostegno di ampi settori della società, è stata finora in grado di contenere le proteste.
CAMERUN. Il 23 febbraio è invece prevista una manifestazione di protesta in Camerun, considerato uno dei Paesi più corrotti al mondo. Ed è proprio la corruzione che ha fatto perdere al Paese circa 2,8 miliardi di euro l'anno in entrate statali tra il 1998 al 2004 e che ora vede la rivolta della piazza. Le riforme e la sanzioni applicate contro la corruzione sotto la pressione dei Paesi donatori, infatti, non hanno avuto gli esiti sperati.
KUWAIT. E' stata posticipata al prossimo 8 marzo la manifestazione di protesta in programma la scorsa settimana nell'emirato. Il rinvio è stato deciso dopo le dimissioni del ministro degli Interni in seguito alla morte di un giovane deceduto in carcere per le torture subite dalla polizia penitenziaria. L'emiro del Kuwait ha accettato le dimissioni, ma non si fermano le richieste di riforme politiche.

(Adnkronos, 15 febbraio 2011)

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Soros: investimenti nel settore energetico israeliano

Il miliardario George Soros ha deciso d'investire nel settore energetico israeliano. Nello specifico, Soros appare interessato alle opportunità di business legate alle nuove scoperte, e ha scelto di puntare sulle esplorazioni di nuove giacimenti fossili.
La compagnia petrolifera Adira Energy Ltd. - che ha sede in Canada, ma è attiva in Israele tramite la sussidiaria Adira Energy Israel - ha fatto sapere che l'uomo d'affari ungherese-americano ha realizzato un investimento privato di 6.5 milioni di dollari. La società americana lavora nello Stato ebraico tramite quattro licenze di sfruttamento dei giacimenti Eitan (onshore), Gabriella, Yitzhak e Samuel (offshore). L'ingresso di Soros ha portato fortuna alla Adira Energy: ieri il prezzo delle azioni è aumentato del 21 per cento, raggiungendo il valore di mercato di 56.38 milioni di dollari. Negli ultimi tempi, il panorama energetico israeliano è particolarmente dinamico: nelle profondità del Mediterraneo a largo di Haifa è stata scoperta una vasta area che secondo tutti gli indicatori sarebbe ricchissima di gas naturale.

(FocusMo, 15 febbraio 2011)

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Israele, Andrea Bocelli al Masada Opera Festival

C'è anche Andrea Bocelli nel cartellone del Masada Opera Festival, che ci svolgerà dal 1o al 12 giugno nella Fortezza di Masada, nel deserto della Giudea, presso la Piscina del Sultano e in numerose chiese di Gerusalemme. In particolare, l'Aida di Verdi è prevista per i giorni 4,5 e 9, 11 giugno, in un anfiteatro gigante costruito sulle sabbie del deserto, con alle spalle la maestosa Fortezza di Masada. Andrea Boccelli si esibirà invece il 12 giugno, sempre a Masada, accompagnato dall'orchestra sinfonica di Israele Rishon Le Zion e dal coro dell'Israel Opera.

(Travel, 15 febbraio 2011)

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Tefillìn. Dalla California al Colosseo a Facebook

ROMA - Come ogni giorno Manuel Sonnino si trovava al Colosseo travestito da soldato romano per farsi immortalare dalle macchine fotografiche dei turisti provenienti da tutto il mondo per visitare la nostra capitale. Certamente, mai si sarebbe aspettato un giorno di essere egli stesso a dover chiedere di essere fotografato.
Mayer Shmukler, un rabbino Chabad direttore di un liceo in California in visita a Roma, ha incontrato Manuel al Colosseo e, dopo essersi fatto fotografare in sua compagnia, gli ha chiesto se voleva mettere i Tefillìn. Alla proposta del rabbino Manuel non ha saputo resistere e ha accettato.
Così, sotto gli occhi dei curiosi, un ebreo vestito da soldato romano ha indossato i Tefillìn davanti al Colosseo.
Il fratello di Manuel, Eugenio,ha preso la foto e l'ha messa su Facebook, ricevendo in questo modo complimenti entusiasti da tutti.
Manuel ha affermato che sicuramente incornicerà la fotografia e la appenderà al muro come ricordo di una giornata molto particolare.

(Chabad.Italia, 15 febbraio 2011)

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«Mezzo secolo fa ho vissuto la prima rivoluzione d'Egitto»

Giuliana Sierra abita a Como. Ha lasciato il Paese nordafricano durante la dittatura di Nasser

Giuliana Sierra è una donna minuta e forte, dolce e determinata. Parla con la saggezza di un'italiana che ha vissuto un quarto di secolo nel mondo arabo e ha superato numerose traversie.
Sposata e madre di due figli, una femmina e un maschio, abita a Como e non fa fatica a ricordare l'altra rivoluzione egiziana, quella che la colse con la sua famiglia ad Alessandria d'Egitto, dove viveva in uno splendido palazzo del centro, con tanto di servitù.
Giuliana, classe 1937, è nata nel Paese dei Faraoni. Suo nonno, architetto, vi era giunto all'inizio del '900. «Gli italiani e altri stranieri impegnati nelle professioni - ricorda lei oggi - crearono in quel tempo la borghesia produttiva della nazione egiziana»....

(Corriere di Como, 15 febbraio 2011)

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Gaza, da "Mubarak" a "Tahrir", l'ospedale cambia nome.

Ribattezzato da Hamas in onore della rivoluzione egiziana

GAZA, 15 feb. - Uno dei principali ospedali della Striscia di Gaza, chiamato Hosni Mubarak in onore dell'ormai ex presidente egiziano, è stato ribattezzato come ospedale "Tahrir", in riferimento alla piazza del Cairo diventata il simbolo della protesta contro il regime. "L'ospedale pediatrico Mubarak di Khan Younis è stato ribattezzato ospedale Tahrir in omaggio alla rivoluzione egiziana di piazza Tahrir", ha precisato Youssef al Mudallal, capo di gabinetto del ministro della Sanità del governo di Hamas, che controlla il territorio palestinese.
Hamas ha manifestato grande soddisfazione per la caduta del presidente egiziano 18 giorni dopo l'inizio delle manifestazioni di protesta: i sostenitori del movimento islamico palestinese sono anche scesi in piazza per celebrare l'addio di Mubarak.

(TMNews, 15 febbraio 2011)

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Makhtesh Ramon (Negev), l'enorme cratere nel selvaggio West israeliano

Makhtesh Ramon
Ci sono solo cinque crateri come Makhtesh Ramon sul nostro pianeta. Tre di loro sono proprio nel deserto del Negev israeliano e due rimanenti sono nella penisola del Sinai. La maggior parte dei turisti che arrivano nella regione non conoscono il posto, e probabilmente on sanno neanche cosa sia un makhtesh. Non sono strutture vulcaniche o di impatto meteorico, ma particolari erosioni che creano dei circhi di rocce. In genere sono formati da ripide pareti di rocce compatte che resistono meglio all'erosione delle zone più friabili all'interno, che vengono scavate da uno uadi che crea una depressione.
Il punto migliore da cui un turista potrebbe iniziare l'esplorazione del deserto del Negev è la città di Micpe Ramon. Si tratta di un villaggio a decine di chilometri da qualsiasi altre abitazioni dell'uomo e consiste di due strade, una banca, un benzinaio, due bar e due negozi. La città ricorda ai visitatori certe situazioni del selvaggio West. Tuttavia, invece di cowboy e indiani si possono incontrare i beduini che vivono alla periferia della città.
E 'difficile descrivere il paesaggio di Makhtesh Ramon. Se qualcuno volesse girare un film su Marte, questo sarebbe un luogo perfetto. Probabile che invece che l'atterraggio virtuale a Mosca di questi giorni (simulando l'arrivo su Marte) avrebbe avuto miglio scenario un atterraggio qui al Makhtesh Ramon. I visitatori che arrivano in città di solito prendono un paio di foto o si fermano al centro di informazioni turistiche. Poi, continuano nel loro cammino verso la costa. Coloro che sono più avventurosi, possono decidere di dedicarsi al trekking, su percorsi che possono durare ore o addirittura giorni. Il sentiero li conduce attraverso zone militari, ma comunque i turisti possono anche noleggiare una jeep e una guida e di viaggio e compiere il giro con qualche comodità in più.
E 'anche possibile viaggiare attraverso il cratere attraverso la strada 40 che scende di 300 metri verso il fondo del cratere, e poi sale di nuovo dopo pochi chilometri. La strada porta poi i turisti alle rovine di Avdatu, un antico forte che un tempo era usato dai Romani e successivamente dai Bizantini.

(ilTurista.info, 15 febbraio 2011)

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Israele rafforza sicurezza ambasciate dopo alcuni allerta

Israele ha deciso di rafforzare il dispositivo di sicurezza di molti delle sue ambasciate a seguito di "incidenti inconsueti" che si sono verificati domenica: lo ha riferito la radio pubblica israeliana. Nessuna spiegazione stata fornita sulla natura di questi "incidenti" n sulle ambasciate interessate. "L'ufficio per la lotta contro il terrorismo", che dipende direttamente dall'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, da parte sua ha recentemente messo in guardia i cittadini israeliani contro eventuali rischi per la loro sicurezza in sette paesi: Egitto, Turchia, Georgia, Venezuela, Mali, Costa d'Avorio e Mauritania. Interpellato dalla radio pubblica israeliana, il vice primo ministro Sylvan Shalom ha dichiarato che "in questi ultimi tempi le minacce sono aumentate, in particolare a seguito di attivit sotterranee nel mondo arabo".

(Affaritaliani, 15 febbraio 2011)

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Il Parlamento olandese vota il riconoscimento dello Stato ebraico di Israele

di A. Klotz

L'AIA - Membri del governo olandese hanno ufficialmente riconosciuto Israele come Stato ebraico. E' questo il risultato di un voto parlamentare a L'Aia.
Già dall'inizio di questo mese diversi membri del Parlamento hanno lottato per l'accettazione di uno stato ebraico. Adesso 113 su 150 politici olandesi hanno votato per la designazione ufficiale di uno "Stato ebraico e democratico".
Inoltre l'UE dovrebbe respingere un "riconoscimento unilaterale dei Territori palestinesi", chiede il Parlamento a L'Aia. Perché altrimenti non potrebbe essere garantita una pace di lungo termine. "L'Europa deve invitare i dirigenti palestinesi a negoziare direttamente con Israele", si legge in un comunicato. Un primo passo è l'accettazione dello "Stato ebraico di Israele" da parte dei palestinesi. Solo in questo modo potrebbe essere risolto il conflitto in Medio Oriente.
"E 'un buon segno che gli olandesi comincino a capire il problema centrale del conflitto arabo-israeliano", ha detto l'esperto olandese di Medio Oriente Jonathan Visser al Jerusalem Post. Il voto dovrebbe servire da modello per le decisioni dell'UE sul futuro del Medio Oriente.

(www.israelnetz.com, 14 febbraio 2011 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Egitto-Israele e le modifiche al trattato di pace: c'è il rischio di una guerra

Uzi Dayan
GERUSALEMME - Un potenziale casus belli per l'ex vice capo di stato maggiore e analista militare israeliano Uzi Dayan potrebbe nascondersi dietro i tentativi dell' Egitto di modificare il trattato di pace con Israele.
"Israele - ha detto Dayan in un incontro con corrispondenti della stampa estera - si atterrà strettamente al trattato di pace ma deve al tempo stesso chiarire che ogni sua modifica potrebbe costituire un potenziale casus belli". L' Egitto è stato il primo stato arabo a concludere con Israele, nel 1979, un trattato di pace in cambio della restituzione della penisola del Sinai e ha finora onorato l'impegno di tenerla smilitarizzata, condizione che Israele ritiene vitale per la sua sicurezza. Dopo aver rivolto ai giornalisti un ironico "benvenuti nel nuovo Medio Oriente" Dayan ha detto che "l'incertezza e l'instabilità sono tornati con prepotenza nella nostra regione". Dayan e' categorico: "la rivoluzione in Egitto non e' islamica, ma gli islamici sono la forza meglio organizzata".
Israele, afferma Dayan, dovrà rallegrarsi se la democrazia si consoliderà in Egitto ma deve al tempo stesso prepararsi a "scenari problematici". Il nuovo capo di stato maggiore israeliano, Benny Gantz, entrato oggi in carica, dovrà, secondo Dayan, rivedere la struttura di settori importanti delle forze armate al fine di renderle molto piu' flessibili e in grado di far fronte a scenari mutevoli, come la ricostituzione di uno schieramento di paesi nemici "sul fronte est e forse perfino su quello sud (con l' Egitto, ndr)".

(Blitz quotidiano, 14 febbraio 2011)

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Militanti a Gaza hanno attaccato il distretto di Eshkol

GERUSALEMME, 14 feb - Alcuni militanti della Striscia di Gaza hanno aperto il fuoco verso il distretto di Eshkol, nel sud di Israele: non e' ancora chiaro se si tratti di un colpo di mortaio o se di un razzo Qassam di produzione locale. Lo ha reso noto in un comunicato l'esercito israeliano, secondo cui, al momento, non si registrano vittime.

(ASCA, 14 febbraio 2011)

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Israele allarmata dal caos nel mondo arabo: pronti ad ogni evenienza

Netanyahu: la nostra esistenza è fondata sull'esercito. Il capo di stato maggiore dell'esercito: Non sappiamo come finiranno le cose

GERUSALEMME, 14 feb. - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato oggi che l'esercito dello Stato ebraico è "pronto a tutte le evenienze", nel momento in cui un "terremoto sta scuotendo tutti i paesi arabi". In occasione della cerimonia di insediamento del nuovo capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, il primo ministro ha spiegato: "Un terremoto sta scuotendo tutti gli arabi e una gran parte del mondo musulmano, e non sappiamo ancora come le cose andranno a finire".
"Siamo pronti a tutte le evenienze poiché sappiamo che la base della nostra esistenza e la nostra capacità di convincere i nostri vicini a vivere in pace con noi sono fondate sull'esercito israeliano", ha sottolineato Netanyahu.

(TMNews, 14 febbraio 2011)

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Lettera aperta a un intellettuale egiziano

di Yair Lapid

Yair Lapid
Ho cercato il tuo viso fra le masse, in tv, per più di due settimane. Per un attimo mi è sembrato di vederti in piazza al-Tahrir, circondato da estranei, mentre fotografavi i soldati con il tuo cellulare, ma forse è stata solo la mia immaginazione.
Come molti israeliani, la vostra rivoluzione mi riempie sia di speranza che di preoccupazione. Spero che funzioni, perché ve la meritate, esattamente come ogni persona al mondo si merita di vivere da libero cittadino, in un regime democratico, con la possibilità di determinare il proprio destino. Tuttavia sono anche preoccupato, e lo sono proprio a causa tua e dei tuoi colleghi, gli intellettuali egiziani, che per anni sono stati alla testa delle campagne di odio e di paura contro Israele. E non posso fare a meno di domandarmi: è in questa direzione che intendete portare il vostro nuovo Egitto? ...

(israele.net, 14 febbraio 2011)

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Il Premier Fayyad presenterà oggi le sue dimissioni

Abu Mazen darà un nuovo incarico al primo ministro

RAMALLAH, 14 feb. - Il primo ministro palestinese, Salam Fayyad, presenterà questa mattina le sue dimissioni al presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen: lo ha confermato ieri sera un alto responsabile palestinese. Il governo di Fayyad rimetterà il suo mandato nel corso di una riunione d'emergenza del gabinetto a a Ramallah, in Cisgiordania, sede dell'Anp. Il presidente palestinese darà un nuovo incarico a Fayyad di formare un nuovo governo, ha precisato la fonte che ha richiesto l'anonimato.
L'ufficio di presidenza palestinese aveva annunciato sabato scorso che le prossime elezioni presidenziali e legislative avranno luogo al più tardi a settembre. Le elezioni sono state annunciate al termine di una riunione del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), sotto la presidenza di Abu Mazen a Ramallah (Cisgiordania).
Il mandato di Abu Mazen è scaduto a gennaio 2009, ma è stato prolungato fino all'organizzazione di nuove elezioni presidenziali al fine di evitare un vuoto istituzionale.

(TMNews, 14 febbraio 2011)

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Hamas non prenderà parte alle elezioni indette dall'Anp

Hamas, il movimento islamico che controlla la Striscia di Gaza, "non prenderà parte alle elezioni" indette dall'Autorita' Nazionale Palestinese (Anp). Lo ha riferito il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, secondo cui il movimento "non legittimerà le consultazioni e non ne riconoscerà i risultati".
Yasser Abed Rabbo, segretario dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) ha detto ai microfoni di Radio Voce di Palestina, che le elezioni si terranno ugualmente - nonostante la defezione di Hamas - dal momento che non è possibile attendere che "tutte le divergenze e i i contrasti vengano appianati".
Sabato scorso l'Anp ha deciso di indire le elezioni - presidenziali e parlamentari - da tenersi entro settembre in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Hamas ritiene che le elezioni possano tenersi solo dopo il completamento di una riconciliazione con Fatah e che la chiamata alle elezioni dell'Olp è illegale dal momento che "le elezioni sono una questione nazionale e che secondo gli accordi firmati al Cairo nel 2005 si dovrebbe votare anche al di fuori dei territori palestinesi".

(PeaceReporter, 14 febbraio 2011)

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Frattini: Gravissimo il rischio di due palestine

DAMASCO, 14 feb. - La coesistenza di uno Stato palestinese guidato da Fatah e "un'altra entità che è Gaza" sarebbe un "pericolo gravissimo per la regione". Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri Franco Frattini, in una conferenza stampa con il collega siriano Walid al Moallem a Damasco, prima tappa di una visita lampo del titolare della Farnesina in Medio Oriente e Nordafrica.
"E' noto che anche le ultime vicende in alcuni paesi della regione hanno purtroppo portato a una fase di stallo e di congelamento tra i negoziati, purtroppo si sono fermate le azioni dirette alla riconciliazione palestinese" ha osservato Frattini, in riferimento al ruolo-chiave dell'Egitto nel processo.
"Abbiamo visto la proclamazione di elezioni da parte dell'Autorità nazionale palestinese, il rifiuto annunciato da Hamas di partecipare alle elezioni" ha proseguito il ministro, in riferimento alle presidenziali e legislative palestinesi fissate per il prossimo settembre. "Il grande rischio - secondo Frattini - è che invece di uno stato palestinese, un domani ci possano essere uno stato palestinese e un'altra entità che è Gaza. Questo sarebbe un pericolo gravissimo per la regione".

(TMNews, 14 febbraio 2011)

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Militari: l’Egitto rispetterà gli impegni internazionali

   

I militari rimuovono le barricate in una piazza Tahrir ancora affollata, e promettono il rispetto dei trattati internazionali da parte dell'Egitto post-Mubarak. Nell'ultimo comunicato diramato dal Consiglio Supremo delle Forze armate, l'esercito ribadisce anche l'impegno per una pacifica transizione dei poteri: "L'attuale governo si occuperà degli affari correnti fino alla formazione del nuovo governo - ha detto un portavoce -. La repubblica araba d'Egitto si impegna inoltre a rispettare tutti gli obblighi e i trattati internazionali".
Tra questi, soprattutto, l'accordo di pace stipulato nel 1979 con Israele. Il premier israeliano Netanyahu ha accolto con favore l'annuncio. Al Cairo i militari smantellano i checkpoint e spostano i carri armati, ma i manifestanti vigilano, affinché quello che è diventato il nuovo organo di controllo del Paese, mantenga le promesse fatte

(euronews, 13 febbraio 2011)

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Israele è alle prese con una crisi idrica tra le più gravi della regione

Israele è alle prese con una crisi idrica tra le più gravi della regione, al pari di Giordania e territori palestinesi. A lanciare l'allarme è un rapporto del think tank 'Strategic Foresight Group', secondo cui questi paesi non hanno altra alternativa che la cooperazione politica se vogliono affrontare questo deficit idirico, stimato tra 500 e 700 milioni di metri cubi d'acqua.
Il dossier parte dalla considerazione che i fiumi israeliani e dei paesi confinanti hanno registrato un declino nella portata d'acqua dal 1960 ad oggi compreso tra il 50 e il 90%. Il think tank lancia quindi l'allarme sui possibili scenari che potrebbero innescarsi a partire da questa crisi idrica, che è già in atto, e che in alcuni paesi arabi rischia di fomentare nuove rivolte per la democrazia sulla scia di quanto accaduto in Egitto e Tunisia. "I paesi oggi amici domani potrebbero ritrovarsi rivali, e il contrario", si legge nel rapporto. "La storia degli ultimi 10 anni del Medioriente dimostra quanto possano essere rapidi i cambiamenti geopolitici nella regione".

(Aki, 13 febbraio 2011)

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La Norvegia si "guarda dentro" per scoprire cosa pensa degli ebrei

Un progetto finanziato dal governo per indagare cosa pensano davvero i norvegesi degli ebrei, dei musulmani e degli altri gruppi religiosi: lo scopo è prevenire l'insorgere di tendenze estremiste.
Il Centro Studi della Shoah e le minoranze religiose avrà dal governo tre milioni di corone (poco meno di 400mila euro): ad annunciarlo è stata Tora Aasland, ministro dell'Infanzia, dell'uguaglianza e dell'inclusione sociale. "Lo studio può darci informazioni sull'opinione delle persone rispetto all'ebraismo e agli ebrei, ma anche sui musulmani e i rom" ha detto il ministro Aasland. "Questo ci aiuterà a pianificare le future iniziative politiche."
L'iniziativa parte da un presupposto: l'atteggiamento verso i musulmani è stato misurato nel tempo ed è sensibilmente migliorato in Norvegia. Ma ad esempio non si sono studi simili su quello che i norvegesi pensano degli ebrei. Il tema è particolarmente caldo visto che da qualche tempo voci estere (in particolare Israele) e l'opposizione di centro-destra condannano l'atteggiamento di molti media norvegesi ritenuti eccessivamente filo-palestinesi. "Credo che negli ultimi anni da parte dei media ci sia stato uno spostamento a favore del popolo palestinese" ha dichiarato Hans Olav Syversen, parlamentare del Kristelig Folkeparti. Morten Hoglund , del Fremskrittspartiet, ha aggiunto: "la copertura dei media è abbastanza prevenuta nei confronti di Israele. Questo genera rabbia e odio, aumentando la tensione sul tema."
Qualche brutta vicenda sembrerebbe alimentare l'allarme. Odd-Bjorn Fure, direttore del Centro dell'Olocausto, ammette: "abbiamo avuto qualche problema", riferendosi agli episodi antisemiti avvenuti in Norvegia negli ultimi tempi: bullismo nei confronti di studenti ebrei, colpi di pistola contro la sinagoga di Oslo, il negazionista David Irving invitato a un convegno. "Dobbiamo chiederci se siano episodi casuali o frutto di una ondata di sentimenti anti-ebraici".
Antonio Scafati

(DirettaNews.it, 13 febbraio 2011)

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Il generale Tantawi. L'uomo forte che non piace a Israele

Mohamed Hussein Tantawi Soliman, nato nel 1935 è di fatto il presidente dell'Egitto.

Mohamed Hussein Tantawi
Maresciallo di campo e comandante in capo dell'esercito egiziano e ministro della Difesa e della Produzione militare. Ha partecipato a tutte le guerre contro Israele nel 1956, nel 1967 e nel 1973. Tra i ruoli ricoperti in passato ci sono quello di comandante della guardia presidenziale e di capo delle operazioni dell'esercito. Ha studiato a Mosca negli anni di collaborazione tra Egitto e Unione sovietica. Fu nominato ministro nel 1991, dopo l'allontanamento del generale Yusuf Sabri Abu Talib. In quello stesso periodo partecipò alla guerra del Golfo, tra le file della coalizione Onu. Nei cablogrammi diffusi da Wikileaks, la diplomazia Usa lo descrive come un uomo «resistente al cambiamento» e favorevole mantenimento dello status quo. «Si è opposto tanto alle riforme politiche che economiche che percepisce come un'erosione del potere centrale», scriveva l'ex ambasciatore Usa a Il Cairo, Francis J. Ricciardone,nel 2008. Israele non lo considera un amico sospettandolo di non aver fermato i contrabbandi tra Sinai e Striscia di Gaza. Mau. Pic.

(Il Tempo, 13 febbraio 2011)

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Herzl, Mazzini. Risorgimenti a confronto

Elena Lattes

Questa è la tesi forte, secondo il semiologo Ugo Volli, espressa da Luigi Compagna nel suo ultimo libro "Theodor Herzl, il Mazzini di Israele" presentato ieri al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un'analisi storica che è di grande attualità, vista la ricostruzione filosofica che è alla base del dibattito politico attualmente in essere sia in ambito ebraico che europeo. Volli, infatti, consigliando la lettura di questo volume che è anche una dettagliata biografia del fondatore del Sionismo politico, lo contrappone alle tesi di Shlomo Sand secondo il quale le Nazioni sono un'invenzione delle classi dominanti e quindi un'orribile violenza verso i popoli il cui esito naturale sono stati regimi nefasti quali il fascismo e il nazismo. Anche in Europa la maggioranza dei governi tende ad anteporre il multiculturalismo agli interessi nazionali.
Al contrario, il libro di Compagna legittima l'idea della la politica nazionale-statale democratica e liberale come una forma di arricchimento e non di chiusura verso gli altri com'era appunto concepita alla fine dell'Ottocento.
I due movimenti politici risorgimentali, quello italiano e quello ebraico, erano legati da un filo sottile, ma importante: Herzl si ispirò a Mazzini e i due personaggi erano simili, come hanno ricordato sia Volli sia Luciano Tas, giornalista e scrittore, che ha moderato la serata, non nel carattere o nella personalità, ma nelle loro posizioni e nei loro scopi.
Entrambi miravano a creare una nazione in cui i diritti liberali potessero crescere in maniera equilibrata. Tanti furono gli ebrei che parteciparono alla nascita dello Stato italiano e alcuni esponenti intellettuali, così come alcune forze politiche, laiche liberali e democratiche, hanno offerto e offrono uno spazio naturale di dialogo con l'ebraismo.
Si trova d'accordo con Volli, la professoressa Ester Capuzzo che ricorda che anche Mazzini era legato all'ambiente ebraico, che in diverse sue opere cita la Bibbia, che vede Mosè come guida della Nazione verso la libertà. Mazzini era legato anche al sionismo europeo, attraverso gli stretti contatti con Moses Hess che a sua volta si era interessato al risorgimento italiano nel suo libro "Roma e Gerusalemme". E così come Mazzini mirava a trasformare la questione italiana in un problema europeo, Herzl trasformò il problema ebraico in una questione di diritto internazionale.
Per il rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell'Ucei, il libro di Compagna fornisce un quadro completo del dibattito sul Sionismo. Un dibattito tipico del pluralismo ebraico in cui sono presenti diverse anime che Herzl volle includere nel suo progetto. Rav Kook, primo rabbino capo dell'Yishuv e fondatore del sionismo religioso, per esempio, era un suo seguace. Il sionismo moderno è un movimento politico nazionale osteggiato e combattuto dai charedim che vi vedono una sorta di eresia, ma è anche un rapporto unico e speciale tra il popolo ebraico e la propria terra che, come ricorda sempre rav Della Rocca, nasce quando Dio dice ad Abramo di lasciare la terra dei padri e che porta ogni ebreo a tendere verso Israele.

(L'ideale, 13 febbraio 2011)

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Valle del Giordano, sminamento lento

La località di Qasr el-Yahud, sulla sponda occidentale del Giordano, presidiata dagli avamposti dell'esercito israeliano benché si trovi nei Territori Palestinesi.

È sicuro, per l'incolumità dei fedeli, il pellegrinaggio a Qasr el-Yahud, il sito del battesimo di Gesù amministrato dal ministero del Turismo israeliano sulla sponda occidentale del Giordano? Se l'è domandato nelle settimane scorse Roots of Peace, una ong che si occupa in molti Paesi del mondo dello sminamento post-bellico dei terreni ad uso civile.
Qasr el-Yahud, a pochi chilometri dalla città di Gerico, si trova nei Territori Palestinesi occupati da Israele nel 1967 e proprio sul confine con la Giordania. Per ora l'accesso ai pellegrini è consentito, in poche occasioni, dall'esercito israeliano che controlla l'area. La località è attorniata da cartelli che recano la scritta «Pericolo! Mine!». «Dal quando divenne area di confine - ha spiegato al giornale Haartez Avner Goren un archeologo che lavora per il ministero del Turismo israeliano - la zona circostante è stata disseminata di migliaia di mine e chiusa al pubblico».
La preoccupazione di Roots of Peace è che i pellegrini - che vi si recano sempre in maggior numero - possano inavvertitamente, mettere a rischio la loro incolumità. Secondo Dhyan Or, uno dei responabili israeliani dell'organizzazione non governativa, sono almeno mezzo milione le mine disseminate nella Valle del Giordano. Un territorio particolare, potenzialmente soggetto a inondazioni che potrebbero trascinare le mine dallo stretto corridoio di confine dove sono state piazzate verso altri punti del territorio.
Ad accrescere i rischi è proprio la natura religiosa del luogo: qualche pellegrino zelante potrebbe allontanarsi dai sentieri sicuri, sottovalutando la minaccia che incombe. Il rischio aumenta con il crescente afflusso di fedeli: basti pensare al 18 gennaio scorso quando circa 15 mila cristiani ortodossi si sono ritrovati proprio a Qasr el-Yahud, insieme al loro patriarca Teofilo III per celebrare la festa della Teofania. Dopo la benedizione dell'acqua da parte del patriarca, alcuni fedeli si sono immersi nel fiume, ricordando il battesimo del Signore.
Tra pochi mesi è prevista l'apertura ufficiale al pubblico del sito di Qasr el-Yahud, e ciò farà passare i visitatori, secondo una previsione del ministero del Turismo israeliano, dagli attuali 60 mila al milione in un anno. Un fatto positivo per il turismo che aumenta però la possibilità di incidenti.
Secondo l'esercito israeliano, tuttavia, l'area adiacente al sito del Battesimo è stata completamente liberata dalle mine. Per quanto riguarda tutta la Valle del Giordano, solo lo scorso anno sarebbero state rimosse 8 mila mine. A pochi metri da Qasr el-Yahud sulla sponda orientale del fiume, in territorio giordano, la località di Betania attrae milioni di visitatori e pellegrini. Il governo di Amman ha concesso l'edificazione di nuovi santuari cristiani appartenenti a varie Chiese.
Dalla pace con Israele, firmata nel 1994, i giordani dichiarano di aver sgombrato il proprio territorio dalla pericolosa presenza delle mine.

(Terrasanta.net, febbraio 2011)

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Egitto, militari: rispetteremo i trattati siglati. Evasi dal carcere seicento detenuti

I
L CAIRO, 12 feb. - "L'Egitto rispetterà i trattati regionali e internazionali" già siglati. E l'attuale governo egiziano "rimarrà in carica e svolgerà le sue funzioni fino alla nascita di un nuovo esecutivo", che dovrebbe prendere corpo dopo le elezioni presidenziali previste a settembre. Lo ha riferito il comunicato numero 4 delle forze armate egiziane, letto da un portavoce dell'Esercito, il cui intervento è stato trasmesso dalla tv 'al-Jazeera'.
All'indomani delle dimissioni del presidente Mubarak, dopo 18 giorni di proteste, e il passaggio dei poteri al Consiglio Supremo delle forze armate, i militari egiziani hanno iniziato a rimuovere le barricate dalle strade del Cairo, primo segno di un possibile ritorno alla normalità.
Dopo i festeggiamenti durati tutta la notte in Egitto, questa mattina migliaia di persone erano ancora in piazza Tahrir. Non è chiaro per quanto tempo ancora si fermeranno i manifestanti che hanno pregato tutti insieme. In molti, riferisce al-Jazeera, hanno detto durante la notte di voler aspettare le dichiarazioni dei militari.
Il coprifuoco nel frattempo è stato ridotto, in vigore da mezzanotte alle sei del mattino. Lo ha stabilito il Consiglio Supremo delle Forze armate egiziane, stando a quanto ha riferito il sito web del quotidiano 'al-Ahram'. Mentre mercoledì riaprirà la Borsa del Cairo, chiusa a causa delle proteste antigovernative. Lo ha riferito a condizioni di anonimato un funzionario egiziano della Borsa, citato da 'al-Ahram'.
Stando poi a fonti dell'aeroporto del Cairo, agli alti funzionari del governo egiziano è vietato lasciare il Paese senza permesso. La misura sarebbe stata decisa per evitare che cerchino di sfuggire a possibile indagini sulla corruzione. Già nei giorni scorsi sono stati annunciati il divieto di espatrio e il congelamento dei beni per alcuni ex ministri e uomini d'affari.
Intanto, circa 600 detenuti sono evasi dal carcere di al-Marg, al termine di una rivolta che avrebbe provocato anche vittime. Lo ha riferito il sito web del quotidiano 'Masrawy', secondo cui la maxi-evasione è stata provocata dall'attacco di un commando armato alle forze di sicurezza del carcere. Secondo il quotidiano, una persona sarebbe morta nello scontro a fuoco. Si tratta della seconda evasione di massa di detenuti dall'inizio della rivolta contro Mubarak.

(Adnkronos, 12 febbraio 2011)

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Gerusalemme, aperto alle visite un antico canale di 2000 anni fa

Da alcune settimane, è possibile visitare un antico canale scavato nei pressi della piscina di Siloe, nel sottosuolo del centro storico di Gerusalemme. Il corso d'acqua, risalente a 2000 anni fa, scorre nell'area della città di Davide, la parte più antica della città. L'antica conduttura, riferisce l'Osservatore Romano, fiancheggia, ma non attraversa il Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee), una zona particolarmente critica, dove si concentrano gli interessi di ebrei e musulmani. Secondo gli archeologi, un altro settore del canale si trova nelle vicinanze della Porta di Damasco. Il primo a scoprire il canale è stato l'esploratore britannico Charles Warren, nel 1867. Negli anni Novanta dello stesso secolo è stata la volta di Frederick J. Bliss e Archibald C. Dickey del British Palestine Exploration Fund. In larghezza il canale varia da 1 a 3 metri e ha un'altezza tra 1 e 2 metri. In alcuni punti ha una profondità di 15-20 metri, tanto che gli addetti agli scavi hanno potuto vedere gli strati inferiori del Muro del pianto. Gli archeologi assicurano che il tracciato del canale segue la valle del Tyropeion, l'area più bassa dell'antica Gerusalemme, con sezioni d'epoca asmonea ed erodiana. La strada che lo sovrastava è lastricata e a gradini e dalle dimensioni si deduce che doveva essere importante. Gli archeologi la datano tra il 50 a.C. e il 100 d.C., dunque al periodo erodiano. La sezione scoperta, lunga 40 metri, si trova in prossimità di un giardino di proprietà della Chiesa greco-ortodossa, da una parte, mentre dall'altra è in un'area posta sotto l'autorità del Waqf, l'Ente di gestione dei beni musulmani. L'area della strada scavata si trova a 550 metri dal lato meridionale della Spianata del Tempio. Da questo luogo, secondo quanto sostengono gli archeologi, i pellegrini iniziavano la salita verso il tempio, ed è verosimile che questa strada l'abbia percorsa anche Gesù. Nel nono capitolo del Vangelo di Giovanni, infatti, si ricorda che Gesù, dopo avere cosparso un po' della sua saliva unita a della terra sugli occhi di un cieco, gli disse di andarsi a lavare nella piscina di Siloe. (M.I.)

(Radio Vaticana, 12 febbraio 2011)

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Bimbi rom morti a Roma, scritte shock: svastiche e minacce sul muro alla Pisana

Alemanno: scritte orrende, è indegno che ci sia ancora chi scrive cose simili. Municipio: non sottovalutare questi episodi

ROMA - Le scritte "Rom -4" e "Rom Raus" (che significa "rom fuori") accompagnate da svastiche sono comparse questa mattina su un muro di via della Pisana, all'altezza del civico 64, sulle colonnne di una scalinata che porta a Via del Fontanile Arenato. «Non è il primo episodio del
genere - ricorda ScamardìRaffaele Scamardì, capogruppo Pd del XVI Municipio - Già l'anno scorso vicino alle poste di via di Bravetta un'altra scritta antisemita che prendeva come bersaglio Anna Frank». Il presidente del XVI Municipio, Fabio Bellini, ha chiesto l'intervento dell'Ufficio decoro urbano del Comune. «E' una vergogna che va subito cancellata, e se non interviene immediatamente il decoro urbano - annuncia Scamardì - come la scorsa volta, lo faremo noi di nostro pugno insieme ai cittadini del quartiere».
«E' ora di finirla di sottovalutare tali episodi. Sono gravi e le autorità devono riuscire a trovare i responsabili soprattutto in un momento delicato come questo - sottolinea il capogruppo Pd - A nulla sono valsi gli appelli delle autorità civili ed ecclesiastiche di questi giorni. E' incredibile che ci siano persone che di fronte ad una tragedia enorme come la morte di quattro bambini possa sentirsi autorizzato a scrivere queste frasi, dimostrando una totale incoscienza».
Alemanno: orrende le scritte contro i rom. «E' veramente aberrante che nella nostra città possano esistere persone, anche se pochissime, che riescono a scrivere cose così orrende. E' una cosa indegna» ha detto il sindaco Alemanno - Abbiamo mandato subito il decoro urbano a cancellare queste scritte, speriamo che gli inquirenti individuino chi le ha fatte».

(Il Messaggero, 12 febbraio 2011)

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Hamas respinge appello dell'Anp a elezioni entro settembre

"Abu Mazen non ha nessuna legittimità"

GAZA, 12 feb. - Hamas, il movimento islamico palestinese che controlla la Striscia di Gaza, ha respinto l'appello dell'Autorità palestinese (Anp) a organizzare le elezioni presidenziali e legislative prima di settembre. "Questa procedura non è valida poiché il presidente Abu Mazen non ha nessuna legittimità e non è abilitato ad organizzare tali elezioni", ha dichiarato il portavoce di Hamas a Gaza, Fawzi Barhoum. Questa situazione compromette lo svolgimento delle elezioni sull'insieme dei Territori: Hamas contesta la legittimità del presidente dell'Anp, Abu Mazen, il cui mandato, scaduto nel gennaio 2009, è stato prorogato fino ad un nuovo scrutinio per evitare un vuoto istituzionale. L'Anp aveva indetto nuove elezioni per il 24 gennaio 2010, ma vi aveva rinunciato a fronte del rifiuto di Hamas, vincitore delle legislative del 2006, a organizzarle nella Striscia di Gaza.(con fonte Afp)

(TMNews, 12 febbraio 2011)

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Dimissioni Mubarak, Hamas plaude a "inizio vittoria"

GAZA - Hamas ha accolto con soddisfazione le dimissioni del presidente egiziano Hosni Moubarak, mentre scene di gioia sono esplose un tutta la Striscia di Gaza."Consideriamo le dimissioni del presidente Mubarak come l'annuncio dell'inizio della vittoria della rivoluzione egiziana alla quale noi diamo il nostro appoggio in tutte le sue rivendicazioni", ha dichiarato Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas a Gaza. Il portavoce ha poi esortato "l'esercito a farsi garante delle rivendicazioni del popolo egiziano e a non permettere che siano disattese". "Chiediamo alla leadership egiziana di disporre immediatamente la revoca dell'assedio di Gaza e l'apertura del terminal egiziano" a Rafah, alla frontiera fra Gaza e l'Egitto, ha aggiunto. Nel contempo, migliaia di persone scese nelle strade in tutta l'enclave palestinese, celebravano l'avvenimento con dei grida di gioia e concerti di clacson. Gli alto-parlanti delle moschee invitavano la popolazione a uscire in massa dalla case per "festeggiare con il popolo egiziano".

(Diario del Web, 11 febbraio 2011)

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A Teheran festa della Rivoluzione "Morte a Israele"

Al grido di «Morte all'America! Morte a Israele!», migliaia di iraniani hanno sfilato nelle strade di Teheran per celebrare il trentaduesimo anniversario della rivoluzione del 1979. «Vedremo presto un Medio Oriente libero dall'America e dal regime sionista, dove non vi sarà posto per l'arroganza dell'Occidente», ha tuonato il presidente Mahmoud Ahmadinejad, salutando il corteo con un chiaro riferimento alle rivolte in Tunisia ed Egitto.

(La Stampa, 11 febbraio 2011)

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Attenti, copiare la Turchia non significa democrazia

di Fiamma Nirenstein

Dovremmo davvero smetterla di raffigurarci schemi che ci garantiscano dove va a parare l'Egitto, meglio andare dallo psicanalista a calmare le nostre paure, specialmente ora che Mubarak vacilla sempre di più. Meglio smettere di immaginarsi una magnifica rivoluzione sociale di giovani e di donne che prepara la democrazia nel mondo arabo. C'è chi dipinge piazza Tahrir come una raffigurazione in termini arabi delle rivoluzioni liberali e anticomuniste dell'Europa dell'Est: lo faccia pure, si prenderà una solenne legnata. L'unico elemento di somiglianza l'ha individuato Sharansky: ogni uomo vessato dalla miseria e dalla prepotenza anela alla libertà. Tutti, senza distinzione. Fare il dittatore è rischioso.
C'è chi si immagina che la Fratellanza Musulmana abbia aderito a un processo democratico, e anche Obama se ne accorgerà: ogni affermazione di gradualismo di Mohammed Badie, il capo, è puro tatticismo, e se ne trova la conferma in altre sue terribili affermazioni contro la civiltà non musulmana: lo scopo è il califfato universale e, prima di tutto, in Egitto. Infine, ci sono quelli che si calmano pensando che l'Egitto adotterà un modello turco, islamico ma secolare, in pace con l'Occidente. Ma il modello turco in realtà non è come molti si figurano, cioè come uno scenario in cui i militari giuocarono un ruolo di stabilizzazione e i partiti islamisti vengono ammansiti con la partecipazione. Intanto, questa è un'immagine vecchia, antecedente alla Turchia di Erdogan, ormai parte dell'asse politico iraniano. E inoltre, non funzionerebbe comunque: l'Egitto, anche se era ed è tuttora fra i più secolari Paesi arabi, non ha mai avuto un leader formidabile come Kemal Ataturk che abbia fatto della secolarizzazione il suo compito storico, nessuno che gli abbia insegnato, in nome di una magnifica visione moderna, a scrivere in lettere latine o che abbia costretto le donne a partecipare al lavoro e a vestirsi all'occidentale... Dopo i colpi di stato del 1960 e del 1980 civili e militari lavorarono insieme per costruire la transizione alla democrazia. In ambedue i casi il capo dei militari divenne presidente e molte figure in parlamento si misero al loro fianco. Se l'Egitto dovesse seguire le orme di questa esperienza, l'esercito (che in queste ore ha effettivamente un ruolo centrale) verrebbe fiancheggiato da una pluralità di partiti di massa e rinnoverebbe la costituzione. Ma, peccato… l'Egitto non ha una struttura partitica sviluppata. L'unico partito ordinato, schierato, con un piano preciso, arricchito dai soldi delle donazioni e dei business di cui il mondo islamico estremista lo gratifica, è la Fratellanza Islamica.
In secondo luogo, l'esercito che aveva garantito una gestione laica del potere, comincia a sparire con la presenza sulla scena dell'Akp nel 2002. Questo partito islamico, una specie di Fratellanza all'acqua e sapone, decise di presentarsi morbido perché la Corte Costituzionale aveva chiuso i partiti islamici duri, il Partito del Benessere nel 1998 e il Partito della Virtù nel 2001. Era un periodo in cui tutti sperarono che la Turchia, liberatasi dal retaggio della continua violazione dei diritti umani, potesse accedere all'Unione Europea. Ma la storia è matrigna. Dopo che l'Akp vinse le elezioni del 2002 su una piattaforma moderata, cominciò la sua marcia verso l'islamismo e verso il terreno incognito che potesse restituirle l'onore che l'Europa non si decideva a accordarle. Divenne antiamericano e antisemita, e si assimilò all'Islam dell'Iran e dei suoi amici, duro, orgoglioso, antagonista. I militari sono stati fatti fuori, e così anche il potere giudiziario. La democrazia garantita dalla specificità turca è svanita, inutile invocarla: una volta eliminati i controllori, lo spirito islamista della Turchia è inesorabilmente resuscitato. La scelta moderata che era stata imposta da forze come l'esercito e i giudici, compagna di strada della marcia verso l'Europa, è saltata. Per l'Egitto, è inutile contare sull'opzione turca-laica se nessuno è là ad imporla. All'inizio questa soluzione potrebbe neutralizzare le forze religiose, ma alla lunga esse hanno nel mondo islamico una forza, un rigoglio ideologico e pratico straordinario.

(il Giornale, 11 febbraio 2011)

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Prezzi alle stelle, israeliani pronti allo sciopero generale.

Netanyahu corre ai ripari

Quanti grattacapi Bibi. L'Egitto instabile fa paura al confine sud, la Giordania inquieta e mette all'erta alla frontiera est, il Libano senza governo sta alla finestra settentrionale con i suoi cannoni e il suo terrore firmato Hezbollah. Per non parlare della Siria. E della Striscia di Gaza.
Ora, come se non bastasse, ci si mette pure il popolo israeliano. Sempre più nervoso per il continuo aumento del costo della vita e il blocco dei salari. All'orizzonte si prospetta uno sciopero generale. E Bibi, alias Benjamin Netanyahu, non vuole una sfiducia su piazza.
È proprio per questo che il premier israeliano ha annunciato ieri misure per attenuare l'impatto degli aumenti dei prezzi sulle classi di reddito basso e medio-basso. In una conferenza stampa a Tel Aviv, il premier ha anticipato quattro misure che entreranno in vigore al più presto. La riduzione del 10% del costo dei biglietti su tutti i mezzi di trasporto pubblico, la riduzione della tariffa dell'acqua (ma solo per chi non supererà i consumi medi, altrimenti pagherà di più), un aumento dei minimi di stipendio, la revoca dell'ultimo aumento del costo della benzina (che scenderà di circa 4 centesimo di euro al litro).
La parte dolente è toccata al ministro del Tesoro Yuval Steinitz. L'economista ha spiegato che al fine di coprire il costo di queste misure e di non rompere la cornice del bilancio dello stato sarà rinviata la prevista riduzione delle imposte sul reddito e i bilanci dei ministeri saranno ridotti del 2-2,5%.
Misure non sufficienti, secondo i sindacati. Perché negli ultimi mesi l'inflazione sui prezzi è stata notevole. Per esempio: il pane è aumentato del 10%, l'acqua addirittura del 134% e i trasporti pubblici, le tasse nazionali, locali e indirette registrano tutte segno più.

(Falafel Cafè, 11 febbraio 2011)

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Studio israeliano dimostra che la dipendenza da Facebook porta ai disturbi alimentari

Adolescenti e genitori, attenti a Facebook. Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell'Università di Haifa, più tempo le ragazzine passano incollate al celebre social network, maggiori sono le chance di sviluppare disordini alimentari come anoressia e bulimia.
Il team di Yael Latzer (Iraele) ha monitorato 248 ragazzine di 12-19 anni, indagando su gusti televisivi e abitudini su Internet. Poi tutte sono state sottoposte a questionari per esaminare l'orientamento rispetto al peso e a problemi come bulimia, anoressia, soddisfazione rispetto alla propria forma fisica, abitudini alimentari e autoconsapevolezza.
I risultati hanno mostrato che più tempo passano navigando su Facebook, più le ragazzine sono a rischio di soffrire di bulimia, anoressia insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, ma anche di avere un approccio negativo al cibo e un impulso verso una dieta dimagrante.
Anche il notevole consumo online di contenuti fashion è legato a simili tendenze, anche se con una varietà inferiore quanto alle conseguenze. Ad esempio, overdose quotidiane di moda sul web moltiplicano i rischi di anoressia; e lo stesso accade per chi è appassionato di programmi e telefilm sul gossip e il divertimento.

(Quotidiano di Puglia, 11 febbraio 2011)


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A luglio si rinnova il Consiglio palestinese

di Gennaro Esposito

I timori che le proteste egiziane possano contagiare anche i vicini territori palestinesi ha spinto l'ANP a fissare la data per le prossime elezioni per il rinnovo del consiglio palestinese al 9 luglio. La tornata elettorale doveva svolgersi già la scorsa estate, ma divergenze interne ad al-Fatah relative ai nomi dei candidati, le fecero slittare.
A renderlo noto è il portavoce dell'ANP Ghassan Khatib il quale ha dichiarato di auspicare che le elezioni interessino sia la Cisgiordania che la Striscia di Gaza. Ma la reazione di Hamas, che controlla de facto i territori della Striscia di Gaza dal 2007, pare indirizzata verso il muro contro muro, tanto che il leader del movimento radicale Mushir al-Masri ha già dichiarato di essere contrario alle elezioni se prima non saranno risolte le frizioni tra i due partiti rivali (al-Fatah ed Hamas, appunto) e se non verrà trovata una soluzione alla divisione interna all'ANP.
Al-Masri, in risposta alle dichiarazioni di Khatib, ha affermato che l'indizione delle elezioni "è illegale come il Governo di Salam Fayyad (Primo Ministro dell'ANP)" aggiungendo che Hamas è assolutamente contraria a partecipare a qualsiasi elezione "prima che si risolva la spaccatura politica palestinese, in quanto in queste circostanze tale spaccatura è destinata ad acuirsi".
Quello che si sta verificando nei territori palestinesi, in effetti, rappresenta sempre più una frattura insanabile, tanto che ormai la Striscia di Gaza e la Cisgiordania sembrano due realtà totalmente distinte e difficilmente immaginabili come una realtà statuale unica. E non è un caso che all'indomani delle elezioni del 2006, le ultime che hanno interessato tutti i territori dell'ANP e che hanno sancito la vittoria di Hamas nella Striscia di Gaza, vi fu una settimana di sanguinosi scontri che costrinsero i membri di al-Fatah a lasciare Gaza portando alla luce anni di dissapori tra le opposte fazioni.
Ad aggravare la situazione troviamo il non riconoscimento da parte di Hamas della Presidenza di Abbas, il cui mandato è scaduto nel gennaio del 2009, nonché dell'autorità del proprio Governo. Ciò non permette un aperto dialogo tra le parti che continuano a dar vita ad una lotta intestina che limita anche il potere contrattuale dei palestinesi al tavolo dei negoziati con Israele.
Si annuncia dunque sempre più acceso lo scontro sull'asse Ramallah-Gaza con le due fazioni sempre più distanti tra loro.

(l'Opinione, 10 febbraio 2011)

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Israele: arriva il burqa delle ebree, impazza nei circoli haredi

Famiglia ebrea
ROMA, 10 feb - Il burqa non e' un'esclusiva delle donne musulmane. Anche nella comunita' delle ebree ultraortodosse in Israele, le cosiddette haredi, impazza negli ultimi tempi la moda di indossare il lungo abito che nasconde interamente, dalla testa alle caviglie, la figura femminile. A riferirlo e' l'agenzia cattolica Asianews. L'iniziativa all'inizio e' stata accolta positivamente dai molti circoli 'haredi' (letteralmente: 'coloro che tremano davanti alla parola di Dio') e anche accompagnata da una lettera entusiastica di appoggio firmata dai rabbini Badatz, la corte di giustizia ultraortodossa, e la leader degli 'Eda Haredit' il rabbino Yitzchok Tuvia Weiss. Ma adesso il numero crescente (circa 600 e si aggiungono continuamente nuove reclute) comincia a creare problemi. Anche perche' alcune di queste donne non si svelano nemmeno a casa ed obbligano le loro figlie a seguirle in questa moda. Tanto che si stanno moltiplicando le proteste e gli avvertimenti: "Non dovete vestirvi in maniere strane, inclusi i veli, specialmente se vostro marito e' contrario, e anche perche' e' contro l'halacha (la legge di comportamento). E soprattutto questa moda non deve essere applicata nel caso di bambine", hanno avvertito alcuni rabbini.
Una donna con il burqa ha spiegato cosi' la sua scelta: "Seguo queste regole di modestia per salvare gli uomini da loro stessi. Un uomo che vede parte del corpo di una donna si eccita sessualmente e questo potrebbe spingerlo a commettere peccato. Anche se non fisicamente, i suoi pensieri impuri sono un peccato in se'".

(AGI, 10 febbraio 2011)

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Il risveglio dei ragazzi arabi arriva a Gaza

di Francesca Paci

Cari amici sono a Gaza. L'eco di quanto è accaduto in Tunisia e di quanto sta accadendo in Egitto è giunto anche qui, dove i palestinesi seguono per la prima da volta da spettatori un'intifada. il problema qui è doppio, anzi triplice come dicono loro. Come i coetanei dei paesi confinanti che navigano su internet, usano facebook, twittano, i ragazzi di Gaza usano le nuove tecnologie e discutono, sentono la terra bruciare sotto i piedi, vogliono partecipare.
I loro poblemi sono molteplici e si possono riassumere nell'immagine di una matrioska.
1. C'è una prima oppressione quotidiana: chi manifesta qui, anche solo per sostenere l'Egitto, finisce in prigione (è successo a venti blogger portati alla centrale di polizia e picchiati come agenti antigovernativi). Hamas non è mai stato tanto impopolare tra la gente che prima l'aveva votato contro la corruzione di Fatah ma ora vede i suoi dirigenti girare in auto blù e i poliziotti angariare la popolazione con prepotenze e minacce.
2. C'è poi un secondo livello ed è la divisione tra Hamas e Fatah: i ragazzi qui sono coraggiosi come gli altri ma se scendono in piazza non rischiano solo di essere arrestati e picchiati ma anche di essere strumentalizzati da Fatah che non vede l'ora di minare il potere di Hamas.
3. Il terzo livello è Israele: se la Cisgiordania è occupata Gaza è oltre, una prigione chiusa dal recinto e dall'embargo da cui si può uscire solo attraverso i tunnel scavati al confine con l'Egitto. Se i ragazzi manifestano o finiscono in galera, o vengono strumentalizzati da Fatah o dove scappano che la striscia di Gaza è sigillata?
Eppure nonostante questo i ragazzi di Gaza sono vivi, energici, coraggiosi, mostrano una maturazione analoga a quella di altri paesi dove le nuove tecnologie aiutano la crescita di una coscienza collettiva. Ho incontrato quelli che sono stati arrestati da Hamas e vanno avanti, dicono, perchè ormai nessun potere è eterno. Ho incontrato il gruppo che ha postato su facebook il manifesto dei giovani di Gaza in cui si dice sostanzialmente vaff Hamas, vaff Fatah, vaff Israele, vaff Usa, vaff Unrwa, vaff Iran e vaff a tutti quelli che da sempre cercano di mettere il cappello sui palestinesi arricchendosene personalmente. Ho incontrato studenti nei caffè che si chiedono per quanto tempo dovranno restare spettatori. Sono molto diversi dai ragazzi che lanciano i Qassam contro Israele e sognano di diventare martiri, che pure conoscono. Questi nuovi ragazzi di Gaza vogliono vivere, magari amando l'occidente o magari detestandolo, ma senza volerlo distruggere, vogliono una democrazia come la nostra che a volte funziona e a volte no ma che si può correggere in corsa. e per cominciare hanno bisogno di dire no ai loro governanti.

(La Stampa, 10 febbraio 2011)

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Grecia, per la prima volta in visita una delegazione ebraica Usa

Rapporti tra Atene e Tel Aviv 'mai stati migliori', secondo il capo della comunità ebraica di Salonicco - Una delegazione di 60 rappresentanti della Conference of president of major american jewish organization, organismo di coordinamento che rappresenta 52 agenzie ebraiche americane, è in visita per la prima volta in Grecia.L'organizzazione è giunta nel Paese a seguito di un espresso invito del primo ministro greco George Papandreu: l'evento segna un netto miglioramento dei rapporti tra Israele e la Grecia, che ne aveva riconosciuto lo Stato solo nel 1991.Papandreu sta cercando di combattere la crisi economica attraendo investimenti all'interno del Paese: è previsto un incontro a porte chiuse tra il primo ministro, cinque membri del suo gabinetto (ministri di Difesa, Affari Esteri, Investimenti, Ordine Pubblico, Turismo) ed un gruppo di capi ebraici della delegazione per cercare di implementare i rapporti con Israele attraverso una vasta gamma di progetti di cooperazione. Funzionari di entrambi i Paesi hanno riferito che si stanno prendendo accordi preliminari per un potenziale patto energetico che ha come oggetto le piattaforme offshore israeliane per la raccolta del gas naturale. Nei mesi scorsi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman avevano visitato Atene ed incontrato funzionari greci nel proprio Paese per pianificare un'agenda preliminare di collaborazioni.

(PeaceReporter, 10 febbraio 2011)

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«Quella buffonata della vostra occupazione»

di Sergio Della Pergola

Mentre continuano i disordini in Egitto, e mentre le giravolte della politica americana fanno pensare che qualcosa di molto importante si sia rotto nella capacità cognitiva e strategica dell'Amministrazione, viene in mente un piccolo fatto assolutamente autentico che aiuta un poco a capire le sensibilità delle parti in Medio Oriente. In una tranquilla giornata a Hebron in Cisgiordania - circa negli anni '80 - una camionetta dell'esercito israeliano stava svolgendo un normale lavoro di pattugliamento nelle strade della città occupata. A bordo, al comando di un sergente, il guidatore e due soldati semplici, tutti di un reggimento della riserva. Il sergente aveva dato l'ordine di montare il mitra pesante su una fiancata, con il cinturone dei proiettili ben visibile accanto ma fuori dalla canna, per evitare che un sobbalzo dell'automezzo potesse far partire un colpo a vuoto causando una tragedia. A un certo punto si avvicina un palestinese locale e puntando il mitra col dito dice: "Il vostro esercito israeliano, il famoso Zahal, fa ridere. Quando qui a Hebron, prima del 1967, c'erano i Giordani della Legione Araba, i proiettili li tenevano dentro il mitra, non fuori. E quando c'era bisogno, sparavano sulla folla senza preavviso. Quello sì era un esercito, non quella buffonata della vostra occupazione".

(Notiziario Ucei, 10 febbraio 2011)

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Milano - Il liceo Berchet compie cento anni e diploma gli ebrei cacciati nel '38

Sabato in via Corridoni la cerimonia. Il preside: un risarcimento morale per gli anni bui del liceo

di Federica Cavadini

Il liceo Berchet
MILANO - Cercati e ritrovati, anche in capo al mondo, oggi. Dopo averli cacciati nel silenzio più di settant'anni fa, per le leggi razziali del '38. Il liceo Berchet ha provato a riunire i suoi ex studenti ebrei, furono quarantasei i nomi e cognomi cancellati dai registri di classe dell'anno scolastico 1938-1939. Ne hanno trovati ventiquattro, a loro sabato sera a Milano consegneranno il diploma negato allora. Sono signori e signore con i capelli bianchi ormai, il più giovane è del '27 (al ginnasio del Regio Liceo si entrava anche a dieci anni), e tutti hanno raccolto l'invito. In dieci verranno a ritirarlo di persona, per gli altri ci saranno figli e nipoti. Sono arrivati anche dagli Stati Uniti. Per ricucire uno strappo, fosse possibile, per non dimenticare, questo sì.
Anche così il liceo di via Commenda festeggia il suo centenario. Riportando al Berchet Mirella Ascoli Cantoni, Flora Ancona Sabbadini, Gian Alfredo Aghib, Noè Foà, Camillo Herschmann, Silvio Levi, Giampaolo Limentani, Biancamiriam Nunes Lopez, Emanuele Muggia, Enrico Vigevani. Ricordando tutti i 46 berchettiani esclusi. A Nedda Sacerdoti, che tornò nella scuola di via Commenda come professoressa di latino e greco, il diploma verrà consegnato in casa di riposo da una delegazione di liceali. Sabato la prima celebrazione del centenario sarà nella sala congressi della Provincia in via Corridoni. «Non è un'operazione nostalgica - spiega il preside Innocente Pessina -. Per gli studenti di allora è un gesto riparatore, sono le nostre scuse. Per quelli di oggi il gesto è educativo, di tolleranza e rispetto». Ci saranno oltre al sindaco Letizia Moratti il cardinale Dionigi Tettamanzi e il Rabbino Capo Alfonso Arbib, che ricorderà Joseph Colombo, preside al Berchet nel '46, nel '38 fu cacciato da una scuola di Ferrara. «E verrà ricordato don Lorenzo Milani, storico berchettiano. Si diplomò in piene leggi razziali perché la mamma Alice Weiss era ebrea ma il padre cattolico», racconta Cesare Badini, professore del Berchet.
Secondo appuntamento per i cento anni del liceo il 15 marzo, all'università Statale una tavola rotonda sugli anni Sessanta e Settanta. «Abbiamo individuato due periodi significativi, gli anni Trenta e il Sessantotto, terrorismo compreso, perché Walter Tobagi fu ammazzato da un nostro studente, Marco Barbone, e anche su quegli anni la riflessione deve continuare», dice Pessina. Per i cent'anni di un liceo storico, dove insegnò don Giussani e dove studiarono da Luchino Visconti a Enrico Ruggeri, il 24 ottobre anche un concerto dell'orchestra Verdi all'Auditorium.

(Corriere della Sera, 10 febbraio 2011)

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Egitto: bloccato l'ingresso ai palestinesi senza residenza

IL CAIRO, 9 feb - I funzionari aeroportuali egiziani sull'immigrazione sono stati incaricati di bloccare l'ingresso nel paese ai palestinesi. Lo riferisce all'Afp un ufficiale dell'aeroporto del Cairo, dopo che dodici viaggiatori sono stati rispediti in Palestina.
''Ci sono delle precise istruzioni per arrestare i palestinesi che tentano di entrare in Egitto'', ha precisato il funzionario. A confermare il divieto anche un operatore dell'ambasciata palestinese al Cairo, il quale ha pero' sottolineato che si tratta di un blocco temporaneo, non applicabile ai palestinesi con residenza egiziana.

(ASCA, 9 febbraio 2011)

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Scacchi, partite in simultanea: l'Iran si riprende il record strappandolo a Israele

TEHERAN - L'Iran si riprende, strappandolo ad Israele, il record del maggior numero di partite a scacchi simultanee vinte. L'impresa, scrive oggi l'agenzia Isna, è riuscita al gran maestro Ehsan Ghaem-Maghami, che, in 25 ore e 15 minuti, ha vinto 590 partite su un totale di 614 disputate.
Ghaem-Maghami, 28 anni, ha cosi' riportato nella Repubblica islamica il record, che nell'ottobre scorso il gran maestro israeliano Alik Gershon aveva strappato ad un altro iraniano, Morteza Mahjub.
Gershon, che aveva vinto 454 partite su un totale di 523 disputate simultaneamente, aveva affermato di sperare che "tutte le guerre contro l'Iran possano essere cosi", e aveva aggiunto di non poter dire se sentirsi "più contento del record in se' o del fatto di averlo sottratto agli iraniani".
Ehsan Ghaem-Maghami, che ha perso 8 delle partite disputate e ne ha terminate altre 16 in parità, è stato assistito durante la prova da un medico, un massaggiatore e un dietista.

(Blitz quotidiano, 9 febbraio 2011)

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Egitto: lo stop al gasdotto pesa su Israele

Persi un milione e mezzo di dollari al giorno

TEL AVIV, 9 FEB - Assomma a 1,5 mln di dollari al giorno, per Israele, l'impatto economico della sospensione delle forniture di gas dall'Egitto, causata durante il fine settimana dall'esplosione che -nel pieno della rivolta egiziana- ha danneggiato il gasdotto del Sinai. Israele ha fatto fronte all'accaduto ricorrendo a fonti alternative e senza alcuna forma di razionamento dell'energia. Ma l'utilizzo di altri combustibili -come gasolio o mazut- comporta un incremento dei costi fino a 10 volte rispetto al gas.

(ANSA, 9 febbraio 2011)

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Il ruolo degli Usa

di Francesco Lucrezi

La situazione in Egitto, ovviamente, genera in tutti grande apprensione. Essendo ormai certo che Mubarak, in tempi più o meno brevi, dovrà lasciare il potere, senza trasmetterlo né al figlio né ad altre persone a lui troppo direttamente e palesemente legate, la principale domanda che si pone chiunque abbia a cuore la stabilità del Medio Oriente e del Mediterraneo, è se, e in che misura, chi verrà dopo di lui imprimerà alla politica egiziana una svolta in senso radicale, islamista e antisionista, fino a stracciare il trattato di pace con Israele o, addirittura, a fare nuovamente rullare, dopo decenni di "pace fredda", i tamburi di guerra. Si cerca quindi di analizzare gli umori delle masse dei manifestanti, di registrare in che misura vengano scanditi slogan anti-israeliani e anti-occidentali, di capire che spazio vadano conquistando i Fratelli Musulmani e gli altri movimenti fondamentalisti, di immaginare quali forze possano, oggi o domani, prevalere. Naturalmente, ogni previsione appare azzardata, e non solo perché gli elementi di valutazione appaiono confusi e contraddittori, ma anche perché la situazione, qualunque sia oggi, può facilmente e rapidamente cambiare, in modo imprevedibile.
Quel che è certo, è che il quadro induce al pessimismo. Ci si chiede se l'Egitto potrà continuare, più o meno, lungo la tradizionale strada di moderazione, o se invece prenderà una deriva "siriana" o, addirittura, "iraniana". Ma nessuno, neanche il più ottimista degli osservatori, immagina che, rimosso l'attuale governo, prevalga un indirizzo di pace, democrazia, pluralismo, riforme. Certo, secondo i parametri occidentali, il Presidente Mubarak, che regge il Paese da quasi trent'anni, merita senz'altro l'appellativo (così abusato dalla stampa nostrana) di "dittatore", e appare oggettivamente difficile giustificarne il potere eterno e decisamente autoreferenziale (al di là delle periodiche elezioni-farsa). Ma c'è forse un capo di stato arabo, che sia uno, del quale si possa dire diversamente? È semplicemente ridicolo applicare i parametri degli stati di diritto per giudicare Paesi che non hanno pressoché nessuna tradizione di cultura liberale, minima libertà di stampa e di opinione, altissimi tassi di analfabetismo. È evidente come, in tali contesti, le libere voci di pensiero critico (che non mancano in Egitto, grazie a minoranze coraggiose di intellettuali, giornalisti, studenti) facciano grande fatica a circolare, a essere ascoltate, a condizionare, in qualche modo, il potere costituito, mentre infinitamente più forte è la forza di suggestione esercitata dagli slogan, da parole d'ordine più o meno violente, comunque semplici ed elementari. È questa la ragione di fondo dell'isolamento di Israele, della sua solitudine nella regione.
Quanto alle posizioni internazionali, sorprende, e rattrista, la rapidità e la disinvoltura con la quale il Presidente Obama ha scelto di abbandonare il vecchio alleato al suo destino. Speriamo che non sia una scelta di cui ci si dovrà, un domani, amaramente pentire. Ma potranno ancora, i Paesi arabi moderati, confidare nell'appoggio americano?.

(Notiziario Ucei, 9 febbraio 2011)

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Egitto - Pressione degli alleati sugli Usa: su Mubarak serve moderazione

Israele, Arabia saudita, Girdania ed Emirati temono ripercussioni

ROMA, 9 feb. - Israele, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati Arabi hanno ripetutamente chiesto agli Stati Uniti di non abbandonare al suo destino il presidente egiziano Hosni Mubarak, ritenendo che un taglio netto delle relazioni con il capo dello Stato e un sostegno aperto ai movimenti di opposizione potrebbe ulteriormente destabilizzare tutta la regione mediorientale. Un diplomatico locale, riferisce oggi il New York times, ha confermato di avere speso 12 ore al telefono, a questo scopo, con funzionari americani.
Non è un caso, secondo il giornale, che a seguito di queste pressioni l'amministrazione di Barack Obama abbia chiesto "una transizione ordinata" in Egitto, guidata dal vice presidente Omar Suleiman. E il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha spiegato che le dimissioni immediate di Mubarak potrebbero complicare, piuttosto che agevolare, il percorso verso la democrazia in Egitto.
Secondo un funzionario citato dal quotidiano, insomma, le pressioni degli alleati non possono essere ignorati. Anche perché alcune di queste pressioni arrivano da alleati considerati strategici sul piano commerciale, come l'Arabia Saudita (fornitrice di petrolio), mentre altri paesi lo sono a livello politico, come nel caso di Israele.

(TMNews, 9 febbraio 2011)

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Secondo uno studio israeliano lo stress fa ingrassare

Lo stress fa ingrassare, come? Attivando un gene particolare che modifica il metabolismo e fa crescere la voglia di junk food, i classici snack dei fast food, che fanno male alla salute causando diverse patologie a carico del sistema cardiovascolare, ma favorendo anche l'obesità e il diabete di tipo 2. A sostenerlo è una ricerca condotta recentemente dell'Istituto Weizmann di Rehovot, in Israele diretta dal dottor Alon Chen e pubblicata sulla rivista "PNAS".
Il team di ricercatori ha compiuto una serie di esperimenti su topi da laboratorio, in questo modo hanno scoperto come lo stress riesca ad attivare un gene particolare in grado di aumentare i livelli della proteina Urocortin-3, che a sua volta innesca una serie di cambiamenti nel metabolismo che fanno crescere la voglia di cibi grassi, i cosidetti junk food, in grado di danneggiare anche la psiche, favorendo i sintomi della depressione.
Il dottor Chen ha spiegato che:
    in sostanza, lo stress potrebbe farci diventare grassi, non solo provocando ansia, depressione e disturbi da stress post-traumatico, ma influenzando sindromi metaboliche come l'obesità. La ricerca ha dimostrato che le azioni di un singolo gene in una sola parte del cervello possono avere effetti profondi sul metabolismo di tutto il corpo. E questo gene può anche influenzare la nostra scelta di snack, contribuendo al nostro desiderio di cibo grasso e, soprattutto, dolce
Il dottor Chen, assieme alla sua equipe di esperti, sperano così, di poter mettere a frutto le nuove conoscenze per creare farmaci ad ok capaci di combattere non solo lo stress, ma anche l'ansia, bloccando così sul nascere l'aumento di peso e le malattie ad esso collegate.

(Salute Pourfemme, febbraio 2011)

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Hot dog, uncinetto e pulizie: così si allena il Maccabi Tel Aviv

I giocatori della formazione israeliana, una delle favorite alla conquista dell'Eurolega di basket, protagonisti di uno spassosissimo promo.

(la Repubblica, 9 febbraio 2011)

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Israele: il babbuino arancione

Allo zoo safari di Ramat Gan, alle porte di Tel Aviv, si festeggia la nascita di un cucciolo di babbuino (una femmina) dal pelo color arancio. Una vera rarità.

(la Repubblica, 9 febbraio 2011)

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L'andamento della C02 è 'scritto' nei vecchi libri

TEL AVIV, 8 feb. - La chiave per conoscere l'andamento della CO2 negli ultimi 150 anni e' nascosta nei vecchi libri e nelle riviste. Non si tratta dei resoconti delle misurazioni degli scienziati dell'epoca ma del rapporto tra gli isotopi del carbonio presenti negli alberi usati per fabbricarli, come ha dimostrato uno studio del Weizmann Institute. I ricercatori, spiega il comunicato dell'istituto di Tel Aviv, hanno studiato vecchie copie di riviste scientifiche e libri di testo trovate nella biblioteca, determinando il rapporto tra carbonio 12 e 13 della carta. Le piante 'preferiscono' quello piu' leggero, e quindi gli alberi che milioni di anni fa sono stati trasformati in combustibili fossili dalla natura erano piu' ricchi di questo isotopo, e una volta bruciati hanno diluito il C13 atmosferico. Il risultato di queste osservazioni e' che misurando gli isotopi del carbonio nella carta e' possibile risalire esattamente alla quantita' di CO2 atmosferica presente nel periodo di fabbricazione. Mettendo in un grafico la diluizione del carbonio nelle riviste degli ultimi 150 anni i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che la CO2 atmosferica e' andata sempre aumentando: ''Abbiamo anche confermato delle anomalie che erano state rilevate anche da altri studi - spiegano gli autori - questo metodo e' ancora piu' semplice dell'uso degli anelli degli alberi''.

(AGI, 8 febbraio 2011)

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L'incedere perfetto dello scarafaggio

di Cristina Nadotti

Amir Ayali
Ammiro studiosi come il professor Amir Ayali, dell'Università di Tel Aviv, perché riescono ad andare oltre i luoghi comuni e la banalità. Nel vedere uno scarafaggio che corre veloce, abilissimo nello scansare la ciabatta che lo vuole uccidere (non la mia, non riesco a schiacciarli, non per eccesso di amore per ogni essere vivente, ma perché mi fanno troppo ribrezzo anche per spiaccicarli) i sentimenti predominanti della maggior parte delle persone sarebbero irritazione e schifo.
Il professor Amir Ayali, invece, prova ammirazione. Non vede l'insetto che si pasce di immondizia e resiste ai microbi, vede una perfetta macchina di locomozione perché "gli scarafaggi si muovono con la stessa velocità su ogni tipo di terreno". E cosa fa il professor Ayali? Studia le funzioni neurologiche degli scarafaggi per trasportare le loro abilità nel campo della robotica. "Gli insetti sono già stati di ispirazione ai robot - dice - gli scarafaggi ci aiuteranno disegnare robot di forme più compatte e con maggiore efficienza in termini di energia, durata, solidità e flessibilità. I robot superiori ispirati dagli scarafaggi saranno usati per esplorare nuovi territori nello spazio".
Ripeto, il professor Ayali ha tutta la mia ammirazione. Non riuscirei proprio a sopportare di stare in un laboratorio pullulante di scarafaggi da sezionare e far corricchiare per carpire il segreto della loro perfetta locomozione.

(la Repubblica.it blog, 8 febbraio 2011)

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Israele: aumentato del 13,5% l'import dei beni di consumo

Da dati pubblicati dalla Federazione Israeliana delle Camere di Commercio, risulta che l'import di beni di consumo (ammontato a 8.6 miliardi US$) è aumentato nel 2010 del 1.02 miliardi US$ (+13,5%) rispetto all'anno precedente. Il settore di beni di consumo si suddivide in due gruppi; uno di prodotti durevoli (41% dell'import di beni di consumo nel 2010) e l'altro di prodotti per il consumo corrente (59% dell'import). L'import dei prodotti per il consumo corrente ha registrato una crescita di 564 milioni US$ (+12,5%) ed è ammontato a 5.06 miliardi US$. In questo gruppo, la tipologia di prodotto che ha registrato il maggiore aumento sono stati i casalinghi (+15,8%). L'import di beni durevoli ha registrato anch'esso una notevole crescita, pari al 14,8% (460 milioni di US$). In questo comparto, gli autoveicoli hanno registrato il massimo aumento, con il +24%.

(FocusMo, 8 febbraio 2011)

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L'Anp convoca elezioni amministrative per il 9 luglio

RAMALLAH, 8 feb. - Il governo dell'Anp ha convocato elezioni amministrative per il 9 luglio, dopo il rinvio del voto fissato per il 17 luglio scorso a causa del boicottaggio annunciato da Hamas. Si trattera' delle prime elezioni nei Territori palestinesi dal 2006, quando le elezioni politiche furono vinte da Hamas che poi prese il controllo della Striscia di Gaza. Le ultime elezioni amministrative si erano tenute nel 2005.

(AGI, 8 febbraio 2011)

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Egitto - Accolto a Gaza come un eroe il leader di Hamas fuggito dal carcere.

E' uno dei comandanti delle Brigate Al Qassam

ROMA, 8 feb. - E' stato accolto come un eroe nel campo profughi di Nuseirat nella Striscia di Gaza uno dei leader di Hamas, Ayman Nofel, evaso assieme ad altri detenuti da una prigione nei pressi del Cairo.
Comandante delle Brigate Al Qassam, braccio armato di Hamas, accusato di aver pianificato attentati con esplosivo contro Israele, è fuggito da una piccola cella della prigione di Al Marj, dove ha trascorso tre anni e "pochi giorni" di vita.
Trentasette anni, Nofel si dice "pronto a tornare al lavoro con le Brigate Al Qassam. Ci stiamo preparando e addestrando per la prossima battaglia", riporta il Guardian . Era stato fermato a un checkpoint nel Sinai nel 2008 e poi arrestato per ragioni politiche in Egitto. "Non sono mai stato processato, la mia famiglia ha pagato un avvocato che ha fatto la spola fra i diversi tribunali senza mai riuscire ad ottenere la mia liberazione".
In coda, uno dopo l'altro, decine di uomini palestinesi hanno atteso sotto una tenda per rendergli omaggio e dare il benvenuto al comandante delle Brigate Al Qassam, che ha raggiunto la Striscia attraverso uno dei numerosi tunnel sotto al confine con l'Egitto.

(TMNews, 8 febbraio 2011)

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Chiudere Suez e guerra a Israele

I Fratelli Musulmani in un'intervista alla tv iraniana. Le vere intenzioni del partito islamico spiegate dal leader che risiede a Londra.

Le vere intenzioni dei Fratelli Musulmani vengono alla luce. Disubbidienza civile, blocco del Canale di Suez e guerra a Israele se Mubarak non va via. Mentre a Il Cairo i membri della Fratellanza trattano con il governo e promettono di non voler prendere il potere e trasformare l'Egitto in una repubblica islamica, da Londra, esponenti della Fratellanza dettano al linea. Muhammad Ghanem, leader dei Fratelli Musulmani a Londra ha rilasciato un'intervista alla televisione iraniana Al Alam, nella quale non usa giri di parole per spiegare le ragioni della Fratellanza. «Hosni Mubarak e il suo regime sono finiti, ma lui non lo sa. Prima volevamo che andasse via solo Mubarak. Ora - dichiara Ghanem - diciamo che Hosni Mubarak, il suo vicepresidente, e il primo ministro devono andar via»....

(Il Tempo, 8 febbraio 2011)

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I Fratelli Musulmani non sono ancora "lo stato", Hezbollah sì

di Roberto Santoro

Al Cairo ci sono ancora i generali pronti a difendere Suez o almeno quella elite militare che si dice amica di Israele e alleata dell'Occidente. Molto presto potrebbero arrivare i Fratelli Musulmani che in passato hanno usato il terrorismo per imporsi, trovato il consenso e i voti, ma fino ad ora non hanno avuto una milizia paramilitare fatta di decine di migliaia di soldati ben addestrati, istruiti e ideologizzati. C'è un Paese dove tutto questo è già avvenuto, attraverso "libere" elezioni, un parlamento e dei partiti e formazioni politiche su base religiosa.
In questi giorni abbiamo puntato tutti i riflettori sulla rabbia degli egiziani dimenticando il 'colpo di stato' soft avvenuto in Libano. La "Rivoluzione del 14 Marzo" che aveva fatto sperare in una transizione verso la democrazia nel Paese dei Cedri sembra finita. I gruppi del neofascismo islamico come l'Hezollah si sono imposti, ben inquadrati, armati, e sempre sul punto di dichiarare guerra ai civili israeliani. La Siria, che si era ritirata dal Libano, torna ad avere un premier 'amico' nel paese fratello. L'Iran, attraverso i siriani e l'Hezbollah, non ha mai smesso di destabilizzare l'area. I cristiani e le forze dell'opposizione libanese sono spaccate e in parte sostengono la politica di potenza del partito di Dio.
No, la situazione in Libano è peggio di quel che accade in Egitto. L'Hezbollah non è "uno stato nello stato", è lo stato, in grado, sul lungo periodo, di penetrare ed egemonizzare le istituzioni, le forze armate e il welfare, come sta già facendo. America ed Europa hanno ignorato questa situazione, il presidente Bush si è bloccato fra Iraq e Afghanistan nella sua agenda democratica, Obama è scivolato più di una volta inseguendo gli avvenimenti e rischiando di essere sopraffatto. L'islamizzazione ufficiale del Libano prosegue, quella dell'Egitto può cominciare.

(l'Occidentale, 8 febbraio 2011)

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Israele irritato per il voltafaccia egiziano di Barack Obama

Il sostegno di Washington alle proteste popolari in Egitto segna un cambio di direzione dell'ambito della politica americana nel Medio Oriente. Sino alla metà di gennaio, quando erano iniziati i primi disordini, l'Egitto era di fatto tra i maggiori alleati degli Stati Uniti nella regione, un ponte che collega i paesi arabi al governo americano e a quello israeliano.
Per non danneggiare ancora di più il rapporto con il governo americano, già teso a causa del rifiuto di Tel Aviv di fare maggiori concessioni territoriali ai palestinesi, il premier israeliano Benjamin Netanyahou non ha condannato pubblicamente l'appoggio di Barack Obama alle proteste contro il regime di Hosni Mubarak, ma in Israele la condanna di Obama è unanime, sia fra i membri del governo che nei media e nella popolazione.
L'impressione è che appena sono iniziate le proteste contro Mubarak, Washington ha avuto fretta di sbarazzarsene, come se all'improvviso il presidente egiziano fosse diventato un alleato scomodo. O come se lo fosse sempre stato e il governo degli Stati Uniti attendesse solo il momento giusto per disfarsi di lui.
La posizione assunta da Washington ha sicuramente minato la credibilità della politica estera americana e non solo in Israele. Come ha rilevato Frank Wisner, emissario in Egitto per la Casa Bianca, le dichiarazioni di Obama, la sua richiesta a Mubarak di lasciare spazio ad un nuovo governo appaiono come l'esempio della confusione e dell'incoerenza delle posizioni americane nel contesto medio orientale. A seguito di questa dichiarazione Washington ha immediatamente preso le distanze da Wisner, che verrà presto sostituito da qualcuno meno critico nei confronti del presidente.
Dall'inizio dei disordini in Egitto, Israele teme l'ascesa al potere dei gruppi religiosi. Se i Fratelli musulmani entrassero a far parte del nuovo governo - nonostante dicano di non essere interessati - quel poco che resta del processo di pace verrebbe spazzato via, così come verrebbero meno i fragili equilibri regionali. Senza dimenticare la possibile e temuta alleanza con il regime totalitario dell'Iran. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad troverebbe nei Fratelli musulmani gli alleati ideali per "spazzare via Israele dalle carte geografiche".
In un intervento sulla stampa, Dori Gold, ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, ha rimproverato ad Obama di commettere lo stesso errore che fece il presidente Jimmy Carter nel 1979, al tempo della rivoluzione iraniana, quando non diede sostegno allo Scià Mohammed Reza Pahlavi di fronte alla minaccia islamista. Lo Scià venne esiliato e l'Ayatollah Khomeini salì al potere, dichiarando l'Iran una repubblica islamica.
"Tutti sappiamo che per Mubarak è giunto il momento di andarsene - scrive il quotidiano israeliano Yediot Aharonot - Ma nessuno di noi si aspettava l'atteggiamento categorico e precipitoso di Obama nei confronti del suo alleato Mubarak."
Benjamin Netanyahou teme di essere scaricato da Obama come è successo a Mubarak? No. No perchè negli Stati Uniti l'influenza delle lobby ebraiche è troppo forte. Al contrario, le dichiarazioni del presidente americano fanno presagire che Israele rimarrà l'unico baluardo fra l'Occidente e i paesi arabi, l'unico potere stabile di fronte alla minaccia islamista.

(Ticino live, 7 febbraio 2011)

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Le catacombe ebraiche di Venosa

Scoperte nel 1853 sulla collina della Maddalena, costituiscono una preziosa miniera di storia antica, dove entrare in contatto con le sepolture e le iconografie del popolo ebraico.

VENOSA (PZ) - Una testimonianza di notevole interesse storico e archeologico del culto dei morti nell'antichità. Un patrimonio unico di attestazione funeraria ebraica nell'Italia meridionale. Un'importante documentazione epigrafica giudaica che copre l'arco di sei secoli. Un raro esempio d'integrazione tra cultura latina, ebraica e cristiana. Tutto questo rappresentano le catacombe ebraiche situate nella collina della Maddalena, appena fuori dall'abitato di Venosa.
Le catacombe erano luoghi sotterranei, costituiti da una rete di corridoi di varia larghezza e dal tracciato irregolare, usati dagli ebrei per la sepoltura. Le pareti e i pavimenti delle gallerie erano occupati da loculi chiusi da lastre di marmo o da tegole di terracotta. Vi erano, inoltre, delle nicchie (cubicula), che contenevano più sepolcri, caratterizzate in alcuni casi da un arco, scavato nel tufo e sormontante l'urna, intonacato e affrescato (arcosolium)....

(Guida SuperEva.it, 8 febbraio 2011)

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Iran, la tecnologia bellica continua a progredire

Presentata oggi una nuova tecnologia missilistica

Il capo dei Guardiani della rivoluzione (corpo militare istituito in Iran dopo la rivoluzione del 1979) ha comunicato oggi la messa in produzione di missili antinave in grado di raggiungere velocità tre volte superiori a quella del suono, invisibili alle intercettazioni e dotati di sistemi di guida ad alta precisione.
Il presidente Ahmadinejad, invece, ha annunciato le messa in orbita entro il 2012 di quattro nuovi satelliti artificiali: il primo era stato lanciato nel 2009 e poi distrutto.
La preoccupazione internazionale è data periodicamente dagli annunci iraniani sui continui miglioramenti dei propri armamenti. La repubblica islamica dice di non temere aggressioni da parte degli Usa o di Israele e sostiene di essere in grado di rispondere a qualsiasi aggressione con rappresaglie devastanti.

(PeaceReporter, 7 febbraio 2011)

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Attentato contro una caserma di polizia a Rafah

Almeno due feriti. Non è chiaro se sia legato all'intifada anti-Mubarak - Miliziani armati hanno compiuto questa mattina un attentato contro una caserma della polizia a Rafah, città egiziana al confine con la Striscia di Gaza. Secondo quanto riferisce la tv satellitare al-Arabiya, uomini armati hanno lanciato quattro razzi contro la caserma, provocando il ferimento di due persone. Non è il primo attentato che si registra in questi giorni nella parte nord della penisola del Sinai ma non è al momento chiaro se l'attacco sia collegato o meno alle proteste antigovernative contro il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Sabato scorso un gruppo di assalitori ha dato alle fiamme una chiesa copta nella stessa città mentre ieri ignoti hanno fatto saltare un ordigno contro il gasdotto che arriva in Giordania, provocando uno stop nei rifornimenti di gas verso il regno hashemita e Israele.

(PeaceReporter, 7 febbraio 2011)

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Israele: ex soldatessa confessa, consegnati documenti segreti alla stampa

TEL AVIV, 6 feb. - Anat Kamm, ex soldatessa accusata di spionaggio per aver consegnato al giornale Haaretz 2mila documenti riservati militari, ha confessato oggi davanti ai giudici di aver trafugato e diffuso le carte top secret. Sulla base di un accordo con la procura, con la sua confessione la Kamm, diventata giornalista dopo aver finito il servizio militare, in questo modo ha evitato l'accusa di minaccia alla sicurezza dello stato, punibile con l'ergastolo. Ma si e' dichiarata colpevole di aver sottratto e consegnato a terzi senza autorizzazione informazioni top secret, accuse per le quali rischia fino a 15 anni.

(Adnkronos, 7 febbraio 2011)

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(Guysen TV, 6 febbraio 2011)

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Il rabbino-detective incastra gli autori del colpo in sinagoga

MILANO - I malviventi, quattro israeliani travestiti da ebrei ortodossi, ripresi dalle telecamere a circuito chiuso della sinagoga di via della Guastalla. La refurtiva: sei coppie di Rimonin, i puntali d'argento cesellato che sovrastano il Sefer Torà (una copia manoscritta del Pentateuco), quattro Keter, le corone votive e la chiave d'oro dell'Arron, l'armadio sacro. Tutti oggetti preziosissimi, appartenenti alla comunità ebraica di Milano dal 1600 e scampati alle persecuzioni della Shoah, che sul mercato potrebbero valere fino a 500 mila euro.
Infine la fuga in Francia, il rientro con un volo di linea a Tel Aviv e l'arresto in una camera del Ramada hotel di Gerusalemme. Come scrive il giornale Vos Iz Neias, pubblicazione on-line diffusa fra gli ebrei ortodossi sia in Israele che negli Stati Uniti, il furto avvenuto nei giorni scorsi al tempio ebraico di Milano sembra la sceneggiatura di un film. Tutto, anche la figura del rabbino-detective, che insieme ai carabinieri e alla polizia israeliana ha risolto il mistero, sembra studiato per appassionare un lettore. Ma andiamo con ordine....

(La Stampa, 7 febbraio 2011)

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Libano: Israele rinvia il ritiro da Ghajar, non faremo regali a Hezbollah

Il governo di Israele ha congelato il ritiro delle proprie truppe dalla zona settentrionale di Ghajar, villaggio arabo al confine con il Libano. La misura era stata decisa tre mesi fa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma secondo quanto riferisce un funzionario a Gerusalemme citato da Ynet (il sito del quotidiano 'Yediot Ahronot'), la caduta del governo di Beirut necessita di un cambio di strategia. ''Non vogliamo fare regali al governo di Hezbollah'', ha detto il funzionario a Ynet, parlando di congelamento nel piano di ritiro da Ghajar in seguito alle tensioni nel Paese dei Cedri in vista del rapporto del Tribunale speciale per l'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri, nel quale sarabbero implicati membri del movimento sciita.
In base a quanto deciso dai ministri israeliani lo scorso novembre, l'esercito doveva ritirarsi dalla parte nord del villaggio e lasciarla sotto l'autorita' delle Nazioni Unite. Le forze israeliane si sarebbero dovute dispiegare lungo la parte meridionale del confine. Il governo aveva ordinato al ministero degli Esteri di Gerusalemme di completare i negoziati con le forze dell'Onu nel sud del Libano, l'Unifil, il prima possibile ''mantenendo la sicurezza regionale di Israele e la qualita' della vita degli abitanti del villaggio''. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman in quell'occasione disse che avrebbe agito da lì a poche settimane. (segue)

(Aki, 7 febbraio 2011)

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Magdi Allam: Obama sbaglia, i Fratelli musulmani sono nostri carnefici

Sull'Egitto l'europarlamentare: Non lasciamoci ingannare, sono degli estremisti

ROMA, 7 feb. - Gli Stati Uniti e l'Europa non si lascino abbagliare: non ci può essere alcun dialogo con i Fratelli musulmani. Magdi Cristiano Allam, giornalista, scrittore ed europarlamentare, conosciuto per le posizioni spesso critiche verso l'Islam, espone in un'intervista a TmNews il suo disagio per gli sviluppi politici della rivolta popolare in Egitto, dove i Fratelli musulmani stanno emergendo come interlocutore politico e come possibile nuova guida del Paese. "Considero come una minaccia seria alla sicurezza e alla stabilità dell'Europa l'eventualità dell'avvento al potere dei Fratelli musulmani. L'Europa deve opporsi, perché si tratta di un movimento islamico radicale, che promuove l'islamizzazione del mondo intero e legittima l'uso della violenza per perseguire questo scopo. Ricordiamoci che Hamas esprime la realtà dei Fratelli musulmani nei territori palestinesi" ha dichiarato Allam. "Gli Stati Uniti e l'Europa hanno dimostrato di essere succubi del relativismo: si infervorano per una concezione formalistica della democrazia; arrivano a chiedere le dimissioni del presidente, Hosni Mubarak, senza domandarsi se ciò porterà alla stabilità dell'Egitto o se accrescerà l'instabilità. E, soprattutto, se ciò non si tradurrà nell'avvento al potere dei Fratelli musulmani, e al loro monopolio" ha sottolineato Allam. "Obama sbaglia, non ci può essere una legittimazione dei Fratelli musulmani. Mi preoccupa che le posizioni del presidente statunitense coincidano con quelle dei Fratelli musulmani: è come se ci fossimo innamorati dei nostri carnefici senza esserne consapevoli, o accettando aprioristicamente di subirne le conseguenze,

(TMNews, 7 febbraio 2011)

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Cambio della guardia alla testa dell'esercito israeliano



E' il generale Benny Ganz l'ufficiale designato alla testa dello Stato maggiore dell'esercito israeliano. Lo ha annunciato il primo ministro Benyamin Netanyahu nel corso della riunione settimanale del governo.
Al nome del generale Ganz si è arrivati su indicazione del ministro della Difesa, Ehud Barak. Quest'ultimo aveva in precedenza avanzato la candidatura del generale Yoav Galant; candidatura ritirata dopo le accuse al militare di essersi appropriato illecitamente di alcuni terreni accanto alla sua villa.
Il prossimo capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, che sarà il 20. dalla fondazione di Tsahal, succederà al generale Gaby Askhenazy, che terminerà il suo incarico il prossimo 14 febbraio.

(euronews, 6 febbraio 2011)

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Il nuovo Egitto si presenta con un sabotaggio anti Israele

di Gian Micalessin

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora il dopo-Mubarak sembra assai poco roseo. Mentre una piazza senza leader sogna l'ultima spallata i demiurghi del disastro prossimo venturo sono già in azione. Il più chiaro segnale della loro presenza è la lingua di fuoco sospesa sul terminal di El Arish, nel nord del Sinai. Lì corrono le tubature che garantiscono le forniture di gas a Israele. Lì ieri notte un gruppo di terroristi ha fatto saltare le condotte con una potente carica di esplosivo. La notizia fa il paio con quella rilanciata negli Usa da Fox Tv, che parla di un attentato al vice presidente Omar Suleiman messo a segno negli scorsi giorni. L'attentato, non confermato da fonti ufficiali, sarebbe costato la vita a due uomini della scorta. Anche la notizia del gasdotto ha margini d'incertezza. Mentre il governatore di El Arish Abdel Wahab Mabrouk ammette un sabotaggio, i responsabili del gasdotto parlano di semplice incidente. Difficile crederci. Anche perché lo scorso luglio il gasdotto era già stato preso di mira da una banda di beduini. A dar retta a Site, un gruppo privato che tiene sotto controllo i siti integralisti, l'attacco di ieri sarebbe stato innescato da un messaggio internet che invitava «i fratelli beduini del Sinai, Eroi dell'Islam, a colpire con pugno d'acciaio per bloccare i rifornimenti agli israeliani».
La minaccia degli uomini del deserto è uno dei tanti fattori che contribuiscono a delineare scenari assai grigi nel caso di un passaggio di poteri troppo frettoloso. Le tribù beduine - esasperate da un regime che le ha tenute al margine dello sviluppo turistico del Sinai - sono oggi le protagoniste della coltivazione della droga e del contrabbando di armi diretto verso Gaza. Malcontento e predisposizione per le attività illegali, unite ad una perfetta conoscenza del territorio, hanno trasformato i clan del deserto in un naturale centro di reclutamento per Al Qaida.
Non a caso nel Sinai sono stati messi a segno i sanguinosi attentati che tra il 2004 e il 2006 hanno colpito Taba, Sharm el Sheik e Dahab uccidendo decine di turisti. Non a caso il Sinai è oggi una delle zone più a rischio dell'Egitto. Una zona dove solo i ferrei controlli imposti fin qui dai servizi segreti di Omar Suleiman garantiscono il mantenimento della sicurezza. I primi a saperlo sono gli israeliani impegnati da anni, d'intesa con Mubarak e Suleiman, in una guerra segreta per colpire i carichi di armi che attraverso i tunnel di Rafah raggiungono Gaza. E così la prima conseguenza di una mancanza di continuità politica al Cairo potrebbe essere il ritorno dell'esercito israeliano in quella Striscia abbandonata nell'estate del 2005.
L'altra conseguenza, assai più nefasta, è quella di una progressiva irachizzazione dell'Egitto. Un cambio di poteri che non preveda una sostituzione dell'elite di potere lenta e graduale rischia di consentire alla storia di ripetersi. Nel 2003 a Bagdad si decise di sciogliere un esercito di 500mila uomini e di dare il benservito ad un'elite sunnita al potere da trent'anni. Sunniti e militari, pronti inizialmente a collaborare, si trasformarono ben presto in insorti e terroristi. Oggi licenziando in tronco i generali e l'aristocrazia di regime che gestisce commerci, industrie, servizi si rischia non solo di spaccare il Paese, ma di affidarlo a chi non è né in grado di governare, né di garantire la sicurezza del territorio. E a quel punto l'Irak sarebbe ad un passo

(il Giornale, 6 febbraio 2011)

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Israele: ex soldatessa colpevole per "wikileaks israeliana"

TEL AVIV - Il tribunale distrettuale di Tel Aviv ha riconosciuto oggi colpevole l'ex soldatessa Anat Kam della consegna al quotidiano Haaretz di migliaia di documenti segreti da lei prelevati anni fa dall'ufficio del generale Yair Naveh, quando questi era comandante militare della Cisgiordania. La vicenda è stata descritta dalla stampa locale come una "Wikileaks israeliana".
Sulla base di quei documenti il giornale avrebbe poi accusato Naveh - attuale vice capo di stato maggiore - di aver ignorato le limitazioni imposte dalla Corte Suprema nella cattura di palestinesi ricercati per attività terroristiche. Una successiva inchiesta ha scagionato il generale.
Anat Kam - divenuta nel frattempo cronista politica del sito internet Walla - rischia adesso una pena alla reclusione di diversi anni. I suoi avvocati sperano che nella sentenza i giudici mostrino clemenza nei suoi confronti dopo che la Kam ha cooperato attivamente con i suoi inquisitori e ha accettato di restare da oltre un anno agli arresti domiciliari.

(Ticinonline, 6 febbraio 2011)

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Milano - Emozioni a lieto fine

Due arresti, il recupero dell'intera refurtiva e l'individuazione di una banda che puntava ai beni culturali ebraici in Italia. Questo il bilancio dell'operazione portata a termine in poche ore grazie alla stretta, fattiva collaborazione fra Comunità ebraica di Milano e inquirenti italiani e israeliani. E una grande festa che si annuncia per la seconda Comunità italiana, che unirà gli ebrei milanesi e la cittadinanza e che si terrà probabilmente entro il termine di questa settimana. E' l'epilogo di un episodio che ha costellato le scorse ore di dolore, di speranze e infine di sollievo per gli ebrei milanesi. Un fatto sconcertante e inquietante che ha però consentito di mettere nel mirino e far cadere nella rete tesa dagli inquirenti una banda che mirava ai tesori culturali della minoranza ebraica in Italia e a Milano aveva cominciato a prendere le mosse. Dopo aver passato alcune ore con il fiato sospeso, il Presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach è visibilmente soddisfatto dell'esito dell'operazione messa in piedi con tempi molto ristretti alla vigilia di questo Sabato. Determinante è stata la prontezza di riflessi del rav David Shunnach, il primo a scoprire, venerdì mattina, la mancanza degli argenti dall'Aron della sinagoga. Determinante la rapidità dell'intervento degli inquirenti, che hanno agito di concerto con i dirigenti comunitari. Una rapidità che è riuscita anche a ridurre il danno potenzialmente provocato da indiscrezioni incontrollate che erano state messe in circolazione nelle ore precedenti sul web e che avrebbero potuto vanificare l'esito positivo della vicenda mettendo sull'avviso i componenti della banda. Ora che l'incubo della razzia si va dissipando emergono nuove sfide per la Comunità ebraica di Milano.
L'urgenza di tutelare la sicurezza con opportuni investimenti. Il dovere di valorizzare e tutelare beni culturali che appartengono al patrimonio dell'intera metropoli lombarda. L'esigenza di riscoprire la centralità del tempio di via Guastalla proprio ora che i milanesi volgono lo sguardo con sollievo alla propria sinagoga. Gli argenti trafugati dall'Aron della sinagoga centrale di Milano erano in mani sicure, individuati, grazie alla fattiva collaborazione fra gli investigatori e i dirigenti comunitari, già prima dell'inizio del Sabato a Tel Aviv, dove erano appena stati portati. E così il responsabile materiale dell'azione. Ma le istituzioni dell'ebraismo italiano hanno preferito responsabilmente mantenere il silenzio ancora per qualche ora in sintonia con gli inquirenti al fine di scoprire anche i complici di un'organizzazione allestita per minacciare il patrimonio culturale della minoranza ebraica in Italia. Una comunità ferita, sconcertata, ma volta all'ottimismo, si è raccolta intanto per lo Shabbat nella Sinagoga centrale milanese di via Guastalla. Il grave furto di argenti sacri dall'armadio dell'Aron, di cui si è appreso nelle scorse ore, ha suscitato sperdimento e dolore non solo per il valore degli antichi oggetti trafugati, ma anche per la mancanza di rispetto e di sensibilità dimostrata dai responsabili di questo atto dissennato. Già nell'imminenza del Sabato, in ogni caso, si era fatta strada nella Milano ebraica una tangibile e fondata fiducia che il grave caso volgesse rapidamente verso un esito positivo. Nella seconda comunità ebraica italiana la percezione del dolore, si è diffusa nella mattinata di venerdì mescolata con la determinazione di difendere, proprio a partire da Milano, la propria identità e il proprio patrimonio culturale. Di fare di questa esperienza un punto di svolta nella tutela dei beni culturali ebraici in Italia. Mentre piovano i messaggi di solidarietà delle autorità locali e nazionali, le Forze dell'ordine e la Soprintendenza stanno compiendo i necessari accertamenti emergono i primi elementi su una dinamica sconcertante. L'area e l'armadio che contiene i sacri rotoli della Torah non presentano segni di effrazione e l'azione sembra sia stata compiuta da persone che avevano avuto accesso indisturbate e molto tempo per agire confondendosi con il via vai del pubblico diretto alla grande sala o agli uffici dei piani superiori. Immediatamente attivatosi, il Presidente della Comunità Roberto Jarach ha messo a disposizione degli inquirenti ogni elemento per favorire una rapida conclusione delle indagini e fare quanto possibile per recuperare la refurtiva. Gli oggetti trafugati, in certi casi antichi di alcuni secoli, andavano ben al di là delle vicende di una realtà ebraica, quella milanese, abitualmente considerata dagli storici come provvista di una storia relativamente breve se comparata a quella antichissima delle altre comunità italiane. Ma al di là del singolo fatto di cronaca emerge con chiarezza e in maniera drammatica come le istituzioni degli ebrei italiani e le autorità competenti debbano intensificare gli sforzi per catalogare, difendere e far conoscere un patrimonio di storia e di cultura, di beni culturali che hanno segnato due millenni di storia ebraica in Italia e in parte erano stati raccolti a Milano quali testimonianze di antiche comunità minori oggi non più attive. Un patrimonio inscindibile dalla realtà e dalla vita degli ebrei italiani ma che costituisce parte integrante dell'Italia intera.

(Notiziario Ucei, 6 febbraio 2011)

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Esplosione a un gasdotto verso Israele, è sabotaggio

L'esplosione al gasdotto fra Egitto e Israele nella cittadina di El Arish è un atto di sabotaggio. Lo hanno detto fonti del governatorato del nord Sinai, spiegando che l'esplosione di questa mattina non ha provocato ne vittime ne feriti perché l'installazione è distante dal centro abitato. L'incendio scoppiato dopo l'esplosione è stato domato.

CAIRO, 5-02-2011 - L'esplosione al gasdotto fra Egitto e Israele nella cittadina di El Arish è un atto di sabotaggio. Lo hanno detto fonti del governatorato del nord Sinai, spiegando che l'esplosione di questa mattina non ha provocato ne vittime ne feriti perché l'installazione è distante dal centro abitato. Le fonti hanno spiegato anche che l'incendio che è scoppiato dopo l'esplosione è stato domato.
L'attentato ha fatto saltare in aria il terminal e la condotta nell'area di Sheikh Zuwayed, a 10 chilometri dalla Striscia di Gaza.
"Dei sabotatori hanno approfittato della situazione relativa alla sicurezza e e fatto esplodere il gasdotto", ha annunciato un corrispondente tv, aggiungendo che c'è stata una grande esplosione; il cronista ha accusato i "terroristi" dell'esplosione.
Anche gli abitanti nell'area hanno riferito che c'è stata una grande esplosione e che ci sono fiamme nell'area di el-Arish, nel Sinai.
L'Egitto fornisce quasi il 40% del gas naturale ad Israele e a dicembre quattro aziende israeliane hanno firmato contratti ventennali del valore di 7,7 miliardi di euro per importare il gas.
Nei giorni scorsi Israele aveva avvertito del rischio che le crescenti proteste in Egitto potessero avere ripercussioni negative sul suo fabbisogno energetico.

(RaiNews24, 5 febbraio 2011)

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Chiesa in fiamme nel Sinai

IL CAIRO, 5 feb - Una chiesa e' stata data alle fiamme nella citta' di Rafah, nella penisola del Sinai, in Egitto, nei pressi del confine con la Striscia di Gaza. Lo riferiscono alcuni testimoni, che avrebbero udito un'esplosione prima di avvistare l'edificio in fiamme.
Un altro testimone afferma di aver visto uomini armati in motocicletta nei pressi della chiesa. L'area e' tuttora scenario delle proteste contro il regime di Hosni Mubarak.

(ASCA, 5 febbraio 2011)

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Fatah attacca corteo anti-Mubarak

A Ramallah. Manifestazione contro il rais anche a Nazareth

RAMALLAH, 5 feb - Decine di attivisti di al-Fatah hanno attaccato a Ramallah (Cisgiordania) i partecipanti ad una manifestazione anti-Mubarak che era stata organizzata nella centrale piazza Manara da attivisti per i diritti civili.La manifestazione, autorizzata dalle autorita', e' iniziata nella calma, poi e' intervenuto un gruppo di militanti di al-Fatah che ha costretto la folla a disperdersi.Solidarieta' con l'Egitto anche a Nazareth, su iniziativa del partito nazionalista arabo Balad, senza incidenti.

(ANSA, 5 febbraio 2011)

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Ombre lunghe dell'antisemitismo

di Christian Stocchi

Pierluigi Battista
Perché? Perché, oggi come nella storia più o meno recente, a latitudini diverse, è così radicata l'ostilità verso Israele? Non solo: l'antisionismo talora trova purtroppo punti di contatto con l'antisemitismo. Un errore culturale, insomma, rischia, facendosi ossessione, di sconfinare in un orrore morale. Riflettendo sul tema, Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, propone un'appassionata «Lettera a un amico antisionista», che si inserisce in un dibattito non privo di precedenti illustri. Infatti, l'autore vuole richiamare una lettera dallo stesso titolo di Martin Luther King (alcuni, tuttavia, ne sostengono la non autenticità), che nel 1967 scriveva: «Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente ''antisionista''. E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei». Quindi Martin Luther King spiegava così l'antisionismo: «È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell'Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio». Battista cita anche la «Lettera a un amico ebreo» di Sergio Romano, ponendo la propria opera come «ideale controcanto» rispetto a quella dell'ex ambasciatore. Le argomentazioni di Battista partono dal «trattamento speciale». Quando in Cina vengono spostati 200mila uiguri, turcofoni di religione islamica, pur trattandosi di profughi, nessuno protesta; lo stesso accade per altre vicende che dovrebbero mobilitare le coscienze, mentre molti sono pronti a manifestare la loro perenne indignazione nei confronti di Israele. L'autore ravvisa un «morbo della dismisura», in particolare (ma non solo) sulla questione palestinese. Si tratta di una dismisura «nei giudizi, nei pregiudizi, nel lessico, nei furori inconsulti e incontrollati». Come l'accostamento di Gaza ad Auschwitz proposto da alcuni intellettuali autorevoli. Dichiaratamente, talora provocatoriamente schierato, Battista, che si sofferma a lungo anche sulla nascita dello Stato di Israele, immagina le possibili obiezioni. Ammette, ad esempio, l'enorme dramma dei 700mila palestinesi che nel 1948 furono costretti a fuggire dalle loro terre; ma replica ricordando numeri meno noti, come quelli relativi agli ebrei (circa 600mila) che dal 1948 al 1967 dovettero andarsene dai Paesi arabi. Riflettendo sulla posizione di molti occidentali, l'autore, che dedica un capitolo alla «lobby (anti)ebraica», segnala la tendenza a criticare Israele non per i suoi governi o le sue politiche, come avviene per gli altri Stati, ma come nazione, indistintamente. Magari dimenticando le differenze non trascurabili tra Israele, democrazia vivace dove esiste un'ampia libertà di espressione, e i suoi antagonisti, guardati con maggiore indulgenza, nonostante i regimi che li governano e i diritti negati. Due pesi e due misure, insomma. Dopo pagine intense, scritte sul filo del sentimento non meno che della ragione, restano aperte alcune domande, che rimbalzano ancora dalle pagine di «Inganno», un romanzo di Philip Roth: perché? Perché questo odio «quasi universale» verso Israele? Non è inutile continuare a cercare la risposta.

Lettera a un amico antisionista
Rizzoli, pag. 120, € 17,50

(Gazzetta di Parma, 5 febbraio 2011)

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Gli ebrei in Albania durante il fascismo



(antennasud, 4 febbraio 2011)

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Egitto: Israele dovrà riconsiderare le spese militari e il controllo del confine

Per quanto riguarda il confine, già prima della crisi Israele si lamentava del contrabbando di armi dall'Egitto a Gaza. Ora si sta pensando che, se cadrà il presidente Hosni Mubarak, allo Stato ebraico converrà riprendere il controllo del 'corridoio Philadelphià, una fettuccia di territorio lunga 14 chilometri fra Egitto e Striscia di Gaza dal quale Israele si era ritirato nel 2005. Già a dicembre lo stato ebraico aveva deciso di costruire una barriera lungo il confine sud occidentale per bloccare l'arrivo di immigrati africani, ma è possibile che anche in quest'area i controlli vengano ulteriormente rafforzati.

(L'Unico, 4 febbraio 2011)

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Report Focusmo dalla corrispondente in Egitto

La caccia al giornalista continua. La battaglia ingaggiata dal presidente egiziano Mubarak e dai suoi sostenitori per schiacciare la sollevazione anti-regime passa anche dal controllo dell'informazione. Dopo la mossa senza precedenti di tagliare tutte le comunicazioni via internet e cellulari, nella speranza di mettere i bastoni tra le ruote ai reporter e ai contestatori, i fan del vecchio rais sono passati alla fase due: costringere alla fuga i giornalisti stranieri. Colpevoli, per così dire, di raccontare il malcontento degli egiziani e gli incidenti violenti di questi giorni, di non fare una «buona pubblicità» all'Egitto. Arresti, minacce, botte, materiale sequestrato, telecamere rotte: gli scagnozzi di Mubarak non si stanno risparmiando, e in certo casi sono riusciti a ottenere il loro scopo.
I giornalisti israeliani, per esempio, tra i più esposti, sono scappati in massa dal Paese, dopo che tre di loro erano stati fermati con l'accusa di appartenere al Mossad. «Ci hanno bendati e tenuti trenta ore in cella, separati - raccontano -, alla fine ci hanno rilasciati, ma facendoci capire chiaramente che, se non avessimo voluto altri guai, era giunta l'ora di tornarcene in Israele». Se alcuni se ne vanno, altri tuttavia restano, ingegnandosi per trovare la maniera di aggirare a censura del regime. Durante il black out del web, i cronisti hanno rispolverato il fax e la vecchia dettatura telefonica. Poi, internet è tornato a funzionare, salutato da tutti con entusiasmo: ma il sollievo è durato solo poche ore. La ritrovata operatività della rete ha infatti coinciso con un contemporaneo giro di vite del regime sulla stampa estera. Da ieri i giornalisti occidentali non sono i benvenuti nelle strade del Cairo. Basta avere una macchina fotografica, o magari un aspetto poco egiziano, per ritrovarsi attorniati dai fedelissimi di Mubarak, che pattugliano la città armati di bastoni, coltelli, mazze chiodate. E' successo anche alla tv italiana: la troupe di Sky Tg24 è stata aggredita, trasferita ai soldati e minacciata. «Il rilascio è avvenuto in tempo breve - racconta a FocusMo l'inviato Renato Coen -, ma l'esercito si è tenuto tutto il girato, e ci ha detto che stare qui per noi stranieri è tutt'altro che consigliabile». L'unica zona franca per i reporter esteri sembra essere piazza Tahrir: lì il servizio d'ordine dei contestatori del rais sta funzionando, e fare interviste e riprese è possibile. E anzi: l'accoglienza che quei manifestanti riservano ai cronisti è a dir poco calorosa. Tutti vogliono parlare, raccontare la loro rabbia, spiegare a chi li guarda dall'Europa, magari, o dall'America perché il presidente se ne deve andare. Mostrano i bossoli che hanno raccolto per strada, e le ferite riportate negli scontri. E, alla fine, in molti ringraziano: «Per noi è importante che i giornalisti restino qui - dicono -, grazie per il lavoro che state facendo per l'Egitto».

(FocusMo, 4 febbraio 2011)

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Egitto, la sfida laica alla Fratellanza Musulmana

"E' altamente probabile che la Fratellanza musulmana vincerà le elezioni indette in Egitto per settembre": a sostenerlo è Ayaan Hirsi Ali, politica e scrittrice somala naturalizzata olandese, nel suo articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera. La Ali, nota a livello internazionale per il proprio impegno a favore dei diritti umani e soprattutto dei diritti delle donne, riporta la propria esperienza di vita nei paesi arabi per sottolineare alcuni aspetti dei Fratelli musulmani ignoti all'Occidente.
La Fratellanza musulmana, sostiene Ali, ha assimilato i meccanismi che stanno alla base delle campagne elettorali: adottano programmi politici sottoscritti dai membri, penetrano nel tessuto della popolazione "a prescindere da classe sociale, religione e opinioni politiche", e non dimenticano di ricordare agli elettori i passati successi del partito e i fallimenti dei rivali. Tutti questi meccanismi sono però ignoti ai gruppi democratici laici e ai sostenitori dei diritti umani in Egitto e in tutto il mondo arabo.
Al momento, sottolinea Ali, esistono due scuole di pensiero nel movimento islamico, entrambe ispirate ai precetti di Maometto. Ci sono i fautori della Jihad immediata che si riallacciano all'epoca in cui Maometto aveva piccoli eserciti capaci di sconfiggere armate ben più vigorose. C'è poi l'altro ramo, meno violento, che evidenzia soprattutto la perseveranza e la pazienza di Maometto e punta alla Da'wa, la persuasione tramite la predicazione e l'esempio. Soprattutto, però, questo ramo della Fratellanza crede che le posizioni di potere vadano raggiunte attraverso un processo graduale e multi-generazionale. Una strategia, questa, definita Taqiyyah, che punta alla collaborazione con i nemici fino ad un cambiamento tale che permetta la loro conversione all'Islam o il loro annientamento.
Le forze laiche, invece, non sono tanto forti e organizzate quanto i due rami della Fratellanza, il cui ultimo fine è sempre l'instaurazione della Sharia. E il motivo, alla fine, è uno solo: manca il collante ideologico. C'è il timore, sostiene Ali, che ogni opposizione al movimento sarebbe visto "dalle masse come un rifiuto dell'Islam". Questo perché i gruppi laici non sono ancora riusciti a far passare il messaggio che anche loro possano conciliare la laicità con l'Islam, ma senza Sharia - che "ribadisce la separazione tra religione e Stato".
Per sfuggire sia alla dittatura sia alla Sharia, l'Egitto e le altre nazioni arabe dovrebbero seguire, secondo Ali, una terza via in grado di separare religione e politica, e di "stabilire un governo di rappresentanza popolare che tuteli al legalità e promuova le condizioni favorevoli al commercio, agli investimenti e all'occupazione".
I democratici laici dovranno convincere il popolo "che un regime basato sulla Sharia sarà repressivo in patria e aggressivo all'estero, e che se le masse lamentano disoccupazione, aumento dei prezzi e corruzione, un governo basato sulla Sharia aggraverebbe quelle difficoltà". Stara a Barack Obama decidere se aiutare le forze laiche con risorse per la campagna elettorale. "Ma senza un'efficace organizzazione, le forze laiche e democratiche che hanno spazzato via questa tirannide rischiano di lasciarsi sottomettere dalla prossima".

(Blitz quotidiano, 4 febbraio 2011)

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Furto sacrilego alla sinagoga di via Guastalla, rubati i «tesori»

Gli oggetti religiosi, di ingente valore, appartengono alla comunità ebraica da secoli. Indagini in corso

MILANO - È un furto dalla portata storica quello subito venerdì dalla comunità ebraica di Milano. Ad essere trafugati dalla sinagoga di via della Guastalla, durante la notte, sono stati i cosiddetti «tesori», oggetti che appartengono agli ebrei milanesi da secoli e che hanno un ingente valore. Secondo quanto appreso da fonti della comunità, i ladri hanno portato via «sei coppie di Rimonim, i puntali d'argento cesellato che sovrastano il Sefer Torà, e quattro Keter (corone)», argenti e ori «preziosissimi». Il valore economico potrebbe essere stimato tra i 400 e i 500mila euro, ma è inestimabile quello storico. Ciò che ha lasciato sgomenta la comunità è il fatto che si tratta di oggetti storici, risalenti al Sei-Settecento, che erano rimasti in seno agli ebrei milanesi nei secoli, anche durante le persecuzioni della Shoah. Il presidente della Comunità ebraica milanese, Roberto Jarach, ha espresso parole di grave preoccupazione, precisando che le indagini vengono condotte con il massimo sforzo.
LA SCOPERTA - I carabinieri sono intervenuti poco dopo le 11 alla sinagoga di via Guastalla a Milano dopo essere stati avvertiti dal responsabile del tempio che ha segnalato il furto di diversi oggetti sacri in oro. L'atto, secondo quanto riferito dai carabinieri, non è stato accompagnato da alcuna rivendicazione che faccia pensare a un movente politico. Gli investigatori della Compagnia Duomo, che si sono recati in via della Guastalla dopo la telefonata dei religiosi, escludono quindi che dietro la sparizione possa esserci qualcuno con intenti razzisti e hanno confermato che nessuna scritta o telefonata di rivendicazione è stata lasciata.
LA CHIAVE D'ORO - Come si legge sul sito ufficiale della Comunità ebraica milanese, il primo ad accorgersi dell'inaudito furto sacrilego, venerdì mattina, è stato rav David Schunnach. Nel corso dei preparativi per lo shabbat Rosh Kodesh di sabato, si è accorto della sparizione della chiave d'oro per l'apertura dell'Aron Ha-Kodesh (armadio sacro). «Dopo essere riuscito ad aprire l'armadio con una chiave di riserva, rav Schunnach si è trovato di fronte alla sconcertante scoperta ed è stato colto da malore». Non risulta che siano state commesse forzature o effrazioni né all'armadio sacro né agli ingressi del tempio. Gli oggetti trafugati, «di rilevante valore storico, religioso ed economico», erano abbastanza ingombranti, e non potevano essere comodamente trasportati in un sacca.
FURTO SU COMMISSIONE - Dato il valore, anche religioso, degli oggetti rubati, il sospetto fin dall'inizio è stato che si sia trattato di un furto su commissione, portato a termine tra il pomeriggio e la notte di giovedì. Si sono sparse voci secondo cui gli oggetti sacri sarebbero già stati ritrovati all'estero; la comunità ebraica milanese però non conferma la notizia del ritrovamento. Sono in corso i rilievi da parte della Scientifica dell'Arma, mentre i carabinieri della Compagnia Duomo e del Comando provinciale stanno recuperando i filmati delle diverse telecamere di sicurezza poste all'interno e all'esterno del tempio. Ritenuta un potenziale obiettivo terroristico, la sinagoga di via della Guastalla - punto di riferimento della comunità ebraica milanese, che conta più di 10 mila iscritti - è infatti uno dei luoghi più controllati della città, con una pattuglia dell'esercito in presidio fisso davanti all'ingresso e dotata di allarmi e molte telecamere a circuito chiuso, oltre ai controlli dei funzionari della sicurezza della comunità ebraica.

(Corriere della Sera, 4 febbraio 2011)

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Museo della Shoah a Ferrara, ecco il progetto vincitore

L'edificio firmato dallo studio 'Arco-Architettura' di Bologna ha vinto il primo premio del Concorso internazionale di progettazione del Meis, il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah. Un'opera da circa 30 milioni che si svilupperà per 7,900 metri quadrati.
Il riconoscimento è stato assegnato "per la qualità della soluzione proposta che vede un intervento misurato e flessibile, di grande permeabilità urbana e dalle notevoli potenzialità comunicative sul piano simbolico". Al progetto vincente, realizzato dallo studio bolognese Arco, con Scape, Michael Gruber e Kulapat Yantrasast, vanno 60 mila euro e la progettazione della struttura museale, che prevede un impegno di spesa di 30 milioni e che occupa un'area di 7.900 metri quadrati.
Il progetto è stato scelto tra 52 proposte esaminate dalla giuria presieduta dall'architetto Carla Di Francesco ed è stato premiato per la concezione architettonica della struttura: ''Ha molte qualità: è permeabile, quindi rivolto alla città, flessibile e capace di forti contenuti simbolici'', ha spiegato la Di Francesco. Il secondo premio è andato al gruppo 'Ove Arup & Partners International Limited', mentre il terzo è stato vinto dalla 'Politecnica Societa' Cooperativa'. Ora si guarda al futuro, tanto che il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani ha invitato tutte le forze della città "ad unirsi per passare alla fase realizzativa". Il rendering del progetto vincitore, a cui ha collaborato come consulente Ariel Toaff, figlio del rabbino emerito Elio, è stato diffuso da Europa Concorsi.
Il concorso era stato bandito dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Romagna d'intesa con il Comune di Ferrara e con la Fondazione Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara

(info.build, 4 febbraio 2011)

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Egitto - Pochi viveri nel Sinai, 'inversione di marcia' con Gaza

Tunnel per il contrabbando di armi e viveri usati per rifornire l'Egitto

ROMA, 3 feb. - Le proteste che da giorni si susseguono in Egitto hanno provocato, tra gli altri, anche un curioso cambiamento: una "inversione di marcia" nei tunnel costruiti sotto il corridoio Philadelphia tra il Sinai e Gaza, solitamente sfruttati per il contrabbando di armi e vivande verso la Striscia, ma ora usati per portare i viveri agli egiziani.
Nel Sinai, infatti, comincerebbero a scarseggiare i beni di prima necessità, a causa dei disordini che bloccano i collegamenti con Il Cairo. A riferirlo è il 'Jerusalem Post', che cita 'Al Akhbar', quotidiano libanese vicino a Hezbollah.
Nei mercati di Gaza, infatti, i viveri non scarseggiano da tempo, da quando, lo scorso giugno, Israele ha allentato il blocco sulla Striscia, ha notato il quotidiano libanese. Per questo, il contrabbando verso il Sinai non comprometterebbe le riserve palestinesi.

(TMNews, 3 febbraio 2011)

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UEFA - Israele aspetta trepidante l'Europeo 2013

Anche se mancano più di due anni all'inizio del Campionato Europeo Under 21 UEFA 2013, il paese organizzatore della fase finale, Israele, è già in fibrillazione dopo il sorteggio per la fase di qualificazione che si è svolto a Nyon, in Svizzera.
Visto l'accesso diretto alla fase finale dei padroni di casa, l'amministratore delegato della federcalcio israeliana ha partecipato al sorteggio in qualità di osservatore, senza per questo perderne in entusiasmo. "Siamo così su di giri che già essere presenti nella sala è stato come un sogno per noi - ha dichiarato Shilo a UEFA.com -. Abbiamo lavorato molto per portare la fase finale del torneo in Israele e abbiamo quasi stentato a credere ai nostri occhi quando abbiamo visto il nostro nome come paese organizzatore".
Il Comitato Esecutivo UEFA ha assegnato lo scorso 27 gennaio a Israele l'organizzazione del torneo del 2013. Per Shilo e il suo staff il ricordo è tanto fresco quanto bello. "Già in passato ci eravamo andati molto vicini, per quello eravamo molto tesi", ha dichiarato, ripensando al momento di assegnare per la prima volta a Israele la fase finale di un torneo UEFA.
"Ero al telefono ogni cinque minuti con il nostro presidente il giorno della decisione, e anche lui non stava nella pelle. Oggi, invece, non dovendo preoccuparci del sorteggio, o chiederci in che girone fossero Inghilterra e Germania, eravamo più rilassati. Siamo felici del lavoro svolto fin qui, ma resta ancora molto da fare in questi due anni e mezzo per assicurare un torneo memorabile".
Nonostante Israele non sia andata oltre la fase di qualificazione del torneo Under 21 del 2011, Shilo guarda ai buoni risultati ottenuti dal paese a livello di club come segnale della crescita del calcio israeliano. "Israele è competitiva in UEFA Champions League e UEFA Europa League grazie a Maccabi Haifa, Maccabi Tel-Aviv e Hapoel Tel-Aviv," ha dichiarato.
"Prima non capitava spesso di ascoltare la musichetta della Champions League, ma quando succedeva i bambini festeggiavano e sventolavano bandierine. L'Europeo Under 21 sarà una grande occasione di crescita per il calcio e un'opportunità per visitare Israele".

(UEFA.com, 3 febbraio 2011)

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Polledri a Gerusalemme con 36 parlamentari

«Sarà un'ottima occasione per toccare con mano quello che sta accadendo nel Mediterraneo, tra le tensioni di queste ore in Egitto e il terrorismo islamico sempre pronto a colpire». Sono queste le parole dell'on. Massimo Polledri alla vigilia del viaggio in Israele che, per il terzo anno consecutivo, vedrà impegnati trentasei parlamentari italiani, di tutte le parti politiche, dal 4 all'8 febbraio. «Affronteremo - ricorda il deputato del Carroccio - una serie di incontri con figure di primo piano del mondo della politica, dell'economia e della cultura israeliani, tra cui Binyamin Netanyahu, Primo Ministro dello Stato di Israele, Reuven Rivlin, Presidente della Knesset, Tzipi Livni, capo dell'opposizione e Stanley Fischer, Governatore della Banca d'Israele».
«Cinque giorni in cui oltre 400 parlamentari provenienti da tutta Europa e dal Parlamento Europeo potranno confrontarsi - conclude Polledri - in queste ore di forte tensione».
Il viaggio si svolge in collaborazione con l'associazione European Friends of Israel (EFI) e l'Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele. I lavori saranno aperti sabato sera dal Presidente dello Stato di Israele Shimon Peres.

(PiacenzaSera.it, 3 febbraio 2011)

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Hamas respinge l'ipotesi di elezioni anticipate

Hamas ha respinto mercoledi i piani dell'Autorità Palestinese che avrebbe indetto elezioni anticipate in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. "Parlare di elezioni anticipate alla luce delle divisioni interne esistenti (tra Hamas e Fatah) è stupido e inutile perchè i risultati non saranno accettati" ha dichiarato Hamas in un comunicato.
"La repressione della libertà esercitata dalle forze dell'ordine palestinesi,insieme all'occupazione della Cisgiordania, non contribuisce certamente a creare un clima adatto a 'elezioni eque'"ha aggiunto l'organizzazione . Hamas ha quindi affermato di essere pronta a boicottare il procedimento elettorale previsto. L'annuncio è una chiara risposta all'intenzione dichiarata del governo palestinese, di svolgere elezioni locali. Allarmati dalle sommosse in Tunisia ed Egitto, i funzionari palestinesi hanno infatti seriamente valutato l'ipotesi di tenere elezioni legislative e comunali nei prossimi mesi.

(FocusMo, 3 febbraio 2011)

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Per gli israeliani la caduta di Mubarak avrebbe effetti negativi

Sarebbe il preludio per l'arrivo al potere di un regime islamista

GERUSALEMME, 3 feb. - Una forte maggioranza di israeliani ritiene che la caduta del presidente egiziano Hosni Mubarak avrebbe un effetto negativo per il loro Paese e sarebbe il preludio per l'arrivo al potere di un "regime islamista". E' quanto emerge da un sondaggio pubblicato oggi.
Alla domanda "Secondo voi, le conseguenze della caduta di Mubarak su Israele saranno positive o negative?", il 65 per cento delle persone interrogate propende per la seconda ipotesi, mentre l'11 per cento pensa che queste conseguenze siano benefiche. Il restante 24 per cento non esprime opinione o si rifiuta di rispondere.
D'altra parte, il 59 per cento degli israeliani ritiene che al presidente Mubarak succederà un "regime islamista", mentre il 21 per cento prevede si tratterà di un "regime laico democratico". Questo sondaggio pubblicato dal quotidiano Yediot Aharonot è stato realizzato dall'istituto Mina-Tzemah-Dahaf su un campione di 500 persone rappresentative della popolazione israeliana, con un margine di errore del 4,5 per cento.
I dirigenti israeliani agitano lo spettro di un regime stile iraniano in Egitto da quando una rivolta popolare senza precedenti minaccia il potere del presidente Hosni Mubarak.

(TMNews, 3 febbraio 2011)

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Perbacco, Mubarak è un dittatore

di Amnon Rubinstein

Gli eventi rivoluzionari in Tunisia ed Egitto sono piovuti sulla "comunità internazionale" come un fulmine a ciel sereno. I due impopolari regimi, sebbene tutt'altro che democratici, non erano noti per essere particolarmente repressivi. Al contrario, la Tunisia era conosciuta come un regime moderatamente filo-occidentale nel quale erano banditi per legge velo e poligamia. Analogamente l'Egitto era considerato una moderata autocrazia, e il presidente Hosni Mubarak un moderato filo-occidentale degno di fiducia e sostenitore della pace. Certo, c'era ogni tanto qualche rimostranza da parte delle ONG per i diritti mani, ma erano solo tenui pigolii in confronto all'incessante fuoco di fila di denunce contro Israele....

(israele.net, 3 febbraio 2011)

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Netanyahu: «Rinforzerò la potenza di Israele»

di Serena Fiona Taurino

Secondo il quotidiano francese Le Monde, durante un discorso tenuto al Parlamento, il capo di governo israeliano ha rinnovato il timore che un nuovo governo egiziano, in sostituzione di quello guidato da Hosni Mubarak, possa essere influenzato dai movimenti islamici di protesta, pur assicurando l'appoggio di Israele ai manifestanti egiziani che chiedono riforme democratiche.
"Il fondamento della nostra stabilità, il nostro futuro, e il mantenimento o il rafforzamento della pace, specialmente in situazioni instabili, tutto questo è garantito solo dal rafforzamento del potere di Israele", ha dichiarato ieri il numero uno israeliano.
Queste parole, le più forti pronunciate da Nétanyahou dall'inizio delle proteste in Egitto nella settimana scorsa, lasciano intendere che Israele potrebbe giudicare necessario rafforzare il suo arsenale militare, qualora il trattato di pace stipulato nel 1979 con il suo vicino egiziano (il primo con uno Stato Arabo) non riesca a sopravvivere a un eventuale cambiamento di regime al Cairo o anche solo se la durata perenne dell'accordo venga messa in discussione.
L'accordo di pace israelo- egiziano fu firmato, a Washington, il 26 Marzo 1979 dai due premier di allora, l'egiziano Anwar al-Sadat e l'israeliano Menachem Begin, sotto l'egida del presidente americano Jimmy Carter. A seguito del trattato, l'Egitto fu il primo paese arabo a riconoscere ufficialmente Israele.
Questo accordo, che portò pace al confine con una nazione un tempo il principale avversario di Israele, ha consentito al Paese di ridurre significativamente le proprie spese militari nel corso degli anni. Oggi rappresentano circa il 9% del PIL contro il 30% degli anni precedenti all'accordo di pace con l'Egitto.
Rivolgendosi alla controparte palestinese, Netanyahu ha invitato Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Palestinese, a cogliere l'opportunità, creata dalle manifestazioni in Egitto, per una ripresa dei colloqui di pace. Tuttavia, ha ammesso che le divergenze fra le due parti potrebbero essere "troppo grandi per essere colmate."

(il Quotidiano Italiano, 3 febbraio 2011)

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Il Cairo non è Teheran

di Daniel Pipes

Come era prevedibile, il tanto atteso momento di crisi dell'Egitto è arrivato, le ribellioni popolari stanno scuotendo i governi in tutto il Medioriente e l'Iran si trova come mai prima di ora al centro dello scacchiere regionale. I suoi governanti islamisti intravedono, infatti, la possibilità, in questo caos, di dominare l'area mediorientale. Ma le rivoluzioni sono difficili da mettere a segno e sono convinto sia che i fondamentalisti non riusciranno a effettuare un ampio sfondamento del Medioriente sia che Teheran non emergerà come il giocatore chiave di questa contesa. Ovviamente dietro questa mia conclusione ci sono molte riflessioni. Di seguito le principali...

(danielpipes.org, 2 febbraio 2011)

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Intitolata una Strada agli Internati di Ferramonti

CALABRIA - In occasione della Giornata della Memoria, rav Moshe Lazar si è recato in Calabria per partecipare a diverse manifestazioni in programma per l'occasione.
La visita di Rav Moshe Lazar è iniziata nella località di Bonifati dove, nella Sala Consiliare del Municipio, ha ricevuto un'onorificenza dall'Amministrazione Comunale; la visita è poi proseguita nel pomeriggio alle antiche cedriere sul fiume S. Pietro e si è conclusa nella Biblioteca Civica di Cittadella del Capo con l'incontro con lo storico Franco Galiano, il regista Salvatore Lo Piano, autore del film "Ferramonti", l'editore Demetrio Guzzardi e gli amministratori delle città di Cosenza, Mendicino, Montalto e Bonifati.
Il giorno seguente, nella Sala Polivalente Comunale di Cittadella del Capo si è tenuto un incontro didattico di gruppi di studenti di Cittadella e Sangineto con Fabrizio Roccas testimone delle persecuzioni razziali, incontro che ha visto la partecipazione dello stesso rav Moshe Lazar, dello storico Franco Galiano e del Sindaco del luogo Antonio Mollo.
Dopo l'incontro Rav Lazar ha partecipato alla cerimonia di intitolazione agli internati del campo di concentramento di Ferramonti della strada in cui si trovano le scuole di Cittadella, compiendo in prima persona l'atto di scoprirne la targa.
Nel pomeriggio si è svolta una fiaccolata nel centro storico di Cosenza con studenti provenienti da Cosenza e dai comuni di Bonifati, Mendicino, Montalto Uffugo e Sangineto.
Una lapide è stato posta in Via del Cafarone, l'antico quartiere ebraico del capoluogo: il primo segnale dopo cinquecento anni dalla cacciata degli Ebrei dal centro storico di Cosenza e da tutta la Calabria, avvenuta nel 1541.

(Chabad.Italia, 2 febbraio 2011)

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Identificata la tomba del profeta Zaccaria sotto basilica bizantina

GERUSALEMME, 3 feb. - Una missione archeologica israeliana ha portato alla luce i resti di una basilica paleocristiana dell'epoca bizantina (V-VI secolo) che potrebbe celare, nel sottosuolo, la tomba di Zaccaria, citato nella Bibbia come uno dei profeti della deportazione degli ebrei a Babilonia (597 a.C.). La chiesa, che custodiva magnifici mosaici, e' stata scoperta a Hirbet Midras, sito di un'antica comunita' ebraica dell'epoca romana, a circa una cinquantina di chilometri da Gerusalemme.

(Adnkronos, 3 febbraio 2011)

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Trentasei parlamentari italiani in Israele 4-8 febbraio

Quattro giorni di confronto, sabato conferenza di Peres

ROMA, 2 feb. - Sono trentasei i parlamentari italiani che quest'anno, dal 4 all'8 febbraio 2011, parteciperanno al viaggio in Israele organizzato dell'Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele per il terzo anno consecutivo. Il viaggio si svolge in collaborazione con l'associazione European Friends of Israel (EFI), che dal 5 al 7 febbraio organizza in Israele la EFI Policy Conference, che vedrà la partecipazione di oltre 400 parlamentari provenienti da tutta Europa e dal Parlamento Europeo. I lavori saranno aperti sabato sera dal Presidente dello Stato di Israele Shimon Peres.
Numerosi i momenti di confronto tra i parlamentari europei e gli incontri con figure di primo piano del mondo della politica, dell'economia e della cultura israeliani, tra cui Binyamin Netanyahu, Primo Ministro dello Stato di Israele, Reuven Rivlin, Presidente della Knesset, Tzipi Livni, capo dell'opposizione, Stanley Fischer, Governatore della Banca d'Israele. Nella giornata di lunedì 7 febbraio i parlamentari si confronteranno con i loro omologhi israeliani in numerose sessioni che avranno luogo alla Knesset.

(TMNews, 3 febbraio 2011)

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Egitto, dati preoccupanti sulla diffusione dell'integralismo

Secondo un sondaggio Pew del Giugno 2010, fatto quando l'Egitto era ancora "tranquillo", il 59% degli Egiziani appoggiavano gli islamisti, i fondamentalisti islamici. Solo il 27% appoggiava i modernizzatori. Il 50% appoggia Hamas. Il 30% appoggia Hizbollah. Il 20% appoggia Al Qaida. Oltre il 95% vorrebbe vedere aumentata l'influenza islamica nella vita politica fino a farla divenire predominante. Una volta che il tutto è tradotto in politica governativa, è chiaro che l'Islam da loro appoggiato è qello salafista: guerra santa e taglio di teste degli infedeli, come fu fatto a Daniel Pearl.

(La Pulce di Voltaire, 2 febbraio 2011)

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In Tunisia torna il leader islamico. E subito brucia una sinagoga

di Giovanni Longoni

  
Peres Trabelsi
Il leader islamista Rachid Ghannouchi era sbarcato da poche ore a Tunisi dopo un esilio di 22 anni, che subito si registrava un episodio inquietante per quanto potrebbe presto scatenarsi per le possibili conseguenze in tutto il mondo arabo. Nella notte fra lunedì e martedì, una piccola sinagoga della città di El Hamma, circa 500 km a sud della capitale, è stata incendiata. Lo ha riferito Peres Trabelsi, capo della grande sinagoga Ghriba di Djerba, aggiungendo che è stata anche bruciata una Torah e che sono state date alle fiamme le auto di quattro ebrei della comunità di Djerba. «Vogliono che ce ne andiamo e seminano zizzania tra le comunità ebree e musulmane che vivono in simbiosi da tantissimo tempo», ha affermato Trabelsi. Gli ebrei sefarditi, nel Nordafrica ci vivono da due millenni, fra alti e bassi. Le ultime tragedie sono state le deportazioni naziste dopo l'occu - pazione tedesca dei territori coloniali francesi e, più di recente, la strage fatta causata da un'au - tobomba di Al Qaeda alla sinagoga di Djerba, nel 2002 (21 vittime fra i turisti tedeschi). Oggi in Tunisia gli israeliti sono pochi, circa duemila, dopole migrazioni in Israele,mail regimemilitare - prima con Bourghiba poi con Ben Ali - li ha sempre protetti. Con l'ultimo raìs avevano anche prosperato, grazie a contatti con il potente entourage della famiglia dell'ex uomo forte - un fatto che, però, oggi potrebbe finire per renderli impopolari. E in Israele i timori per una rinascita dell'antisemitismo nel Maghreb sono sempre più forti.

(Libero, 2 febbraio 2011)

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Protesta contro Hamas, migliaia aderiscono su Facebook

GAZA, 2 feb. - Diverse migliaia di persone hanno aderito ad un gruppo su Facebook che chiede agli abitanti della Striscia di Gaza di scendere venerdi' nelle strade e protestare contro l'amministrazione di Hamas. Lo riferisce il sito del quotidiano israeliano Haaretz, aggiungendo che la leadership del movimento islamico palestinese e' preoccupata degli effetti delle proteste che stanno investendo l'Egitto e il mondo arabo.

(Adnkronos, 2 febbraio 2011)

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Gaza, i giovani palestinesi guardano e mordono il freno

GAZA/TEL AVIV - A una settimana dall'inizio della rivolta in Egitto, i territori palestinesi - sia quelli di Cisgiordania amministrati dal pragmatico Abu Mazen, sia quelli della Striscia di Gaza controllata da Hamas - sembrano, per ora, un'isola di relativa tranquillità. Non che i palestinesi siano indifferenti della sorte dei loro "fratelli" egiziani, tutt'altro. "In ogni casa, in ogni caffè, in ogni esercizio pubblico sono proposte incessantemente le emittenti che riferiscono in diretta gli sviluppi dall'Egitto" scriveva ieri il direttore della agenzia di stampa Maan, Nasser Laham. "Ma sia nelle leadership politiche di Ramallah e di Gaza, sia sulla nostra stampa, prevale il silenzio. Tutti preferiscono mantenersi a distanza di sicurezza da quella "patata bollente"".
Nei social network l'entusiasmo dei giovani che mordono il freno davanti all'esempio delle piazze egiziane (e tunisine) fa capolino attraverso qualche sortita anti-establishment. A Gaza alcuni attivisti di Al-Fatah hanno pubblicato ad esempio su Facebook un documento di denuncia "dell'autoritarismo" di Hamas. Vi auspicano l'abbattimento dell'esecutivo di Ismail Haniyeh, una riconciliazione tra le fazioni rivali e il riconoscimento da parte di tutti dell'Olp come unico rappresentante del popolo palestinese. Evocano inoltre una data (l'11 febbraio) per manifestare in strada contro Hamas, dopo un primo tentativo a vuoto compiuto lunedì da poche decine di attivisti e sciolto senza troppi problemi dalla milizia islamica. Identico comportamento è stato assunto peraltro a Ramallah dalla polizia di Abu Mazen, che ha disperso a sua volta qualche decina di dimostranti, giunti presso la rappresentanza diplomatica egiziana per cercare di testimoniare vicinanza alle folle che protestano al Cairo. Secondo Laham è possibile che il "silenzio ufficiale" da parte della leadership palestinese sia legato ai traumatici anni '90 in cui il presidente dell'Olp Yasser Arafat si schierò al fianco del presidente iracheno Saddam Hussein: un errore politico che ebbe gravi ripercussioni per tutti i palestinesi i quali, secondo l'analista, temono di cadere adesso in una trappola simile.

(Corriere Canadese, 2 febbraio 2011)

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Israele, si chiama McFalafel il nuovo menu di McDonald's

I panini, certo. E gli hamburger, le patatine fritte, le insalate e i gelati. Per non parlare della versione kosher, presente in 36 ristoranti sparsi per il Paese. E della variante locale, il McKebab. Però, poi, alla fine mancava sempre qualcosa: i bambini ne erano entusiasti, i grandi un po' meno. Anzi: molto meno. Per la precisione: uno su quattrocento.
È così che quelli della multinazionale McDonald's si sono convinti che il cibo del pagliaccio colorato andava bene per i piccini, ma non per gli adulti. Tra questi, solo lo 0,25% comprava gli hamburger. Tutti gli altri si limitavano a far compagnia a figli e nipoti oppure a bere qualcosa. È su questo ragionamento che l'amministratore delegato per la versione israeliana, Omri Padan, ha deciso di introdurre uno dei cibi più consumati: il falafel.
Così, oltre ai classici menu, gl'israeliani si ritroveranno anche le polpettine avvolte dalla pita e contornate dalla crema di sesamo (tahini). Insieme alla classica insalata o alle patatine. Il formato ridotto - tre falafel, insalata tritata e tahini - costerà circa due euro. Quella maxi (5 polpettine) circa tre euro e quaranta.

(Falafel Cafè, 2 febbraio 2011)

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Da un sito pro Hamas

Il governo di Gaza rinforza i legami con la comunità cristiana

GAZA - Il ministero delle Questioni religiose di Gaza ha annunciato di essere impegnato a rinsaldare i rapporti con la comunità cristiana della Striscia.
Il ministro Taleb Abu Sha'ar ha infatti recentemente incontrato George Hernandez, pastore della chiesa della Sacra Famiglia, ed ha inoltre effettuato diverse visite al Monastero della Chiesa Latina di Gaza City, nel tentativo di migliorare la collaborazione tra il governo e i cristiani palestinesi.
In quanto cittadini palestinesi hanno anch'essi diritti e doveri, e il governo si occupa di salvaguardare tutti i suoi cittadini senza eccezione, oltre a rendere sicuri tutti i luoghi sacri della regione: così si è espresso Abu Sha'ar sull'argomento.
Il ministro si è inoltre augurato che Gaza diventi un esempio per tutto il mondo, riuscendo a garantire uguale sicurezza e protezione ai luoghi di culto islamico e cristiano: "Gerusalemme, la moschea di al-Aqsa e i luoghi islamici e cristiani sono vittima di un feroce attacco da parte d'Israele. Richiedono quindi sforzi intensi per essere preservati e difesi dai crimini israeliani".
Da parte sua, il pastore Hernandez ha espresso la sua piena ammirazione per il ruolo assunto da Gaza nel diffondere la tolleranza, l'amore e la fratellanza fra tutti i palestinesi.

(Infopal, 2 febbraio 2011)


Don George Hernandez, sacerdote argentino della parrocchia cattolica a Gaza e responsabile delle due chiese cattoliche che si trovano in quella zona, sarà stato certamente contento di sentire che il governo di Hamas vuole “rendere sicuri tutti i luoghi sacri della regione”, tranne naturalmente quelli ebraici, che sono stati scrupolosamente tutti devastati - come fecero i nazisti in Germania - quando gli attuali governanti hanno preso il potere con la forza. Del resto, a che possono servire delle sinagoghe in un territorio che per essere radicalmente bonificato è stato voluto e si vuole “judenrein”, come voleva suo tempo il leader del partito nazionalsocialista tedesco? Il ministro islamico inoltre “si è augurato che Gaza diventi un esempio per tutto il mondo”, cioè spera che non solo Gaza, ma tutto il mondo possa un giorno essere “judenrein”. E don Hernandez “ha espresso la sua piena ammirazione per il ruolo assunto da Gaza”. Complimenti reverendo! Un autentico cattolico che si muove nella linea della migliore tradizione papale: quella, per fare un esempio recente, di un papa come Pio XII. M.C.

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Storia e leggende

di Francesco Lucrezi, storico

Rav Riccardo Di Segni, su Moked del 17 gennaio scorso, ha avuto modo di ricordare le recenti denunce, da parte ecclesiastica, della presunta "ostinazione con cui alcuni settori del mondo ebraico alimentano la leggenda nera su Pacelli". Sarà forse per contrastare tale "leggenda nera" e suoi maligni promotori che il processo di revisionismo storico sulla persona di Pio XII procede a tappe forzate, fino a superare ogni limite di decenza e di senso del ridicolo. Piccolo, ma emblematico segnale di tale inarrestabile fenomeno è dato da una lettera al Corriere della sera, pubblicata lo scorso 14 gennaio, nella quale un lettore chiede lumi a Sergio Romano riguardo alla notizia della personale adesione che sarebbe stata data dal Pontefice, nel 1940, al progetto, concepito da alcuni ufficiali tedeschi, di assassinare Hitler. Un'adesione, argomenta il lettore, che sarebbe stata compatibile col catechismo della Chiesa cattolica (il quale ammette, in casi particolari, il tirannicidio), e che lo stesso Romano sembra non escludere, affermando che dalla Santa Sede, informata del piano, non sarebbero giunti "né incoraggiamenti né scoraggiamenti".
L'idea - al cui consolidamento sono già stati dedicati innumerevoli saggi e libri e, da ultimo, un disinvolto sceneggiato televisivo - del papa fieramente antinazista, attivamente impegnato, in ogni modo, per proteggere gli ebrei e le altre vittime della tirannia, evidentemente, non è ancora considerata sufficiente: per essere ritenuto definitivamente degno dell'attesa santità Pio XII deve diventare qualcosa di più, un resistente, un partigiano.
Comodo, ovviamente, per decifrare - o inventare - le intenzioni segrete del papa, interrogarsi sugli anni bui della guerra, quando le azioni e le parole erano impedite dalla violenza e dal pericolo. Ma, dato che Pacelli visse ancora tredici anni, dopo la fine del conflitto, perché nessuno si premura di ricavare la sua opinione sul nazifascismo, sugli ebrei, sulla Shoah, sullo Stato d'Israele dai numerosissimi interventi pubblici da lui pronunciati in questo lungo lasso di tempo, quando ormai la libertà di parola era piena e assoluta? Come mai l'"assordante silenzio" continuò anche allora? Forse il papa non trattava di siffatti argomenti, o non diceva chiaramente ciò che pensava? La sua posizione, per esempio, sul comunismo, risulta anch'essa oscura e controversa, va ricavata da sottili indizi e carte segrete, o ci è consegnata direttamente, con esemplare chiarezza, dalle sue stesse parole?

(Notiziario Ucei, 2 febbraio 2011)

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Tunisia - Incendiata la sinagoga di El Hamma

Nel rogo sono andati distrutti i rotoli della Torah

TUNISI, 1 feb. - La sinagoga di El Hamma, nei pressi della città di Gabes, nel sud della Tunisia, ieri sera è stata incendiata da alcuni sconosciuti, ha detto Trabelsi Perez, il capo della comunità ebraica di Djerba, a circa 500 chilometri a sud di Tunisi. "Alcune persone hanno incendiato la sinagoga e nel rogo sono andati distrutti i rotoli della Torah", ha spiegato.
"La cosa mi stupisce perché a pochi metri c'erano degli agenti di polizia", ha precisato Perez, che è anche presidente della Ghriba, la più antica sinagoga d'Africa sull'isola di Djerba. Nell'aprile del 2002 la Ghriba è stata oeggetto di un attentato con camion bomba rivendicato da al-Qaida. Il bilancio dell'attacco fu pesante: 21 persone morte, di cui 14 tedeschi, 5 tunisini e due francesi.

(TMNews, 1 febbraio 2011)

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Meis, credibile la data del 2015

I 12 milioni che mancano all'appello verranno trovati man mano

FERRARA - I soldi per il Meis? Verranno trovati man mano che la realizzazione dell'opera andrà avanti. Non sembra preoccupato Massimo Maisto dalle cifre rese note sul "Corriere" dai progettisti del Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah.
Dei 27 milioni e oltre paventati dallo studio Arco n sono stati stanziati solo 15, ma "per i rimanenti c'è l'impegno del Meis, del governo e dello stesso Comune di reperire le risorse mancanti. Al momento, come abbiamo già comunicato in passato, tutti i soldi non ci sono". Nel mentre, il "progetto modulare del Meis consentirà di realizzare un pezzo per volta". Intanto la palazzina "a breve sarà ultimata e potrà essere utilizzata tra qualche mese come sede".
Quando alla tempistica, il vicesindaco e assessore al Turismo, giudica verosimile la data del 2015: "soprattutto se si sono i finanziamenti, quel termine è assolutamente credibile".
Maisto non vuole entrare invece nella polemica tra Ariel Toaff e Riccardo Calimani (il presidente della Fondazione Meis ha contestato il ruolo di direttore culturale allo storico), ma dribbla i due contendenti dichiarandosi "soddisfatti se ci sono vari contributi alla realizzazione dell'opera; tanta attenzione ci rende contenti; ma non c'è dubbio che spetti alla Fondazione Meis la decisione sul contenuto del museo".

(estense.com, 1 febbraio 2011)

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Israele rafforza la sicurezza al confine con l'Egitto

GERUSALEMME, 1 feb. - Israele ha rafforzato la sicurezza al confine con l'Egitto nel timore di infiltrazioni terroristiche a causa dei disordini e si prepara alla possibilita' di una massiccia ondata di profughi beduini in arrivo dal Sinai.
Secondo il quotidiano Haaretz online, unita' dell'esercito ed agenti della polizia israeliana sono stati dispiegati lungo la frontiera egiziana per evitare che terroristi possano approfittare delle proteste per oltrepassare il confine e attaccare Israele. Intanto il paese prevede l'arrivo di numerosi richiedenti asilo. "Se i beduini dovessero riuscire a sfuggire ai controlli dell'esericito egiziano verrebbero in Israele" ha rilevato Shmuel Rifman, capo del consiglio regionale di Ramat Hanegev,
Ieri lo Stato ebraico ha accolto la richiesta egiziana per il dispiegamento di centinaia di truppe egiziane nel Sinai per stabilizzare la situazione nella regione. Secondo indiscrezioni, nel Sinai l'Egitto inviera' due battaglioni dell'Esercito, circa 800 soldati, che dovrebbero essere basati nella zona di Sharm el-Sheikh, a 200 chilometri dal confine con Israele. Si tratta di una deroga agli accordi di pace del 1979 che prevedono la smilitarizzazione del Sinai.

(Adnkronos, 1 febbraio 2011)

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Segnali di protesta sul web anche in Palestina

Sulla scia delle insurrezioni popolari in Tunisia e in Egitto, anche a Gaza cominciano ad affiorare primi segni di protesta sul web. Da una parte - ma va precisato che la fonte è la televisione commerciale israeliana Canale 10 - sarebbero apparsi su Facebook messaggi di protesta contro Hamas e l'esecutivo di Ismail Haniyeh a Gaza.
In uno di questi messaggi, apparentemente iniziativa di attivisti di al-Fatah che si trovano nella Striscia, si afferma che le masse palestinesi devono abbattere i dirigenti di Hamas a Gaza e che l'Olp deve essere riconosciuto come unico rappresentante legittimo del popolo palestinese. Il messaggio propone anche l'11 febbraio come una giornata di protesta contro il Governo di Hamas.
Dall'altra parte però, sul versante politico opposto, sempre mediante Facebook, altri attivisti stanno cercando di organizzare per il 4 febbraio in Cisgiordania una manifestazione contro il presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmud Abbas).

(rassegna.it, 1 febbraio 2011)

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Gaza chiude il valico di Rafah

Timori di "contagio" rivoluzionario anche in Palestina

di Gennaro Esposito

Le proteste in Egitto non accennano a diminuire e alla preoccupazione per una svolta radicale di matrice islamica l'Occidente affianca il timore che i tumulti possano innescare un effetto domino nei paesi limitrofi, considerati sempre più a rischio di contagio. E' quanto emerge da un'analisi delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni da Hillary Clinton e da alcuni leader europei, con gli Usa che chiedono (ad onor del vero con estrema debolezza) una "transizione pacifica" verso la democrazia attraverso una fase di profonde riforme e la garanzia che Mubarak non si presenti alle elezioni presidenziali in programma a settembre.
La preoccupazione che gli eventi egiziani possano contagiare i paesi limitrofi non pare trovare però d'accordo i palestinesi i quali ritengono che la crisi egiziana non avrà alcun effetto sulla questione palestinese e che quindi non sfocerà in alcun tipo di violenza nei propri territori.
Questo è quanto si evince dalle dichiarazioni di Azzam al-Ahmad, alto rappresentate di al-Fatah in seno al Consiglio Legislativo Palestinese (Cls), il quale ha anche aggiunto di non credere "che i Fratelli Musulmani conquisteranno il potere in Egitto" scongiurando una svolta radicale in seno al più importante alleato dell'Occidente in Medio Oriente.
Il membro del Cls ha sottolineato che i palestinesi stanno osservando con molta attenzione gli avvenimenti e che si auspicano che "possa presto tornare la stabilità in Egitto" aggiungendo che i palestinesi "rispettano qualsiasi decisione presa dagli egiziani ma condannano fermamente gli episodi di violenza e di saccheggio" ormai all'ordine del giorno.
Ma se da un lato i palestinesi non appaiono intimoriti dagli avvenimenti egiziani, dall'altro hanno preso una decisione che sembra andare proprio nella direzione opposta. Domenica, infatti, il Governo della Striscia di Gaza, guidato dal movimento radicale Hamas, ha deciso di chiudere al transito il valico di Rafah che collega il territorio palestinese all'Egitto.
Una decisione storica, questa, considerando che in passato l'apertura e la chiusura del valico (spesso considerato zona di transito di armi e terroristi) erano sempre stati decisi dal Cairo che utilizzava Rafah quasi come uno strumento di negoziazione con Israele e l'Occidente. Hamas non ha ancora espresso la propria posizione riguardo a quanto sta avvenendo in Egitto, ma certamente la chiusura di Rafah dimostra la volontà di Gaza di isolarsi ed estraniarsi da quanto si sta verificando all'interno dell'ingombrante vicino egiziano.

(l'Opinione, 1 febbraio 2011)

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Obama elefante nella cristalleria mediorientale

di Fiamma Nirenstein

Il presidente americano Obama dovrebbe smetterla di pasticciare col Medio Oriente, di cambiare posizione due volte in due giorni sulla più grave delle situazioni sul tappeto della pace mondiale, il futuro dell'Egitto. Dovrebbe smetterla di mettersi in relazione con il bene assoluto invece che con quello della sua nazione e di tutto il mondo che, dietro agli Usa, crede nella libertà, nel libero mercato, nella monogamia, nei diritti delle donne. Che frivolezza è mai questa? Che razza di informazioni ha la signora Clinton quando ci dice che «Non importa chi detiene il potere (comunque, non si sa mai, magari Mubarak la sfanga, sembra sottintendere questa frase ndr), il punto è come risponderemo ai legittimi bisogni e alle lagnanze del popolo egiziano». Ottimo, ma Obama, che ha dato questa linea mollando il suo alleato di sempre, il suo punto di riferimento nel mondo arabo dopo parecchie ore di incertezza, lo sa che fra le "lagnanze" le più dure (ormai comuni in piazza) oltre che contro Mubarak, inveiscono contro gli Usa e Israele, e contro il mondo occidentale in generale? Lo sa che questa grande rivoluzione di piazza, che nella nostra visione ha soprattutto connotati sociali, deve invece essere misurata su connotati culturali islamici completamente diversi?
Ma ci richiama alla realtà il sito jihadista salafita Minbar Al Tawhid dove il prominente clerico Abu Mundhit Al Shinqiti raccomanda di partecipare alle manifestazioni spiegando: «Siamo sull'orlo di uno stadio storico per la nazione islamica, la caduta del regime egiziano sarà simile al terremoto dell'11 di settembre». L'11 di settembre, Presidente! Obama dovrebbe ascoltare il chiaro suggerimento di Al Shinqiti. Sa che in queste ore fra le varie forze in campo si gioca la trattativa per un governo in cui la Fratellanza Musulmana dovrebbe avere un ruolo preminente? Che l'abbiamo attraversata di già, con gli Hezbollah in Libano, questa fase "democratica"? Sa che gli slogan nelle piazze hanno un carattere sempre più antiamericano e antisraeliano? La piazza egiziana dice e scrive sui muri: «Gli Usa sostengono il regime non il popolo»; per Mubarak hanno scritto sul ponte più grande del Cairo «Traditore, vattene in Israele»; e «Questa è la fine di tutti gli ebrei».
Obama non vede quello che ha combinato in Medio Oriente con la sua piacioneria? Ha lasciato, fingendo di sostenere il governo libanese, che gli hezbollah ne facessero una colonia iraniano-siriana; ha rafforzato il potere di Assad, un dittatore che adesso spiega che la Siria è stabile perché ha evitato ogni accordo di pace con Israele. Obama ha lasciato che la Turchia scegliesse la sponda islamista. Ha abbandonato Israele ai lupi, con varie sdolcinatezze su qualche appartamento a Gerusalemme est senza mai accorgersi che il Maghreb, l'Egitto, la Giordania stavano prendendo fuoco. Magari le rivoluzioni democratiche fossero avvenute perché Obama, come George Bush, ha scelto la via dei dissidenti. Al contrario, quando i dissidenti erano là a centinaia di migliaia nelle piazze di Teheran, Obama li ha piantati in asso. Quali dissidenti adesso sta aiutando Obama con la sua presa di posizione anti leadeshisp egiziana? Non certo Saad Eddin Ibrahim, non Ayman Nur, disperati democratici spesso incarcerati, abbandonati dagli USA. Obama non ha mai seriamente cercato di aiutarli di fronte allo strapotere di Mubarak. Oggi, inutile invocare la democrazia senza averne preparato le infrastrutture. La transizione non fa sconti; le elezioni, come è accaduto con Hamas, diventano sovente un'acuta arma contro il popolo stesso. Sarebbe un bel risultato per Obama, adesso, farfalleggiare con i diritti umani mentre va al potere un popolo che per il 59 per cento preferisce l'islamizzazione e per il 29 la modernizzazione; che per l'82 per cento è per la lapidazione a chi commette adulterio e per l'84 chiede la pena di morte per chi cambia religione. Obama le legge le famose "Pew poll"? Le legga, il presidente americano, e smetta di inchinarsi al re saudita come fece a Riad; di inchinarsi all'Islam come fece all'Università di Al Azhar al Cairo; allo status quo in Iran; e ai dimostranti egiziani, senza indagare il futuro.

(il Giornale, 1 febbraio 2011)

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Video antisemita sul web: condannato a tre anni

SYDNEY - Un uomo di Perth, in Australia occidentale, è stato condannato oggi a tre anni di carcere per aver diffuso su Youtube un video antisemita. Brendan Lee O'Connell di 40 anni, che la giuria ha dichiarato colpevole di sette capi di imputazione, è la prima persona ad essere condannata in Australia secondo le nuove leggi contro il vilipendio razziale.
O'Connell aveva diffuso un video che lo ritraeva in un alterco con un giovane ebreo, durante una manifestazione filopalestinese in un supermercato contro le arance israeliane. Il filmato lo mostrava mentre insultava il giovane Stanley Keyser aggiungendo: «voi avete una religione di razzismo, odio, omicidio e pulizia etnica». In seguito l'uomo compariva anche davanti ad un monumento di Perth mentre dichiarava che «gli ebrei hanno i giorni contati».
In aula erano presenti membri della comunità ebraica che hanno accolto con soddisfazione la condanna al carcere. «Il vilipendio razziale deve finire», ha detto Steve Lieblich dell'Australia-Israel Council. «Questa volta il bersaglio erano gli ebrei, la prossima volta potrebbero essere i musulmani, gli asiatici o qualche altro gruppo

(Leggo, 1 febbraio 2011)

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Israele si scopre in bicicletta

Tra marzo e aprile 2 tour per scoprire il fascino dei luoghi biblici

Per gli appassionati della bici, Il Tour d'Israele lancia due proposte accattivanti: un tour su strada e un tour fuori strada. Il primo è in programma dal 7 al 10 marzo, mentre l'altro dal 30 marzo al 2 aprile. Entrambi attraverseranno la terra della Bibbia, in un percorso che va dalle cime nevose del Monte Hermon alle spiagge soleggiate di Eilat sul Mar Rosso.
Il primo percorso si estende su 613 km e attraversa regioni, città, luoghi biblici e le terre del vecchio e del nuovo Testamento. Previsti pernottamenti presso centri agricoli, ostelli e alberghi. La gara termina nella città balneare di Eilat sul Mar Rosso.
Il tour fuori strada invece è più impegnativo e inizia dalle alture del Golan a nord e termina alla punta meridionale della foresta del Monte Carmel. Il tour prevede un percorso di 360 km, con delle arrampicate per un totale di 7 mila metri, nei più bei scenari naturali del nord d'Israele. Il montepremi è di 15.000 dollari per la gara su strada e 10.000 per quella fuori strada.

(Travelnostop.it, 1 febbraio 2011)

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Da Tel Aviv la scienza del bike-sharing

TEL AVIV - Il nuovo concetto ecologico comunale di "bike sharing" sta prendendo il controllo delle città europee come Parigi e alcune città americane come New York stanno esaminando l'idea. Il bike sharing permette ad un abbonato di "prendere in prestito" una bicicletta da una delle centinaia di luoghi in città, usarla, e restituirla in un'altra posizione alla fine del viaggio. È utile sia per i pendolari che per fare commissioni brevi.
Mentre l'idea sta guadagnando velocità e abbonati nelle 400 sedi in tutto il mondo in cui è stato implementato, ci sono allo stesso tempo problemi legati alla crescita - in parte proprio perché i progetti hanno avuto così tanto successo. Circa il sette per cento delle volte gli utenti non sono in grado di restituire una bicicletta perché la stazione di destinazione del loro viaggio è pieno. E a volte le stazioni hanno carenza di bici, causando una frustrazione del sistema....

(Gaianews.it, 1 febbraio 2011)

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Notizie archiviate

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